Il fallito che ritenga di essere stato danneggiato dall’attività, a suo avviso sconsiderata, del curatore può – una volta recuperata in pieno la sua capacità – attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’attività di riparto dell’attivo.
Con l’ordinanza in questione, la Suprema Corte di Cassazione ha inteso affermare, in un’ottica di certezza del diritto, l’improponibilità – per difetto di legitimatio ad causam – delle domande proposte dall’attore al fine di caducare la transazione conclusa dal curatore. Va infatti negata al debitore tornato in bonis, come a qualsiasi altro soggetto, la possibilità di rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura fallimentare, in particolare del curatore, una volta chiuso il fallimento.
La giurisprudenza di legittimità, a tal proposito, ha ritenuto immanente nell’ordinamento il principio di cd. intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto, oggi codificato dalla novella del 2006. Non sarebbe giustificata, dunque, l’ablazione di un atto funzionale alla chiusura del concorso: tale procedura, se ammessa, risulterebbe infatti del tutto asistematica nonché tale da scardinare l’intero impianto su cui si fondano le procedure concorsuali.