1. L’Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 46/E dello scorso 22 giugno (cfr. contenuti correlati), ha risposto all’interpello presentato da una società di servizi in merito all’ambito applicativo del credito d’imposta per la ricerca e lo sviluppo, introdotto dal d.l. 23 dicembre 2013, n. 145[1].
La società – che opera nel settore delle manifestazioni fieristiche, dell’organizzazione di attività congressuali ed in generale delle attività commerciali e promozionali – intendeva riorganizzare i processi aziendali e riteneva di poter considerare rilevanti ai fini del credito d’imposta R&S, come “sviluppo sperimentale”[2], alcune attività connotate da innovazione tecnologica e finalizzate alla gestione dei processi aziendali.
Precisamente, le attività comprendevano servizi innovativi del c.d. “internet of things”: software, servizi web, applicazioni digitali ed altri impianti per l’integrazione dei flussi informativi e la digitalizzazione documentale.
2. La questione interpretativa verteva sulla definizione di “attività di ricerca e sviluppo”. Per essere considerata tale, un’attività deve rispettare il requisito oggettivo previsto dalla legge, ovverosia deve rientrare in una delle seguenti categorie: i) ricerca fondamentale; ii) ricerca industriale; iii) sviluppo sperimentale.
Si noti che la normativa italiana è stata mutuata dalla disciplina comunitaria e, in particolare, dalla Comunicazione della Commissione UE n. 2014/C 198/01, concernente la “Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione”[3]. Le definizioni sopra riportate derivano, a loro volta, dagli indirizzi di soft law espressi dall’OCSE nel c.d. Manuale di Frascati, la cui ultima edizione è dell’8 ottobre 2015[4] e che la Comunicazione citata considera come fonte interpretativa.
3. L’Agenzia – acquisito il parere tecnico del MISE – ha chiarito che le attività prospettate dalla società non risultano connotate del requisito di novità e di rischio finanziario, e correlato rischio di insuccesso tecnico, che generalmente caratterizzano le attività di R&S.
L’Agenzia ha considerato le attività in oggetto come attività ordinarie di investimento in beni strumentali, da qualificarsi come immobilizzazioni (materiali e/o immateriali), facendo esplicito riferimento alla recente circolare MISE n. 59990 del 9 febbraio 2018 (secondo cui, appunto, non possono considerarsi di R&S le attività di sviluppo di sistemi informativi e software che “utilizzino metodi conosciuti e strumenti software esistenti”[5]).
Sebbene fossero effettivamente d’avanguardia (geolocalizzazione indoor, tecnologie che applicano la “realtà aumentata”, di digital signage, di proximity marketing e di big data analytics), le tecnologie impiegate dalla società erano già ampiamente disponibili e diffuse e, perciò, secondo l’interpretazione del MISE, non potevano beneficiare del credito d’imposta R&S.
Va però notato che l’Agenzia[6] aveva in passato espresso una posizione diversa, ritenendo che le attività̀ di R&S fossero quelle “volte all’acquisizione di nuove conoscenze, all’accrescimento di quelle esistenti e all’utilizzo di tali conoscenze per nuove applicazioni”, nonché “le modifiche che apportano cambiamenti o miglioramenti significativi delle linee e/o delle tecniche di produzione o dei prodotti”; senza richiedere, insomma, il requisito della novità.
La posizione dell’Agenzia sembra a prima vista ampliare l’ambito di applicazione dell’agevolazione rispetto al MISE, il quale, oltre a richiedere un significativo miglioramento del processo o del prodotto, considera agevolabili le sole tecnologie nuove, da intendersi come non ancora utilizzate o conosciute dal mercato.
I chiarimenti forniti dal MISE in merito ai software sembrano, insomma, restringere l’ambito dell’agevolazione. Difatti, se le tecnologie non sono nuove, il MISE tende comunque ad escluderle dal credito R&S – anche in presenza di miglioramenti (la valutazione dei quali è senz’altro connotata da margini di arbitrarietà e di non immediata percepibilità).
4. Questi chiarimenti hanno un certo impatto pratico, perché il contribuente non è obbligato a richiedere all’Amministrazione una preventiva valutazione degli investimenti che possono beneficiare del credito d’imposta R&S, ma ha l’onere di valutarli egli stesso in via preventiva e di dotarsi della documentazione che dimostri la spettanza del credito[7].
L’Agenzia, dal canto suo, potrà sempre sindacare la spettanza dell’agevolazione ed eventualmente recuperare il credito indebitamente fruito, con le relative conseguenze fiscali e sanzionatorie[8].
[1] Modificato dall’art. 1, c. 35, d.l. 23 dicembre 2014, n. 190.
[2] Art. 3, cc. 4 e 5, d.l. 145/13, e art. 2, lett. c), d.m. 27 maggio 2015
[3] In particolare, il paragrafo 1.3, al punto 15, lett. j), m) e q), contiene le definizioni riprodotte nelle lett. c), a) e b), d.m. 27 maggio 2015.
[4] OECD (2015), Frascati Manual 2015: Guidelines for Collecting and Reporting Data on Research and Experimental Development, The Measurement of Scientific, Technological and Innovation Activities, OECD publishing, Paris.
[5] V. MISE, circolare 9 febbraio 2018, n. 59990. La circolare rimanda alle interpretazioni fornite dal Manuale di Frascati, al par. 2.71, per gli esempi di spese di sviluppo dei software qualificabili come spese di R&S, e al par. 2.72, per gli esempi di attività di tipo ricorrente o di routine che non sono qualificabili come spese di R&S.
[6] V. Ag. Entrate, circ. 16 marzo 2016 n. 5/E, 10 e12.
[7] V. Ag. Entrate, circ. n. 5/E, cit., 64, integrata dalla circ. 27 aprile 2017 n. 13/E, 79.
[8] Per approfondimenti: A.M. Gaffuri, Il credito d’imposta per ricerca e sviluppo e i connessi obblighi dichiarativi, in Dir. prat. trib., 2018, II, 569; P. Boria, La ricerca e l’innovazione industriale come fattori di una fiscalità agevolata, ivi, 2017, I, 1869; Assonime, circolare n. 11 del 7 aprile 2016; Confindustria, Credito di imposta per investimenti in attività di R&S, circolare 29 gennaio 2016.