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Giurisprudenza

Il lavoratore va ammesso al passivo per le retribuzioni non corrisposte al lordo delle ritenute fiscali e previdenziali

21 Novembre 2017

Vincenzo Pellegrino, collaboratore alla cattedra di diritto fallimentare e diritto bancario presso l’Università degli Studi di Salerno, praticante avvocato in Salerno

Cassazione Civile, Sez. I, 17 novembre 2016, n. 23426 – Pres. Bernabei, Rel. Di Marzio

In caso di fallimento dell’azienda, il lavoratore – qualora il datore di lavoro non abbia pagato la retribuzione (o vi abbia provveduto in ritardo) ovvero non abbia effettuato i versamenti contributivi – può chiedere direttamente, in via prudenziale o in caso di inerzia dell’Inps nell’esercizio dell’azione ex artt. 93 e 101 l. fall., l’ammissione al passivo, oltre che di quanto a lui spettante a titolo di retribuzione, anche della somma corrispondente alla quota dei contributi previdenziali posti a carico del medesimo, rispondendo tale soluzione al principio dell’integrità della retribuzione.

Ne consegue che, qualora non vi sia stata insinuazione al passivo da parte dell’Inps, il curatore non possa portare in detrazione le trattenute per contributi previdenziali, ma debba riconoscere al lavoratore la retribuzione lorda, salva la possibilità del successivo esercizio del diritto di rivalsa, onde evitare il duplice pagamento dello stesso credito.

L’accertamento e la liquidazione del credito spettante al lavoratore per differenze retributive devono essere effettuati al lordo sia delle ritenute fiscali sia di quella parte delle ritenute previdenziali gravanti sul lavoratore, atteso che, quanto a queste ultime, il datore di lavoro può procedere alle ritenute previdenziali a carico del lavoratore solo nel caso di tempestivo pagamento del relativo contributo, altrimenti detta quota resta a carico del datore di lavoro.

Dunque, il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico che diviene, per ciò stesso, parte della retribuzione: ne discende che il relativo credito, in sede fallimentare, segue nell’ordine dei privilegi la natura retributiva che gli è propria.

In definitiva, poiché in caso di condanna del datore di lavoro al pagamento, in favore del lavoratore, della retribuzione a questi non corrisposta, la quota contributiva altrimenti dovuta dal lavoratore rimane definitivamente a carico del datore di lavoro, e poiché non è configurabile un diritto del lavoratore ad invocare in proprio favore l’adempimento dell’obbligazione contributiva, il credito retributivo del lavoratore va ammesso al passivo del fallimento del datore di lavoro al lordo della quota contributiva altrimenti gravante sul lavoratore, con collocazione privilegiata a norma dell'art. 2751 bis, n. 1, c.c.

Nel caso di specie, la Sez. 1 della Corte di Cassazione afferma che il Tribunale di Frosinone (decreto del 23.03.2015) abbia errato nel ritenere che il lavoratore, in caso di fallimento, sia legittimato, ogni qual volta il datore di lavoro non abbia effettuato i versamenti contributivi, a chiedere direttamente l’ammissione al passivo non solo per la retribuzione, ma anche per l’intero importo dei contributi previdenziali, in osservanza del diritto del lavoratore all’integrità della retribuzione.


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