Il presente contributo affronta il tema del danno all’immagine dell’impresa datore di lavoro, anche alla luce dei più recenti orientamenti giurisprudenziali.
1. Il danno all’immagine
Il datore di lavoro (qui inteso come persona giuridica) può subire, in relazione alle vicende del rapporto di lavoro, una lesione dei diritti non patrimoniali di cui è titolare; un caso abbastanza frequente, nell’ambito del lavoro subordinato, è quello del dipendente che abbia posto in essere una condotta lesiva del decoro dell’impresa (con riflessi sulla sua immagine), violando gli obblighi derivanti dall’art. 2105 c.c..
Tra gli interventi più rilevanti della giurisprudenza di legittimità in tema di danno non patrimoniale, si ricorda quello attuato nel 2008 dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che – con le sentenze “gemelle” nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 – hanno rimodulato le categorie del danno patrimoniale e di quello non patrimoniale, ribadendo la risarcibilità di quest’ultimo ed il confine degli oneri probatori del danneggiato.
Il danno all’immagine rientra nella generale nozione di danno non patrimoniale.
In particolare, il danno all’immagine è una tipologia di danno elaborata dalla giurisprudenza e dalla dottrina, inteso come lesione della reputazione e dell’identità personale, ovvero come lesione di un diritto che, pur non essendo menzionato, è stato introdotto nell’ordinamento dagli artt. 2 e 3 della Costituzione.
L’opinione secondo cui solo le persone fisiche possano subire un danno all’immagine è stata superata da tempo, poichè “anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo è configurabile la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o dell’ente” (Cass. 4 giugno 2007, n. 12929, che ha il merito di aver fornito, tra le prime, un’ampia ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale alla persona giuridica, muovendo da una fattispecie che riguardava una segnalazione irregolare – società in posizione di “sofferenza” – alla Centrale Rischi della Banca d’Italia, tema affrontato, più recentemente, da Cass. 13 novembre 2024, n. 29252).
In particolare, è stato chiarito che il danno all’immagine consiste nella “diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente che esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi, nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma interagisca” (Cass. n. 12929/2007, cit.; il tema del danno all’immagine come diminuzione della considerazione di un’azienda nell’ambito dei consociati, o di categorie degli stessi con cui essa ha interagito, è stato ribadito negli anni: cfr. Cass. 18 novembre 2022, n. 34026).
La diminuzione della considerazione di un soggetto (come detto, qui inteso come datore di lavoro) consiste, più precisamente, nella lesione alla reputazione che l’azienda ha creato nella comunità (e tra gli addetti ai lavori), ovvero nella lesione di un elemento fondamentale che l’impresa deve tutelare, in quanto può avere un significativo impatto sulla valutazione della collettività in merito alla qualità dei servizi offerti.
Anche la giurisprudenza di merito, in una recente pronuncia, esaminando una fattispecie di licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore sottoposto a misura cautelare perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti non destinate ad uso personale, ha rilevato che tale condotta, anche in considerazione della rilevanza internazionale del datore di lavoro, è suscettibile di arrecare un “apprezzabile danno all’immagine” di quest’ultimo (Corte Appello di L’Aquila, 28 ottobre 2024, n. 410).
Quanto alla risarcibilità del danno è pacifico, secondo i principi generali, che la lesione di un interesse protetto è il necessario presupposto del risarcimento; anche con riferimento al danno all’immagine è stato evidenziato che la lesione del diritto non è sufficiente per ottenere un risarcimento, il quanto il danno non consiste nella mera lesione (danno in “re ipsa”) ma nelle conseguenze.
Pertanto, il danno risarcibile è il “danno-conseguenza”, ovvero un “prodotto” ontologicamente distinto e cronologicamente successivo alla violazione del diritto (tali principi, già affermati da Cass. n. 12929/2007 cit., sono stati ribaditi successivamente: tra le tante, Cass. 10 maggio 2018, n. 11269).
Anche più recentemente, la Corte di Cassazione ha confermato la risarcibilità del danno all’immagine della persona giuridica (datore di lavoro): “anche nei confronti degli enti collettivi è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole – compatibile con l’assenza di fisicità del titolare – della lesione di diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, alla reputazione o all’identità storica, culturale, e politica dell’ente” (Cass. 6 settembre 2024, n. 24060, che ha esaminato una fattispecie, illustrata nel paragrafo successivo, di danno all’immagine subito da un istituto bancario).
In particolare, nel definire il danno all’immagine della persona giuridica, la Cassazione ha evidenziato che non è corretto ricondurre il danno ad una valutazione economica e di mercato (ovvero, ai costi di reintegrazione o alle spese sostenute per il ripristino del bene immateriale, che, invece, rilevano ai fini dell’individuazione dei pregiudizi di natura patrimoniale: Cass. n. 24060/2024, cit.).
In conclusione, il danno alla reputazione ed all’immagine del datore di lavoro è un danno-conseguenza che, ai fini della sua risarcibilità, deve essere allegato e provato da chi lo invoca (non essendo sufficiente la prova della lesione).
2. Recenti sentenze della Corte di Cassazione
Nell’ambito delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione in materia di danno all’immagine della persona giuridica, si segnala una pronuncia che ha esaminato la risarcibilità del danno all’immagine subito da un istituto bancario, a seguito del suo recesso per giusta causa da un rapporto di agenzia, motivato dall’aver appreso, dagli organi di stampa, di un coinvolgimento dell’agente in un’indagine penale avente ad oggetto una presunta maxi-truffa, perpetrata quando l’agente svolgeva la sua attività per altro committente (Cass. n. 24060/2024, cit.).
Anche più recentemente, la Suprema Corte ha ribadito la tutelabilità dell’immagine aziendale.
Infatti, esaminando una fattispecie in cui la Corte di merito aveva ritenuto legittimo un licenziamento disciplinare, la Cassazione ha precisato che la nozione di “patrimonio aziendale” (tutelabile con l’esercizio del potere di controllo dell’attività dei lavoratori, attuata, nel caso concreto, mediante un’agenzia investigativa) è stata considerata, dalla giurisprudenza di legittimità, in un’accezione estesa, riconoscendo “il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio, (…) costituito non solo dal complesso dei beni aziendali, ma anche dalla propria immagine esterna, così come accreditata presso il pubblico” (Cass. 24 ottobre 2024, n. 27610).
Il tema del danno all’immagine inteso come “patrimonio aziendale” in realtà non è nuovo, in quanto già affrontato in passato dalla giurisprudenza di legittimità che, nel ricostruire il tema del danno non patrimoniale alla persona giuridica, lo aveva definito come danno “correlato ad una nozione di patrimonio del soggetto intesa come comprensiva del complesso delle situazioni giuridiche soggettive ad esso riferibili, anche là dove non si trattasse di situazioni suscettibili di una valutazione in senso strettamente economico” (Cass. n. 12929/2007, cit.).
3. La liquidazione del danno
Al verificarsi di un danno risarcibile, dedotto in sede giurisdizionale, segue generalmente la sua liquidazione.
Il procedimento posto a base della liquidazione deve considerare la gravità dei fatti, la diffusività degli stessi, la riconducibilità della condotta al soggetto leso e l’idoneità della condotta a produrre un danno nei confronti della persona giuridica secondo l’id quod plerumque accidit (Cass. n. 24060/2024, cit.).
Secondo un orientamento consolidato (tra le tante, Cass. n. 34026/2022, cit.), il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine, può essere oggetto di allegazione e di prova anche attraverso l’indicazione di elementi costitutivi e circostanze di fatto da cui desumerne l’esistenza, anche solo in via presuntiva.
Al fine di illustrare gli oneri probatori che gravano sul soggetto danneggiato, è stato infatti affermato che “vale ad integrare una ipotesi di danno non patrimoniale, ex art. 2059 c.c., ogni caso in cui si verifichi un’ingiusta lesione dei valori di ogni persona costituzionalmente garantiti (art. 2 della Costituzione) dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. Ed inoltre che il pregiudizio arrecato ai diritti immateriali della personalità costituzionalmente protetti, ivi compreso quello all’immagine e alla reputazione commerciale, non costituendo un mero danno-evento, e cioè “in re ipsa”, deve essere oggetto di allegazione e di prova, anche tramite presunzioni semplici” (Cass. n. 24060/2024, cit.).
In particolare, la concreta liquidazione del danno non patrimoniale deve essere attuata “attraverso un esercizio controllato dell’equità, previa determinazione dei criteri a cui deve essere ancorata la discrezionalità giudiziale”.
In tale ottica, “è stato precisato che (Cass. sentenza n. 28429 del 11/10/2023) ai fini della liquidazione equitativa di un danno non patrimoniale (nella specie, di un danno non patrimoniale subito da un ente territoriale a causa dell’infedele esercizio delle funzioni di un proprio organo), è necessario che il giudice di merito proceda, dapprima, all’individuazione di un parametro di natura quantitativa, in termini monetari, direttamente o indirettamente collegato alla natura degli interessi incisi dal fatto dannoso e, di seguito, all’adeguamento quantitativo di detto parametro monetario attraverso il riferimento a uno o più fattori oggettivi, controllabili e non manifestamente incongrui (né per eccesso, né per difetto), idonei a consentire a posteriori il controllo dell’intero percorso di specificazione dell’importo liquidato” (Cass. n. 24060/2024, cit.).
4. Conclusioni
Ferma restando la valutazione del caso concreto, anche con riferimento alle possibili difficoltà probatorie, è importante evidenziare come la tutela del patrimonio aziendale debba necessariamente comprendere anche la difesa “dalla lesione all’immagine e al patrimonio reputazionale dell’azienda, non meno rilevanti dell’elemento materiale che compone la medesima” (Cass. 6 settembre 2024, n. 23985).