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Attualità

Il destino del superminimo

6 Novembre 2024

Antonio Cazzella, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del “superminimo“, soffermandosi sui diversi profili connessi alla sua qualificazione ed alle problematiche che riguardano diverse fattispecie concrete.


1. Nozione e natura del superminimo

Il superminimo è un trattamento economico ad personam di miglior favore per il dipendente (che si aggiunge al minimo retributivo previsto dalla contrattazione collettiva), rimesso alla discrezionalità del datore di lavoro; una volta concesso, l’emolumento perde il suo originario carattere “discrezionale” assumendo quello retributivo (sulla ratio del superminimo vedi sub paragrafo 2 quanto affermato dalla Corte d’Appello di Brescia).

La natura retributiva del superminimo rileva nelle vicende del rapporto di lavoro, in quanto, stante tale natura, le modifiche “peggiorative” sono legittime se attuate secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza: è quindi necessario valutare, di volta in volta, le circostanze del caso concreto al fine di applicare, correttamente, tali principi.

2. Il principio del c.d. “assorbimento”

Secondo un orientamento consolidato il superminimo è normalmente soggetto ad assorbimento, con la conseguenza che l’eccezione deve essere dimostrata dal lavoratore (tra le tante, Cass. 16 aprile 2021, n. 10164).

Un caso frequente di assorbimento è costituito dal riconoscimento di una superiore qualifica, che determina (di norma) una maggiorazione del livello retributivo.

Un’altra ipotesi tipica di assorbimento è quella degli aumenti retributivi previsti dal CCNL: il superminimo è assorbito da tali miglioramenti, salvo che le parti o la contrattazione collettiva abbiano stabilito diversamente, restando comunque a carico del lavoratore, come detto, dimostrare l’eventuale diritto di mantenere il superminimo (Cass. 5 giugno 2020, n. 10779).

Ai fini probatori, e più in generale, si ricorda che il compenso “speciale”, strettamente collegato a particolari meriti (la speciale qualità o la maggiore onerosità delle mansioni svolte dal dipendente), è sottratto alla regola dell’assorbimento, in quanto sorretto da un autonomo titolo (Cass. 10779/2020, cit.).

Al fine di accertare l’assorbibilità, o meno, del superminimo può essere necessario ricostruire la volontà negoziale delle parti, valutando il loro comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del patto (Cass. 10164/2021, cit.).

Nella fattispecie esaminata dalla sentenza sopra citata, è stato affermato che il mancato assorbimento, in occasione di precedenti rinnovi contrattuali, non si configura (in favore del lavoratore) come un uso aziendale: tuttavia, in occasione di un rinnovo contrattuale che preveda aumenti retributivi in varie tranches, il mancato assorbimento della prima tranche configura una rinuncia del datore all’assorbibilità del superminimo (Cass. 10164/2021, cit.).

In una fattispecie analoga si è espresso, successivamente, il Tribunale di Milano (sentenza n. 2557 del 26 luglio 2023), che ha chiarito la portata di alcuni principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità.

La fattispecie riguardava l’assorbimento di un superminimo – concesso ad alcuni lavoratori ed espressamente qualificato come “assorbibile” – in occasione di un rinnovo contrattuale; secondo la prospettazione dei lavoratori, il mancato assorbimento, in occasione di precedenti rinnovi, aveva determinato l’intangibilità del superminimo.

Il Tribunale ha individuato il fondamento della decisione (rigetto della domanda) nella regola generale dell’assorbimento, mancando la prova di una volontà negoziale di segno contrario e ritenendo irrilevante il mancato assorbimento in occasione di precendenti rinnovi (comportamento non qualificabile come “uso aziendale”).

In particolare, il Tribunale ha precisato che “l’espressa previsione di una facoltà (n.d.r.: l’assorbimento) in capo alla convenuta e la mancata previsione di limiti temporali privano di ogni rilievo il mancato esercizio, di fatto, per lungo tempo di tale discrezionalità”, con l’ulteriore precisazione secondo cui “la necessità di ricostruire la volontà negoziale delle parti, desumendola anche dai comportamenti successivi delle parti, nasce quando sia assente una specifica disposizione che disciplina l’assorbimento (Tribunale Milano 2557/2023, cit.).

La sentenza del Tribunale di Milano sopra citata ha richiamato una pronuncia della Corte d’Appello di Brescia (n. 161 del 26 novembre 2020), che ha individuato le ragioni per cui il datore di lavoro potrebbe astenersi dall’assorbire il superminimo in occasione di un rinnovo contrattuale per attuarlo, legittimamente, in occasione di successivi rinnovi.

La Corte ha evidenziato che la ratio del superminimo assorbibile è “quella di realizzare (e mantenere) un equilibrio di domanda ed offerta di lavoro in una particolare condizione temporale, spaziale ed economica”, precisando che ciò non esclude la possibilità di esercitare la facoltà di assorbimento, anche quando il datore abbia mantenuto, in passato, il trattamento economico di maggior favore (Corte Appello Brescia, 161/2020, cit.).

3. Esame di alcune fattispecie

Le fattispecie che hanno esaminato le vicende del superminimo (per quanto varie con riferimento alle circostanze del caso concreto) riguardano, prevalentemente, la possibilità di assorbirlo o, comunque, di eliminarlo.

E’ stato recentemente ribadito che il superminimo non assorbibile, previsto dalla contrattazione collettiva integrativa, può venir meno in caso di disdetta del contratto da parte del datore di lavoro, in quanto il superminimo riconosciuto a tutti i dipendenti può essere modificato anche in peius da successivi contratti collettivi, essendo la sua fonte regolatrice esterna al rapporto individuale di lavoro e, quindi, modificabile da successivi contratti collettivi (Cass. 10 luglio 2024, n. 18902).

La fattispecie esaminata dalla citata sentenza riguardava il mutamento del CCNL applicato per effetto di un trasferimento del ramo d’azienda; la contrattazione collettiva integrativa aveva previsto il pagamento a tutti i dipendenti di un “superminimo non assorbibile”, volto a compensare la differenza tra il trattamento retributivo goduto in forza del precedente contratto collettivo e quello previsto dal nuovo CCNL applicato dalla cessionaria. Successivamente, la datrice di lavoro aveva intimato la disdetta di tutti gli accordi sindacali integrativi, ritenendo, quindi, abolito tale emolumento.

La Suprema Corte ha preliminarmente ricordato che il trattamento retributivo, comprensivo del “superminimo non assorbile”, non aveva fonte nel contratto individuale di lavoro, bensì nel contratto collettivo, le cui clausole (trattandosi di fonte esterna al rapporto individuale di lavoro) possono essere modificate anche in peius dai successivi contratti collettivi (Cass. 18902/2024, cit.).

In altra fattispecie, inerente una di cessione di ramo d’azienda, è stato esaminato il caso di una lavoratrice alla quale stato assorbito, a seguito di aumenti contrattuali e per iniziativa della cessionaria, il superminimo goduto al momento del passaggio alle dipendenze di quest’ultima (che applicava lo stesso CCNL della cedente); la Corte d’Appello, rigettando il gravame proposto dalla lavoratrice e confermando la decisione di primo grado, ha rilevato che, operando il generale principio di assorbibilità del superminimo, la lavoratrice non aveva argomentato “riguardo al proprio diritto al mantenimento dell’emolumento de quo (con riferimento ad eventuali particolari disposizioni contrattuali o in relazione al relativo persistente riconoscimento ai dipendenti della cedente)”, essendosi trovata in una situazione analoga a quella che avrebbe attuato la cedente ove ella fosse rimasta alle sue dipendenze (Corte Appello Roma, 5 luglio 2022, n. 2987).

Sempre nell’ambito di un trasferimento d’azienda, è stato affermato che il diritto al superminimo non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento, poichè tale diritto, ove tragga origine dalla contrattazione integrativa aziendale, subisce la medesima sorte dei contratti collettivi applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la società cessionaria dotata di propria contrattazione integrativa (Tribunale Roma, 23 gennaio 2019, n. 601).

Nel confermare il consolidato principio secondo cui, nell’ipotesi di successione di contratti collettivi, le modificazioni peggiorative per il lavoratore sono ammissibili con il solo limite dei diritti quesiti, la Suprema Corte ha escluso la violazione dell’art. 2077 c.c. e dei “diritti retributivi” del lavoratore da parte di un accordo sindacale aziendale che, nell’attuare un complessivo riordino del sistema retributivo, aveva accorpato alcune indennità accessorie di derivazione collettiva in due nuovi emolumenti condizionati alla presenza in servizio, subordinandone il riconoscimento, per i dipendenti titolari di superminimo pattuito con accordo individuale, alla scelta di rinunciare a questo con accordo sottoscritto in sede protetta, ai sensi dell’art. 2113 c.c., ultimo comma (Cass. 5 aprile 2024, n. 9136).

In altro contenzioso è stato esaminato il caso di una successione di superminimi (Tribunale Milano, 20 febbraio 2018, n. 461), al fine di valutarne l’assorbibilità.

Il caso esaminato riguardava un lavoratore al quale, dopo il riconoscimento di un superminimo, era stato accordato, a breve distanza di tempo, un altro superminimo in luogo del primo: in tale seconda occasione, era stato espressamente previsto che l’emolumento doveva ritenersi “non assorbibile”.

Il Tribunale ha rilevato come “il fatto che, a distanza di poco tempo, le parti abbiamo pattuito due superminimi e, per il primo, nulla abbia specificato, mentre per il secondo abbiamo indicato la non assorbibilità porta a ritenere che le stesse abbiamo voluto sottoporre il primo alla regola generale che, come tale, non necessitava di alcuna specificazione, mentre abbiamo voluto precisare in ordine al secondo in quanto eccezione” (Tribunale Milano, 20 febbraio 2018, n. 461).

In considerazione della sua natura retributiva, il superminimo deve essere mantenuto anche in caso di subentro nell’appalto (Cass. 5 giugno 2012, n. 9011).

Con riferimento ad una domanda sulla portata del principio della parità di trattamento tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile in materia di retribuzione, è stato affermato che il superminimo, motivato da una maggiore flessibilità agli orari e luoghi di lavoro ovvero da una diversa formazione professionale, non è discriminatorio per sesso ove sia data la prova della congruità di quei motivi rispetto ai compiti specifici dei lavoratori beneficiari (Corte giustizia, 17 ottobre 1989, n. 109).

4. L’estensibilità della nozione di superminimo

La nozione di “superminimo” è stata utilizzata dalla giurisprudenza per definire la natura di altri emolumenti.

In tema di lavoro straordinario, è stato affermato che il compenso forfettario della prestazione (resa oltre l’orario normale di lavoro), accordato al lavoratore per lungo tempo, ove non sia correlato all’entità presumibile della prestazione straordinaria resa, costituisce attribuzione patrimoniale che, con il tempo, assume funzione diversa da quella originaria, tipica del compenso dello straordinario, e diviene un superminimo che fa parte della retribuzione ordinaria, non riducibile unilateralmente dal datore di lavoro (Cass. 5 gennaio 2015, n. 4).

E’ stato invece escluso che la nozione di superminimo (con i conseguenti effetti in termini di obbligo contributivo) possa essere utilizzata in luogo di altri specifici emolumenti previsti dalla legge (Cass. 28 marzo 2011, n. 7041).

Nella fattispecie, la Suprema Corte ha preliminarmente ricordato che l’indennità di trasferta ha “natura mista”, in parte di rimborso spese (diretta a sollevare il dipendente dai costi connessi con il lavoro svolto al di fuori della sede ordinaria e, per questa parte, esente da contribuzione), in parte natura retributiva, finalizzata a compensare la maggiore onerosità della prestazione lavorativa (imponibile, quindi, sul piano contributivo): esaminando il caso concreto e le pattuizioni contrattuali, i giudici di merito hanno ritenuto che l’indennità di trasferta (corrisposta in misura mensile fissa) fosse fittizia, qualificabile come superminimo e sottoposto a contribuzione (Cass. 7041/2011, cit.).

La Corte di Cassazione ha invece rilevato che è la legge (3 ottobre 1987, n. 398) ad imporre che, nel contratto del lavoratore italiano all’estero, sia inclusa una specifica voce retributiva (l’indennità di trasferta), volta a compensare il disagio che comporta lo svolgimento all’estero della prestazione lavorativa, sicchè non è consentito all’interprete di derogare alla prescrizione di legge (che ne impone la erogazione) ed alla volontà delle parti (che abbiano espressamente qualificato il compenso in busta paga quale indennità di trasferta), considerandola come superminimo (Cass. 7041/2011).

5. Impugnabilità della decisione

Per completezza, quanto alla possibilità di impugnare in sede di legittimità una sentenza che abbia interpretato la portata di deroghe al principio generale dell’assorbimento, si ricorda che la giurisprudenza è costante nell’affermare che “l’accertamento della volontà è indagine riservata al giudice del merito, in ossequio al generale principio per cui ogni interpretazione di atti negoziali è riservata all’esclusiva competenza del giudice che ne ha il dominio, con una operazione che si sostanzia in un accertamento di fatto, soggetto quindi, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente” (tra le tante, Cass. 10779/2020, cit.).

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