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Editoriali

Il futuro (possibile) del concordato liquidatorio

8 Maggio 2017

Vittorio Zanichelli

già Presidente del Tribunale di Modena; già membro della Commissione Rordorf per la riforma delle procedure concorsuali

Di cosa si parla in questo articolo

Il futuro (sperato ma non certo) della riforma della legge fallimentare è condizionato dalla sorte che verrà riservata al disegno di legge delega quale è uscito dalla Camera dei Deputati con il n. 3671-bis e consegnato al Senato ove giace in attesa di iniziare il suo cammino con il n. 2681.

La riforma delineata nel progetto di legge delega risente della scelta di fondo già operata dalla Commissione Rordorf che vede la summa divisio, quanto alle procedure che presumibilmente saranno statisticamente di maggiore rilevanza, tra concordato connotato dalla continuità aziendale e procedura meramente liquidatoria, con una tendenziale esclusione, quanto a quest’ultima, della liquidazione concordata e una netta preferenza per quella giudiziale.

La Commissione, per vero, aveva comunque previsto la permanenza di una forma di liquidazione concordata e quindi un concordato preventivo in assenza di continuità aziendale subordinandone l’ammissibilità alla condizione che il proponente o un terzo apportino risorse ulteriori rispetto a quelle costituite dal patrimonio del soggetto in crisi e che quindi il grado di soddisfacimento dei creditori aumenti in modo apprezzabile.

Il suggerimento è stato fatto proprio anche dalla Camera dei deputati che ha però introdotto anche l’ulteriore requisito di una percentuale minima di soddisfacimento del credito chirografario fissata nella misura del 20%, in continuità, peraltro, con quanto previsto nell’attuale disciplina del concordato preventivo quale risultante in esito alle modifiche apportate con il d.l. n. 83 del 2015 convertito con legge n. 123 del 2015.

Andando tuttavia oltre la previsione della Commissione Rordorf che aveva limitato la possibilità di una proposta di soluzione concordata della crisi alla fase preliminare comune a tutte le procedure, in quanto destinata alla scelta di quella da avviarsi, il legislatore ha previsto la possibilità di un concordato liquidatorio anche nella fase successiva all’apertura della liquidazione giudiziale in evidente analogia con il concordato fallimentare e quindi fornendo al debitore e ai terzi una seconda chance di accordo curiosamente a condizioni, almeno per i terzi, più favorevoli di quelle previste per il concordato preventivo, posto che la condizione di ammissibilità della domanda costituita dalla necessità di apportare risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo è rimasta solo per il debitore e comunque non è più prevista la soglia minima del 20% di soddisfacimento dei chirografari.

E’ ben vero che la disposizione è inserita tra quelle finalizzate ad accelerare la chiusura della liquidazione giudiziale ma la condizione che il concordato assicuri tempi maggiormente rapidi non è contenuta nella bozza.

La disposizione sul concordato in fase di liquidazione giudiziale (Capo II, art. 7 n. 10 lett. d) è molto scarna in quanto si limita a prevedere che il legislatore delegato debba “disciplinare e incentivare le proposte di concordato liquidatorio giudiziale da parte di creditori e di terzi, nonché dello stesso debitore, ove questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo”.

E qui subito un primo dubbio si pone: cosa deve intendersi per concordato liquidatorio? La domanda è legittima in quanto il precetto di cui al Capo II, art. 6 lett. l) n. 2) dispone che la disciplina del concordato con continuità si applichi anche alla proposta che prevedono la continuità aziendale e nel contempo la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa ”a condizione che possa ritenersi, a seguito di una valutazione in concreto del piano, che i creditori vengano soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale”. Prescindendo dalla condivisibilità dell’utilizzo del criterio della prevalenza anche quando non vi è variazione nella composizione dell’azienda che viene salvata, ciò che conta è che non può qualificarsi concordato in continuità quello in cui la liquidazione dei beni conviva con la continuazione dell’attività se non viene rispettato il criterio della prevalenza per cui in assenza di tale requisito potremmo avere un concordato qualificato come liquidatorio per la prevalenza quantitativa dell’apporto della liquidazione ma che può presentare, di fatto, la continuazione dell’attività aziendale.

Sarebbe dunque importante prevedere per tali ipotesi la possibilità di una qualche forma di esercizio provvisorio dell’azienda, nel testo, non prevista, proprio per dar modo a eventuali interessati di poter presentare una domanda di concordato formalmente liquidatorio ma comportante il mantenimento dell’attività aziendale potendo contare nel frattempo sulla gestione dell’azienda da parte del curatore o di una figura dallo stesso delegata. La carenza evidenziata mi pare rilevante e se non venisse colmata metterebbe a rischio il salvataggio dell’azienda in contrasto con la finalità ripetutamente sottolineata in vari ambiti.

Quanto agli incentivi, uno è previsto nello stesso testo della norma ed è destinato solo ai creditori e agli altri terzi in quanto non sussiste per loro la necessità di apportare risorse che incrementino l’attivo, potendosi gli stessi limitare (è lecito immaginare) a formulare una proposta pari al valore stimato ma favorevolmente apprezzabile dai creditori per la sua certezza.

Quali possano essere gli altri incentivi, oltre quelli fiscali, non è agevole immaginare anche se si può ipotizzare, ad esempio, una disciplina di favore quanto alla successione nei contratti aziendali in corso o maggiore flessibilità nella riorganizzazione anche della forza lavoro, incentivi, peraltro, possibili solo in caso di continuità.

Tutto da immaginare è anche la norma di dettaglio che può dare concretezza alla prescrizione secondo cui, se la proposta viene dal debitore, la stessa è ammissibile solo se questi apporti risorse che incrementino in modo apprezzabile l’attivo. Non pare dubbio che debba trattarsi di un aumento in misura percentuale delle disponibilità con cui soddisfare i creditori e non di un importo da valutarsi in relazione alla sua dimensione assoluta in quanto lo stesso importo può essere apprezzabile in una piccola procedura e irrisorio in una grande. Ma proprio perché si tratta di una percentuale è sicuramente opportuno che questa sia fissata dal legislatore al fine di evitare un’eccessiva discrezionalità ma soprattutto valori diversi tra un tribunale e un altro, garantendo la prevedibilità del giudizio, valore troppo spesso sottovalutato.

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