1. Introduzione
Il legislatore, con la l. 132/2015 (che ha convertito, con modificazioni, il d.l. 83/2015) ha apportato ulteriori modifiche al già instabile panorama della legge fallimentare.
Di particolare interesse è stata l’introduzione del terzo comma dell’art. 182-quinquies L.Fall., con cui si è implementata la c.d. “finanza interinale d’urgenza”.
Secondo tale disposizione l’imprenditore, nelle more della presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo ex art. 161, co. VI, L.Fall., di una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art. 182-bis, co. I, L.Fall., o ancora di una proposta di accordo ex 182-bis, co. VI, L.Fall., può chiedere di essere autorizzato dal tribunale in via d’urgenza a contrarre finanziamenti prededucibili.
Segnatamente, l’ultimo periodo del terzo comma così recita: “la richiesta [di finanza interinale d’urgenza] può avere ad oggetto anche il mantenimento di linee di credito autoliquidanti in essere al momento del deposito della domanda”.
Se la “finanza interinale d’urgenza” rappresenta un nuovo strumento messo a disposizione del debitore, più dubbia appare la razionalità dell’introduzione dell’ultimo periodo del comma terzo.
Tale novella normativa, infatti, ha comportato “un maggior tasso di confusione in una materia dove ce n’è già troppa”[1].
2. Il quadro preesistente
Il mantenimento delle linee di credito c.d. autoliquidanti rappresenta indubitabilmente un aspetto molto delicato per il successo degli strumenti di composizione concordata delle crisi d’impresa[2]: la possibilità di proseguire nell’utilizzo di tale strumento può influenzare in modo rilevante le prospettive di ritorno in bonis del debitore.
Nella vigenza della precedente disciplina, l’orientamento della giurisprudenza si era consolidato nel considerare il mantenimento di dette linee di credito come “atto di ordinaria amministrazione”: pertanto, non vi sarebbe stata necessità “di apposita autorizzazione per il loro compimento”[3], in quanto rientranti negli atti di comune gestione dell’azienda, strettamente aderenti alle finalità e alle dimensioni del patrimonio della stessa e su di esso non innovativamente incidenti[4].
La motivazione di una tale posizione era rinvenibile nella convinzione sostanziale che strumento in oggetto fosse tra i più diffusi nelle prassi commerciali, idoneo a consentire lo smobilizzo dei crediti di impresa e quindi, indirettamente, a facilitare l’attivazione e la buona riuscita degli strumenti di composizione della crisi[5].
Si era dunque sostenuto che i rapporti di finanziamento proseguissero regolarmente, ritenendosi applicabile la disciplina di cui all’art. 169-bis, L.Fall.[6].
La conclusione sarebbe la medesima, a fortiori, volendo applicare la disciplina prevista dall’art. 186-bis, co. III, L.Fall. prevista per gli strumenti di composizione concordata delle crisi di impresa che mirino alla continuità aziendale.
In forza di tale disposto, infatti, non solo è prevista la prosecuzione dei contratti in essere, ma anche l’inefficacia di clausole che permettano il recesso o la risoluzione dei contratti medesimi in conseguenza della domanda di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti[7].
Dall’impostazione che considerava l’utilizzo delle linee autoliquidanti alla stregua di un atto di ordinaria amministrazione discendeva un ulteriore pacifico corollario.
Il mantenimento – e dunque l’utilizzo – da parte dell’imprenditore di linee autoliquidanti in costanza di procedura avrebbe dato luogo a crediti prededucibili ai sensi dell’art. 111, L.Fall.[8].
3. Gli orientamenti interpretativi
La l. 132/2015 ha avuto l’indiscusso merito di portare alla luce nuovi temi di dibattito
in materia fallimentare.
Nello specifico si sono distinti due orientamenti, attestati su posizioni diametralmente opposte.
3.1. L’autorizzazione necessaria per il mantenimento delle linee
Una parte della dottrina, per vero minoritaria, ha ritenuto che il legislatore si sia mosso verso una restrizione della possibilità di utilizzo delle linee autoliquidanti da parte dell’imprenditore che insti per l’utilizzo di uno degli strumenti di risoluzione concordata delle crisi di impresa.
Secondo tale impostazione, la disposizione di nuova introduzione avrebbe l’effetto di mutare in radice il modo di considerare gli utilizzi di linee di credito autoliquidanti in costanza di procedura.
È in particolare sorto – legittimamente, considerando la lettera della norma – il dubbio che il mantenimento delle linee autoliquidanti in essere al momento della presentazione della domanda non sia per nulla scontato.
La necessità di apposita autorizzazione da parte del Tribunale andrebbe in sostanza a smentire la configurazione dell’utilizzo delle linee in essere come atto di ordinaria amministrazione[9].
Nello specifico, poi, in mancanza di autorizzazione, i crediti bancari originati dall’utilizzo delle linee autoliquidanti da parte dell’imprenditore in costanza di procedura non potrebbero beneficiare della natura prededuttiva[10].
L’impostazione dottrinaria in oggetto è arrivata finanche a prospettare che i contratti bancari definiti come autoliquidanti, in caso di attivazione di uno strumento di composizione concordata delle crisi d’impresa, proseguano soltanto in caso di ottenimento dell’espressa autorizzazione ex art. 182-quinquies, co. III, L.Fall..
Qualora non si ottenesse o non si richiedesse alcuna autorizzazione, invece, si avrebbe “lo scioglimento (o quantomeno la sospensione) dei contratti di liquidità”[11].
La tesi sopra esposta è stata sostenuta, in giurisprudenza, da una delle rare pronunce in materia.
Secondo l’organo giudicante, sarebbe a causa della complessità dei contratti c.d. autoliquidanti e, per esteso, della loro natura prededucibile, che il legislatore avrebbe richiesto “un preventivo vaglio, e quindi un’autorizzazione del Tribunale per mantenere e quindi utilizzare le linee di credito autoliquidanti”[12].
3.2. La ratio legis
È evidente che un’impostazione con i connotati sopra descritti si porrebbe in netto ed aperto contrasto con le ragioni ispiratrici della riforma.
L’analisi deve imprescindibilmente muovere dal già menzionato ruolo centrale che le linee autoliquidanti hanno per l’impresa che abbia attivato uno strumento di composizione concordata della crisi.
Se la ratio legis è quella di porre rimedio al credit crunch che si verifica, in modo particolare, con riguardo alle imprese in difficoltà, allora la richiesta di un’autorizzazione al tribunale per il mantenimento di linee di credito autoliquidanti appare controproducente[13]: l’effetto sarebbe l’interruzione delle anticipazioni al momento della domanda di concordato[14].
Anche la giurisprudenza di merito ha avuto modo, recentemente, di prendere posizione sui motivi che hanno spinto il legislatore ad introdurre le citate modifiche all’art. 182-quinqiues, L.Fall..
Segnatamente, si è ritenuto che la ratio della riforma sia quella “di facilitare in ogni modo ed in ogni fase, per l’impresa in concordato continuativo, l’assunzione dei finanziamenti”[15], da una parte favorendo la conservazione del complesso produttivo e, dall’altra, evitando di restringere le possibilità di utilizzo di risorse finanziarie di cui, in verità, l’impresa già usufruisce.
3.3. L’autorizzazione come norma ultronea
Anche alla luce di quanto sopra, non appare ragionevole sostenere che il legislatore abbia voluto ulteriormente “stringere i cordoni” della metaforica borsa cui possono attingere le imprese in difficoltà finanziarie.
Coerentemente, la giurisprudenza di merito ha preso in prevalenza posizione a favore della non necessarietà dell’autorizzazione prevista dall’art. 182-quinqiues, co. III, ult. per., L.Fall..
In particolare, si è rilevato come tale autorizzazione risulti “ultronea”.
La disciplina di riferimento sarebbe, secondo questa impostazione, in ogni caso l’art. 169-bis, L.Fall. e di conseguenza, “in assenza di istanza di autorizzazione allo scioglimento dei contratti pendenti” da parte dell’imprenditore, “i rapporti giuridici negoziali proseguono”[16] indipendentemente dalla richiesta o dalla concessione dell’autorizzazione in oggetto.
Ancora molto di recente il giudice di merito ha ritenuto che la disposizione di cui si discorre “abbia la mera funzione esemplificativa del tipo di finanziamenti a cui l’impresa in concordato prenotativo può accedere in via d’urgenza”[17].
Nessuno sconvolgimento normativo, dunque, considerando che con la normativa dell’estate 2015 il legislatore non avrebbe avuto intenzione di introdurre il principio della cessazione dell’efficacia dei contratti autoliquidanti in essere, né tantomeno di prevedere una ulteriore pastoia procedurale
Esempio della fondatezza dell’impostazione, ove ancora occorresse, è l’esito della sentenza del Tribunale di Ancona più sopra citata; il giudice infatti non concede alcuna autorizzazione, ma si limita a prendere atto del mantenimento delle linee di credito autoliquidanti in essere.
4. Conclusioni
Alla luce di quanto sopra esposto, l’impostazione che considera obbligatoria l’autorizzazione va rifiutata per contrasto con il generale favor legislativo per la continuità aziendale.
Il secondo orientamento, dal canto suo, sembra propendere per una totale inutilità della novella legislativa.
È allora lecito domandarsi se non possa essere conferito all’autorizzazione in oggetto un significato, per così dire, intermedio, in linea con la tendenza alla continuità e tuttavia comportante una qualche portata innovativa.
Un apprezzabile tentativo è stato compiuto da autorevole dottrina, che ha fatto leva sulla sempre più frequente revoca, da parte degli istituti di credito, delle linee di credito autoliquidanti allorquando l’imprenditore attivi uno strumento di composizione concordata della crisi.
Tale pratica è in larga parte dovuta al timore, da parte delle banche, del mancato riconoscimento della prededucibilità ai crediti derivanti dall’utilizzo delle linee di credito autoliquidanti mantenute in costanza di procedura.
In quest’ottica, l’autorizzazione costituirebbe “uno strumento finalizzato ad agevolare la concessione del credito”[18] in quanto, rafforzando e “giurisdizionalizzando” la prededucibilità dei crediti derivati dalle linee autoliquidanti, risulterebbero quantomeno ridimensionati i timori degli istituti di credito addotti a motivazione della revoca delle linee stesse[19].
L’autorizzazione del Tribunale, così interpretata, agirebbe dunque su un duplice versante: da una parte impedirebbe alla banca di congelare le linee di credito in essere al momento di presentazione della domanda o di chiederne il rientro mentre, dall’altro, potrebbe inibire le clausole negoziali che conferiscono all’istituto di credito la facoltà di sospendere o recedere dal contratto autoliquidante ad nutum ovvero in conseguenza dell’attivazione dello strumento di composizione della crisi.
In conclusione, potrebbe sostenersi che l’autorizzazione prevista dall’art. 182-quinquies, co. III, L.Fall. non abbia ad oggetto il mero mantenimento delle linee autoliquidanti, ma sia invece da interpretarsi come una domanda volta a consentirne comunque l’utilizzo[20].
[1] Lamanna, La miniriforma (anche) del diritto concorsuale secondo il decreto “Contendibilità e Soluzioni Finanziarie” n. 83/2015: un primo commento, in il Fallimentarista, 2015, 10. Nello stesso senso anche Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l.132/2015 e prossima riforma organica, Zanichelli, 2016, 120, secondo cui “di dubbia pertinenza appare il riferimento al mantenimento delle linee di credito autoliquidanti, giacché a ben vedere non di finanziamento si tratta bensì di contratto pendente, soggetto come tale all’applicazione dell’art. 169-bis L.Fall.”.
[2] “Per linee di credito autoliquidanti s’intendono generalmente quelle facilitazioni finanziarie con cui gli istituti bancari assumono il rischio di credito caratterizzato da una relazione qualificata tra l’affidamento concesso al cliente e la pretesa creditoria da questi vantata nei confronti di un terzo: la banca smobilizza un credito non ancora scaduto anticipandone al cliente il valore nominale, se del caso previa deduzione dell’interesse, a fronte della canalizzazione del pagamento del terzo a favore della banca stessa e fermo l’impegno del cliente a rendere il valore nominale dei crediti anticipati in caso di omesso pagamento del terzo” (Andretto, Effetti del concordato preventivo sulle linee di credito autoliquidanti aperte alla data della domanda, in Fall., 2016, 1372).
[3] Così Trib. Ancona, 11 ottobre 2016, in il Caso. V. anche Trib. Verona, 21 luglio 2014, in il Caso; Trib. Milano, 30 maggio 2013, in De Jure secondo cui costituiscono atti di ordinaria amministrazione in particolare “i contratti di affidamento se proseguono negli stessi limiti di fido e alle stesse condizioni già applicate anteriormente al deposito della domanda”.
[4] Trib. Milano, 11 dicembre 2012, in il Caso, secondo cui “la prosecuzione di rapporti negoziali pendenti all’atto della proposizione della domanda di concordato, ove relativi alla gestione caratteristica dell’impresa, sia che attengano a operazioni di carattere finanziario, sia che attengano a operazioni di carattere operativo, costituiscono atti di ordinaria amministrazione se hanno e mantengono la già pregressa funzione di conservare l’attività di impresa senza incidere innovativamente sul suo patrimonio. Nel caso di specie, l’operatività delle linee di credito non incide sui mezzi propri e deve considerarsi, pertanto, atto di ordinaria amministrazione”.
[5] Così Trib. Terni 12 ottobre 2012, in il Caso.
[6] V. Ferro, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, sub. art. 169-bis, Wolters Kluwer, 2014, 2289, per cui “senza autorizzazione, in genere i rapporti di finanziamento proseguono”; nello stesso senso Arato, Il concordato preventivo con riserva, Giappichelli, 2013, 113, secondo cui “costituisce atto di ordinaria amministrazione la continuazione dell’utilizzo delle linee di credito cd. autoliquidante a breve termine concesse dagli istituti di credito al debitore”.
[7] Filocamo, in Ferro (a cura di), La legge fallimentare. Commentario teorico-pratico, sub. art. 186-bis, Wolters Kluwer, 2014, 2711. Nardecchia-Ranalli, in Lo Cascio (a cura di), Codice commentato del fallimento, sub. art. 186-bis, Wolters Kluwer, 2015, 2334, secondo cui “i contratti in corso di esecuzione alla data di deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura e sono inefficaci eventuali patti contrati”; peraltro, secondo gli autori, la disciplina della procedura in continuità sarebbe da applicarsi anche qualora sia depositata una domanda di concordato in bianco ai sensi dell’art. 161, co. VI, L.Fall., “ferma restando la necessitò che, nei termini di legge sia presentato un piano di concordato con continuità aziendale corredato dalle informazioni e dall’attestazione di cui all’art. 186-bis L.Fall.”.
[8] In questo senso Trib. Ancona, 11 ottobre 2016, cit.; Trib. Verona, 21 luglio 2014, cit.; Trib. Monza, 10 giugno 2014, in il Caso.
[9] Fabiani, Riflessioni sistematiche sulle addizioni legislative in tema di crisi di impresa, in Nuove Leggi Civ. Comm, 2016, 57; Accettella, I finanziamenti alle imprese in regime di (pre)concordato dopo la legge n. 132/2015, in Dir. Fall., 2016, 83.
[10] Spolaore, Finanziamenti nelle procedure concorsuali, in il Fallimentarista, 2016, 6; Bottai, Speciale decreto “Contendibilità e Soluzioni Finanziarie” n. 83/2015: i finanziamenti interinali, in il Fallimentarista, 2015, 9.
[11] Brogi, La finanza interinale urgente, in Osservatorio OCI, 2016, 26.
[12] Trib. Bolzano, 5 aprile 2016, in il Caso.
[13] Farolfi, op. cit., 18; v. anche Bottai, op. cit., 9; Spolaore, op. cit., 6.
[14] Vitiello, Le operazioni di finanziamento nel preconcordato, in il Fallimentarista, 2016, 3.
[15] Trib. Ancona, 11 ottobre 2016, in il Caso.
[16] Trib. Rovigo, 26 novembre 2015, in il Caso.
[17] Trib. Ancona, 11 ottobre 2016, cit.
[18] Lamanna, op. cit., 10.
[19] Vitiello, op. cit., 3.
[20] Accettella, op. cit, 83.