Il curatore fallimentare è legittimato ad impugnare il sequestro di prevenzione dell’azienda che sia stato disposto successivamente alla dichiarazione di fallimento.
Questi, infatti, al momento del fallimento diviene titolare di posizione processuali proprie, poiché subentra in tutte le azioni attive e passive che si rinvengono nel patrimonio dell’impresa fallita ponendosi non già come “soggetto privato che agisca in rappresentanza o sostituzione del fallito e/o dei creditori, ma piuttosto come organo che svolge una funzione pubblica nell’ambito dell’amministrazione della giustizia, incardinato nell’ufficio fallimentare a fianco del tribunale e del giudice delegato”.
Deve, pertanto, distinguersi il ruolo del curatore fallimentare nell’ambito del procedimento di prevenzione reale rispetto a quello che esso ricopre in procedimenti similari. Invero, precisa la Corte, mentre con la confisca di prevenzione si interviene in modo definitivo sui beni colpiti dal fallimento, trasferendo al giudice delegato la competenza a decidere sui crediti dei terzi, con il provvedimento di sequestro, in quanto misura di cautela, di per sé provvisoria, il curatore recupera la potestà gestoria sui beni della massa fallimentare.
In tale prospettiva, la legittimazione espressamente attribuita al curatore dall’art. 320 del nuovo CCI (in vigore dal 15.8.2020) ad impugnare i provvedimenti di sequestro va intesa come confermativa di un principio già ricavabile dal sistema.