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Approfondimenti

Il crowdfunding

20 Agosto 2013

Gianmatteo Nunziante, Studio Legale Nunziante Magrone

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa – L’Italia – primo Paese in Europa – ha da poco un regolamento sul crowdfunding: e nello specifico, sull’equity based crowdfunding1.

Il crowdfunding è una delle risposte alle sempre maggiori difficoltà che un’impresa (innovativa) incontra nel reperire i fondi necessari a sviluppare il proprio progetto imprenditoriale: ed è una risposta che viene dal basso. Esso nasce, infatti, nella grande famiglia del crowdsourcing2 – un’evoluzione dell’outsourcing grazie alla quale si reperiscono servizi, idee e contenuti sollecitando contributi dal pubblico (crowd), per lo più via internet – e consiste nella raccolta di mezzi finanziari da un gruppo indistinto di investitori, per il tramite di piattaforme on-line.

Il crowdfunding può essere donation-based (mero sostegno ad un’iniziativa, senza ritorno sull’investimento) o reward-based (elargizione di somme in vista di una specifica ricompensa): vi sono poi il social lending (prestito da privato a privato, anche detto peer to peer lending) e il cd. equity-based (grazie al quale l’investitore entra nel capitale di “rischio” di un’impresa, acquisendo specifici diritti amministrativi e patrimoniali).

Il Regolamento Consob n. 18592 (il “Regolamento”)3 disciplina, appunto, la raccolta di capitale di rischio da parte di start-up innovative4 tramite portali5. Non rientrano invece nell’ambito di applicazione del Regolamento tutte le residue forme di crowdfunding, che restano sostanzialmente deregolamentate.

Come funziona la raccolta (in breve) – I protagonisti della raccolta di capitali di rischio tramite portali, disciplinata dal Regolamento, sono la start-up innovativa (l’emittente), il gestore del portale6, le banche e/o le imprese di investimento, gli investitori professionali7 e gli investitori non professionali.

In estrema sintesi:

  • la start-up innovativa decide di raccogliere capitali di rischio mediante emissione di strumenti finanziari attraverso uno o più portali ed elabora un documento informativo conforme alle prescrizioni del Regolamento8;
  • il gestore del portale prescelto – o i gestori, nel caso l’emittente decida di raccogliere i fondi tramite più portali – pubblica le informazioni relative all’offerta e raccoglie gli ordini di adesione ricevuti dagli investitori, li registra e li trasmette alle banche e/o alle imprese di investimento incaricate di curare il perfezionamento degli ordini stessi;
  • il gestore assicura che per ciascuna offerta venga costituita una provvista nel conto indisponibile intestato all’emittente presso le banche e/o le imprese di investimento alle quali sono trasmessi gli ordini9;
  • al perfezionarsi dell’offerta, la provvista viene trasferita all’emittente (ed i titoli sottoscritti attribuiti all’investitore)10;
  • nel caso, invece, in cui l’offerta non si perfezioni – o qualora l’investitore eserciti il diritto di recesso o di revoca conformemente a quanto previsto nel Regolamento – la provvista torna nella piena disponibilità degli investitori.

La tutela dell’investitore: il gestore di portali – L’impianto normativo in commento è caratterizzato dall’esigenza di tutelare l’investitore non professionale rispetto ad investimenti connotati da rischi molto alti, quali quelli – appunto – in start-up (innovative).

Un primo baluardo a difesa dell’incauto investimento è ravvisabile nella disciplina stessa dell’attività di gestione di portali, cui il solo Regolamento dedica ben 20 articoli, a fronte dei 2 articoli dedicati alla disciplina delle offerte.

L’attività di gestione dei portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative è anzitutto “attività riservata”, cioè consentita ad una ristretta cerchia di soggetti qualificati: le imprese di investimento, le banche autorizzate ai relativi servizi di investimento (soggetti ampiamente regolamentati e vigilati) e i gestori di portali – come identificati dal Regolamento – per i quali è prescritto l’obbligo di iscrizione in un apposito registro tenuto dalla Consob11 e soggetti, a loro volta, alla vigilanza di quest’ultima12.

Il gestore di portali è quindi compiutamente disciplinato dal Regolamento: dai requisiti che le società richiedenti devono soddisfare per essere iscritte nell’apposito registro, ai requisiti richiesti per chi ne detiene il controllo (onorabilità) e chi vi svolga funzioni di amministrazione, direzione e controllo (onorabilità e professionalità). Requisiti, nel complesso, abbastanza stringenti, tanto che nelle consultazioni tenute dalla Consob in vista dell’adozione del Regolamento, vi è chi ha parlato – in termini critici – di approccio paternalistico.

Sui gestori grava poi l’obbligo di: a) operare con diligenza, correttezza e trasparenza, b) rendere disponibili agli investitori, in maniera dettagliata, corretta, chiara, non fuorviante e senza omissioni, tutte le informazioni riguardanti l’offerta fornite dall’emittente, c) richiamare l’attenzione degli investitori sull’opportunità che gli investimenti in attività finanziaria ad alto rischio siano adeguatamente rapportati alle proprie disponibilità finanziarie, d) assicurare che le informazioni fornite siano aggiornate ed accessibili anche dopo la chiusura delle offerte, ed e) assicurare agli investitori diversi dagli investitori professionali il diritto di recedere entro 7 giorni dalla data dell’ordine di adesione.

Il Regolamento indica quindi analiticamente le informazioni relative alla gestione del portale, all’investimento ed alle singole offerte da pubblicare sul portale.

I gestori devono far sì che alla sezione del portale in cui è possibile aderire alle offerte si possa accedere soltanto dopo a) aver preso visione delle informazioni di investor education, b) risposto positivamente al questionario comprovante la piena comprensione delle caratteristiche essenziali e dei rischi principali connessi all’investimento in start-up innovative per il tramite di portali, e c) dichiarato di essere in grado di sostenere economicamente l’eventuale intera perdita dell’investimento.

I gestori devono inoltre adottare misure volte ad assicurare che le adesioni alle offerte ricevute dagli investitori vengano a) trattate in maniera rapida, corretta e efficiente, b) registrate in modo pronto ed accurato, e c) trasmessi alle banche ed alle imprese di investimento che curano il perfezionamento dell’offerta, secondo la sequenza temporale con la quale sono stati ricevuti. Inoltre, i gestori sono soggetti ad obblighi di tutela degli investitori, di riservatezza e di conservazione della documentazione.

Alla Consob è quindi affidato il potere di adottare misure cautelari ed infliggere sanzioni nei confronti dei gestori che contravvengano i sopra richiamati obblighi di legge.

L’articolato complesso di norme che disciplina la gestione di portali, poste a presidio dell’investimento prudente e consapevole, se per un verso si spiega alla luce dell’alto rischio che caratterizza l’investimento in start-up (innovative), per altro verso, nel prevedere adempimenti formali di dubbia efficacia (mi riferisco, ad esempio, al questionario sui rischi dell’investimento), finisce per appesantire una procedura che dovrebbe invece caratterizzarsi per snellezza e semplicità. Con il conseguente rischio di allontanare, anziché avvicinare, gli investitori non professionali – i veri destinatari di questa normativa – dalle start-up innovative.

Inoltre – quale che sia il giudizio sulla tutela approntata dal Regolamento – appare ingiustificato il diverso trattamento riservato, per difetto, agli investitori in start-up non innovative: la raccolta di capitali per queste ultime non rientra infatti nell’ambito di applicazione del Regolamento, nonostante il rischio di perdita del capitale investito sussista per queste così come per le start-up innovative.

La scelta di tener fuori dalla regolamentazione le start-up non innovative – che discende comunque dalla norma primaria – finisce quindi per creare disparità di trattamento tra società che, pur trovandosi in condizioni analoghe, finiscono per essere sottoposte a discipline assai diverse tra loro e sembra sottendere che la meritevolezza (di tutela) del rischio assunto dall’investitore discenda esclusivamente dal carattere innovativo (o meno) dell’attività svolta dalla start-up.

Segue: la disciplina delle offerte – Anche la disciplina delle offerte tramite portali si focalizza sulla tutela dell’investitore. In tale ottica deve essere intesa la previsione di un tetto massimo alla raccolta di capitale di rischio attraverso portali, simmetricamente a quanto previsto in tema di esenzione dall’osservanza delle norme in tema di appello al pubblico risparmio13. Superato tale limite, se ne desume, si applicano le più stringenti disposizioni del Testo Unico della Finanza in tema di appello al pubblico risparmio.

Il legislatore ha quindi delegato la Consob ad adottare norme volte ad a) assicurare la sottoscrizione di una quota degli strumenti offerti da parte di investitori professionali o particolari categorie da questa individuate; e b) tutelare gli investitori non professionali nel caso in cui i soci di controllo di start-up innovative cedano le proprie partecipazioni a terzi successivamente all’offerta14.

Sul primo punto il Regolamento stabilisce che, perché l’offerta si perfezioni, è necessario che almeno il 5% degli strumenti finanziari offerti vengano sottoscritti da investitori professionali, fondazioni bancarie o incubatori di start-up innovative1516.

La previsione di una soglia minima di partecipazione è volta a garantire che solo le iniziative ritenute meritevoli da parte di investitori professionali possano costituire oggetto di raccolta di capitale di rischio nelle forme disciplinate dal Regolamento. L’originaria stesura della norma prevedeva che la sottoscrizione da parte investitori professionali, fondazioni bancarie e incubatori costituisse addirittura requisito per l’ammissione dell’offerta sul portale: il che avrebbe assicurato una maggiore affidabilità del progetto, oggetto di specifica due diligence e valutazione da parte di soggetti professionali prima ancora di essere proposto al pubblico degli investitori non professionali.

A seguito della osservazioni pervenute durante la fase di open public consulting la Consob (in linea con quanto originariamente prescritto dal legislatore) ha ritenuto sufficiente – ai fini della salvaguardia dell’investitore non professionale – che l’investimento da parte di investitori professionali, nei limiti di cui si è detto, costituisca condizione per il perfezionamento dell’offerta (e non anche per la pubblicazione della stessa sul portale).

Resta il dubbio che il legislatore, nel richiedere a Consob di assicurare una sottoscrizione (minima) da parte di soggetti qualificati – e quindi prevedendo che non ci possa essere raccolta tramite portali laddove non ci siano investitori professionali, fondazioni bancarie e/o incubatori disposti ad investire nel progetto – abbia in parte sacrificato il crowdfunding sull’altare della tutela dell’investitore non professionale.

Sul secondo punto, il Regolamento prevede che, ai fini dell’ammissione dell’offerta sul portale, il gestore si assicuri che lo statuto dell’emittente preveda, a favore degli investitori non professionali, un diritto di recesso ovvero di co-vendita per il caso in cui venga trasferito il controllo dell’emittente stessa per tutto il periodo in cui devono sussistere i requisiti previsti dalla legge perché si verta in ipotesi di start-up innovativa, e comunque almeno per i tre anni successivi alla conclusione dell’offerta.

La norma in parola è volta ad assicurare che l’investitore non professionale non resti imprigionato nel proprio investimento una volta che l’azionista di controllo si sia disfatto della propria partecipazione. E, al contempo, che tragga vantaggio dalle condizioni di maggior favore riconosciute all’azionista di controllo in caso di vendita (il cd. premio di maggioranza, garantito in caso di società quotate in borsa tramite l’istituto dell’offerta pubblica d’acquisto obbligatoria). Lascia perplessi la scelta di affidare al gestore la verifica preliminare dello statuto senza che nulla si dica per il caso in cui il gestore abbia omesso di effettuare tale verifica, o addirittura abbia errato nella valutazione: meglio sarebbe stato lasciare all’investitore l’esame dello statuto e l’accertamento della sua conformità al dettato normativo.

Il caso di scuola, ad ogni modo, è il seguente: un giovane brillante “prototipizza” una tecnologia innovativa, costituisce una start-up aprendo a terzi il capitale di rischio per avviare lo sviluppo industriale e la commercializzazione della tecnologia e quindi vende la propria partecipazione di controllo ad una società del settore massimizzando il profitto e, il più delle volte, usandone parte per avviare una nuova iniziativa e così via. Il legislatore ha giustamente ritenuto, quindi, di dover proteggere l’investitore non professionale (che ha partecipato al rischio d’impresa, puntando sulla tecnologia innovativa e, soprattutto, sull’inventore/imprenditore) assicurandogli un’exit, nelle forme del diritto di recesso o di co-vendita, e auspicabilmente la quota-parte del margine, anziché lasciarlo alla mercé delle scelte imprenditoriali del nuovo “padrone”, che non faceva certo parte del quadro d’insieme valutato dall’investitore al momento in cui è maturata la decisione di investire.

Risponde, in parte allo stesso principio il diritto di revoca dell’adesione, riconosciuto agli investitori diversi dagli investitori professionali quando tra il momento dell’adesione all’offerta e la chiusura della stessa sopravvenga un fatto nuovo o sia rilevato un errore materiale concernente le informazioni esposte sul portale, tali da influire sulla decisione dell’investimento17. Rievoca invece il cd. diritto al ripensamento previsto dal Codice del consumo per il caso di contratti conclusi a distanza18, il diritto di recesso che il gestore deve assicurare agli investitori non professionali, da esercitarsi entro 7 giorni dalla data dell’ordine19.

Il JOBS Act statunitense. – Negli Stati Uniti d’America l’equity crowdfunding è stato autorizzato e regolamentato dal Jumpstart Our Business Startups Act o JOBS Act, approvato ed entrato in vigore sotto l’egida del Presidente Barack Obama il 5 aprile 2012.

Si tratta di un pacchetto legislativo volto a rimuovere une serie di restrizioni legali ed agevolare l’accesso alla raccolta di capitali anche per le imprese più piccole e che dispongono di risorse limitate, con particolare occhio di riguardo alle start-up.

In particolare il JOBS Act, a talune condizioni, prevede una esenzione per l’investitore dalla registrazione presso la US Securities and Exchange Commission, c.d. Sec, che svolge un ruolo di garante analogo a quello della Consob.

In tal modo, la legislazione consente alle imprese di frazionare il capitale sociale in piccole quote (di valore anche inferiore a 100 dollari) e di offrirlo a qualunque tipo di investitore, che può acquistare tali quote on-line.

La raccolta di capitali avviene tramite un portale internet, il c.d. Funding portal, talvolta gestito da un intermediario e registrato presso la Sec.

L’impresa emittente può raccogliere fino ad un massimo di un milione di dollari annui. Gli investitori sono, a loro volta, vincolati ad una soglia massima di investimento, che varia in proporzione al proprio reddito: per redditi inferiori a 100 mila dollari annui, l’investimento non può superare i 2 mila dollari o il 5% del reddito, per redditi superiori, il limite è di 100 mila dollari o del 10%.

Le informazioni che l’impresa è tenuta a fornire ai propri investitori aumentano gradualmente in ragione dell’approssimarsi alla soglia del milione di dollari.

Una lieve tutela è offerta al piccolo investitore, che è reso consapevole dei rischi che può correre a causa dal proprio investimento attraverso una serie di attività che devono essere necessariamente svolte tramite il portale.

Invero, le maggiori criticità mosse al JOBS Act risiederebbero proprio nella debole protezione che, al contrario del Regolamento, esso parrebbe offrire agli investitori diversi da quelli istituzionali che aderiscano al sistema dell’equity-based crowdfunding.

Tale sistema, infatti, se da una parte costituisce una valida alternativa al sostegno bancario, d’altra parte potrebbe con più facilità esporre i piccoli investitori a comportamenti scorretti o fraudolenti da parte delle imprese emittenti, dovuti a regole di trasparenza meno rigorose nella gestione degli investimenti (che rappresentano una forte attrattiva non soltanto per le piccole start-up ma anche per le imprese molto grandi)20.

Conclusioni – Come si diceva, il Regolamento costituisce per il momento un unicum nel panorama europeo: impossibile, quindi, stabilire se il grado di invasività delle norme adottate sia eccessivo rispetto ad altri ordinamenti, nei quali, tutt'al più, vi è una limitata normazione di rango primario.

Certo è, però, che in termini assoluti il Regolamento incide in misura sostanziale sull’equity based crowdfunding (riservato alle start-up). A ben vedere, infatti, questo nasce per convogliare – su base spontaneistica – le disponibilità, tutt’altro che illimitate, di investitori non professionali verso progetti che, con ogni probabilità, non avrebbero le caratteristiche di ritorno sull’investimento per essere supportati, in tutto o in parte, da investitori professionali. Anzi, nasce proprio a causa delle sempre maggiori difficoltà che gli imprenditori, specie se alle prime armi, incontrano nel reperire fondi attraverso i canali ordinari.

La scelta di regolamentare minuziosamente la gestione dei portali e la raccolta di capitale di rischio effettuata tramite questi ultimi, analogamente a quanto accade per imprese di investimento e banche, risponde sì all’esigenza di tutela dell’investitore. Tuttavia, non sembra tener nel dovuto conto il diverso contesto in cui è maturato e si sviluppa il crowdfunding: una comunità non professionale per definizione dove la contrapposizione tra parte forte e parte debole è più attenuata che altrove. Non che non vi si possano perpetrare truffe in danno del risparmiatore inconsapevole, come peraltro accade di continuo negli iper-regolamentati e vigilati mercati finanziari: ma il punto è, appunto, se quella della iper-regolamentazione sia la risposta giusta per tutti i contesti e, soprattutto, per tutti i tempi.

Il successo finora registrato dal crowdfunding, specie nei Paesi del Nord Europa e di matrice anglosassone, è dovuto principalmente alla snellezza e relativa semplicità del meccanismo che riflette, nell’essenza, l’incontro tra domanda ed offerta, senza oneri di intermediazione. Da un lato c’è chi ha un progetto, dall’altro c’è chi ha le disponibilità per finanziarlo. Le somme coinvolte, il più delle volte, sono esigue: quel tanto che basta per avviare una start-up. Appesantire il processo con procedure onerose e dispendiose finirà verosimilmente per allontanare dal mercato proprio gli investitori che genuinamente si sono avvicinati al mondo del crowdfunding.

Prevedere poi che le offerte non si perfezionino se non vi sia l’adesione da parte di un numero minimo di investitori professionali può rappresentare il colpo fatale alla raccolta di capitale di rischio tramite portali, prima ancora che il fenomeno si sia affermato nel nostro Paese. Le banche e le imprese di investimento, specie di questi tempi, non appaiono disponibili ad investire tempo e risorse in progetti a bassa marginalità: e comunque non sono i soggetti deputati a valutare questo genere di iniziative, spesso “visionarie” e con una forte componente di rischio di insuccesso. Meglio gli incubatori, anche se questi hanno di solito risorse limitate. E meglio ancora (se proprio si deve) i venture capitalist, che però, come si è detto, non sono inclusi nel novero degli “investitori professionali”, pur essendo i soggetti più in grado di valutare un’iniziativa imprenditoriale in fase di sviluppo.

Ma è proprio il principio della preventiva certificazione – che deriverebbe dall’adesione all’offerta da parte di un numero minimo di investitori professionali – che non convince. Con essa si snatura l’essenza del crowdfunding e si deresponsabilizza l’investitore non professionale (che finirà per accodarsi meramente alle scelte effettuate dall’investitore professionale, facendo affidamento sulla due diligence che questi ha effettuato sulla meritevolezza e solidità dell’iniziativa imprenditoriale). Per non parlare del fatto che, come pure si è detto, introducendo un regime speciale per le sole start-up innovative si finisce per discriminarle (in peius) rispetto a tutte le altre iniziative imprenditoriali che traggono dal crowdfunding le risorse necessarie a finanziarsi.

In definitiva, il fatto di aver regolamentato per primi non vuol dire per forza di aver creato un ambiente users friendly e favorevole allo sviluppo del crowdfunding.

 

1

Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line, adottato dalla Consob con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 12 luglio 2013.


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2

Il termine crowdsourcing è stato coniato nel 2005 da Jeff Howe e Mark Robinson all’esito di un’indagine da questi condotta su come le imprese usavano internet al fine di dare lavoro ad individui in outsourcing.


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3

Il Regolamento è stato adottato dalla Consob in attuazione degli artt. 50 quinquies e 100 ter del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (“Testo Unico della Finanza”), introdotti dall’art. 30 del Decreto Legge 18.10.2012, n. 179, convertito in Legge 18 dicembre 2012, n. 221 (il c.d. “Decreto Sviluppo bis”).


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4

La disciplina delle start-up – società connotate da una forte propensione alla Ricerca e Sviluppo, dall’impiego di personale altamente qualificato e/o dalla titolarità, anche quali licenziatarie, di privative industriali connesse alla propria attività – è stata introdotta nel nostro ordinamento grazie all’art. 25 del Decreto Sviluppo bis; e di recente parzialmente modificata dal Decreto Legge 28 giugno 2013, n. 76. Per approfondimenti v. G. Nunziante, Novità in tema di start-up innovative, in Costozero.it, 8 luglio 2013, disponibile al sito http://www.costozero.it/diritto-e-impresa/societa/item/153-novita-in-tema-di#.Uf_eIW3-SjZ e http://www.nunziantemagrone.it/it/rassegna-stampa/965-novit%C3%A0-in-tema-di-start-up-innovative.html; v. anche Start-up innovative, in Inter alia Legal e-news, n. 1/2013, scaricabile dal sito http://nunziantemagrone.it/images/pdf/Start-up%207_1_13.pdf..


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5

Ai sensi del Regolamento per “portale” si intende la piattaforma on line che ha come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitali di rischio da parte delle start-up innovative.


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6

È “gestore di portali” – sempre ai fini del Regolamento – il soggetto che esercita professionalmente il servizio di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative ed iscritto nell’apposito registro istituito dalla Consob.


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7

Per la definizione di “investitore professionale” il Regolamento rinvia, quanto ai clienti professionali privati, all’Allegato 3, punto I, del regolamento Consob in materia di intermediari adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007; e, quanto ai clienti professionali pubblici, all’art. 2 del decreto ministeriale 11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze. Di recente è sorta una polemica per la mancata inclusione, nell’elenco degli investitori professionali “privati”, dei fondi di venture capital, nonostante il Regolamento UE n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital, entrato in vigore il 22 luglio u.s., li consideri tali (Sole 24 Ore, 26 luglio 2013, Il venture capital non può essere escluso dal crowdfunding).


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8

Diversamente da quanto generalmente previsto per le sollecitazioni di investimento, le informazioni sull’offerta non sono sottoposte ad autorizzazione da parte della Consob.


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9

Non vi è, quindi, alcun trasferimento di fondi al gestore del portale: a questo, infatti, è espressamente precluso di detenere somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza di terzi.


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10

La valuta di effettivo addebito non può, comunque, essere anteriore alla data di sottoscrizione degli strumenti finanziari da parte degli investitori.


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11

Art. 50 quinquies, comma 2 del Testo Unico della Finanza. La legge stabilisce inoltre che i gestori di portali, per essere ammessi allo svolgimento dell’attività riservata, debbano trasmettere gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente a banche e imprese di investimento.


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12

Art. 50 quinquies, comma 6 del Testo Unico della Finanza.


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13

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 100 ter e 100, comma 1, lett. c) del Testo Unico della Finanza e dell’art. 34 ter del Regolamento 11971 concernente la disciplina degli emittenti, sono esentate dalla disciplina del Testo Unico della Finanza le offerte aventi ad oggetto strumenti finanziari per un corrispettivo inferiore a 5.000.000 di euro.


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14

Art. 100 ter, comma 2 del Testo Unico della Finanza.


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15

Ai sensi dell’art. 25, comma 5 del Decreto Sviluppo bis, è incubatore di start-up innovative (certificato) quella società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano o Societas Europea, residente in Italia, che offre servizi volti alla nascita e alla crescita di start-up innovative.


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16

Art. 24, comma 2 del Regolamento.


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17

Art. 25, comma 2 del Regolamento.


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18

Art. 64 del Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206, recante il Codice del consumo, a norma dell'articolo 7 della legge 29 luglio 2003, n. 229.


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19

Art. 13, comma 5 del Regolamento.


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20

The JOBS Act one year later: where equity crowdfunding stands, in Huff Post, Business del 4 maggio 2013; Summary of JOBS Bill and Update, in Reverse Merger & SPAC Blog del 17 marzo 2012; D. Castrataro, Equity-based crowdfunding in Web Target del 20 marzo 2012; D. Castrataro, Crowdfunding: la legislazione in Italia e negliStatiUniti, in Advanced Graphic Integrated Solutions.


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