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Giurisprudenza

Il diritto di recesso ex art. 30 comma 6 TUF non si applica al servizio di negoziazione

16 Febbraio 2012

Cassazione Civile, Sez. I, 14 febbraio 2012, n. 2065

Di cosa si parla in questo articolo

Con la sentenza n. 2065 del 14 febbraio 2012, la Cassazione definisce l’ambito applicativo del regime di cui all’art. 30 del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. Testo Unico della Finanza (TUF), relativo al diritto di recesso in caso di offerta fuori sede.

In particolare, il comma 6 del citato art. 30 prevede che “l’efficacia dei contratti di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali conclusi fuori sede è sospesa per la durata di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione da parte dell’investitore. Entro detto termine l’investitore può comunicare il proprio recesso”, con la conseguenza, prevista dal comma 7 della medesima disposizione, che “l’omessa indicazione della facoltà di recesso nei moduli o formulari comporta la nullità dei relativi contratti, che può essere fatta valere solo dal cliente”.

Secondo un orientamento di merito (da ultimo cfr. in allegato Tribunale di Parma, 20 dicembre 2011, n. 1399), il legislatore avrebbe attribuito alle dizioni “contratti di collocamento” e “servizi di collocamento” formulate nell’art. 30 un significato atecnico, estendendo il diritto di recesso dell’investitore anche nel caso in cui l’intermediario fornisca un servizio di negoziazione di strumenti finanziari. Secondo tale orientamento, il legislatore avrebbe fatto quindi riferimento ad una generica attività di “collocamento fuori sede”.

La Corte smentisce tale orientamento, sulla base di ragioni di carattere formale e sostanziale.

Quanto alle prime, la Corte, privilegiando il dato testuale, evidenzia come l’art. 30, comma 6 individui (scientemente) un ambito di applicazione relativo al diritto di recesso (definito dal concetto di “servizi di collocamento di strumenti finanziari o di gestione di portafogli individuali”) diverso e più limitato rispetto a quello (generale) previsto al comma 1 per le ipotesi di “offerta fuori sede”, definita come la promozione ed il collocamento presso il pubblico di strumenti finanziari (lett. a) e di servizi e attività di investimento (lett. b), in luogo diverso dalle sedi proprie degli operatori proponenti intervenuti.

Allo stesso tempo, continua la Corte, il legislatore ha direttamente richiamato nel sesto comma solo parte del contenuto del comma 1, operando viceversa una modificazione per il rimanente. L’analiticità di una simile disciplina, con prescrizioni solo in parte sovrapponibili, consente secondo la Corte di escludere che la diversità del richiamo possa essere ricondotto a refusi o a imprecisioni terminologiche, e denota piuttosto la peculiarità dell’intento perseguito con la formulazione della disposizione in esame.

Da ultimo, conferma indiretta della specificità del riferimento al servizio di collocamento si trae pure dall’art. 1, comma 5, TUF, il quale, nel ricomprendere tra i servizi di investimento distinte attività di negoziazione (“Le imprese di investimento possono procedere all’offerta fuori sede di prodotti diversi dagli strumenti finanziari e dai servizi e attività d’investimento…”), implicitamente presuppone sia la diversità di quest’ultima rispetto al collocamento, sia l’attenzione posta dal legislatore nella individuazione delle distinte fattispecie da sottoporre ad una comune disciplina.

Richiamando ragioni di carattere più sostanziale, la Corte sottolinea che, in tanto può trovare ragionevole applicazione la disciplina dello “ius poenitendi”, in quanto si sia verificata una situazione in cui il risparmiatore sia stato esposto al rischio di assumere iniziative e prendere decisioni poco meditate; circostanza questa da escludersi laddove, come nel caso analizzato dalla Corte, l’acquisto dei titoli non sia avvenuto per iniziativa dell’offerente, ma a seguito di un precedente accordo quadro di carattere generale fra l’investitore ed il soggetto delegato per la definizione negoziale.

Secondo la Corte, il riconoscimento del diritto di recesso anche nel caso di negoziazione significherebbe consentire all’investitore, al di fuori delle sopra indicate ragioni che hanno indotto alla formulazione della disposizione, di beneficiare del differimento del termine iniziale di decorrenza del negozio in funzione dell’eventuale esercizio di detto diritto (fra l’altro non riconosciuto all’altro contraente); esercizio che, nel caso di preventivo mandato in favore dell’intermediario per la conclusione di negozi alle condizioni più favorevoli, ben potrebbe essere sollecitato anche da motivi di interesse economico, quali quelli determinati dalla possibilità di concludere acquisti di maggiore convenienza, per effetto di mutate situazioni di mercato.

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