1. Premessa
In data 7 aprile 2021, la Commissione Europea ha pubblicato la comunicazione n. C118/1 recante “Linee guida per un’interpretazione comune del termine «danno ambientale» di cui all’articolo 2 della direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale” (le “Linee Guida”)[1].
Le Linee Guida si inseriscono in un quadro ormai consolidato nel panorama europeo della tutela dell’ambiente, ancorché – come si dirà infra – non omogeneamente attuato. In tale quadro, la Direttiva n. 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale (la “Direttiva”) si pone come strumento generale e trasversale del diritto dell’ambiente, che si prefigge lo scopo di completare lato sensu la tutela dell’ambiente, già settorialmente garantita dagli altri strumenti precedentemente adottati in seno alla cornice europea (i.e., direttiva “Uccelli”[2]; direttiva “Habitat”[3]; direttiva quadro “Acque”[4]; direttiva quadro “Strategie per l’Ambiente Marino”[5]).[6]La Direttiva funziona dunque in modo complementare rispetto alla restante normativa di cui alla politica ambientale dell’UE, a cui è direttamente o indirettamente collegata.[7]
Scopo delle Linee Guida è dunque quello di fornire precisazioni puntuali ed analitiche su aspetti di fondamentale importanza per l’omogenea attuazione della Direttiva nei diversi settori ambientali di competenza, cercando di dissipare così alcune criticità sorte in fase di recepimento della stessa da parte degli Stati membri, in varie occasioni ostative alla corretta ed uniforme attuazione della Direttiva.
In particolare, le Linee Guida mirano ad affrontare e risolvere difficoltà interpretative attinenti alla definizione di “danno ambientale”, che si sono già presentate con riguardo all’attuazione della Direttiva o che potrebbero ragionevolmente sorgere in futuro. Per fare ciò, le Linee Guida si soffermano analiticamente sul tenore letterale dell’art. 2 della Direttiva, cogliendone le ratio sottesa e svolgendo ogni considerazione ritenuta opportuna in relazione al contesto giuridico e normativo di riferimento, ai principi che informano la politica ambientale dell’Unione (i.e., principio “chi inquina paga”; principio di precauzione; etc.) e a quelli che governano il diritto dell’Unione (i.e., principio di proporzionalità), nonché alla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”), cui spetta l’interpretazione autorevole del diritto dell’Unione.
Prima di procedere con l’analisi dei criteri applicativi ivi contenuti, pare opportuno richiamare preliminarmente i tratti fondamentali della Direttiva.
2. La Direttiva
La Direttiva introduce la disciplina della responsabilità ambientale, sulla scorta, inter alia, del principio “chi inquina paga”.
Invero, prefiggendosi di “prevenire”[8] e “riparare”[9] il danno ambientale, formalizza ed estende a vari settori del diritto ambientale la possibilità di ottenere il risarcimento del danno arrecato all’ambiente dallo svolgimento di attività professionali ad opera dei cosiddetti “operatori”, ovvero coloro che esercitano o controllano un’attività professionale, oppure cui è stato delegato un potere economico decisivo sul funzionamento tecnico di tale attività[10].
In particolare, l’articolo 3 della Direttiva specifica l’ambito di applicazione della stessa, limitato al danno ambientale (così come definito all’articolo 2) e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno causato dalle attività professionali di cui all’allegato III alla Direttiva e, solo in caso di comportamento doloso o colposo dell’operatore, anche al danno alle specie e agli habitat naturali protetti e a qualsiasi minaccia imminente di tale danno causato da un’attività professionale non contemplata in tale allegato. È previsto dunque un regime di responsabilità oggettiva laddove l’operatore svolga un’attività tra quelle ritenute potenzialmente pericolose (rif. allegato III della Direttiva), mentre un regime di responsabilità soggettiva laddove il danno derivi dallo svolgimento di un’attività ritenuta non intrinsecamente pericolosa.
3. Scopo: l’importanza di un’interpretazione comune
Nel contesto della Direttiva, quando un danno ambientale si verifica o vi è una minaccia imminente in tal senso, per gli operatori scatta l’obbligo di adottare determinate misure (di prevenzione o riparazione), così come per le autorità competenti scatta l’onere di istruire le necessarie attività istruttorie. Inoltre, in caso di danno transfrontaliero, che interessa più di uno Stato membro, scatta il dovere di cooperazione fra Stati membri.
Ecco che la nozione di “danno ambientale” di cui all’articolo 2 ricopre quindi un ruolo potenzialmente cruciale nella protezione dell’ambiente, in quanto determina il momento in cui i meccanismi di cui alla Direttiva devono trovare tempestiva e corretta applicazione. In questo senso, un’interpretazione condivisa della nozione di “danno ambientale” è indispensabile perché si giunga al livello di protezione richiesto dalla stessa Direttiva.
Cionondimeno, nell’indagare e monitorare l’attuazione della Direttiva, la Commissione Europea aveva già in precedenza evidenziato come l’attuazione della stessa fosse ostacolata da una considerevole mancanza di uniformità nell’applicazione di alcuni concetti fondamentali, in particolare legati alla nozione di “danno ambientale”.
Ed invero, nella valutazione del 2016[11] si esprimeva prospettando come, nonostante l’obiettivo della Direttiva rimanesse pertinente, la “significativa mancanza di chiarezza e di applicazione uniforme dei concetti chiave” fosse di ostacolo alla “sua capacità di raggiungere un alto livello di protezione dell’ambiente e nella prevenzione e riparazione del danno ambientale nell’UE”.[12]
In particolare, nel contesto di tale valutazione, l’efficacia della Direttiva si è detta principalmente ostacolata da interpretazioni divergenti della soglia di rilevanza, che influenzano in particolare l’innesco dell’azione preventiva.[13]
Ecco che, a diversi anni di distanza, la Commissione mette a disposizione delle linee interpretative volte a fornire gli strumenti per superare le difficoltà insorte nell’attuazione della Direttiva e rese sempre più evidenti dal passare degli anni, mirando a dissipare gli interrogativi che ne sono derivati e a tessere una comune linea interpretativa, che possa farsi spazio nei più vari contesti giuridici nazionali.
Scopo primario della comunicazione n. C118/1 è proprio quello di rendere i meccanismi di cui alla Direttiva più efficaci ed efficienti rispetto agli obiettivi per cui sono stati introdotti. A questo fine, la Commissione fornisce gli strumenti per condividere un’interpretazione uniforme della nozione di “danno ambientale”, rispondendo alle esigenze individuate sulla base della precedente valutazione.
In particolare, la Commissione si è espressa dapprima sulla nozione di “danno”, per poi fornire una dettagliata illustrazione della nozione di “danno ambientale”, tenendo fede alle sue molteplici accezioni[14].
4. I chiarimenti di cui alle Linee Guida
In considerazione del fatto che la responsabilità civile non costituisce – per espressa ammissione della Direttiva stessa – uno strumento di rimedio per tutte le forme di danno all’ambiente lato sensu considerate, perché la stessa sia efficace è necessario che vi siano inquinatori individuabili, un danno concreto e quantificabile ed un nesso causale che leghi tali fattori.
In tale contesto, le Linee Guida ci forniscono un valido strumento di supporto per l’interpretazione del concetto di “danno” e di “danno ambientale”, con interessanti spunti anche in tema di causalità.
4.1 La nozione di “danno”
La Direttiva, all’articolo 2, definisce dapprima il “danno ambientale” e solo in un secondo momento illustra il concetto di “danno” ivi contenuto, definendolo come “un mutamento negativo misurabile di una risorsa naturale o un deterioramento misurabile di un servizio di una risorsa naturale, che può prodursi direttamente o indirettamente”.
Nonostante la nozione di “danno” sia definita separatamente, non si può certo sostenere che sia un concetto autonomo rispetto alla nozione di “danno ambientale” (di cui infra, § 4.2), rivestendo piuttosto una funzione esplicativa di tale nozione. La ratio di una tale specificazione nel contesto di applicazione della Direttiva risiede nella necessità di rendere granitici i quattro concetti fondamentali genericamente delineati – oggetto di specifica trattazione nelle Linee Guida e brevemente riassunti nel presente paragrafo – che devono caratterizzare il danno ambientale e che sono poi ulteriormente sviluppati in quest’ultima definizione.
A riguardo, le Linee Guida riconoscono e sottolineano come tale concetto sia insito nella definizione di “danno ambientale” e prettamente ancillare alla stessa. Ed invero, si riconosce come sia proprio la definizione di “danno ambientale” a contenere e precisare la nozione di “danno”, nonché ad avere una connotazione più specifica e meritevole di applicazione nel contesto di appartenenza della Direttiva.
Nonostante ciò, la Commissione decide di invertire l’ordine di trattazione proposto dalla Direttiva e di partire dalla descrizione analitica dei quattro concetti di cui alla definizione di “danno”, per poi illustrare nello specifico le varie declinazione degli stessi all’interno della definizione di “danno ambientale”. Questo differente modus operandi risponde all’esigenza di partire dall’illustrazione dei concetti dai tratti più generici nella maniera più chiara e distinta possibile, per poi addentrarsi nell’analisi della definizione che contiene e specifica tali concetti, con ciò mirando a diminuire le difformità interpretative createsi negli anni.
Ecco che la definizione di “danno” va a delineare i seguenti concetti:
– l’ambito di applicazione materiale dell’oggetto del “danno”;
Chi o cosa può subire un danno ai sensi della Direttiva? Ecco che la definizione delinea dunque l’oggetto del “danno”, rappresentato dalle risorse naturali e dai servizi che da esse derivano.
Le Linee Guida colgono l’interdipendenza di questi fattori già a partire dalla definizione più generica di “danno”: si parla infatti di “servizio di una risorsa naturale” intendendo quello che quest’ultima fornisce a favore di un’altra risorsa naturale (e.g., il terreno che filtra inquinanti impedendo il raggiungimento della falda acquifera), o ancora quello che la stessa fornisce a favore della popolazione (e.g., il terreno come fonte di produzione alimentare).
– il concetto di effetto negativo;
Perché ci sia un danno, è necessario che ci sia un effetto negativo, rintracciabile nella menzione di “mutamento negativo” di una risorsa naturale e di “deterioramento” di un servizio di una risorsa naturale.
Le Linee Guida spiegano due importanti precisazioni a riguardo:
- l’effetto negativo può riguardare tanto la risorsa in sé, quanto i servizi che ne derivano, nonché le interdipendenze e le relazioni dinamiche all’interno delle risorse naturali e dei servizi tra loro (e., le funzioni che le risorse naturali svolgono l’una per l’altra e per il pubblico);
- la presenza di un “effetto negativo” implica una oggettiva differenza tra una situazione precedente (la cosiddetta baseline condition[15]) ed una successiva al cosiddetto “danno”.
– la portata di tali effetti negativi;
Per poter innescare i meccanismi di cui alla Direttiva, il mutamento negativo/il deterioramento deve essere “misurabile”.
Le Linee Guida forniscono un importante contributo sul tema: “con “misurabile” s’intende che deve essere possibile quantificare o stimare il danno e che deve essere possibile confrontare in maniera significativa la situazione precedente con quella successiva all’evento dannoso”.[16]
– le modalità con cui si possono verificare tali effetti negativi.
Il danno recante le caratteristiche di cui supra rientra nell’ambito di applicazione della Direttiva tanto nel caso in cui il rapporto causa-effetto sia di tipo diretto (come nel caso di un’azione di deforestazione che distrugge un habitat naturale forestale protetto), tanto nel caso in cui sia di tipo indiretto (come nel caso di un rilascio di inquinanti in un corpo idrico che andranno a deteriorare un habitat naturale acquatico protetto).
Con riguardo al nesso di causalità, le Linee Guida consigliano di rifarsi al modello “sorgente-via di trasmissione-ricettore”, ove la sorgente è rappresentata dalle attività professionali che generano il danno, le vie di trasmissione sono rappresentate dal terreno, dall’acqua e dall’aria[17] e il ricettore è rappresentato dalla risorsa naturale o dal servizio danneggiato.
4.2 La nozione di “danno ambientale”
Come già anticipato, diversamente dal diritto nazionale (ove abbiamo un’unica definizione di “danno ambientale” ai sensi dell’articolo 300 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152), con la definizione di “danno ambientale” – che, appunto, contiene e precisa la nozione di “danno” – la Direttiva delinea nel dettaglio l’ambito di applicazione materiale della disciplina ivi descritta, nonché la descrizione e la portata degli effetti negativi che determinano l’innesco dei meccanismi di cui alla Direttiva.
Ecco che, con riguardo all’ambito di applicazione materiale dell’oggetto del danno (supra, cfr. punto (i) del § 4.1), la risorsa naturale genericamente citata nella definizione di “danno” viene qui distinta in tre categorie, vale a dire a) danno alle specie e habitat naturali protetti, b) danno alle acque e c) danno al terreno, con dettagli che contribuiscono a determinare l’ambito di applicazione geografico degli obblighi sanciti dalla Direttiva. Sul punto, le Linee Guida specificano che il fatto che la definizione di “danno ambientale” comprenda tre sottocategorie distinte di danno alle risorse naturali non significa che, perché sussista la relativa responsabilità, tutte le categorie debbano essere interessate da effetti negativi. La responsabilità può infatti insorgere anche in presenza di una sola categoria di danno ambientale.
Ed ancora, con riguardo al concetto di effetto negativo (supra, cfr. punto (ii) del § 4.1), all’interno di ogni categoria di risorsa naturale, vengono descritti quelli che le Linee Guida chiamano “concetti di riferimento”, all’interno dei quali devono innescarsi i mutamenti/deterioramenti; si tratta di descrizioni dettagliate ed analitiche delle tipologie di effetti negativi calibrati su ciascuna risorsa naturale, che fungono da parametri e criteri sulla cui base è possibile esaminare la rilevanza degli effetti negativi.
E così, per le specie e gli habitat protetti, il concetto di riferimento è lo stato di conservazione favorevole; per le acque è lo stato ecologico, chimico o quantitativo o il potenziale ecologico delle acque, ai sensi della direttiva quadro Acque o della Direttiva quadro Strategie per l’ambiente marino a seconda dell’ambito di competenza[18]; infine, per il terreno, il concetto di riferimento è il rischio per la salute umana.
Viene, poi, definita più nel dettaglio la portata degli effetti negativi che devono essere affrontati (supra, cfr. punto (iii) del § 4.1): tali effetti devono manifestarsi in maniera “significativa” per ciascuna delle risorse prese in considerazione.
Ecco che le Linee Guida si soffermano sulla necessaria valutazione che sottende una tale definizione ed è fin da subito chiaro che, per pervenire ad un sistema di attuazione omogeneo e condiviso della Direttiva, debba adottarsi non solo un’interpretazione comune delle definizioni, ma anche uno svolgimento omogeneo delle valutazioni sull’entità degli effetti negativi. Sul punto, la CGUE[19] aveva già coerentemente chiarito che solo “un danno di una certa gravità, qualificato come «danno significativo» nell’allegato I di tale direttiva, può essere considerato come un danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti”, traendone la diretta conseguenza che, in ciascun caso concreto, vi dovrà essere “la necessità di valutare la portata degli effetti del danno in questione”[20]. Dunque, per limitare la discrezionalità nazionale, le Linee Guida forniscono degli elementi utili da considerare al fine di stabilire se un dato mutamento o deterioramento sia “significativo”:
– le circostanze[21] che accompagnano la valutazione del danno possono presentare diverse variabili, che, rivestendo un elevato grado di rilevanza, devono orientare la valutazione circa l’entità del danno: l’evento dannoso costituito da un incidente presenta difficoltà e variabili diverse da quelle di un evento dannoso rappresentato dall’ordinario funzionamento di un impianto che causa, in maniera sistematica, un deterioramento misurabile e significativo[22];
– le finalità che risultano pertinenti alle circostanze specifiche possono orientare la valutazione sull’entità del danno, la quale, lungi dall’essere fine a sé stessa, serve a determinare se gli effetti necessitano:
- di misure di prevenzione, laddove vi sia una minaccia di danno;
- di gestione immediata dei fattori di danno, laddove il danno si sia già verificato e vi sia urgenza di interventi immediati; e/o
- di misure di riparazione, volte a riportare l’ambiente alle sue condizioni originarie[23] laddove si sia verificato un danno ambientale, attraverso la riparazione primaria, complementare e compensativa.[24]
– Il contesto (i.e., le categorie di risorse e i relativi concetti di riferimento, diversi a seconda della risorsa che viene presa in esame) determinerà gli elementi da considerare: nel caso di danno alle specie o agli habitat naturali protetti saranno considerati elementi diversi da quelli che dovranno essere presi in esame nel caso di danno al terreno. Per questo motivo la Direttiva si esprime in termini di “concetto di riferimento”: a titolo di esempio, nel caso del danno alle specie e agli habitat naturali protetti, il concetto di entità è espresso in termini di un danno “che produca effetti negativi sul raggiungimento o il mantenimento di uno stato di conservazione favorevole”. In questo caso, vi è poi il tema che lo stato di conservazione delle specie e degli habitat naturali protetti non è né fisso, né immutabile: è un dato di fatto.[25]
Tali elementi verranno poi presi in esame analiticamente dalle Linee Guida, che dedica tre capitoli all’analisi delle circostanze e dei contesti che influiscono sulla valutazione dell’entità del danno di ogni singola risorsa presa in esame dalla Direttiva.
Concentrandosi, poi, sull’iter valutativo degli effetti negativi di cui alla Direttiva, le Linee Guida precisano quanto segue.
Con riguardo all’oggetto della valutazione;
Ai sensi della Direttiva, la valutazione deve vertere sugli effetti negativi (i.e., mutamenti e deterioramenti) che siano “misurabili” e che si siano sviluppati nell’ambito del relativo “concetto di riferimento”.
Ecco che l’oggetto della valutazione è anche – e soprattutto – la determinazione della stima e dell’entità degli effetti negativi rispetto alle condizioni originarie, usufruendo degli spunti offerti degli allegati alla Direttiva stessa.
Come si misurano, dunque, tali effetti? Le Linee Guida ci spiegano che “la misurazione consiste nel confrontare le condizioni delle risorse naturali e dei servizi precedenti e successive all’evento dannoso”[26]. Abbiamo dunque due distinte forme di quantificazione o stima: una precedente (i.e., condizioni originarie) ed una successiva al verificarsi dell’evento dannoso (che deve dunque essere nota).
Tale attività non è priva di criticità: può risultare difficile accertare, sulla base delle informazioni disponibili, quali fossero le condizioni delle risorse prima che il danno si verificasse, anche considerando che tali condizioni possono essere mutate nel tempo (e.g., in caso di inondazioni) o in fase di variazione (e.g., in caso di laghi stagionali, aumento/diminuzione di una specie); anche la differenza tra la condizione originaria e successiva può essere instabile, per es. in caso di fattori di danno che continuano a causare effetti negativi cumulativi: ecco che allora la valutazione dovrà anche vertere sui fattori di danno che causano tali effetti, proprio al fine di interrompere qualsiasi catena di causalità da questi generata.
In questo senso, il focus della valutazione dovrà variare in funzione delle circostanze, delle finalità e del contesto: se vi è urgenza di agire immediatamente, dovrà essere condotta sulla base di informazioni esistenti ed immediatamente accessibili, spesso di carattere generale, da cui, ad esempio, si potranno trarre indizi plausibili in grado di dare fondamento ad una presunzione[27]. O ancora, le Linee Guida riprendono la definizione delle condizioni originarie[28] per specificare come ci si possa anche riferire a stime, che siano però basate sulle “migliori informazioni disponibili”, ovvero informazioni che, ancorché – se del caso – di carattere generale, possano dirsi rappresentative di tali condizioni, attendibili e valide.
Con riguardo allo svolgimento della valutazione;
Anche lo svolgimento della valutazione deve essere parametrato alle finalità che risultano pertinenti alle circostanze del caso, sia con riguardo alla completezza dell’istruttoria, sia con riguardo alle tempistiche da spiegare: il tempo diviene un fattore critico in presenza di una minaccia di danno che necessita di misure di prevenzione o di un danno appena verificatosi che necessita di una gestione immediata dei fattori di danno, con la conseguenza che, se del caso, lo svolgimento della valutazione potrà avere natura sommaria e potrà essere condotto in tempi ragionevolmente brevi; diversamente, in presenza di un danno che necessita di misure di riparazione, sarà opportuna una valutazione più approfondita, meno urgente (ancorché necessariamente tempestiva).
Con riguardo al punto focale della valutazione: determinazione dell’entità.
Anche l’entità dell’effetto negativo deve essere determinata alla luce della finalità da conseguire e, quindi, delle circostanze che vengono in rilievo nel caso di specie.
Si palesa così la questione più dibattuta nel contesto dell’applicazione della Direttiva: come si determina l’entità di un effetto negativo?
Ancora una volta, le Linee Guida forniscono un valido supporto, sostenendo che l’entità “deve essere determinata in relazione alla superficie fisica effettiva del terreno o delle acque o, nel caso di specie protette, alla popolazione effettivamente colpita o a rischio di subire effetti negativi, considerando le caratteristiche intrinseche preesistenti o i fattori dinamici che possono aver influenzato le risorse naturali in questione a prescindere dall’evento dannoso”[29].
A questo punto, individuata la superficie di terreno o di acqua deteriorata e/o la parte di popolazione effettivamente colpita o a rischio con rispetto alle condizioni originarie, si deve valutare se tale “entità” così come determinata soddisfi o meno il requisito della “significatività”: infatti, la Direttiva prevede misure di prevenzione, gestione immediata dei fattori di danno o misure di riparazione solo laddove gli effetti negativi siano considerati significativi rispetto a ciascuna categoria di risorsa naturale (e, dunque, rispetto ai relativi concetti di riferimento).
Le Linee Guida offrono anzitutto un importante spunto: la scala di grandezza di tali effetti rileva sicuramente per la determinazione dell’ampiezza delle misure da dispiegare, ma non rileva per determinare l’innesco dei meccanismi di cui alla Direttiva. Sul punto, le Linee Guida estendono al contesto della Direttiva ciò che la CGUE aveva finora precisato in altro contesto (in relazione alla direttiva VIA)[30], ovvero che anche un progetto di dimensioni ridotte può avere un notevole impatto ambientale se ubicato in un luogo in cui i fattori ambientali sono sensibili al minimo mutamento.
Sulla base di ciò, le Linee Guida svolgono dapprima una correlazione tra il concetto della “significatività” e quello della “misurabilità”, riprendendo il disposto dell’allegato I della Direttiva, ai sensi del quale “gli effetti negativi significativi rispetto alle condizioni originarie dovrebbero essere determinati con dati misurabili”, e si rifanno alla celebre sentenza della causa C-297/19 per sostenere che la determinazione dell’entità è subordinata a una valutazione oggettiva, tecnica, e basata su dati misurabili. Sebbene la sentenza de qua si riferisca specificamente al danno alle specie e agli habitat naturali protetti, anche le Linee Guida ci confermano che non vi è ragione per sostenere che lo stesso non valga anche per le altre categorie di danno ambientale di cui alla Direttiva.
Da qui, sull’assunto che l’applicazione della Direttiva non possa essere esclusa sulla base di opinioni arbitrarie e soggettive in merito a cosa sia significativo, le Linee Guida si addentrano sulla portata interpretativa di tale termine con riferimento ad ogni tipologia di danno.[31]
Con riguardo, poi, alle responsabilità giuridiche relative allo svolgimento della valutazione, le Linee Guida ribadiscono come le Autorità Competenti siano responsabili della valutazione dell’entità del danno e come, proprio in questo senso, la Direttiva preveda il conferimento alle stesse di compiti specifici che implicano appropriata discrezionalità amministrativa, nonché il dovere di valutare l’entità del danno e di determinare le relative misure da adottare.
Al contempo, anche gli operatori hanno una responsabilità nel prevenire gli eventi dannosi senza indugio e nel gestire immediatamente i fattori di rischio. In questo senso, gli operatori sono chiamati a riconoscere indipendentemente i fattori di rischio legati alle loro attività professionali e ad affrontarli in modo proattivo. A questo fine, la Direttiva prevede che la valutazione dell’entità sia effettuata nel quadro di una relazione dinamica fra l’operatore e l’autorità competente.
Un altro importante spunto di cui alle Linee Guida riguarda la valutazione circa le dinamiche di deterioramento per cui non esistono evidenze idonee a creare una certezza scientifica. Si pensi, per esempio, al caso di una minaccia di danno imminente in cui non vi siano informazioni specifiche cui riferirsi e non vi sarebbe, ad ogni modo, il tempo di attendere la comparsa di specifici elementi nel sito in esame.
Vi è dunque la disamina dell’estensione, natura e applicazione del principio di precauzione, in virtù del quale è sufficiente una ragionevole certezza (e non la certezza scientifica) che si verifichino effetti negativi misurabili per innescare i meccanismi di cui alla Direttiva.
Alla luce di ciò, secondo le Linee Guida, l’operatore o l’autorità competente dovrebbero dunque decidere di non adottare o chiedere misure di prevenzione o una gestione immediata dei fattori di danno soltanto qualora non sussista alcun dubbio ragionevole da un punto di vista scientifico quanto all’assenza di effetti negativi misurabili su una risorsa naturale. In tali casi, tale principio svolge un ruolo di notevole importanza, permettendo l’avvio della procedura amministrativa sulla base di evidenze che, altrimenti, non sarebbero state sufficienti a tal fine. Ecco che il principio di precauzione riveste un ruolo tanto fondamentale, quanto critico: non si può infatti non rilevare come l’applicazione di tale principio sia stata, perlomeno in passato, oggetto di orientamenti interpretativi contrastanti da parte delle stesse autorità competenti.
Le Linee Guida proseguono poi prendendo analiticamente in esame ciascuna categoria di danno e spiegandone l’ambito di applicazione materiale e geografico, il concetto di riferimento, le valutazioni d’entità, etc.
5. Conclusioni
Con le Linee Guida, la Commissione Europea ha fornito spunti e chiavi interpretative del complesso quadro di cui alla Direttiva, in diversi modi: raccogliendo, contestualizzando e, se del caso, decontestualizzando le precisazioni già fornite dalla CGUE; fornendo elementi di valutazione per raggiungere una maggiore omogeneità nell’applicazione della Direttiva negli Stati membri; ed ancora, analizzando le situazioni di maggiore criticità riscontrate negli anni passati, fornendo spunti per la risoluzione di casi simili ed evidenziando la portata delle considerazioni giuridiche, tecniche e scientifiche che potrebbero entrare in gioco.
La complessità della materia ha imposto una trattazione ricca di dettagli e notevolmente complessa, che tuttavia, ad una più che attenta analisi, fornisce un vademecum sulla responsabilità ambientale di cui alla Direttiva da cui non si potrà, in futuro, prescindere.
Il documento analizzato si prefigge di fornire un utile supporto a tutti coloro che ricoprono un ruolo nell’ambito della Direttiva e che sono responsabili della sua applicazione, svolgendo un importante ruolo di intermediazione tra la giurisprudenza della CGUE – competente all’interpretazione autorevole della Direttiva – e gli attori coinvolti. Lungi dall’ergersi quale strumento di supporto self-standing, in considerazione della complessità della materia, le Linee Guida esortano al ricorso a conoscenze specialistiche per la determinazione dell’entità del danno (ivi compresa la valutazione di esperti nei singoli casi concreti), alla cooperazione tra autorità ed agenzie ed alla consultazione dell’ampio novero di materiali formativi messi a disposizione dalla Commissione stessa.
[1] Comunicazione n. C118/1 della Commissione europea, del 7 aprile 2021.
[2] Direttiva 2009/147/CE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici.
[3] Direttiva 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche.
[4] Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.
[5] Direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria nel campo della politica per l’ambiente marino.
[6] Come riconosciuto dalla stessa Commissione Europea nella valutazione del 2016 a pag. 62, la situazione della protezione ambientale senza l’esistenza della Direttiva sarebbe peggiore, in particolare per quanto riguarda la prevenzione del danno, la riparazione del danno alle condizioni di base, il danno alla biodiversità, gli standard di riparazione (primaria, complementare e compensativa), la partecipazione pubblica e l’accesso alla giustizia.
[7] Uno dei valori aggiunti della Direttiva è legato al danno transfrontaliero (danno alle acque transfrontaliere, danno alla biodiversità).
[8] Da cui le misure di prevenzione ex articolo 5 della Direttiva.
[9] Da cui le misure di riparazione, ex articolo 6 e 7 della Direttiva.
[10] Cfr. articolo 2, punto 6, della Direttiva.
[11] REFIT Evaluation of the Environmental Liability Directive, SWD(2016) 121 final.
[12] REFIT Evaluation of the Environmental Liability Directive, pag. 60 “Conclusions”: “the Directive’s objective remains relevant but its ability in achieving a high level of environmental protection and in preventing and remedying environmental damage in the EU is hampered by significant lack of clarity and uniform application of key concepts, and underdeveloped capacities and expertise”.
[13] REFIT Evaluation of the Environmental Liability Directive, pag. 60 “Conclusions”: “the effectiveness is hampered by diverging interpretations of the significance threshold, affecting in particular the trigger for preventive action, and hence a lower number of ELD cases”.
[14] Ossia “danno alle specie e agli habitat naturali protetti”, “danno alle acque” e “danno al terreno”, ex articolo 2, paragrafo 1, della Direttiva.
[15] La Direttiva definisce le “condizioni originarie” come “le condizioni, al momento del danno, delle risorse naturali e dei servizi che sarebbero esistite se non si fosse verificato il danno ambientale, stimate sulla base delle migliori informazioni disponibili” ex articolo 2, paragrafo 14, della Direttiva.
[16] Cfr. § 44, pag. 10.
[17] La Direttiva non contempla un’ipotesi di danno ambientale derivante dall’inquinamento dell’aria. Tuttavia, nel considerando (4), si specifica che “il danno ambientale include altresì il danno causato da elementi aerodispersi nella misura in cui possono causare danni all’acqua, al terreno o alle specie e agli habitat naturali protetti”. In tal senso, nella causa C-129/16, Túrkevei Tejtermelő Kft., la Corte ha rilevato che il danno alle risorse naturali può derivare dall’inquinamento dell’aria, sebbene l’inquinamento dell’aria non costituisca, in quanto tale, un danno ambientale contemplato dalla Direttiva.
[18] Le Linee Guida dedicano due trattazioni separate al danno alle acque interessate ai sensi della Direttiva Quadro Acque (cfr. nota n. 4) ed al danno alle acque marine interessate ai sensi della Direttiva Quadro Strategia per l’Ambiente Marino (cfr. nota n. 5).
[19] E.g., CGUE, Sezione I, causa C‑297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, 9 luglio 2020.
[20] Cfr. CGUE, Sezione I, causa C 297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, 9 luglio 2020, § 34: “dall’uso dell’aggettivo «significativi» di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), primo comma, della direttiva 2004/35, risulta che solo un danno di una certa gravità, qualificato come «danno significativo» nell’allegato I di tale direttiva, può essere considerato come un danno causato alle specie e agli habitat naturali protetti, il che implica, in ciascun caso concreto, la necessità di valutare la portata degli effetti del danno in questione”.
[21] Per valutare in primo luogo l’applicabilità della Direttiva, coerentemente con il considerando (5) della Direttiva e vista l’interdisciplinarità tra la Direttiva e le altre direttive citate supra, le Linee Guida specificano che, laddove un concetto sia desunto da altra legislazione pertinente dell’Unione, è opportuno utilizzare la stessa definizione, garantendo così un’applicazione omogenea della legislazione.
[22] Nella causa C-529/15 (CGUE, Sezione I, causa C-529/15, Folk, 1° giugno 2017), si discuteva della gestione di una centrale idroelettrica autorizzata dall’autorità competente, mentre nella causa C-297/19 (CGUE, Sezione I, causa C 297/19, Naturschutzbund Deutschland — Landesverband Schleswig-Holstein eV, 9 luglio 2020) ci si riferiva alla manutenzione dei sistemi di drenaggio di una zona umida. Sul punto, le Linee Guida esortano a non presumere che la responsabilità emerga solamente in relazione a incidenti o inconvenienti isolati, potendo invece emergere anche in relazione al normale funzionamento di un impianto.
[23] Cfr. nota n. 15.
[24] Disciplinate agli articoli 6 e 7 della Direttiva.
[25] Cfr. § 105 delle Linee Guida.
[26] Cfr. § 64 delle Linee Guida.
[27] E.g., CGUE, Grande Sezione, causa c-378/08, Raffinerie Mediterranee (ERG I) SpA e altri, 9 marzo 2010, § 70: “la direttiva 2004/35 non osta a una normativa nazionale che consente all’autorità competente, in sede di esecuzione della citata direttiva, di presumere l’esistenza di un nesso di causalità, anche nell’ipotesi di inquinamento a carattere diffuso, tra determinati operatori e un inquinamento accertato, e ciò in base alla vicinanza dei loro impianti alla zona inquinata. Tuttavia, conformemente al principio «chi inquina paga», per poter presumere secondo tale modalità l’esistenza di un siffatto nesso di causalità detta autorità deve disporre di indizi plausibili in grado di dare fondamento alla sua presunzione, quali la vicinanza dell’impianto dell’operatore all’inquinamento accertato e la corrispondenza tra le sostanze inquinanti ritrovate e i componenti impiegati da detto operatore nell’esercizio della sua attività”.
[28] Cfr. nota n. 15.
[29] Cfr. § 75 delle Linee Guida.
[30] Cfr. CGUE, quinta Sezione, causa C-392/96, Commissione/Irlanda, 21 settembre 1999.
[31] Per il danno alle specie e agli habitat naturali protetti, cfr. § 120 ss; per il danno alle acque interessate ai sensi della Direttiva Quadro Acque, cfr. § 167 ss; per il danno alle acque marine interessate ai sensi della Direttiva Quadro Strategia per l’Ambiente Marino, cfr. § 197 ss; per il danno al terreno, cfr. § 221 ss.