Il presente contributo analizza il tema della violazione di norme del settore bancario e conseguente licenziamento per giusta causa del lavoratore alla luce delle più recenti sentenze della Corte di Cassazione.
Il licenziamento per giusta causa. Nozione generale.
Per valutare l’astratta configurabilità e, concretamente, la legittimità di un licenziamento per giusta causa, il punto di partenza è l’interpretazione dell’art. 2119 c.c., da attuarsi tenendo conto anche di quanto stabilito dal CCNL applicabile, che – quanto al settore bancario – non contiene una descrizione delle ipotesi di licenziamento di giusta causa, fermo restando che tale descrizione, ove presente, avrebbe comunque una valenza meramente esemplificativa e non vincolante, alla luce dei principi affermati dalla costante giurisprudenza (per tutte, Cass. 29 novembre 2022, n. 35120), principi peraltro condivisibili, posto che la variegata casistica dei comportamenti astrattamente configurabili come giusta causa non consente un’individuazione dettagliata degli stessi.
In merito all’interpretazione dell’art. 2119 c.c., la Corte di Cassazione è costante nel ritenere che la giusta causa deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, tenuto conto degli aspetti concreti afferenti alla natura ed alla qualità del rapporto stesso, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto in relazione alle mansioni svolte dal dipendente, alla portata soggettiva del fatto in considerazione delle circostanze del caso concreto e dell’elemento intenzionale del lavoratore (tra le tante, Cass. 4 luglio 2024, n. 18296).
E’ altresì opportuno ricordare che, secondo la Suprema Corte, a differenza delle norme a contenuto certo o definitorio (a “struttura rigida”), quelle c.d. “elastiche” (come l’art. 2119 c.c.) sono norme a contenuto variabile, che richiedono all’interprete “giudizi di valore su regole proprie di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici oppure su criteri etici o di costume” (Cass. 17 settembre 2014, n. 19612); è stato peraltro ribadito, anche recentemente, che la valorizzazione di fattori esterni, relativi alla coscienza generale, è parte integrante del processo interpretativo (Cass. 22 agosto 2024, n. 23029).
E’ opportuno precisare che, nell’ipotesi di licenziamento del dipendente di un istituto di credito, l’idoneità del comportamento contestato a ledere il rapporto fiduciario deve essere valutata con particolare rigore, a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro (Cass. 14 marzo 2005, n. 5504).
La particolare intensità dell’elemento fiduciario nell’ambito del settore bancario è stata confermata nel tempo (Cass. 8 gennaio 2015, n. 57); anche recentemente, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che “la condotta dei dipendenti di una banca impone una valutazione degli obblighi di diligenza e di fedeltà secondo criteri più rigorosi” (Cass. 29 agosto 2024, n. 23318).
Quanto alla sussistenza di un danno effettivo per il datore di lavoro, la Cassazione (Cass. 23318/2024, cit.), riformando la sentenza di secondo grado che aveva annullato il licenziamento per giusta causa di un dipendente bancario, ha rilevato che la Corte di merito non aveva illustrato le ragioni per cui erano state ritenute prive di rilievo disciplinare alcune condotte di un Direttore di filiale (che, secondo quanto contestatogli, aveva: a) attivato una carta di credito all’insaputa di una cliente per raggiungere obiettivi commerciali; b) addebitato somme sul conto di un ignaro cliente per un importo corrispondente ad accrediti operati, in favore di altri clienti, a titolo di spese varie); nella citata sentenza, la Suprema Corte ha precisato che la mancanza di conseguenze pregiudizievoli, in danno del lavoratore o di terzi, come pure l’assenza di concreti vantaggi, a favore del lavoratore o di terzi, non rilevano al fine di escludere l’inadempimento e, quindi, la rilevanza disciplinare del fatto contestato.
E’ stato altresì recentemente confermato il principio secondo cui i fatti contestati, al fine di valutare la loro incidenza sul rapporto di lavoro, non devono essere esaminati atomisticamente, ma, occorrendo, complessivamente (Cass. n. 9138/2024, cit.; Cass. 23318/2024, cit.).
Considerazioni sull’onere della prova.
E’ pacifico l’onere di provare i fatti posti a fondamento del licenziamento incombe sul datore di lavoro, che ha il potere – ma non l’obbligo – di controllare in modo continuo i propri dipendenti, atteso che un simile obbligo (non previsto dalla legge, né desumibile dai principi di correttezza e di buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c.) negherebbe, in radice, il carattere fiduciario del lavoro subordinato (Cass. 3 gennaio 2024, n. 109, pronunciata proprio in una fattispecie di licenziamento per giusta causa di un dipendente bancario).
Quanto all’onere probatorio, devono essere attentamente valutate, tra l’altro, le tematiche che si presentano quando la dimostrazione dei fatti contestati debba essere fornita mediante la prova testimoniale, prospettandosi, in tal caso, possibili criticità derivanti dall’esistenza di deposizioni contrastanti e dall’eventuale valutazione sull’attendibilità dei testimoni.
Sotto un ulteriore profilo, si osserva, ad esempio, che il tema dell’onere della prova, quando i fatti contestati al dipendente siano oggetto di indagine penale, è certamente complesso, poichè richiede una verifica sulle possibili “interferenze” tra le risultanze processuali e le valutazioni del giudice civile e quelle del giudice penale (ferma restando, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l’autonomia del giudice del lavoro rispetto alla decisione del giudice penale: Cass. 6 marzo 2023, n. 6660); è comunque utile ricordare, a tal riguardo, che il giudice del lavoro può fondare il suo convincimento sugli atti prodotti nel corso delle indagini preliminari, anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento, in quanto la parte può sempre contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti acquisiti in sede penale, con l’ulteriore precisazione, ad esempio, che le intercettazioni telefoniche o ambientali, effettuate in un procedimento penale, sono pienamente utilizzabili nel procedimento disciplinare, purchè siano state legittimamente disposte nel rispetto delle norme costituzionali e procedimentali (Cass. n. 109/2024, cit.).
Alcune ipotesi di licenziamento per giusta causa.
Le fattispecie di licenziamento per giusta causa sono molto varie e, come rilevato dalla giurisprudenza, richiedono un’attenta analisi di tutte le circostanze del caso concreto.
Tra le recenti fattispecie di licenziamento per giusta causa in ambito bancario, si ricorda quella del preposto di una filiale ove era stato aperto un conto corrente intestato ad una società, senza acquisire alcuna informazione sui soggetti interessati, con consegna di un libretto di assegni in mancanza di liquidità e senza compilare correttamente il questionario antiriciclaggio (Cass. 5 febbraio 2024, n. 3232).
In particolare, è emerso che, a seguito del trasferimento del preposto ad altra filiale, il rapporto instaurato con tale società era stato inspiegabilmente trasferito presso tale filiale e continuava ad essere gestito, esclusivamente, dal dipendente licenziato; inoltre, nonostante il conto corrente presentasse un saldo sostanzialmente pari a zero, era stato consegnato al cliente un secondo libretto di assegni.
Ed ancora, sempre con riferimento a tale fattispecie, era altresì emerso che l’ufficio legale interno aveva informato la filiale, e personalmente il lavoratore, di una segnalazione con la quale American Express comunicava che la società (cliente) non aveva provveduto al saldo di quanto pagato mediante l’utilizzo della carta di credito.
Con la citata sentenza la Corte di Cassazione ha confermato la gravità delle condotte poste in essere dal dipendente, figura apicale della filiale, che, come tale, era tenuto a conoscere la normativa applicabile, sia interna che esterna, relativa alle operazioni attuate.
Sempre recentemente, si segnala anche il licenziamento per giusta causa della responsabile di una filiale che, durante l’orario di lavoro e nei locali della banca, si era attivata per consentire il buon fine delle operazioni di concessione di credito, erogato non dalla banca stessa bensì da un cliente ad altri clienti; tale comportamento è stato ritenuto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, a prescindere dalla rilevanza penale, o meno, dello stesso (Cass. n. 109/2024, cit.).
La Corte di Cassazione ha inoltre ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un dipendente con l’incarico di Team Leader, che aveva intrattenuto rapporti extralavorativi con altre due dipendenti, con effetti pregiudizievoli (non meglio individuati) per queste ultime (Cass. 14 dicembre 2023, n. 35066).
La sentenza si è soffermata, in particolare, sulla nozione di molestie sul lavoro, richiamando principi già enunciati dalla giurisprudenza di legittimità e precisando che tale nozione risulta integrata dal carattere indesiderato della condotta, anche se ad essa non conseguano aggressioni fisiche a contenuto sessuale, essendo la nozione di molestie e la conseguente tutela fondate sull’oggettività del comportamento tenuto e dell’effetto prodotto, stante l’irrilevanza della volontà di recare offesa (Cass. n. 35066/2023, cit.).
Esaminando un’altra fattispecie, la Suprema Corte ha confermato il licenziamento per giusta causa di una dipendente alla quale era stato contestato di aver effettuato una serie di operazioni irregolari per importi di rilevante ammontare, consistenti in prelievi in contanti ed emissioni di assegni circolari in assenza delle contabili e della necessaria modulistica, ovvero sulla base di contabili prive della sottoscrizione dei clienti (Cass. 31 maggio 2022, n. 17597).
Ed ancora, è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa della dipendente di una banca, con funzioni temporanee di “referente” di filiale, la quale aveva effettuato interrogazioni di conti correnti non giustificate da ragioni di servizio; il datore di lavoro aveva evidenziato il divieto di porre in essere tale comportamento, finalizzato a prevenire pregiudizi alla riservatezza ed alla sicurezza della clientela nonchè il rischio di azioni risarcitorie (Cass. 24 febbraio 2020, n. 4871).
Sempre in materia di recesso per giusta causa, la Suprema Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento del direttore di una filiale, per aver posto in essere operazioni in violazione della normativa antiriciclaggio (Cass. 17 ottobre 2019, n. 26454).
E’ stato altresì affermato che costituisce giusta causa di recesso la condotta del direttore che abbia informato un cliente della richiesta di accertamenti disposti dalla autorità giudiziaria (Cass. 19612/2014, cit.), in quanto è un lecito interesse (anche) per un istituto di credito quello di poter contare su lavoratori che svolgano correttamente la prestazione lavorativa “eseguendo tutte le direttive aziendali senza esporre l’istituto medesimo a potenziali responsabilità ex art. 2049 c.c.”.
Sempre con riferimento ad un dipendente con mansioni di capo filiale, è stata configurata la giusta causa di licenziamento nel caso di addebiti “concernenti le irregolari modalità di apertura di 30 conti correnti in assenza di identificazione personale dei clienti”, con utilizzo di un modello di delega differente da quello predisposto dalla Banca (Cass. 30 ottobre 2017, n. 25762).
La giusta causa di licenziamento di un dipendente con mansioni di cassiere è stata affermata con riferimento ad un comportamento consistente nell’emissione di assegni protestati, tratti sul conto corrente di un cliente aperto presso la filiale ove il dipendente prestava servizio (Cass. 17 ottobre 2013, n. 23598).
Peraltro, è stato correttamente rilevato che, al fine di configurare la giusta causa di licenziamento, non è necessario che l’elemento soggettivo della condotta del lavoratore si presenti come intenzionale o doloso, nelle sue possibili e diverse articolazioni, poichè anche un comportamento di natura colposa (per le caratteristiche sue proprie e/o per il convergere di altri elementi della fattispecie) può risultare idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario, così grave ed irrimediabile da non consentire l’ulteriore prosecuzione del rapporto (Cass. 1° luglio 2016, n. 13512).
Nella citata sentenza, la Suprema Corte ha confermato la configurabilità della giusta causa di un licenziamento, rilevando che la mancata appropriazione delle somme, oggetto di operazioni compiute senza autorizzazione da un dipendente di banca, escludesse il dolo ma comportasse, comunque, una grave lesione dell’elemento fiduciario.
La Suprema Corte ha evidenziato che la sentenza di merito impugnata aveva accertato che il dipendente si era “dimostrato del tutto inaffidabile nel compito principale (ed elementare) per ogni cassiere del conteggio del denaro” e “per altro verso, nell’intento (secondo la testuale espressione) di porre rimedio alle irregolarità commesse” aveva “adottato iniziative estemporanee e in totale dispregio delle disposizioni che regolano lo svolgimento delle operazioni bancarie di cassa” (come “l’avvenuto versamento di somme sul c/c dei clienti senza la compilazione di distinta e/o la consegna ai clienti di somme personali al fine di regolarizzare contestate operazioni di cassa”), trattandosi di iniziative e condotte “sintomatiche di una più ampia propensione al mancato rispetto delle regole e/o di un approccio con i compiti d’istituto di tipo personalistico” (Cass. n. 13512/2016, cit.).