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Editoriali

Il credito cooperativo: evolversi per non subire una rivoluzione

14 Giugno 2015

Giuseppe G. Santorsola

Professore Ordinario di Corporate & Investment Banking e Corporate Finance, Università Parthenope di Napoli

Di cosa si parla in questo articolo
BCC

1. Premessa

Il 2015 risulterà anno da ricordare nel mondo della cooperazione relativo all’industria del credito. Dopo un decennio di attesa, guidata da frequenti richiami comunitari finalizzati alla modifica (invero anche parziale) di alcune anomalie competitive e disallineamenti normativi, un decreto legge ha di fatto determinato – in uno degli otto temi cui è dedicato – il cambiamento con modalità e tempi caratteristici di questo strumento. L’obiettivo contenuto nel provvedimento è quello della “demutualizzazione” delle banche maggiori, mentre – nell’ottica del mercato – si prospetta il consolidamento delle unità operanti tramite fusioni o aggregazioni e il contenimento dimensionale della logica cooperativa a livello di singole entità.

Una prima valutazione è di carattere definitorio e di delimitazione del perimetro di riferimento. Si ha la sensazione che alcune banche popolari abbiano creato, crescendo, le condizioni e le soluzioni dell’attuale cambiamento. Anche per salvaguardare la cooperazione di credito ed il credito cooperativo è necessario quindi, “eliminare” dal segmento chi non propone più il modello gestionale, esaltando invece ruolo e posizione giuridico-economica di chi effettivamente persegue in modo attuale le funzioni tradizionali. Alcune banche popolari (giuridicamente) non sono più popolari (gestionalmente) Alcune BCC (giuridicamente) non sono più aziende di credito cooperativo localistiche. Si rende necessario un mutamento normativo, funzionale all’effettivo bisogno, per evitare il pericolo di comportamenti formalmente aderenti alla normativa, ma di fatto elusivi del principio. Opportuna premessa è il precisare che le considerazioni esposte in queste note promanano da una visione esterna al segmento cooperativo del credito, ma pienamente interna al mondo bancario, se non altro per i quaranta anni di attenzione dedicata. Peraltro, proprio per difenderne i principi e lo spirito appare indispensabile ripensare norme e strategie anche con un approccio di forte diversità. Le tabelle allegate alla nota evidenziano tre elementi da considerare con attenzione:

– le banche popolari presenti sul mercato e non soggetti obbligati alla nuova normativa;

– le banche popolari costituite negli ultimi 25 anni e successivamente uscite a vario titolo dal mercato per cessione, fusione o liquidazione;

– le banche popolari promosse, ma mai giunte alla costituzione, sempre nel medesimo riferimento temporale.

Il confronto dei dati dimostra, nel permanere di condizioni di efficienza (tabella 1), che lo strumento delle banche popolari è stato utilizzato in modo strumentale (tabella 2), contribuendo a minarne la credibilità e facilitando l’azione di contrasto da parte dei competitori (soprattutto alla luce della tabella 3). Dall’interno del sistema cooperativo è invece mancata un’adeguata selezione all’entrata di fronte all’apparente forte sviluppo che si prospettava.

2. Alcuni profili di carattere istituzionale

Sotto un profilo teorico, la questione di fondo concerne la relazione tra struttura giuridica e performance di gestione. Un possibile approccio è quello della adverse selection in ordine al qualesi intende ogni situazione in cui una variazione delle condizioni provoca una selezione dei contraenti sfavorevole per la parte che ha modificato, a suo vantaggio, le condizioni. Esattamente quello che temono le stesse banche popolari e cooperative a seguito della riforma in applicazione dopo il loro indubbio sviluppo negli ultimi trenta anni.

Ifattori discriminanti che possono influenzare la valutazione riguardano (1):

– il principio del voto capitario, “democratico” ma impattante sulla celerità delle scelte gestionali;

– il vasto disinteresse della maggior parte dei soci verso la gestione, a vantaggio dell’acquisizione di vantaggi personali;

– la crescente discrezionalità dei manager nelle scelte operative in assenza di contrappesi o forme di controllo incrociati;

– assenza della disciplina di mercato per molti profili gestionali protetti dall’esterno o dal consolidamento dei poteri interni;

– non contendibilità del controllo delle banche in oggetto in ragione del voto capitario e dei limiti alle quote detenibili o utilizzabili per le scelte di gestione;

– prevalenza di scelte opportunistiche piuttosto che selettive nelle politiche di investimento delle risorse;

– produttività generale contenuta rispetto alla concorrenza di mercato.

Sulla base di queste impostazioni, supportate da un riscontro statistico adeguato anche se non privo di qualche discontinuità, emerge, nel settore del credito cooperativo, una correlazione negativa fra dimensione aziendale e redditività in termini di risultato netto e di grado di libertà nella gestione dell’EBITDA, nonostante la confermata proporzionalità dei risultati operativi legati alla gestione del core business. In definitiva, l’area debole appare quello della gestione discrezionale in ottica di efficienza prospettica del risultato di bilancio, comunque conseguibile nella gestione corrente. Se questo riscontro trovasse conferma nei bilanci degli ultimi anni e, soprattutto, con l’attenuarsi delle esigenze di gestione dei crediti problematici, si percepirebbe una dimostrazione di una relazione negativa fra struttura cooperativa e redditività. Un profilo di particolare attenzione è peraltro quello che evidenzia la miglior capacità di reddito e di capitalizzazione delle banche cooperative di minore dimensione rispetto a quelle maggiori. La conferma statistica è ancora incerta ed è certamente influenzata dalla crisi economica e dal peso delle partite deteriorate, ma è altrettanto qualificante in negativo la costante presenza di tali problemi nelle maggiori banche popolari, soprattutto laddove risultano attenuati i forti legami con il radicamento territoriale e la contestualità delle politiche di raccolta e di impiego. In definitiva, appaiono sostenibili dimensioni minime fortemente radicate e dimensioni grandi gestite al di fuori del contesto giuridico cooperativistico, mentre si attenuano le prospettive per dimensioni medie con dispersione del controllo territoriale.

3. Le modifiche legislative e l’impatto applicativo

Un terreno di utile confronto è certamente quello internazionale in contesti in cui il settore dell’intermediazione coperta dal segmento popolari e cooperativo presenti volumi e pesi più o meno omogenei. E’ agevole riscontrare la presenza di strutture aggregate quali:

• Credit Agricole: 39 banche regionali più altre locali francesi coese dal principio “le bon sens près de chez vous », costituita quale banca unica dal 1979 (prima era regolato dal Codice Rurale) e trasformata in societè anonime dal 1988 ;

• Credit Mutuel: gruppo federale francesi con casse locali, gruppi regionali e capogruppo aggregante anche strutture non cooperative

• Credit Unions:, prevelentemente strutture statunitensi di cooperazione di secondo livello fra imprese che, a loro volta, sono partecipate da singoli individui;

• Rabobank: figlia delle strutture locali e non madre delle stesse, fusione di Raiffeisen Bank e Boerenleenbank, due strutture cooperative nazionali olandesi che raggruppano 152 strutture indipendenti;

• Raiffeisen: (Germania e Austria) con sviluppo di forti strutture centrali pienamente competitive con le altre banche e mantenimento delle strutture localistiche indipendenti.

Un secondo perimetro di approfondimento concerne sei aree critiche nel settore delle banche popolari e cooperative.

– l’autodeterminazione del valore della quota (azione) nel caso delle banche non quotate;

– il voto capitario ed il complesso delle regole di governance;

– il potere degli amministratori nei confronti dei soci;

– la difficoltà nella gestione dei controlli e della compliance;

– la liquidabilità delle azioni o quote nel caso delle non quotate;

– la sottoscrizione degli aumenti di capitale reclamati dalle regole patrimoniali.

La quotazione in Borsa delle banche popolari rappresenta una novità dirimente degli ultimi 20 anni che contrasta con l’esperienza consolidata di tutte le altre realtà e con la scelta anche giuridica (le quote in luogo della azioni) delle banche di credito cooperativo. L’esperienza dimostra l’impatto di quella scelta sul valore di mercato delle azioni e sulla relativa volatilità, con una netta prevalenza della tendenza al ribasso rispetto a quanto espresso dal meccanismo di valutazione interno. L’autovalutazione con autocertificazione ha presentato sistematicamente valori crescenti e riscontri superiori a quanto il mercato ha successivamente espresso. Più in particolare, in alcuni casi il valore di libro di alcune entità non quotate ha superato in modo tecnicamente non giustificabile il valore di mercato (per quanto in una fase critica per l’appetibilità delle azioni bancarie), non solo del patrimonio netto di banche di dimensione assoluta superiore, quanto della somma di alcune di esse. Questa ripetuta condizione – osservata rispetto al passato – esprime dubbi sul meccanismo di determinazione dei valori con i quali molti soci sono entrati, ma – rispetto al futuro – ha costituito un fondamento, contestabile dall’interno ma effettivo, per la sollecitazione alla modifica normativa delineata dalla Legge 33/2015.

Diversamente, per quanto concerne la logica del voto capitario, il quadro delle regole di governance, sono state sconfitte, nella scelta del legislatore, dalle modalità di utilizzo da parte di alcune importanti componenti del settore. Fermo restando il permanere di situazioni corrette ed efficienti, negli ultimi anni, per motivi dettati dalla piena competizione con banche altrimenti governate, molte soluzioni di gestione hanno scavalcato i principi ispiratori sollecitando la pressione del settore dell’intermediazione finanziaria nel suo complesso per un riallineamento delle condizioni normative in parallelo con la realtà delle modalità di competizione correnti e prospettiche, soprattutto nell’ottica di uno scenario difficile ed inusuale per il settore del credito. Dimenticare nei commenti questa severa catena logica sottrae peso a molte valutazioni che ne conseguono.

Il terzo fattore influenzato dal cambiamento riguarda il ruolo degli amministratori, la cui nomina è conseguenza delle regole di governance citate in precedenza. Non è obiettivo soffermarsi sui casi più noti e dibattuti oggetto di interesse per la magistratura e per la vigilanza. Il tema più condizionante per il futuro è quello relativo invece alle procedura di nomina, al cessato vincolo circa la matrice cooperativa dei soggetti destinati a coprire i ruoli, alla durata complessiva dei mandati (o meglio al numero dei mandati acquisibili) e alle procedure di individuazione delle liste di candidati da sottoporre alle assemblee. In ottica più tecnica si disegna anche il problema della gestione delle deleghe e delle modalità di partecipazione alle assemblea (voto a distanza, gestione telematica e voto per corrispondenza). Gli elementi qui riassunti debbono la loro criticità alla combinazione degli istituti normativi tipici del diritto societario (comuni alle spa e alle cooperative) con le peculiarità del mondo cooperativo. Sarà opportuna una innovazione legislativa che imposti una gestione delle regole assembleari e dei consigli di amministrazione, sorveglianza o gestione, conforme al segmento, fermo restando che le 11 banche individuate dalla Legge 33/2015, trasformandosi obbligatoriamente in banche società per azioni, resteranno legate alle norme attuali. Resta da valutare se, nel futuro mutare delle norme, le banche rimaste cooperative (popolari o di credito cooperativo) le convenienze dei soci e le strategie di gestione non subiscano variazioni così rilevanti da motivare o la loro successiva trasformazione o la limitazione dell’efficienza e della economicità.

La quarta area di interesse da approfondire, relativa alla organizzazione interna della banca è in prospettiva quella più critica comparando la dimensione dell’attività rispetto ai costi minimi richiesti. E’ nota la previsione, sancita anche dai Regolamenti e dalle Circolari della Banca d’Italia, della proporzionalità degli obblighi di vigilanza e controllo rispetto alle dimensioni degli intermediari. Soluzione idonea in fasi transitorie, spesso utile a rafforzare temporaneamente singole entità per mantenerne il valore, ma nell’inevitabile tendenza verso future aggregazioni nella maggior parte dei casi. E’ utile sottolineare che le regole di proporzionalità sono certamente funzionali per intermediari la cui attività sia ristretta ad ambiti contenuti dell’oggetto sociale consentito dalla Direttiva Europea e dal conseguente Testo Unico Bancario. Nel caso delle banche, la necessaria ampiezza dei campi coperti, reclama l’applicazione di un ampio spettro di normative di Vigilanza con conseguenti obblighi organizzativi. Una possibile soluzione contempla l’esternalizzazione di attività e funzioni, il che ripropone peraltro il tema delle aggregazioni oppure la soluzione di strutture centrali che comportano alleanze almeno parziali che interesseranno inevitabilmente il futuro ruolo e posizionamento di molte entità. Ricordiamo, non solo sotto un profilo statistico, che circa l’80% dei provvedimenti assunti dalla Vigilanza a seguito delle ispezioni concerne l’insufficienza o l’inadeguatezza dei sistemi di controlli, il che conferma l’alta rischiosità di soluzioni certo proporzionali alla dimensione, ma non sempre adeguate al prevenire l’incapacità di controllare i molteplici rischi gestionali.

Un quinto campo obbligato a registrare cambiamenti riguarda i criteri di valutazione del valore delle quote, la loro negoziabilità e la creazione di condizioni di liquidabilità, interessando numeri di soci significativi e, in prospettiva, sempre più interessati a negoziare i titoli rispetto ai tradizionali comportamenti conservativi del passato. Un’ipotesi da valutare con i dovuti riscontri in campo normativo e di praticabilità sul mercato, riconduce all’esperienza del Mercato Ristretto, a lungo attivo proprio per il segmento delle società cooperative. Tale struttura accoglieva titoli dotati di condizioni restrittive alla loro circolazione, in particolare la sussistenza di clausole di gradimento per il trasferimento dei diritti connessi allo strumento finanziario delle azioni. Le nuove esigenze reclamano un cambiamento totale dei principi, ma potrebbero disegnare una condizione di negoziabilità idonea rispetto al nuovo scenario. In particolare, appare idonea la formazione di market maker interessati a proporre prezzi in via continuativa, a predisporre soluzioni per la temporanea gestione dei pacchetti azionari in attesa del reperimento di controparti e a promuovere soluzioni finali che potrebbero consistere nel percorso verso la trasformazione delle banche in caso di assenza prolungata della domanda da parte degli investitori tradizionali oppure nella gestione temporanea in ottica di private equity delle situazioni ritenute interessanti per segmenti di mercato diversi sempre da quelli tradizionali.

L’ultimo profilo di attenzione concerne infine – invero come sintesi dei precedenti temi – la creazione di meccanismi idonei a facilitare la sottoscrizione degli aumenti di capitale che saranno necessari, entro il 2019, per adeguare i coefficienti patrimoniali reclamati dal Nuovo Accordo di Capitale di Basilea, dalle regole della Vigilanza Unica Europea e dalle flessibilità consentite alle Autorità di Vigilanza per la definizione di coefficienti specifici per ciascuna entità bancaria operante. In quest’ottica è opportuno riconsiderare la funzione degli Istituti Centrali di Categoria la cui operatività non ha sempre seguito le esigenze dettate dal mutamento delle condizioni. Non è forse utile riconsiderare le strutture attuali, quanto studiarne nuove sostitutive.

Nel contempo quanto suggerito deve risultare funzionale anche rispetto alla previsione del nuovo comma 2bis dell’articolo 28 del TUB, laddove“il diritto al rimborso delle azioni nel caso di recesso, anche a seguito di trasformazione o di esclusione del socio, è limitato anche in deroga a norme di legge, laddove ciò è necessario ad assicurare la computabilità delle azioni nel patrimonio di vigilanza di qualità primaria della banca. Agli stessi fini, la Banca d’Italia può limitare il diritto al rimborso degli altri strumenti di capitale emessi”.

L’obiettivo necessario è ancora una volta quello di predisporre soluzioni dinamiche, non univoche ed aperte alle diverse possibili soluzioni di ristrutturazione, aggregazione, trasformazione e negoziazione.

Questa impostazione sottende l’accettazione di una completa riclassificazione della struttura del sistema bancario nel cui ambito ogni entità possa rinvenire il percorso della propria evoluzione. Alcune di queste ipotesi ritroveranno certamente un sentiero nell’ambito della cooperazione, altre si riqualificheranno nell’ambito della struttura societaria ordinaria a seconda della volontà espressa dalle rinnovate compagini societarie senza imporre una visione univoca, dettata unicamente da una soluzione legislativa originante dalle condizioni preesistenti, quale quella impostata con il decreto celermente trasformato nella Legge 33/2015 in assenza di un dibattito allargato non condizionato da una volontà politica non condivisa e dalla prevalenza di comportamenti necessariamente difensivi dello status quo.

____________________________________________________________________________________________________________________________

(1) alcune valutazioni introduttive sono riferibili al lavoro di ricerca di Belinda Laura Del Gaudio, Is different Cooperative Bank?, nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Economics and Business Management – Università Parthenope, che si ringrazia per la disponibilità, ricordando che la progettazione di quel documento è avvenuta con largo anticipo rispetto alla modifica del contorno legislativo esaminato in questa nota.

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