La Procura Generale presso la Corte di Cassazione (Sostituto del Procuratore Generale Dott. Nardecchia), all’udienza del 18 febbraio 2025 innanzi le Sezioni Unite, ha presentato le proprie conclusioni in ordine alla notoria questione, dibattuta in giurisprudenza, della validità quale titolo esecutivo del c.d. mutuo solutorio.
Della questione giuridica e delle conseguenze pratiche e applicative della pronuncia delle Sezioni Unite, ormai prossima, se ne discuterà ampiamente nel corso del nostro prossimo webinar del 03 aprile 2025 “Il contratto di mutuo come “titolo del credito” e come titolo esecutivo“.
In particolare, chiede l’affermazione del seguente principio di diritto: “il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, non rilevando, a tal fine, che sia previsto, nell’accordo tra le parti, l’obbligo di utilizzare quella somma ad estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante. L’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario integra la traditio rei dato che in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario. Nel mutuo solutorio il ripianamento delle precedenti passività costituisce una legittima e fisiologica modalità di impiego dell’importo mutuato entrato nella disponibilità giuridica del mutuatario. Il contratto di mutuo solutorio costituisce valido titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 c.p.c.”.
Preliminarmente, la Procura ricorda alle Sezioni Unite l’orientamento maggioritario in ordine alla validità del mutuo solutorio (ovvero quel contratto di mutuo stipulato per ripianare una pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante): tale contratto non sarebbe nullo, secondo tale indirizzo in quanto non contrario né alla legge, né all’ordine pubblico, e non può essere qualificato come una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente, oppure quale pactum de non petendo, in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro, poiché l’accredito in conto corrente delle somme erogate è sufficiente a integrare la datio rei giuridica propria del mutuo e il loro impiego per l’estinzione del debito già esistente “purga” il patrimonio del mutuatario di una posta negativa.
Conseguentemente, secondo tale indirizzo, il perfezionamento del contratto di mutuo, con la consequenziale nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità del mutuatario medesimo, non rilevando, a tale fine, che sia previsto l’obbligo di utilizzare quella somma a estinzione di altra posizione debitoria verso il mutuante.
L’indirizzo minoritario, a contrario, sostiene che l‘utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituisce un‘operazione meramente contabile in dare e avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, che presuppone sempre l’avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario: tale operazione determina di regola gli effetti del pactum de non petendo ad tempus, restando modificato soltanto il termine per l’adempimento, senza alcuna novazione dell’originaria obbligazione del correntista.
La Procura sottolinea che il problema giuridico principale nella controversia riguarda la corretta interpretazione del concetto di “disponibilità giuridica” delle somme erogate a titolo di mutuo: mentre entrambi gli orientamenti giurisprudenziali concordano sul fatto che, per il perfezionamento del mutuo, sia sufficiente la dazione giuridica delle somme, ovvero il trasferimento formale e non necessariamente materiale delle stesse, il contrasto emerge sull’interpretazione della “traditio“, ovvero sulle modalità di passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario.
Diviene essenziale, pertanto, stabilire se l’accredito su un conto corrente per estinguere un debito esistente possa essere considerato come una vera e propria “traditio” che rende le somme disponibili al mutuatario.
La Procura, nelle proprie conclusioni, dà continuità all’orientamento maggioritario: al fine di rendere applicabili le norme sul mutuo, il ruolo della consegna può essere svolto da qualsiasi meccanismo che in concreto sia in grado di realizzare tale situazione giuridica e la traditio non deve essere necessariamente fisica, ma può essere anche soltanto giuridica, con la conseguenza che, al fine della sua realizzazione, l’accredito sul conto corrente del mutuatario realizza di per sé la condizione necessaria e sufficiente
Sostenere, come l’indirizzo minoritario, che il mutuo solutorio esuli dalla “natura tipologica” del contratto di mutuo, riducendosi ad una partita contabile, è affermazione, per la Procura (come si legge nelle conclusioni presentate innanzi le Sezioni Unite), che si pone lontana dalla realtà nell’epoca della moneta elettronica, ove in qualsiasi forma di pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal, la solutio si riduce ad una “partita contabile”; tutti questi atti solutori si sostanziano in una mera annotazione contabile o, al limite, in una delegatio solvendi.
Per la Procura, la traditio rei è provata dallo stesso atto dispositivo del mutuatario, che non avrebbe potuto disporre il ritrasferimento alla banca dell’importo mutuato se non avesse avuto la disponibilità giuridica del capitale: proprio la pattuizione che assegna al mutuante l’incarico di utilizzare la somma mutuata per ripianare pregresse perdite, implica che sia stato proprio il mutuatario a disporre, tramite il conferimento di quell’incarico, delle somme medesime.
Il contratto di mutuo si conclude quindi, anche nel caso del mutuo solutorio con il conseguimento della disponibilità giuridica della somma, a prescindere dalla successiva destinazione delle somme, che costituisce un atto ulteriore, autonomo, sia pure collegato al primo, in quanto esecutivo del medesimo programma negoziale voluto dalle parti.
Nel mutuo solutorio, il regolamento negoziale è concepito infatti per una specifica funzione concreta, ovvero estinguere la precedente esposizione debitoria del mutuatario con denaro prestato dalla banca, per una nuova durata e nuove scadenze, a patto che lo stesso mutuatario si impegni a effettuare il rimborso a tali scadenze, eventualmente a condizioni contrattuali diverse da quelle precedenti: le particolari modalità di destinazione conformi all’operazione programmata dalle parti, nell’accordo sul mutuo, non costituiscono una deroga rispetto alla norma che per l’instaurazione del rapporto di mutuo richiede l’avvenuta consegna, ma ne costituiscono la naturale attuazione.
La validità o l’esistenza del contratto di mutuo non dipende dalla legittimità o meritevolezza dei meccanismi di consegna e/o destinazione delle somme: bisogna soltanto valutare se tali modalità siano compatibili con il mutuo solutorio, la cui causa concreta consiste nell’estinzione della precedente esposizione debitoria del mutuatario con denaro prestato dalla banca, nell’ambito di un contratto che prevede normalmente una nuova durata e nuove scadenze, a patto che lo stesso mutuatario si impegni a effettuare il rimborso a tali scadenze, se del caso a condizioni contrattuali diverse da quelle precedenti.
Dalla ricostruzione sistematica proposta dalla Procura nelle proprie conclusioni innanzi le Sezioni Unite, in adesione all’indirizzo maggioritario della Cassazione, pertanto, “ne deriva, quale logico precipitato, che in tale ipotesi il contratto di mutuo solutorio costituisce valido titolo esecutivo ai sensi dell’art. 474 C.p.c.“