Nella prassi operativa dei mercati finanziari internazionali degli ultimi anni hanno avuto una rilevante diffusione i cosiddetti crossing system (chiamati anche, ad esempio, internal matching system o broker crossing network), che – per quanto difficilmente tipizzabili – si possono definire, in via generale, come sistemi costituiti internamente a banche e imprese di investimento, in virtù dei quali si realizza l’incrocio tra ordini di acquisto e di vendita di strumenti finanziari per il tramite di sistemi elettronici/computerizzati. Tali sistemi possono distinguersi in base ad una moltitudine di fattori eterogenei (tipologie di strumenti scambiati, tempistiche di matching, modalità/processi di determinazione del prezzo degli strumenti…) e sono caratterizzati da un elevato automatismo nell’esecuzione degli ordini, che ne assicura l’imparzialità e la neutralità.
Nell’ambito della cornice normativa europea e nazionale, l’inquadramento dei crossing system ha rappresentato un profilo molto discusso: i richiamati sistemi, infatti, paiono collocarsi, in maniera non facilmente decifrabile, a metà strada tra quei servizi (come l’esecuzione e la ricezione e trasmissione di ordini) che garantiscono in capo agli intermediari una rilevante discrezionalità “tecnica”, e quelle attività (come tipicamente la gestione di un sistema multilaterale di trading – MTF) che, al contrario, si traducono nella neutrale gestione di una piattaforma di negoziazione.
Analizzando la forma assunta dai crossing system nella prassi, questi sembrerebbero maggiormente compatibili con il tipico schema negoziale dei servizi di investimento “ad esecuzione”, piuttosto che con un’attività di gestione di piattaforme negoziali.
Anzitutto, la strutturazione dei crossing system non prevede meccanismi di generale e multilaterale accesso ad un mercato (ufficiale o “alternativo”), ma pare presupporre una stretta bilateralità nel rapporto tra l’intermediario e i soggetti i cui ordini vengono “matchati” nel singolo crossing system. Pare dunque trattarsi di un servizio “client-oriented”, ossia costruito tailor made per specifico cliente, che trova generalmente le proprie basi in un contratto sulla base del quale l’intermediario si obbliga, a tutti gli effetti, a eseguire gli ordini impartiti dal cliente sottoscrittore.
Inoltre l’architettura dei crossing system pare garantire notevoli margini di autonomia all’intermediario che esegue gli ordini impartiti dai clienti. Per quanto infatti non vi sia lo spazio per parlare di una “piena” discrezionalità, paragonabile a quella che si ha in servizi quali la consulenza in materia di investimenti o la gestione individuale di portafogli, nel caso dei crossing system sussiste generalmente in capo all’intermediario – come accennato in precedenza – una rilevante discrezionalità “tecnica”, tipica proprio dei servizi di investimento ai sensi del Testo Unico della Finanza caratterizzati dal regime di best execution. Se da un lato, nella prestazione di tali servizi, l’azione dell’intermediario trova un preciso limite (qualitativo e quantitativo) nell’ordine impartito dal cliente, dall’altro l’esecutore gode di un certo margine di autonomia nella scelta delle modalità, dei mezzi e delle tecniche finalizzate a realizzare al meglio l’ordine (e dunque l’interesse) del cliente. Proprio in ragione di ciò, la discrezionalità dell’esecutore va declinata in senso “tecnico”, e riferita ad un passaggio del processo di investimento che è antecedente rispetto alla vera e propria realizzazione dell’investimento, ossia la scelta delle “tecniche” tramite cui conseguire la (migliore) esecuzione dell’ordine. L’esercizio della discrezionalità “tecnica” da parte dell’esecutore di ordini si può riscontrare non solo in sede di redazione della execution policy che regola la prestazione del servizio, ma anche – e soprattutto – nelle materiali modalità di implementazione della stessa procedura di esecuzione, con riferimento, ad esempio, alla scelta relativa al luogo di esecuzione o anche ai meccanismi di inserimento dell’ordine nelle piattaforme informatiche impiegate al fine di realizzare l’ordine di volta in volta trasmesso dal cliente. Ulteriore conferma della discrezionalità – seppure non piena, ma “tecnica” – in capo all’esecutore, è contenuta nel comma 6 dell’art. 45 del Regolamento Intermediari, in base al quale “qualora il cliente impartisca istruzioni specifiche, l’intermediario esegue l’ordine attenendosi, limitatamente agli elementi oggetto delle indicazioni ricevute, a tali istruzioni”: la possibilità per il cliente di impartire “istruzioni specifiche” che possono limitare il campo d’azione dell’esecutore presuppone che, alla base, sussista in capo all’esecutore una certa forma di discrezionalità/autonomia.
In effetti, nello specifico ambito dei crossing system, che come detto trovano generalmente la propria base in contratti di esecuzione di ordini, la discrezionalità tecnica si identifica soprattutto nella capacità, per il soggetto esecutore, di controllare, monitorare ed intervenire direttamente sul processo di immissione degli ordini nel sistema informatico impiegato per il matching degli stessi ordini provenienti dai clienti. In genere, gli ordini eseguiti tramite crossing system non sono direttamente immessi dai partecipanti al sistema ed automaticamente eseguiti sulla base di regole precostituite: al contrario il singolo ordine, prima di essere immesso nel sistema informatico per essere eseguito, viene sottoposto ad un passaggio intermedio, nel corso del quale l’esecutore procede ad analizzare e a validare gli ordini in via preventiva rispetto all’inserimento nel sistema informatico, soprattutto per evitare il presentarsi di eventuali elementi di anomalia, errore o altri elementi che renderebbero l’ordine non eseguibile. Solo a seguito di tale controllo le operazioni sono rese materialmente esecutive.
Alla luce dell’analisi delle caratteristiche sopra riportate, pare possibile individuare una rilevante distanza fra i crossing system e una attività quale la gestione di sistemi multilaterali di negoziazione, in virtù della quale l’intermediario gestore si obbliga non a eseguire operazioni per conto di clienti, ma a garantire – a vantaggio di una platea multilaterale di soggetti, ossia gli aderenti – il regolare funzionamento della piattaforma gestita. Questo tramite la predisposizione e il mantenimento di procedure e di regole “non discrezionali” in merito alla selezione degli strumenti negoziati e all’accesso al sistema, nonché delle misure necessarie per favorire il regolamento efficiente delle operazioni concluse (direttamente ed autonomamente) dagli aderenti al sistema multilaterale di negoziazione. Il gestore di MTF è certamente tenuto a vigilare sul sistema di negoziazione e sulle operazioni effettuate nello stesso dagli utenti, al fine di identificare eventuali infrazioni delle regole, condizioni di negoziazione anormali o comportamenti riconducibili ad abusi di mercato; ciò non determina tuttavia il sorgere, in capo al gestore del MTF, di un obbligo di garanzia circa la buona riuscita delle operazioni concluse sulla piattaforma gestita.
Per quanto, alla luce di quanto illustrato, i crossing system sembrino maggiormente compatibili con i servizi di investimento contraddistinti dal regime di best execution, occorre riconoscere che questi sistemi condividono diverse caratteristiche con le tipiche trading venue disciplinate nel nostro ordinamento, quali l’idoneità a favorire l’incontro tra domanda ed offerta di strumenti finanziari da parte di vari soggetti, nonché l’automatismo caratterizzante alcune fasi del processo di negoziazione (come la determinazione del prezzo degli strumenti negoziati, effettuata spesso tramite “meccanismi ad asta”). Da qui, la doverosa presa d’atto sul carattere ibrido di tali sistemi di incrocio degli ordini.
Una simile visione è stata condivisa da “interpreti” anche illustri: è stata la stessa Commissione Europea, nella Public Consultation “Review of the Markets in Financial Instruments Directive” datata 8 dicembre 2010, a definire i crossing system come “a hybrid between a facility to assist execution of clients’ orders and a multilateral system that brings together orders”. Contestualmente la Commissione, nello stesso documento, registrava la crescente rilevanza dei sistemi di order matching automatico realizzati internamente alle imprese di investimento, e riconosceva come l’attività di “operating a system to match clients’ orders” necessitasse di una disciplina ad hoc, non essendo riconducibile, a stretto rigore, ad una delle fattispecie di mercato (ufficiale o “alternativa”) ai sensi della disciplina MiFID.
Anche il CESR (Committee of European Securities Regulators, ora sostituito dall’ESMA, European Securities and Markets Authority) nel documento del 2010 dal titolo “Feedback Statement – CESR Technical Advice to the European Commission in the Context of the MiFID Review – Equity Markets”, ha indagato circa la natura degli “internal crossing systems/processes” creati da investment firms: in questo documento i crossing system vengono identificati con sistemi che permettono agli intermediari di incrociare internamente i flussi di ordini dei clienti (“match client order flow internally”), impiegando logaritmi e un sistema informatico interno aventi il fine di eseguire al meglio gli ordini ricevuti.
Al fine di gettare luce sulla natura di tali tipologie di sistemi di matching, il menzionato documento del CESR pare particolarmente significativo laddove dichiara che gli intermediari che mettono in atto tale operatività non seguono le regole “non discrezionali” proprie dei mercati regolamentati e degli MTF, ma sono piuttosto soggetti alle regole di condotta proprie dei servizi di investimento che si rivolgono a (veri e propri) clienti, tra cui la best execution (punto 231: “investment firms operating these systems are subject to client-oriented conduct of business rules, including best execution, rather than the market-oriented rules designed for RMs and MTFs”): non a caso, lo stesso CESR osserva che i soggetti-clienti che concludono transazioni ricorrendo a crossing system non sembrano configurabili come “aderenti” ad un vero e proprio MTF (“these systems do not have participants in the way that a standalone MTF does”).
Il CESR riconosceva la difficoltà a ricondurre i crossing system all’interno di una attività o servizio di investimento disciplinati dalla MiFID, da cui la apparente non regolamentazione della stessa fattispecie: non a caso, il CESR definiva i crossing system come “unspecified OTC transactions”, che necessiterebbero di essere oggetto di una specifica disciplina. Tuttavia, lo stesso CESR riconduceva la fattispecie allo schema delle esecuzioni di ordini, e l’impossibilità di identificare una forma di partecipazione al sistema di crossing system, paragonabile a quella che si ha negli MTF, avrebbe presupposto la configurazione di un rapporto strettamente bilaterale (e non multilaterale) tra l’intermediario esecutore e i clienti che concludono operazioni all’interno dei crossing system. Si consideri a tal proposito il punto 247 dello stesso documento, nel quale il CESR dichiara esplicitamente che, per quanto i crossing system costruiti internamente agli intermediari abbiano talune caratteristiche in comune con gli MTF, non devono conformarsi ai requisiti richiesti ai sistemi multilaterali di negoziazione (“CESR believes that internal crossing systems share some of the features of MTFs but they do not have to comply with the same requirements”).
In definitiva, un fenomeno ibrido e controverso quale quello dei crossing system non avrebbe potuto non essere considerato ed indirizzato dal Legislatore nell’ambito del progetto di riforma della MiFID (c.d. “MiFID II”), che annovera tra i suoi obiettivi quello di colmare le lacune risultanti dal recepimento della MiFID, anche con riferimento a quei luoghi di negoziazione (tra cui appunto i crossing system) apparentemente esclusi o comunque non riconducibili alle piattaforme di trading di cui alla prima Direttiva MiFID.
La MiFID II introduce ora una nuova categoria di trading venue definita OTF (“Organised Trading Facility”), per sua natura residuale rispetto alle altre “classiche” trading venue, la cui gestione rappresenta a tutti gli effetti un nuovo servizio di investimento ai sensi dell’Allegato 1, Sezione A della Direttiva MiFID. In particolare, nell’originaria proposta di MiFID II elaborata dalla Commissione Europea, un OTF era definito come qualsiasi sistema diverso da un mercato regolamentato o sistema multilaterale di negoziazione gestito da un’impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente l’interazione tra interessi multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari, in modo da dare luogo a contratti conformemente alle disposizioni della “nuova” Direttiva MiFID.
Nella originaria proposta di MiFID II ad opera della Commissione Europea, la scelta era nel senso di ricondurre i crossing system agli OTF, coerentemente con l’idea che la categoria degli OTF potesse inglobare quei sistemi che garantiscono ai propri gestori una maggiore “flessibilità”, discrezionalità e autonomia, pur sempre nell’ottica di realizzare il miglior risultato per il cliente.
Nell’Impact Assessment di accompagnamento alla MiFID II, veniva specificato che la principale finalità della disciplina sugli OTF era proprio quella di “catturare” e disciplinare trading venue non oggetto della normativa MiFID, nell’ambito della cui gestione l’intermediario è sottoposto ad una “best execution obligation” e può discrezionalmente selezionare le modalità di esecuzione delle transazioni: è particolarmente significativo, ai fini che qui interessano, il fatto che fra tali trading venue venissero espressamente inclusi proprio i “broker crossing systems” (“Under this option a new category called organised trading facility would be established capturing previously not regulated as a specific MiFID trading venue organised facilities as broker crossing systems […]. Regulated markets and MTFs are characterised by non-discretionary execution of transactions and non-discriminatory access to their systems. […] By contrast, the operator of an organised trading facility has discretion over how a transaction will be executed. He has a best execution obligation towards the clients trading on his platform”).
Una simile visione si ritrovava nell’originario considerandum 7 della Proposta di Regolamento “MiFIR”, che includeva nella “ampiamente definita” categoria degli OTF proprio i sistemi di broker crossing, descritti come “sistemi elettronici interni di messa a confronto utilizzati da imprese di investimento che eseguono gli ordini dei clienti a fronte di ordini di altri clienti”.
Dopo la prima proposta della Commissione, tuttavia, un forte dibattitto ha animato il contraddittorio tra le istituzioni impegnate nel progetto MiFID II: in particolare, la discussione ha riguardato la possibilità, da un lato, di riservare gli OTF alla sola trattazione di strumenti c.d. “non-equity” e, dall’altro lato, di ricondurre gli strumenti “equity” alla sola circolazione su piattaforme non discrezionali (come i mercati regolamentati e gli MTF) già esistenti alla luce della vigente disciplina MiFID.
L’intento del Consiglio UE e della Commissione Europea (come desumibile dall’originaria proposta di riforma) era quello di includere tutte le potenziali asset classes di strumenti nella nuova categoria degli OTF. Al contrario il Parlamento ha optato per la rimozione degli strumenti equity dalla definizione di OTF, criticando la scelta della Commissione di non includere i crossing system (generalmente impiegati proprio per la circolazione di strumenti equity) in una delle esistenti categorie di trading venue ai sensi della MiFID.
Il risultato del richiamato lungo dibattito è rappresentato dall’ultima versione della MiFID II, approvata dal Parlamento Europeo in data 15 aprile 2014 (e adottata dal Consiglio UE lo scorso 13 maggio) a seguito di un accordo faticosamente raggiunto con le altre istituzioni di livello europeo. La versione del Regolamento MiFIR da ultimo approvata, in particolare, pare proprio confermare la posizione del Parlamento Europeo, con riferimento agli strumenti transitabili sugli OTF e al regime relativo ai crossing system: infatti, nel considerandum 8 (ex 7) del Regolamento MiFIR, è stato ora rimosso il riferimento ai crossing system quali particolari tipologie di OTF, e sono riportate specificamente le tipologie di strumenti (non equity) che possono transitare sulle piattaforme OTF (“bonds, structured finance products, emissions allowances and derivatives”). Dal nuovo considerandum 11 si ricava altresì l’intento del Legislatore di concentrare gli strumenti equity sulle trading venue ai sensi della originaria MiFID, anche nel caso in cui le azioni sono oggetto di transazioni che nascono da un ordine del cliente. Ciò si ritrova espresso in termini più chiari all’art. 23 dello stesso Regolamento, che richiede alle imprese di investimento di assicurare che i trades aventi ad oggetto shares avvengano su un mercato regolamentato, un MTF, un internalizzatore sistematico o una “equivalente” third-country trading venue. La regola – che richiama il regime di “concentrazione” degli scambi, vigente in alcuni Stati membri (tra cui l’Italia) all’inizio degli anni ’90 – subisce alcune eccezioni, previste per il caso in cui le transazioni presentino determinate caratteristiche, fra cui la possibilità di essere classificate come non sistematiche, ad hoc, irregolari, infrequenti, e la non partecipazione al processo di price discovery. Elementi che pare difficile ritrovare nei crossing system. Non a caso, il Legislatore introduce ora un nuovo regime relativo proprio ai crossing system, laddove al comma 2 dello stesso articolo 23 MiFIR richiede l’autorizzazione come MTF a quelle imprese di investimento che eseguono ordini di clienti aventi ad oggetto azioni o altri strumenti analoghi su base multilaterale tramite un “internal matching system”. Lo stesso considerandum 11 della MiFIR, d’altra parte, stabilisce che le eccezioni di cui sopra non possono essere richiamate per aggirare le restrizioni introdotte con riferimento ai broker crossing network o ad altri analoghi sistemi di crossing. Non pare dunque rimanere spazio per dubbi sul superamento dell’originaria posizione della Commissione, che includeva i crossing system fra gli OTF.
In definitiva, la scelta compiuta dal Legislatore con la MiFID II è stata proprio quella di non includere i crossing system “for equities” nella nuova categoria di OTF, ma di classificare gli stessi come MTF. La disciplina comunitaria viene dunque a divaricarsi non già in funzione della natura o tipologia delle operazioni svolte, ma in funzione della tipologia degli strumenti finanziari trattati: una distinzione, forse, non facilmente giustificabile, né del tutto comprensibile.