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Attualità

Il costo fiscale della partecipazione in caso di recesso da società di capitali

13 Aprile 2021

Marina Ampolilla e Michele Babele, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

Come noto, il contribuente persona fisica che detiene partecipazioni in società di capitali può realizzare, attraverso tali partecipazioni, redditi di capitale di cui all’art. 44, comma 1, lett. e) del T.U.I.R. (c.d. utili da partecipazione) ovvero redditi diversi di natura finanziaria di cui all’art. 67, comma 1, lett. c) e c-bis), del T.U.I.R..

A seguito delle modifiche introdotte dall’art. 1, commi 999-1006, della L. 27 dicembre 2017, n. 205 (c.d. Legge di bilancio 2018), le tipologie reddituali di cui sopra scontano, con riferimento alle persone fisiche non imprenditori e a prescindere dalla percentuale di diritti di voto esercitabili o di partecipazione al capitale della società detenuta, una ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (ai sensi dell’art. 27 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, con riferimento ai redditi di capitale) ovvero un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi (ai sensi degli artt. 5-7 del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, con riferimento ai redditi diversi di natura finanziaria); in entrambi i casi l’aliquota applicabile è pari al 26% del relativo importo.

A fronte della medesima aliquota applicabile, le due tipologie reddituali in esame presentano criteri di determinazione profondamente diversi. Infatti, come noto, i redditi di capitale si caratterizzano per la preclusione di dedurre eventuali spese sostenute ai fini della produzione del reddito (sono tassati “al lordo”). Invece, i redditi diversi di natura finanziaria, presupponendo la negoziazione degli strumenti finanziari, sono quantificati, ai sensi dell’art. 68, comma 6, del T.U.I.R., per differenza tra quanto percepito e “il costo od il valore di acquisto assoggettato a tassazione” (c.d. capital gain).

Ai fini che qui interessano si rileva che l’art. 68 del T.U.I.R. è stato modificato dall’art. 4, comma 1, del D.Lgs. n. 461/1997, ha affiancato al costo il “valore di acquisto”. Come indicato nella relativa relazione ministeriale di accompagnamento, “[l]’introduzione di uno specifico riferimento, oltre che al costo anche al “valore di acquisto”, si è reso necessario per chiarire che, qualora le attività finanziarie oggetto di cessione non siano state acquisite attraverso un atto di acquisto ma come reddito in natura, deve essere assunto quale base di calcolo della plusvalenza o della minusvalenza il valore che abbia eventualmente concorso a formare il reddito del cedente. Attraverso l’adozione di tale criterio si è inteso evitare di sottoporre ad imposizione sotto forma di plusvalenza anche redditi già sottoposti ad imposizione ad altro titolo presso il cedente”.

Invero, anche all’interno della tipologia reddituale degli utili da partecipazione, ai sensi dell’art. 47, comma 7, del T.U.I.R., rientrano redditi determinati “per differenza”. Trattasi, in particolare della differenza tra le somme o il valore normale dei beni ricevuti dal socio in caso di recesso, esclusione, riscatto, riduzione del capitale esuberante ovvero di liquidazione anche concorsuale della società partecipata e il costo fiscale della partecipazione annullata che la norma letteralmente individua con “il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate”.

Diversamente dall’art. 68 del T.U.I.R., la formulazione letterale dell’art. 47 comma 7 del medesimo testo unico include nel costo fiscale della partecipazione solo le somme investiste per acquisire la qualifica di socio, senza dare rilievo al maggior valore che abbia eventualmente concorso alla formazione del reddito del socio all’atto dell’ingresso nella compagine societaria. Per le ragioni di seguito esposte, tuttavia, si ritiene che un’interpretazione strettamente letterale di tale disposizione conduca a risultati a nostro avviso asistematici e, pertanto, non appare condivisibile.

A riprova della necessità di interpretare le disposizioni di cui all’art. 47 comma 7 del T.U.I.R. alla luce dei principi generali che permeano il sistema delle imposte sui redditi – onde evitare ingiustificati fenomeni di doppia imposizione – è possibile fare riferimento ai conferimenti effettuati successivamente all’ingresso nella compagine societaria. Infatti, sebbene tali apporti successivi non siano espressamente richiamati nella nozione di costo fiscale né nell’art. 68 né nell’art. 47 del T.U.I.R., appare immanente nel nostro ordinamento il principio in base al quale il costo fiscale della partecipazione deve essere incrementato degli apporti effettuati dal socio in costanza di partecipazione alla società[1]. Tale principio è stato correttamente applicato dall’Agenzia delle Entrate riconoscendo che, al di là di quanto desumibile dal tenore letterale delle pertinenti disposizioni, “[i]l reddito da capitale consiste … nella differenza tra la somma ricevuta dal socio uscente ed il valore fiscalmente riconosciuto (valore di sottoscrizione o acquisto della partecipazione più versamenti per aumenti di capitale sociale, versamenti a copertura perdite, versamenti in conto capitale e simili) della partecipazione posseduta”[2].

Lo stesso approccio dovrebbe essere seguito – a nostro avviso – per evitare di giungere a risultati poco sistematici tutte le volte che ci si trovi a quantificare l’utile conseguito in occasione di recesso da parte di soci persone fisiche che detengono, non in regime d’impresa, partecipazioni ricevute quale reddito in natura, ad esempio nell’ambito di piani di stock options. In tali casi, in base ad un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 47, comma 7, del T.U.I.R., si potrebbe sostenere che il reddito di lavoro dipendente assoggettato a tassazione al momento di esercizio del diritto di opzione[3] non concorra a formare il “prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote”. Tuttavia la suddetta interpretazione è da rigettare in quanto foriera di conseguenze asistematiche che comportano una doppia imposizione in capo al soggetto che esercita il diritto di opzione.

Una questione parzialmente analoga, peraltro, si è posta con riferimento al recesso da società di persone. Si rammenta preliminarmente che, nel caso di società di persone, il trattamento fiscale delle somme conseguite in capo al socio uscente è disciplinato dall’art. 20-bis del T.U.I.R. il quale, riproducendo la previsione prima contenuta nell’art. 6 del D.P.R. n. 42 del 1988, stabilisce che “Ai fini della determinazione dei redditi di partecipazione compresi nelle somme attribuite o nei beni assegnati ai soci o agli eredi, di cui all’articolo 17, comma 1, lettera l) [cioè ai redditi compresi nelle somme e valori attribuiti al socio in sede di recesso, n.d.r.], si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 47, comma 7”. Anche in questo caso, l’art. 68, comma 6, del T.U.I.R. precisa espressamente, (solo) ai fini della quantificazione dei capital gain, che “Per le partecipazioni nelle società indicate dall’art. 5, il costo è aumentato o diminuito dei redditi e delle perdite imputate al socio”. Ciononostante, per la stessa Amministrazione finanziaria è pacifico che al fine di quantificare il risultato conseguito in sede di recesso dal socio di una società di persone il costo fiscale della partecipazione include anche le riserve di utili tassate per trasparenza[4].

L’impostazione seguita dalla stessa Amministrazione finanziaria con riferimento al caso di recesso da società di persone costituisce una conferma della necessità di privilegiare un’interpretazione logico-sistematica dell’art. 47 comma 7 del T.U.I.R. al fine di evitare ingiustificati fenomeni di doppia imposizione. Ne consegue che, tornando all’esempio delle partecipazioni assunte nell’ambito di piani di stock options, in caso di recesso rappresenta reddito da partecipazione la differenza tra quanto ricevuto e quanto tassato come reddito di lavoro in sede di esercizio del diritto di opzione.

Le considerazioni qui svolte non sembrano essere inficiate da quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la risposta ad istanza d’interpello del 29 ottobre 2019, n. 441. Il quesito oggetto del citato interpello riguardava i redditi potenzialmente derivabili da alcune partecipazioni societarie acquisite da una fondazione per successione mortis causa. In questi casi, ai fini del calcolo della plusvalenza realizzata in occasione della cessione della partecipazione, l’art. 68, comma 6, secondo periodo, del T.U.I.R. stabilisce che l’avente causa assume come costo “[…] il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione, nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione”. In risposta al quesito posto dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la nozione di costo contenuta nell’art. 68, comma 6 del T.U.I.R. valida ai fini della determinazione delle plusvalenze non fosse applicabile, in via analogica, anche alle ipotesi individuate dall’art. 47, comma 7, del T.U.I.R., da cui originano redditi di capitali, trattandosi di due categorie reddituali differenti.

Le considerazioni svolte dall’Agenzia delle Entrate sulla necessità di utilizzare due distinte nozioni di costo a seconda della diversa categoria reddituale non dovrebbero rimettere in dubbio le conclusioni cui si è fin qui pervenuti sulla scorta delle motivazioni illustrate in precedenza, trattandosi di ipotesi sostanzialmente differenti. Nel caso della successione mortis causa il rilievo riconosciuto ai fini della determinazione delle plusvalenze al “valore definito o, in mancanza, [a] quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione” è frutto di una scelta discrezionale del legislatore che, in quanto tale, può ben restare circoscritta ai soli redditi diversi. Nel caso esaminato dall’Agenzia delle Entrate, quindi, la possibilità di discostarsi dal tenore letterale delle norme di riferimento era meno agevole, in quanto – in assenza di un valore che abbia formato oggetto di tassazione ai fini delle imposte dirette in capo al socio recedente (o al suo dante causa) – l’estensione in via analogica del disposto di cui all’art. 68, comma 6, del T.U.I.R. non era giustificabile nell’ottica di evitare fenomeni di doppia imposizione. Viceversa, in caso di recesso da società di capitali da parte di soci persone fisiche che detengono, non in regime d’impresa, partecipazioni ricevute quale reddito in natura, il divieto di doppia imposizione sancito nell’art. 163 del T.U.I.R., a nostro avviso, impone di accogliere una soluzione che, estendendo in via analogica quanto espressamente previsto dal legislatore per il caso dei redditi di diversi, consenta di superare le rilevate criticità.


[1] In tal senso si veda P. Coppola, Il regime tributario delle poste di patrimoni netto tra norme civilistiche e fiscali, in Rassegna Tributaria n. 1/2007.

[2] Si veda, Direzione Regionale della Lombardia nell’interpello n. 904-1168/2019. Nello stesso senso, si veda, la relazione ministeriale di accompagnamento al D.Lgs. n. 461/1997, richiamata dalla Circolare ministeriale del 24 giugno 1998, n. 165, ove a commento dell’allora art. 82 comma 5 del T.U.I.R. (corrispondente al vigente art. 68, comma 6) si afferma che “[s]ebbene non sia stata fornita alcuna espressa indicazione in questo senso rimane inteso che per le partecipazioni qualificate e le altre partecipazioni il costo di acquisto deve intendersi comprensivo anche dei versamenti in denaro od in natura fatti a fondo perduto od in conto capitale nonché di quello dei crediti a cui i soci od i partecipanti abbiano rinunciato, non potendo esservi dubbi sul fatto che anche tali versamenti o rinunce rientrano a pieno titolo nel costo della partecipazione ceduta”.

[3] Con riferimento al momento fiscalmente rilevante in caso di assegnazione di stock options, l’Agenzia delle entrate, nella risposta ad istanza di interpello del 5 febbraio 2020, n. 23, ha precisato che “[a]i fini impositivi, qualora il diritto di opzione non sia liberamente cedibile a terzi, il momento rilevante ai fini impositivi è costituito dal momento di esercizio di tale diritto, ossia alla data di exercising, indipendentemente dalla data di emissione o consegna dei titoli stessi (Cfr. Circolare 9 settembre 2008, n. 54/E)”. Inoltre, in base al combinato disposto degli articoli 49, 51, e 9 del T.U.I.R., rientra nella categoria reddituale dei redditi di lavoro dipendente il valore normale delle azioni o quote assegnate, al netto dell’eventuale ammontare corrisposto dal dipendente per beneficiare del diritto di opzione.

[4] Cfr. Risoluzione del 25 febbraio 2008, n. 64/E. Nello stesso senso, si veda, la Circolare n. 37/E del 16 settembre 2016 che espressamente richiama l’art. 68, comma 6 del T.U.I.R. per determinare il costo fiscale della partecipazione rilevante ai fini della determinazione del risultato conseguito ai sensi dell’art. 47, comma 7 del T.U.I.R. dal socio assegnatario di una società di persone.

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