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Giurisprudenza

Il nesso di causalità tra omissione delle informazioni e danno subito dal cliente può provarsi per presunzioni e trova applicazione la regola del “più probabile che non”

29 Agosto 2017

Luca Astorri

Cassazione Civile, Sez. I, 1 giugno 2017, n. 13884 – Pres. Ambrosio, Rel. Di Marzio

Di cosa si parla in questo articolo

Nelle controversie in tema di responsabilità dell’intermediario per inadempimento degli obblighi informativi su di esso gravanti ai sensi dell’art. 21, co. 1, lett. a) e b) del TUF e delle corrispondenti disposizioni regolamentari di attuazione, la prova del nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno lamentato grava sul cliente che la può fornire anche tramite presunzioni. Peraltro, vertendosi in ipotesi di causalità omissiva, trova applicazione, nella valutazione sulla base di presunzioni, la regola del “più probabile che non”, dovendo il giudice accertare secondo un giudizio probabilistico condotto sulla prognosi postuma se, ove adeguatamente informato, l’investitore avrebbe desistito dall’investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Alla luce di questo principio di diritto la Cassazione ha ritenuto censurabile la motivazione della impugnata sentenza ove, pur riconoscendo l’inadempimento dell’obbligo informativo da parte dell’intermediario e l’omissione della valutazione e comunicazione all’investitore dell’inadeguatezza dell’investimento proposto (nella specie: obbligazioni della Repubblica argentina acquistate nel luglio 2001) non aveva ritenuto provato il nesso di causalità in ragione della precedente operatività del cliente in titoli di stato della Repubblica Argentina, del suo profilo di rischio e del peso dell’investimento sul complessivo portafoglio investito. La Suprema Corte ha invece confermato i precedenti orientamenti secondo i quali «ogni ragione di pericolosità di un investimento mobiliare se adeguatamente comunicato e valorizzato potrebbe già da solo, secondo parametri di normalità, porre il cliente sull’avviso e, se non altro, suscitare in lui un forte dubbio in ordine alla sicura percorribilità dell’affare. E tanto basta alla sussistenza del nesso di causalità, da scrutinarsi secondo la regola del “più probabile che non”» (cfr. Cass., sez. I, giugno 2016, n. 11466).

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