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Editoriali

Il mondo alla rovescia ovvero il passaggio dal concordato o accordo di ristrutturazione con riserva al piano attestato: l’originale “invenzione” del legislatore

12 Giugno 2020

Luciano Panzani

già Presidente Corte d’Appello di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

Nelle ultime settimane molti studiosi, tra cui il sottoscritto, hanno avanzato proposte per affiancare al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione soluzioni più semplici per ovviare alla difficoltà di redigere e proporre ai creditori un piano di ristrutturazione sino a quando le condizioni del mercato, sconvolte dalla crisi pandemica, non si siano normalizzate. La possibilità introdotta dall’art. 9, comma 5 bis, del d.l. liquidità, convertito in legge 5 giugno 2020, n. 40, di ritardare di novanta giorni la presentazione del piano quando sia stata proposta domanda di concordato con riserva o domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione con riserva rappresenta un rimedio soltanto parziale perché allo scadere della proroga il piano dovrà essere presentato ed è improbabile che nel breve lasso di tempo di tre mesi le difficoltà che la redazione del piano oggi presenta possano essere superate.

Si è pertanto pensato ad una procedura interamente o parzialmente stragiudiziale, che consenta all’imprenditore di mantenere la gestione dell’impresa sotto il controllo di un soggetto terzo o del tribunale, che assicuri la sospensione delle azioni esecutive e cautelari, ma che non comporti la presentazione del piano, in ragione delle evidenti difficoltà che le imprese incontreranno nell’individuare il possibile futuro andamento dei mercati, sconvolti dalla crisi Covid[1]. Alcune di queste proposte hanno fatto riferimento alle procedure c.d. soft touch di origine anglosassone[2].

L’art. 9, comma 5 bis, del d.l. liquidità convertito ha parzialmente tenuto conto di questo dibattito ed ha innestato una nuova opzione per l’imprenditore nell’ambito del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione con riserva. Sino al 31 dicembre 2021 alla scadenza del termine concesso dal tribunale per la presentazione del piano di concordato o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione (che di nuovo presuppone il piano), l’imprenditore può rinunciare alla procedura se nel frattempo ha proposto un piano attestato e l’ha iscritto al registro delle imprese.

Com’è noto, il piano attestato è il risultato di un procedimento totalmente stragiudiziale, che non offre alcuna tutela dalle azioni esecutive e cautelari dei creditori durante le trattative. Tale tutela è invece assicurata dall’accordo di ristrutturazione i cui termini sono negoziati dall’imprenditore in sede extragiudiziale e per il quale è possibile domandare al tribunale la concessione di un termine per la presentazione della domanda di omologazione, beneficiando nel contempo della sospensione delle azioni esecutive. La presentazione dell’istanza ha effetto automatico, anche se deve essere successivamente confermata dal tribunale competente anche ad omologare l’accordo di ristrutturazione.

La nuova disciplina introdotta dall’art. 9, comma 5 bis, del d.l. 23/2020, dà ora al debitore la possibilità di optare alla scadenza del termine per la presentazione di un piano attestato. L’imprenditore può quindi beneficiare della sospensione delle azioni esecutive senza sottoporre il piano al tribunale ai fini del giudizio di fattibilità. Mentre con il concordato con riserva o con l’accordo di ristrutturazione con riserva l’imprenditore può ritardare la presentazione del piano, rimanendo comunque soggetto alla valutazione del tribunale sulla sua fattibilità, ora egli può porre fine alla procedura dichiarando di aver presentato un piano attestato, purché ne documenti il deposito presso il registro delle imprese. Il tribunale prima di dichiarare l’improcedibilità della domanda di concordato o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione, deve soltanto verificare “la completezza e regolarità della documentazione”. Non ha quindi il potere di accertare la fattibilità del piano.

Se il debitore rinuncia al concordato o all’accordo di ristrutturazione, egli raggiunge l’intesa con i creditori in via integralmente stragiudiziale, grazie al piano attestato. Tuttavia egli può beneficiare dell’effetto automatico di sospensione delle azioni esecutive e cautelari senza alcun controllo sul contenuto della proposta e sulle condizioni dell’impresa da parte del giudice.

Va notato che il codice della crisi e dell’insolvenza la cui entrata in vigore è stata rinviata al 1 settembre 2021 dall’art. 5 del d.l. 23/2020, ha conservato le procedure di concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, accentuando il controllo del tribunale. Si è previsto, infatti, che il tribunale debba comunque nominare un commissario giudiziale, deputato al controllo sull’attività d’impresa, sin dal momento della richiesta di concessione del termine per la presentazione del piano, sia nel caso del concordato che dell’accordo di ristrutturazione. Tale modifica è stata criticata da una parte dei commentatori perché accentua in misura eccessiva il controllo del tribunale sull’impresa. Ora sino al 31 dicembre 2021 sarà invece possibile accedere al concordato o all’accordo di ristrutturazione con riserva e far seguire alla scadenza la certificazione del deposito del piano attestato per beneficiare della sospensione delle azioni esecutive senza dover sottostare ad alcun controllo sul contenuto del piano, perché quest’ultimo verrà presentato dopo la rinuncia alla procedura e quindi quando è venuto meno ogni controllo sull’attività di gestione. Nel caso in cui la rinuncia alla domanda segua alla richiesta del termine per la presentazione della domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione, secondo la disciplina dettata oggi dall’art. 182 bis, commi VI e ss., non vi sarà neppure un controllo sulla gestione dell’impresa durante la fase sospensiva perché allo stato non è prevista la nomina del commissario giudiziale.

Si è osservato nei primi commenti[3] che anche prima della riforma sarebbe stato possibile rinunciare alla domanda di concordato con riserva o di omologazione dell’accordo di ristrutturazione per poter poi redigere il piano attestato. Il legislatore ha soltanto previsto l’obbligo di depositare il piano presso il registro delle imprese, mentre non si dubitava in dottrina e giurisprudenza della legittimità della rinuncia alla domanda di concordato. Per altro verso un comportamento opportunistico del debitore, diretto a sfuggire al controllo giudiziale in pendenza della procedura con riserva, non impedirebbe ai creditori ed al P.M. di presentare istanza di fallimento non essendovi più un procedimento giudiziale pendente che possa, in qualche misura, fungere da schermo contro tale tipo di iniziative. Di qui la conclusione della sostanziale inutilità della nuova opportunità che il legislatore ha dato all’imprenditore di ricorrere al piano attestato.

In prospettiva leggermente diversa si è osservato che l’avvio della procedura di concordato o accordo con riserva consente di chiedere al tribunale l’autorizzazione a contrarre finanziamenti che, a determinate condizioni, beneficiano della prededuzione. Sono inoltre prededucibili gli atti legalmente compiuti durante la procedura di concordato con riserva. Sino alla scadenza del termine, inoltre, tanto che si tratti di concordato o accordo, il tribunale può autorizzare il pagamento di crediti anteriori[4] all’apertura della procedura per prestazioni di beni e servizi, purché essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori. Il pagamento dei crediti anteriori costituisce un’importante deroga al principio della par condicio. La presentazione della domanda di concordato con riserva ha effetto sospensivo del decorso degli interessi sui crediti anteriori ed incide sulle garanzie prestate nei novanta giorni anteriori.

Si conservano questi effetti quando alla procedura con riserva si sostituisce il piano attestato? Alcuni certamente sì. Si può discutere ad esempio se la prededuzione possa esser fatta valere come tale una volta chiusa la procedura con riserva, ma resta che i creditori in prededuzione avranno azione immediata nei confronti del debitore tornato in bonis. Un autorevole commentatore ha ora prospettato la tesi che l’introduzione da parte del legislatore dell’art. 5 bis si giustifica soltanto a condizione di ammettere che tutti gli effetti che si sono prodotti nel corso della procedura con riserva si conservino successivamente e che quindi, ad esempio, non si possano domandare gli interessi sospesi in pendenza della domanda di concordato, permanga l’inefficacia delle garanzie concesse nei novanta giorni anteriori alla data della medesima domanda[5].

Il riconoscimento della prededuzione si giustifica nell’ambito di una procedura giudiziale o comunque soggetta ad omologazione (come l’accordo di ristrutturazione). Si ritiene generalmente che essa possa esser fatta valere, in virtù del principio di consecuzione delle procedure concorsuali, anche nel successivo eventuale fallimento[6]. La prededuzione non è invece compatibile con un procedimento interamente stragiudiziale come il piano attestato[7], anche se come si è detto il creditore può certamente pretendere il pagamento dal debitore in bonis. Il pagamento dei debiti anteriori non contrasta invece con la disciplina del piano attestato che non richiede il rispetto della par condicio e prevede l’esonero da revocatoria dei pagamenti e delle garanzie concesse in attuazione del piano.

La nuova disciplina prevede che la rinuncia alla procedura di concordato o accordo con riserva sia soggetta ad una verifica di pura regolarità formale da parte del tribunale. In passato la giurisprudenza si è sovente preoccupata di garantire un maggior controllo sull’operato dell’imprenditore potenzialmente lesivo dei diritti dei creditori. E’ quindi possibile pensare che i tribunali possano subordinare l’approvazione della rinuncia alla procedura di concordato e/o di accordo ad un controllo sulla fattibilità del piano attestato[8]. Come si è accennato, tuttavia, tale soluzione non sarebbe essenziale per la tutela dei creditori e per salvaguardare l’iniziativa del P.M. Con la chiusura della procedura di concordato o di omologa dell’accordo di ristrutturazione, i creditori riacquistano, infatti, la possibilità di agire esecutivamente o di chiedere misure cautelari ed anche di domandare il fallimento. Ne deriva che l’opzione per una procedura stragiudiziale quale il piano attestato può tutelare efficacemente le ragioni dell’impresa, soltanto se il piano è davvero in grado di porre rimedio alla situazione di crisi.

Quest’ultima considerazione ci riporta al tema da cui eravamo partiti: la difficoltà di redigere un piano che ha spinto a trovare forme di controllo soft sulla gestione che possano tranquillizzare i creditori almeno per un certo tempo, senza prevedere una scadenza rigida per la presentazione del piano, perché il problema da risolvere è proprio la difficoltà di trovare una soluzione alla crisi in una situazione variabile ed imprevedibile qual è quella provocata dalla pandemia. La soluzione “inventata” dal legislatore che abbiamo esaminato, non risolve questo problema. Anche se la procedura davanti al tribunale si chiude, il piano dovrà essere redatto, iscritto a registro imprese e soprattutto attuato. Soltanto un piano ragionevole e credibile eviterà che i creditori assumano iniziative per la dichiarazione di fallimento. L’auspicio è che il legislatore prenda consapevolezza di questa esigenza e trovi ispirazione in una delle varie proposte che sono state formulate in sede tecnica, limitando al massimo i pur necessari controlli sull’attività d’impresa, anche al fine di ridurre i costi di procedura, senza però cadere nell’ingenuità di pensare che una soluzione interamente stragiudiziale, senza l’ombrello dalle azioni esecutive e cautelari dei creditori possa essere sufficiente.

 

[1] Si veda F. Benassi, Brevi spunti per un’agile procedura di “sostegno” alle imprese in crisi da Coronavirus, in Ilcaso.it, 2020. L’A. suggerisce una procedura in cui vi sia soltanto vigilanza sull’impresa senza necessità di autorizzazione per il compimento di atti di straordinaria amministrazione. Tale soluzione parrebbe a prima vista opportuna per semplificare al massimo l’accesso e il regime della procedura e ridurre anche l’impatto di tante domande sui tribunali. Va però tenuto conto del rischio di moral hazard per cui sarebbe forse opportuno immaginare che di fronte ad irregolarità, emerse anche nell’accesso e nell’utilizzo dei finanziamenti, il tribunale possa decidere l’adozione di un regime di controllo più rigoroso ovvero disporre la chiusura della procedura. Da ultimo Abriani-Rinaldi, Emergenza sanitaria e tutela proporzionata delle imprese: oltre la domanda “tricolore”, in www.ilcaso.it, 2020, p. 3, che ipotizzano un’autodichiarazione dell’imprenditore pubblicata sul registro delle imprese cui segue l’improcedibilità dell’azione monitoria del creditore con benefici effetti sul mantenimento delle linee di credito bancarie.

[2] Si veda il progetto in G. Corno L. Panzani, Proposta di legge per una moratoria straordinaria volta a gestire l’emergenza, tramite l’istituzione della procedura di “amministrazione vigilata”, in IlCaso.it, 2020. Si era proposta una procedura di moratoria semplificata, dove la sospensione delle azioni esecutive e cautelari per un periodo prefissato seguiva in via automatica alla iscrizione nel Registro delle imprese di una dichiarazione del debitore, in una con la documentazione che fotografava la situazione dell’impresa, e con indicazione di un professionista con funzione di sorveglianza, sempre tra i soggetti che avevano i necessari requisiti di professionalità, onorabilità ed indipendenza, salva la facoltà del tribunale di designare altro soggetto su istanza dei creditori o del P.M. Ai creditori ed al P.M. doveva essere riservata la possibilità di proporre opposizione, per ragioni predeterminate.

Si veda in proposito l’Insolvency Corporate and Governance Bill presentato dal Governo del Regno Unito, che prevede una procedura di moratoria di breve durata, destinata a sfociare in una delle procedure di ristrutturazione già previste dall’Insolvency Act del 1986. Si veda anche il progetto di procedura di ristrutturazione semplificata in corso di approvazione davanti al Parlamento polacco.

[3] M. Irrera, Le novità in tema di procedure concorsuali nella conversione in legge del decreto liquidità (ovvero di quando i rimedi sono peggiori del male o inefficaci), in Ilcaso.it, 2020; S. Ambrosini, La rinuncia al concordato preventivo dopo la legge (n. 40/2020) di conversione del “decreto liquidità”: nascita di un “ircocervo”?, ivi.

[4] Cfr. art. 182 quinquies, commi 5 e 6, l.fall.

[5] Così M. Fabiani, Il piano attestato di risanamento “protetto”, in corso di pubblicazione su il Fallimento.

[6] In questi termini da ultimo cfr. Cass. 11 giugno 2019, n. 15724, in Fallimento, 2019, 1011, che ha affermato che la prededuzione sussiste tra procedure concorsuali che si susseguano con riferimento alla medesima situazione di crisi di impresa. Si veda anche l’art. 6, comma 2, CCII.

[7] Resta a vedere se, nel caso in cui il piano attestato non andasse a buon fine e venisse dichiarato il fallimento, i creditori potrebbero far valere la prededuzione per i finanziamenti autorizzati in pendenza della domanda di concordato o di accordo di ristrutturazione con riserva. La consecuzione delle procedure potrebbe esser negata per esservi stata, con la rinuncia alla procedura nella quale era stato pronunciato il provvedimento di autorizzazione del finanziamento, il ritorno in bonis del debitore. In tal modo però si darebbe rilevanza ad una vicenda sulla quale il creditore non ha alcuna possibilità di incidere e che è successiva al provvedimento autorizzativo del tribunale in base al quale il finanziamento è stato erogato. Si potrebbe invece argomentare dall’esito del piano attestato e dalla riferibilità dell’insolvenza già alla procedura di concordato con riserva.

[8] In passato la rinuncia alla domanda di concordato è stata vista con cautela da parte dei tribunali prestandosi a possibili abusi diretti ad impedire l’apertura di una procedura di fallimento tramite la revoca della domanda e la sua ripresentazione con qualche modifica. Si veda per tutti S.Ambrosini, La modifica, la rinuncia e la ripresentazione della domanda di concordato preventivo, in Ilcaso.it, 2014, segnalando che le conclusioni dell’A. favorevoli alla rinnovazione della domanda non sono state accolte dalla giurisprudenza.

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