1. Il caso
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. il ricorrente, al fine di scongiurare l’addebito di interessi negativi e la richiesta di immediato rientro dall’esposizione, chiedeva la sospensione dell’efficacia e/o dell’esecuzione del contratto di investimento di 13.800 azioni della Banca acquistate mediante affidamento sul conto corrente, chiedeva, inoltre, di ordinare alla Banca di non pretendere pagamenti né operare addebiti in esecuzione del suddetto contratto complesso, di stornare gli addebiti effettuati nelle more della proposizione della domanda, di astenersi dal compimento di atti giudiziari o esecutivi di recupero delle proprie eventuali pretese di pagamento e di astenersi da qualsiasi segnalazione presso la Centrale Rischi.
2. Le questioni
La prima questione affrontata dalla sezione specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Venezia riguarda la sussistenza del periculum in mora trattandosi di procedimento cautelare. Il dubbio si è posto poiché la Banca non risultava aver preteso il rientro dal fido del ricorrente. Il Tribunale ritiene, invece, che sia sufficiente la circostanza che la Banca potrebbe richiedere il rientro dall’esposizione debitoria in ogni momento e tale prospettiva è fonte di un pregiudizio imminente e irreparabile poiché suscettibile di provocare una modifica significativa dell’organizzazione di vita, anche personale, del debitore.
La seconda questione affrontata, nell’ambito del giudizio inerente la sussistenza del fumus boni iuris, riguarda l’applicabilità della disciplina prevista dall’art. 2358 c.c. alle società cooperativa (quali la Banca era). L’art. 2358 infatti prevede che “la società non può, direttamente o indirettamente, accordare prestiti, né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni, se non alle condizioni previste dal presente articolo. Tali operazioni sono preventivamente autorizzate dall’assemblea straordinaria”. L’art. 2519 prevede che alle società cooperative si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni sulla società per azioni. La Banca ha sostenuto la non compatibilità dell’art. 2358 con la disciplina delle cooperative, tra l’altro, in quanto la condizione della previa autorizzazione dell’assemblea per la concessione di assistenza finanziaria per l’acquisto di azioni proprie contrasta con il fatto che, nelle cooperative, le decisioni in ordine all’acquisto di azioni proprie sono demandate alla competenza del consiglio d’amministrazione e non dell’assemblea. Il Tribunale richiamando un proprio precedente (si veda Trib. Venezia – ord. del 29 aprile 2016 emessa in procedimento cautelare iscritto al n. 10396/2015 r.g.) ritiene applicabile alla Banca l’art. 2358. Da un lato la Banca d’Italia nei chiarimenti resi in data 27 ottobre 2015 ha dichiarato che “i finanziamenti che possono essere accordati da una banca a un cliente in coincidenza con l’acquisto da parte sua di azioni della banca sono legittimi se autorizzati dall’assemblea straordinaria”, ritenendo quindi di applicare l’art. 2358; dall’altro lato l’esclusione della applicabilità dell’art. 2358 non si fonda su argomenti testuali ma su valutazioni di incompatibilità che non risultano provate.
La terza questione riguarda la correlazione tra il fido e l’acquisto delle azioni della Banca. Infatti la Banca contesta la sussistenza di una correlazione diretta tra i finanziamenti e l’acquisto delle azioni ritenendo che detto acquisto fosse il frutto di una scelta del ricorrente in cui la banca stessa non avrebbe avuto alcun ruolo con conseguente elisione del collegamento tra il finanziamento e le operazioni di investimento. Il giudice adito, invece, ha ritenuto che la correlazione sia “desumibile dalla stretta contiguità temporale tra l’apertura del conto, la concessione del finanziamento […] e il pressoché intero impiego della somma finanziata con gli acquisti effettuati”. Quindi l’unitarietà del finanziamento e l’acquisto delle azioni della banca e il collegamento tra l’uno e l’altro si presume in caso di contiguità temporale.
La quarta questione affrontata dal giudice veneziano riguarda la conseguenza della violazione del divieto posto dall’art. 2358. Sostiene la Banca che l’insussistenza delle condizioni previste dall’art. 2358 comma 2 (la previa autorizzazione dell’assemblea) non possa essere fonte di nullità ma unicamente fonte di responsabilità dell’organo amministrativo. Il Tribunale, invece, ritiene che la nullità dei finanziamenti o delle garanzie posti in assenza delle condizioni previste dall’art. 2358 si cumuli, e non si sostituisca, alla tutela costituita dalle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori. Infatti non si può sostenere che la possibilità di esercitare le azioni di responsabilità esaurisca la tutela spettante a chi si affermi danneggiato stante la diversità dei presupposti, dei contenuti e delle modalità attraverso cui le due tutele sono conseguibili. Quindi la mancanza dei presupposti di cui all’art. 2358, comma 2, determina l’espansione del divieto di cui al primo comma. Tale divieto costituisce norma imperativa inderogabile e pertanto determina la nullità virtuale.
La quinta questione oggetto di disamina attiene alla legittimazione a far valere la nullità. La Banca pone l’accento sul interesse tutelato dalla norma che è da rinvenirsi nell’effettività del patrimonio sociale, e da ciò fa derivare che l’eventuale invalidità non sia suscettibile di essere fatta valere da coloro che hanno beneficiato dei finanziamenti o delle garanzie. Il giudice afferma ciò che appariva già evidentissimo, cioè che la legittimazione a far valere la nullità, pur tutelando l’effettività del patrimonio sociale, non può derogare alla legittimazione propria delle nullità, specie se virtuali poiché derivanti dal carattere inderogabile della norma violata. Il criterio resta dunque quello generale di selezione della legittimazione cioè l’interesse a far valere la nullità. L’interesse del ricorrente risiede nell’obiettivo avuto di mira, cioè l’eliminazione delle operazioni congiunte – finanziamento ed utilizzo dei fondi forniti dalla Banca per l’acquisto delle azioni della medesima – operazioni nel complesso illecite poiché contrarie a norma imperativa. Peraltro chi acquista azioni di una società impiegando prestiti messi a disposizione della medesima è portatore di un interesse alla regolarità dell’operazione che dipende dal rispetto dell’art. 2358; ha, quindi, interesse alla effettività del patrimonio della società di cui ha acquistato le azioni, pur se con prestiti forniti dalla stessa società, ed alla tenuta finanziaria di quest’ultima.
3. I precedenti
Il precedente più significativo è costituito dall’ordinanza del 29 aprile 2016 emessa in procedimento cautelare iscritto al n. 10396/2015 r.g dal Tribunale di Venezia (cfr. contenuti correlati). Il giudice ha vietato alla Banca il recupero di un prestito di 9,4 milioni di euro in quanto nullo poiché violativo di norme imperativi, ed in particolare dell’art. 2358 del codice civile che recita “la società non può direttamente o indirettamente accordare prestiti né fornire garanzie per l’acquisto o la sottoscrizione delle proprie azioni.” Quindi sono stati dichiarati nulli i c.d. “prestiti baciati” in cui la banca condiziona l’erogazione di prestiti/mutui/fidi ai clienti all’acquisto di azioni o obbligazioni convertibili della banca stessa.
Altro importante precedente è rappresentato da Cassazione n. 15398 del 19.06.2013 che dopo aver ricordato come il testo dell’art. 2358 derivi dal recepimento della Direttiva CE 77/91 del 13.12.1976, dà una definizione di “assistenza finanziaria” capace di integrare la fattispecie di cui al primo comma dell’art. 2358. Scrive la Cassazione: “dottrina e giurisprudenza hanno fornito una nozione ampia del concetto di assistenza finanziaria, in quanto la norma vieta qualunque forma di agevolazione finanziaria finalizzata all’acquisto di quote proprie della società, avvenga essa anteriormente o successivamente all’acquisto stesso, essendo rilevante lo strumentante del prestito o della garanzia all’acquisto di azioni proprie, dovendosi avere riguardo da parte della società dello scopo vietato.”
Molto interessante è anche la sentenza Cassazione n. 25005 del 24.11.2006 in cui la corte afferma la legittimazione a far valere la nullità delle operazioni di acquisto azioni con finanziamenti o garanzia prestati dall’emittente in capo ad ogni socio. La Suprema Corte si esprime anche con un calzante esempio: “Si ipotizzi una società in cui il patrimonio netto – pari, per semplificare, al capitale – è 100. Il socio titolare del 50% delle azioni possiede, dunque, un valore di 50. Nel caso di aumento del capitale di altri 100, se il corrispondente apporto dei nuovi soci è affettivo egli non subisce alcun pregiudizio, perché la sua partecipazione, pur riducendosi proporzionalmente al 25% del capitale, conserva il suo valore, che resta 50 dovendosi calcolare sul nuovo patrimonio di 200. Ma se l’apporto dei nuovi soci è fittizio, e dunque il patrimonio rimane sostanzialmente invariato (dunque 100), la riduzione proporzionale della quota al 25% del capitale comporta anche la riduzione del valore della stessa, che non è più 50, ma 25, e la differenza di valore viene gratuitamente acquistata dai nuovi soci”.
Di rilievo risulta essere anche la sentenza Cassazione n. 9194 del 14.05.2004 che dichiara applicabile il divieto posto dall’art. 2358 anche alle società a responsabilità limitata.
4. Conclusioni
La decisione del Tribunale di Venezia risulta particolarmente significativa in quanto si adegua ad un orientamento a tutela del risparmiatore che la Cassazione aveva già adottato da tempo ma che i tribunali di merito sembravano non aver recepito. Il tema appare di grandissima attualità in relazione ai noti fatti che hanno riguardato le banche in Italia ed in particolare le Popolari Venete. Si sottolinea che, per adesso, si tratta solo di ordinanze cautelari, ma le argomentazione del Tribunale fanno pensare a una probabile conferma nel merito.