Sintesi
Tante novità e qualche area grigia da non sottovalutare: forse questo potrebbe ritenersi il risultato del nuovo Decreto Destinazione Italia (d.l. 145/2013) che, all’articolo 12 ha, tra le altre cose, introdotto modifiche rilevanti alla legge sulla cartolarizzazione. Un tema molto vasto per la cui trattazione si è ritenuto opportuno individuare le seguenti macro-aree: (i) attivi cartolarizzabili; (ii) la segregazione dei conti correnti; (iii) cessione e opponibilità nel contesto di operazioni di cartolarizzazione; (iv) le cessioni di crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione; (v) i potenziali sottoscrittori dei titoli della cartolarizzazione; e (vi) le cartolarizzazioni effettuate da fondi di investimento.
Attivi cartolarizzabili
Il nuovo comma 1-bis dell’articolo 1 della legge sulla cartolarizzazione estende l’applicabilità di detta legge anche “alle operazione realizzate mediante la sottoscrizione e l’acquisto di obbligazioni e titoli similari, esclusi comunque i titoli rappresentativi del capitale sociale, titoli ibridi e convertibili, da parte della società per la cartolarizzazione dei crediti emittente i titoli”. Tale disposizione, lungi dall’essere una reale novità, chiarisce espressamente la possibilità che gli attivi ivi menzionati possano rappresentare l’oggetto di un’operazione di cartolarizzazione, così legittimando non solo le operazioni della specie già effettuate in passato ma tutte quelle che potranno effettuarsi nel futuro, anche beneficiando delle agevolazioni introdotte dalla normativa sui cd. mini-bond ai sensi del Decreto Sviluppo emesso nel 2012.
Tuttavia, non sembrerebbe che tale nuova disposizione possa legittimare l’acquisto da parte di una società per la cartolarizzazione di obbligazioni e titoli similari oltre i limiti dettati dal codice civile e non espressamente derogati dal decreto in commento. Le società per la cartolarizzazione, infatti, non essendo “investitori professionali soggetti a vigilanza prudenziale”, non potranno sottoscrivere obbligazioni emesse oltre il limite specificato al comma 1 dell’articolo 2412 (i.e., il doppio del capitale, della riserva legale e delle riserve disponibili) e non quotate in mercati regolamentati. Tali obbligazioni, pertanto, potranno soltanto essere acquistate dalle società per la cartolarizzazione sul mercato secondario, con le conseguenze derivanti da tale modalità anche in termini di formalità per il perfezionamento della relativa cessione come si avrà modo di vedere più avanti.
La limitazione in tema di obbligazioni risulterebbe ancora più stringente con riferimento alla possibilità per le società di cartolarizzazione di sottoscrivere titoli di debito emessi ai sensi dell’articolo 2483 del codice civile. Infatti, non essendovi in tale disposizione una deroga analoga a quella inserita al comma 5 dell’articolo 2412 del codice civile in tema di destinazione dei titoli alla quotazione in mercati regolamentati, sembrerebbe che l’unica strada percorribile da parte delle società per la cartolarizzazione per investire in titoli di debito potrà essere solo quella di procedere con un acquisto di tali strumenti sul mercato secondario.
Ci si chiede se davvero fosse stata questa l’intenzione del legislatore. Ciò, anche considerando che la maggior parte delle società di capitali in Italia è costituita nella forma di società a responsabilità limitata. È evidente che quanto sopra descritto non potrà che limitare l’accesso di tali società alle operazioni di cartolarizzazione che, invece, potrebbero rappresentare un’importante forma di finanziamento alternativa al sistema bancario.
La segregazione dei conti correnti
Il Decreto Destinazione Italia introduce una novità molto rilevante in tema di segregazione dei conti correnti aperti nel contesto di operazioni di cartolarizzazione. Tuttavia, se ad una prima lettura dei commi 2-bis e 2-ter aggiunti all’articolo 3 della legge sulla cartolarizzazione, poteva apparire finalmente risolta una delle tematiche che più hanno impegnato gli operatori del settore (i.e., il rischio di insolvenza della banca depositaria dei conti correnti), il risultato di una lettura più attenta sembrerebbe andare in direzione opposta, sostituendo i vecchi quesiti con altri nuovi.
I commi sopra menzionati prevedono che le somme depositate sui “conti correnti segregati” delle società della cartolarizzazione costituiscono patrimonio separato da quello del depositario e degli altri depositanti (comma 2-bis) e da quello del servicer e del sub-servicer (comma 2-ter). Ciononostante, in nessuno dei due commi citati è presente una definizione di “conti correnti segregati”. Che sia una nuova forma di conto corrente che necessità di specifiche formalità di apertura e gestione? E se così fosse, la novità interesserà solo i nuovi conti correnti aperti successivamente all’entrata in vigore del decreto in commento? Sarà imprescindibile ottenere istruzioni dalle autorità competenti per poter rispondere a tali quesiti e quindi consentire al mercato di attivarsi di conseguenza.
In aggiunta a quanto precede e con riferimento al comma 2-bis sopra menzionato, si nota come tale nuova disposizione sembrerebbe limitarsi ad eliminare il solo rischio di insolvenza connesso alla banca depositaria che sia anche servicer dell’operazione di cartolarizzazione. Ciò, a meno di non voler accogliere un’interpretazione più ampia del comma 3, lettera (c), dell’articolo 2 della legge sulla cartolarizzazione ivi richiamato. Infatti, solo appoggiando un’interpretazione tale da ricomprendere tra i soggetti che svolgono “servizi di cassa e pagamento” anche i depositari non servicer si potrebbe giungere ad una diversa conclusione. È evidente che se tale disposizione non sarà modificata in occasione della conversione del decreto, da una lettura più cauta della lettera della norma ne potrà derivare unicamente un vantaggio per le banche italiane che svolgono il ruolo di servicer. Solo queste ultime, infatti, beneficerebbero della nuova disposizione, con conseguente svantaggio per tutte quelle società (diverse dalle banche) che oggi svolgono il ruolo di servicer.
Nonostante quanto sopra evidenziato, non si esclude la possibilità di sostenere che un’interpretazione più ampia possa in qualche modo desumersi dal nuovo comma 2-ter del decreto. Ancorché tale disposizione si limiti ad eliminare il solo rischio insolvenza del servicer e del sub-servicer in tutti i casi in cui questi provvedano ad aprire in nome proprio ma per conto della società per la cartolarizzazione conti correnti segregati dell’operazione, la terminologia ivi utilizzata con riferimento ai sub-servicer (i.e., “i soggetti che svolgono, anche su delega dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 6,…”) potrebbe in un certo qual modo lasciare spazio alla seguente domanda: perché richiamare l’articolo 2 comma 6 anziché l’articolo 2, comma 3, lettera (c) come già fatto al nuovo comma 2-bis? Tale differente richiamo potrebbe forse lasciare spazio all’argomentazione secondo cui l’articolo 2, comma 3, lettera (c) individua non solo la categoria del servicer ma anche quella della banca depositaria non servicer. Soltanto sostenendo tale lettura delle nuove disposizioni sembrerebbe potersi sostenere che le novità introdotte dal decreto abbiano finalmente eliminato il rischio di insolvenza collegato a due delle figure più importanti delle operazioni di cartolarizzazione: il servicer e la banca depositaria dei conti correnti dell’operazione.
Le tematiche rappresentate necessitano di essere chiarite. Diversamente, il mercato potrebbe non accogliere con la dovuta serenità una novità normativa che, se formulata in modo tale da evitare conflitti interpretativi, potrebbe invece portare ad un incremento importante della competitività delle banche italiane che agiscono come depositarie (non servicer) nel contesto di operazioni di cartolarizzazione.
Cessioni alle società per la cartolarizzazione e opponibilità delle stesse
Il Decreto sostituisce i commi 1 e 2 dell’articolo 4 della legge sulla cartolarizzazione introducendo la facoltà per le parti di utilizzare le modalità di cui alla legge factoring per perfezionare e rendere opponibili le cessioni effettuate nel contesto di un’operazione di cartolarizzazione.
Come può leggersi nella relazione al Decreto, tale nuova disposizione è stata introdotta con lo scopo di facilitare la cartolarizzazione di crediti commerciali, spesso effettuate a breve distanza l’una dall’altra. Ciononostante, si nota come tali nuovi commi sembrerebbero consentire alla maggioranza delle operazioni di cartolarizzazione di crediti derivanti da “contratti stipulati dal cedente nell’esercizio dell’impresa” di beneficiare delle formalità e della procedura prevista dalla legge factoring (i.e., opponibilità della cessione ai terzi attraverso il conferimento di data certa al pagamento del corrispettivo della cessione). Infatti, potendosi sostenere (a certe condizioni) che anche i crediti derivanti da contratti bancari e finanziari rientrino nella categoria sopra indicata, non si può escludere che banche e intermediari finanziari accolgano favorevolmente le nuove disposizioni beneficiando delle procedure meno onerose introdotte dal decreto.
Fermo restando quanto precede, si sottolinea uno degli aspetti dei commi sopra indicati che potrebbe lasciare maggiormente perplessi: il riferimento alle cessioni “anche non in blocco”. A tale riguardo, benché ad una prima lettura del nuovo comma 1 dell’articolo 4 della legge sulla cartolarizzazione si possa aver genuinamente ritenuto che tale espressione avesse il fine di ricomprendere anche le cessioni di un unico credito, la relazione al decreto sembrerebbe andare in direzione diametralmente opposta. L’intento del legislatore sembrerebbe essere stato quello di eliminare, per la categoria di crediti in esame, la necessità dell’identificazione del “blocco”. Ci si chiede quindi se tale nuova disposizione costituisca effettivamente una deroga al concetto del blocco (i.e., un insieme di crediti omogenei aventi un comune elemento distintivo) oppure se, nell’intento di favorire la cartolarizzazione dei crediti commerciali, il decreto sia andato oltre quello che voleva essere il suo scopo originario.
Cessioni di crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione
Il nuovo comma 4-bis dell’articolo 4 della legge sulla cartolarizzazione introduce un’importante novità in tema di opponibilità alla Pubblica Amministrazione delle cessioni di crediti vantati nei suoi confronti (i.e., l’eliminazione di qualunque formalità diversa o ulteriore rispetto a quelle previste dalla legge sulla cartolarizzazione).
Sicuramente una novità interessante che potrà facilitare l’implementazione di operazioni di cartolarizzazione relative ai crediti cd. pubblici e un’ottima opportunità per tutte quelle società che soffrono i ritardi nei pagamenti e la tortuosa burocrazia che connota il settore pubblico. Tuttavia, non manca qualche perplessità relativa all’interazione tra tale nuova norma e la disciplina specifica in tema di cessione dei crediti pubblici. Ad esempio, sembrerebbe potersi ritenere che l’eliminazione delle “formalità ulteriori e diverse” non comporti di per sé il venir meno del diritto della Pubblica Amministrazione di rifiutare la cessione entro il termine di 45 giorni come indicato al comma 3 dell’articolo 117 del TULPS. D’altra parte, l’obbligo di notifica della cessione nei confronti della Pubblica Amministrazione sembrerebbe rientrare tra quelle “formalità ulteriori e diverse” eliminate dal nuovo comma 4-bis. Se tale interpretazione fosse corretta, resterebbe da chiedersi quale sia lo strumento (diverso rispetto alla notifica) che possa consentire alla Pubblica Amministrazione di venire a conoscenza della cessione e, quindi, di poter esercitare il proprio diritto di rifiutarla.
I sottoscrittori dei titoli della cartolarizzazione
Nulla sembra essere cambiato rispetto alle categorie di sottoscrittori dei titoli della cartolarizzazione. Eppure, il nuovo comma 2-bis introdotto dal Decreto all’articolo 5 della legge sulla cartolarizzazione specifica che i titoli emessi nell’ambito di cartolarizzazioni di obbligazioni e titoli similari (come previste al nuovo comma 1-bis dell’articolo 1) introduce un’importante novità per le imprese di assicurazione che vogliano investire in titoli della cartolarizzazione per coprire le proprie riserve tecniche. Ciò è oggi reso possibile proprio grazie al disposto del nuovo comma 2-bis dove si specifica che i titoli della cartolarizzazione che abbiano come sottostante obbligazioni e titoli similari costituiscono attivi ammessi alla copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione ancorché tali titoli non siano “destinati a essere negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e anche se privi di valutazione del merito di credito da parte di operatori terzi”. Tale novità potrà quindi avere il merito di rendere appetibili per le imprese di assicurazione tali nuovi titoli della cartolarizzazione. Ciononostante, sarà necessario attendere il nuovo regolamento IVASS (a cui lo stesso comma 2-bis fa riferimento) prima di poter affermare con certezza quanto precede.
Bisogna però precisare che il dato letterale del nuovo comma 2-bis si riferisce esclusivamente alle operazioni di cartolarizzazione che abbiano ad oggetto obbligazioni e titoli similari, non prevedendo alcun richiamo al comma 1 dell’articolo 1 della legge sulla cartolarizzazione. Una tale costruzione porterebbe quindi a ritenere che, nel caso in cui l’attivo cartolarizzato sia costituito da uno o più crediti, le imprese di assicurazione potranno procedere alla sottoscrizione dei titoli della cartolarizzazione solo entro i limiti a oggi stabiliti dal regolamento n. 36 emesso dall’ISVAP in data 31 gennaio 2011.
Che si sia davvero voluto ottenere un trattamento diverso dei titoli fondato esclusivamente sulla tipologia di attivo sottostante? Ci si auspica che l’IVASS provveda a chiarire tale aspetto attraverso il nuovo regolamento a cui il decreto rinvia la disciplina delle misure di dettaglio per la copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione.
Cartolarizzazioni effettuate da fondi di investimento
Altra novità introdotta dal decreto in commento riguarda le operazioni di cartolarizzazione effettuate da fondi d’investimento ai sensi dell’articolo 7 della legge sulla cartolarizzazione. Il nuovo comma 2-bis del menzionato articolo 7, da un lato chiarisce che le attività di servicing possono essere svolte dalla SGR oltre che dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 6, della legge sulla cartolarizzazione, così facendo chiarezza su una delle tematiche che ha comportato l’inutilizzabilità della struttura di cartolarizzazione indicata all’articolo 7. Dall’altro, lo stesso comma 2-bis sembrerebbe aggiungere un’ulteriore apertura nella parte in cui si specifica che alle cessioni effettuate in favore dei fondi d’investimento “si applicano gli articoli 4 e 6, comma 2, nonché le restanti disposizioni della legge sulla cartolarizzazione in quanto compatibili”.
Con riferimento alla tipologia di fondi d’investimento che possono effettuare operazioni di cartolarizzazione ai sensi dell’articolo 7 della legge, si rileva che il decreto non è intervenuto a correggere il paragrafo (b) del comma 1 dell’articolo 7 sopra citato che, almeno letteralmente, sembrerebbe riferirsi ai soli fondi d’investimento “aventi per oggetto crediti”. Una lettura molto restrittiva di tale disposto potrebbe addirittura far ritenere che solo i fondi aventi ad oggetto crediti possano effettuare operazioni di cartolarizzazione. Ne conseguirebbe l’esclusione di tutti quei fondi che abbiano invece ad oggetto le obbligazioni e i titoli similari di cui al nuovo comma 1-bis. Evidentemente una tale lettura non sembrerebbe sostenibile, sia perché l’oggetto dei fondi d’investimento è generalmente più ampio (e.g., valori mobiliari), sia perché vi sarebbero ricadute importanti anche sull’applicazione del nuovo comma 2-ter dell’articolo 7 che individua anche nelle quote dei fondi di investimento che effettuano operazioni di cartolarizzazione una tipologia di attivo ammesso a copertura delle riserve tecniche delle imprese di assicurazione.
Sembrerebbe ragionevole auspicarsi un intervento da parte del legislatore in sede di conversione del decreto: è necessario fornire risposte agli operatori e chiarire le reali intenzioni del legislatore oltre che l’effettiva portata delle novità che si intendono offrire. Diversamente, l’attuale formulazione dell’articolo 12 del Decreto Destinazione Italia potrebbe creare più dubbi che certezze, con la conseguenza di poter difficilmente raggiungere lo scopo ultimo di agevolare e incrementare gli investimenti in Italia.