In tema di responsabilità da reato degli enti, il fallimento della persona giuridica non determina l’estinzione dell’illecito amministrativo previsto dal d.lgs. n. 231 del 2001. Ciò in quanto l’istaurazione della procedura concorsuale non integra una situazione assimilabile a quella della morte dell’autore del reato.
Il fallimento, infatti, non determina alcun mutamento soggettivo della società, la quale viene sottoposta semplicemente a una procedura di gestione della crisi ad opera di un pubblico ufficiale (il curatore), sotto il controllo dell’autorità giudiziaria. L’estinzione dell’ente, del resto, non si produce automaticamente nemmeno alla chiusura della procedura concorsuale, essendo necessario un atto formale di cancellazione della società da parte del curatore. Fino a quel momento, dunque, la società resta in vita, mantenendo funzioni limitate ed ausiliarie e potendo comunque ritornare in bonis, con conseguente riespansione dei poteri gestionali ed amministrativi degli organi sociali.
In questa prospettiva, la sentenza che dichiara il fallimento priva la società fallita dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti a quella data, assoggettandoli alla procedura esecutiva concorsuale finalizzata al soddisfacimento dei creditori; fermo restando che tale effetto di spossessamento non si traduce in una perdita della proprietà, in quanto la società resta titolare dei beni fino al momento della vendita fallimentare.
Ne consegue che, durante il fallimento, la società continua ad essere soggetto passivo della sanzione pecuniaria, di cui risponde con il suo patrimonio ex art. 27 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.