1 – Considerazioni generali. Il mutuo e il controllo di legalità da parte del notaio
E’ ben noto che il proprium dell’attività notarile risiede nel controllo di legalità, cioè nella verifica della conformità degli atti che riceve alle norme imperative dell’ordinamento interno.
L’esercizio di tale attività riguardo ai contratti bancari determina una serie di problemi di non poco momento, soprattutto riguardo ai casi in cui il rapporto negoziale coinvolge il consumatore.
Il tema è complesso e si riflette, probabilmente, anche sul piano della disciplina generale del contratto, in particolare riguardo a uno dei suoi requisiti fondamentali, essendo il nostro un ordinamento fondato sul principio del consenso.
La contrattazione bancaria è infatti, per ovvie ragioni, impostata sulla standardizzazione contrattuale, che ha l’evidente finalità di ridurre i costi di transazione, essendo inimmaginabile, dal punto di vista dell’analisi economica del diritto, che i contratti bancari possano essere negoziati individualmente. E l’autonomia dei singoli funzionari bancari, nulla riguardo al testo contrattuale, difficilmente modificabile (ma su ciò torneremo), ha scarsi margini di espressione anche riguardo alla componente più strettamente finanziaria dei contratti medesimi, cioè al tasso di interesse e ai tempi di rimborso.
Dal punto di vista pratico, e l’esperienza professionale lo dimostra, in questo settore si assiste a un evidente conflitto tra l’interesse del privato a ottenere il finanziamento e quello del notaio quale custode della conformità a legge degli atti negoziali dei privati medesimi.
Contribuisce a questo stato di cose la formulazione dell’art. 33 del Codice del consumo, il quale considerando vessatorie le sole clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, certamente non aiuta, come vederemo.
Ma anche l’art. 36, comma 1, dello stesso codice, che nello stabilire che le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto, pone il tema del rapporto tra controllo notarile e nullità parziale, che mette il notaio in una delicata posizione, sia per ciò che riguarda il profilo della responsabilità disciplinare, sia, e forse ancor di più, per ciò che riguarda il modo di coniugare il ruolo di tutore dell’ordinamento con le esigenze proprie del consumatore, il cui scopo principale è, come già detto, quello di ottenere il finanziamento, essendo egli sostanzialmente disinteressato al contenuto della clausole contrattuali.
D’altro canto può osservarsi che talune di tali clausole vessatorie hanno la funzione di disciplinare eventi quanto mai imprevedibili a verificarsi, e rispetto a esse il controllo di legalità da parte del notaio non solo rischia di ridursi quasi a un esercizio teorico ma potrebbe determinare, dal lato del soggetto finanziato, ancora una volta un aumento dei costi di transazione. Un corretto esercizio del controllo di legalità da parte del notaio potrebbe infatti condurre a una messa in discussione della legittimità di clausole la cui applicabilità sarà il più delle volte assai rara, con aggravio di tempi e costi e pregiudizio dell’esigenza del cliente (che nasce come cliente della banca, non del notaio, ciò che non viene mai preso in considerazione quando si discute di questi argomenti), il cui principale se non esclusivo interesse è, appunto, ottenere il denaro nel più breve tempo possibile.
I clienti, probabilmente, non possono comprendere e assai spesso non vorrebbero comunque conoscere ciò che eventualmente abbiano anche la capacità di comprendere.
Occorrerebbe quindi chiedersi, da un lato, se abbia ancora senso che le banche mantengano siffatte – più o meno discutibili – clausole o se sia invece più opportuno espungerle dal regolamento contrattuale; dall’altro quale sia il ruolo del notaio rispetto ai contratti bancari e segnatamente rispetto al mutuo fondiario o ipotecario e all’apertura di credito in conto corrente garantita da ipoteca, che sono i due principali contratti in cui egli è chiamato a intervenire.
D’altro canto che il regolamento contrattuale, di fatto imposto dalle banche abbia scarsa o nulla influenza sul piano del contenzioso sembra confermato dall’analisi della giurisprudenza più recente, impegnata a occuparsi della sola valutazione della legittimità, per l’appunto, delle clausole contrattuali riguardanti la componente finanziaria del contratto, rimanendo la valutazione di legittimità del resto delle clausole contrattuali sostanzialmente sullo sfondo salvo i casi, che vedremo, in cui la controversia verte sulla legittimità del contratto in quanto tale (tipici esempi: il mutuo per l’estinzione di passività pregresse; il mutuo affermato come fondiario che poi non si rivela tale).
Com’è stato di recente osservato, il nostro ordinamento nasce come fondato sulla libertà negoziale, che trova attuazione in funzione della realizzazione degli interessi egoistici dei contraenti, che si esprime attraverso il principio di autoresponsabilità e che presuppone la disponibilità dell’oggetto della negoziazione e dell’interesse negoziato.
Occorre allora chiedersi se questo modello sia compatibile con il contratto di mutuo, là dove esso sia stipulato con un consumatore (ma anche con un non consumatore, salvo si tratti di contraente la cui forza contrattuale sia paragonabile a quella della banca).
E’ infatti evidente l’esistenza di un’asimmetria informativa, per cui il potere di apprezzare il contenuto contrattuale, anche riguardo alla sua componente finanziaria, non è lasciato alla libertà dello stipulante, il quale non pare essere in grado di valutare la convenienza, oserei dire, del “prodotto” acquistato. La libertà negoziale è ridotta e, conseguentemente, ne risulta ridotto anche il principio di autoresponsabilità.
In definitiva, sembra potersi dire che anche rispetto al mutuo, come anche in altre tipologie contrattuali la contrattazione avviene utilizzando un modello che non è esattamente conforme a quello classico disegnato dal codice civile.
A ben vedere a questo esito ha contribuito, senza dubbio, il diritto comunitario che ha trasformato il principio del consenso proprio del nostro codice civile in quello del c.d. consenso informato.
Davvero si può parlare, rispetto al contratto di mutuo, sia pure stipulato con l’intervento del notaio, di negozialità delle dichiarazioni e di ricerca di reale intenzione del contraente mutuatario? Gli atti notarili si chiudono con la menzione dell’interpello del notaio alle parti se quanto letto corrisponde alla loro conforme volontà. E’ così anche nel mutuo? E’ credibile che in tali contratti esistano clausole oggetto di trattativa? La trattativa presuppone che le parti abbiano: a) discusso in dettaglio il contenuto della clausola; b) formulato possibili testi o ipotesi alternative; c) approvato, dopo l’avvenuto dibattito, il testo predisposto senza modifiche. Tutto questo non accade mai o, se accade, accade, sorprendentemente, tra banca e notaio e non tra banca e cliente!
Nè vale a escludere la vessatorietà l’inserimento di una clausola che attesti che tutte le clausole sono state oggetto di trattativa individuale. Potremmo anzi dire che questa clausola è vessatoria in re ipsa! Anche la nota e diffusa clausola che prevede l’inapplicabilità di tutte le clausole contrattuali incompatibili con il Codice del consumo (e, in qualche caso “con le norme imperative”) è estremamente generica e generatrice di incertezza giuridica e, forse, essa stessa vessatoria.
Può dirsi, allora, che tale operazione negoziale è diventata puro rito, cioè procedimento, in cui la forma e la scansione degli atti costituiscono la causa efficiente (e sufficiente) dell’efficacia vincolante delle dichiarazioni.
Un’operazione negoziale nella quale il vero cliente del notaio non è affatto il mutuatario (che è solo colui che paga il compenso), bensì la banca, alla quale egli fornisce ciò che per la banca medesima costituisce valore essenziale: la due diligence relativa all’immobile da ipotecare a garanzia del mutuo. Il proprium dell’attività notarile in questo settore diventa quindi la relazione ipotecaria, che non per caso è indirizzata alla banca e non al mutuatario.
In sostanza si assiste a una trasformazione di tale operazione contrattuale, rispetto alla quale lo schema logico fondato sul consenso delle parti, impossibile da realizzare perché si tratta di contratti connotati da squilibrio e caratterizzati da asimmetria informativa, viene sostituito dal mero rispetto di oneri formali e procedimentali che fa presumere, appunto, il c.d. consenso informato.
Altra questione è se tale consenso sia davvero informato perché anche in questo ambito è importante distinguere tra trasparenza e informazione e, prima ancora, nell’ambito della trasparenza, tra trasparenza formale e sostanziale.
Tuttavia, se è vero che ormai si è passati dal dovere di "far conoscere" al dovere di "far comprendere”, non è meno vero che spesso si inonda il cliente con una marea di informazioni sovrabbondanti che non leggerà mai, che si potrebbe declinare affermando che si tratta di una sorta di “ti dico tutto ma in realtà non ti sto dicendo niente”.
Tra l’altro spesso tutto ciò diventa un mero simulacro, dato che non poche banche forniscono l’informazione direttamente in sede di stipula del contratto.
Lo stesso controllo notarile diviene difficile da esercitare, dato che, forse strategicamente, le banche trasmettono il testo contrattuale in tempi tali da impedire eventuali discussioni su clausole dubbie.
Il ruolo del notaio in questo contesto rimane, con non pochi sforzi e difficoltà operative, quello di garante della sicurezza nella circolazione giuridica e di certezza dei diritti che l’ordinamento italiano mette a disposizione di cittadini e imprese.
Ciò perché il mutuo non è un “affare privato”, bensì un’operazione economica che giustifica il suo controllo pubblico realizzato per il tramite del notaio, che quindi diviene strumento di tutela del credito e del risparmio, in attuazione dell’art. 47 Cost. che, appunto, dà ragione del perché in Italia non si siano verificate le ben note situazioni create dal mercato dei mutui c.d. subprime, che tanti guasti ha creato negli USA; in tale prospettiva, tra l’altro, si inserisce anche la norma sul limite di finanziabilità dei mutui fondiari, volta a impedire che le banche si espongano oltre un limite di ragionevolezza a finanziamenti a favore di terzi che, se non adeguatamente garantiti, potrebbero portare a possibili perdite di esercizio.
Il notaio diventa il punto di riferimento terminale dell’operazione di finanziamento, una sorta di responsabile del "procedimento" più che del “contratto”, tanto più che nel settore dei mutui l’iscrizione dell’ipoteca ha efficacia costitutiva e non dichiarativa.
L’individuazione di un “procedimento” è coerente, peraltro, con il carattere procedimentale della stessa attività notarile, quale emerge normativamente dal d.m. 2 agosto 2013, n. 106 in materia di parametri per la liquidazione dei compensi professionali, in cui l’attività notarile appare scandita in diverse “fasi” (fase istruttoria, fase di stipula e fase successiva alla stipula).
Il notaio rimane quindi centrale anche nell’erogazione del credito,“sovrintendendo” lo svolgimento di operazioni economiche coinvolgenti, appunto sia interessi privati che interessi pubblici.
2 – Clausole abusive e controllo notarile
Sul tema del rapporto tra clausole abusive e controllo notarile ho già in parte riferito e quindi non mi dilungherò né discuterò singole clausole.
Le conclusioni cui si giunge circa il ruolo del notaio sembrano però confermare che egli è, più che altro, il garante del procedimento.
La vessatorietà e il significativo squilibrio, com’è noto, si possono accertare valutando il contesto e non il testo; la valutazione deve tenere conto anche di aspetti di merito, di puro fatto. Il notaio non può quindi valutare la complessiva operazione economica, la quale è il contesto decisivo ai fini del giudizio di vessatorietà.
Con l’inevitabile conseguenza per cui in presenza di clausole vessatorie in un contratto redatto nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata non si applica l’art. 28l. not. Ciò anche a seguito della modifica normativa del Codice del consumo che ha sostituito il termine “inefficacia” con il termine “nullità” (che resta comunque parziale).
Il notaio, come detto, dovrebbe compiere una valutazione sul merito che coinvolge l’intero contratto, le circostanze che ne accompagnano la conclusione e persino un eventuale contratto collegato, ciò che esula dalle sue competenze; e dovrebbe inoltre compiere un giudizio in concreto, ciò che richiede una valutazione della situazione di fatto, che non sembra poter essere messa incondizionatamente a suo carico.
Il ruolo del notaio, allora, quale garante del procedimento, sarà quello di informare preventivamente le partidel contratto, e quindi sia la banca che il mutuatario, in ordine alla disciplina del Codice del consumo e alle conseguenze che detta disciplina può avere sulla validità e sull’efficacia delle clausole contrattuali. Attività utile e doverosa, da adempiere, nei limiti in ciò è consentito, anche in sede di stipula.
Sul punto è utile segnalare una decisione della CGUE del 10 settembre 2014 (causa n. C-34/13), che è stata spacciata come decisione che imporrebbe al giudice di vietare di vendita all’incanto della casa del consumatore qualora nel contratto siano presenti una o più clausole abusive.
Si è persino detto che a seguito di questa sentenza, in presenza di clausole abusive l’ipoteca è nulla e la procedura di espropriazione deve essere dichiarata improcedibile, affermazione che se vera sarebbe certo preoccupante.
Il caso è quello di un contratto di finanziamento garantito da ipoteca successivamente impugnato in ragione della presenza di clausole abusive. Il giudice di primo grado annullava in parte il contratto di credito, dichiarando che talune clausole contrattuali erano abusive mentre il contratto costitutivo della garanzia veniva integralmente annullato.
In sede di appello il giudice si adopera per accertare se una delle clausole del contratto costitutivo della garanzia, cioè quella relativa all’esecuzione stragiudiziale sul bene immobile che costituisce la garanzia fornita dal consumatore, presenti carattere abusivo e ricorda che tale clausola permette al creditore l’esecuzione sul bene oggetto della garanzia senza alcun controllo giudiziale. Questa clausola, peraltro, discende da una specifica disposizione normativa del diritto slovacco, cioè l’articolo 151j del codice civile, il quale prevede che «Se il credito garantito da un diritto reale di garanzia non è rimborsato debitamente e per tempo, il creditore garantito può dare inizio all’esecuzione sul bene dato in garanzia. Nell’ambito dell’esecuzione sul bene dato in garanzia il creditore garantito può soddisfarsi nel modo stabilito nel contratto oppure mediante la vendita del bene costituente la garanzia attraverso un’asta, secondo la legge speciale (…), oppure esigere il soddisfacimento mediante la vendita del bene costituente la garanzia secondo le leggi speciali (…), ove non sia altrimenti previsto da questo codice o da una legge speciale».
La legge speciale richiamata è una legge che consente al creditore di procedere all’esecuzione stragiudiziale sul bene e il giudice del rinvio dubita che questa legge sia elusiva del principio fondamentale del diritto dell’Unione relativo al controllo giudiziale d’ufficio delle clausole contrattuali anche in un contesto in cui la formulazione di siffatta clausola contrattuale proviene da una norma di diritto interno.
Il rinvio pregiudiziale riguarderebbe il contrasto con la Direttiva n. 93/13 concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori.
Questa legge prevede che, in caso di violazione delle disposizioni di essa, il soggetto che si considera danneggiato può chiedere al giudice di dichiarare la nullità della vendita all’asta. Il diritto di adire il giudice con una domanda di annullamento si estingue tuttavia se non viene esercitato entro i tre mesi seguenti all’aggiudicazione, a meno che i motivi dell’annullamento siano collegati alla commissione di un reato e la vendita riguardi una casa o un appartamento in cui il proprietario precedente era ufficialmente domiciliato.
Nel corso del giudizio, peraltro, la legge viene modificata e prevede che «In caso di contestazione della validità del contratto costitutivo della garanzia o di violazione delle disposizioni della presente legge, il soggetto che allega una lesione dei suoi diritti derivante da tale violazione può chiedere al giudice di dichiarare la nullità della vendita (…)».
La Corte afferma tuttavia che, dal momento che la Direttiva 93/13 non contiene alcuna indicazione relativa all’esecuzione sui beni oggetto di garanzia, spetta a ciascuno Stato membro disciplinare la stessa, in ossequio ai principi di equivalenza (per cui la normativa non deve essere meno favorevole di quella che disciplina situazioni analoghe sottoposte al diritto interno) e di effettività (per cui la normativa non deve rendere impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti riconosciuti dall’UE).
La CGUE afferma quindi che:
1) la Direttiva n. 93/13 va interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che consente il recupero di un credito, fondato su clausole contrattuali eventualmente abusive, attraverso la realizzazione stragiudiziale di una garanzia costituita sul bene immobile dato in garanzia dal consumatore, qualora tale normativa non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile la salvaguardia dei diritti che tale direttiva conferisce al consumatore, ciò che dovrà essere verificato dal giudice del rinvio; e
2) l’art. 1, paragrafo 2, della medesima direttiva deve essere interpretato nel senso che una clausola contrattuale, inserita in un contratto concluso da un professionista con un consumatore, è esclusa dall’ambito di applicazione di tale direttiva solamente se detta clausola contrattuale richiama il contenuto di una disposizione legislativa o regolamentare imperativa, ciò che dovrà essere verificato dal giudice del rinvio.
In sintesi poiché nel caso di specie il giudice nazionale può adottare, in qualunque momento, un provvedimento provvisorio che vieti la prosecuzione dell’esecuzione sul bene, la Corte ritiene che tale strumento possa essere considerato adeguato ed efficace per far cessare l’applicazione di clausole abusive, considerazione che però poi rimette al giudice del rinvio, il quale deve verificare che la normativa interna non renda impossibile o, comunque, arduo l’esercizio dei diritti che la Direttiva riconosce al consumatore.
Mi sembra quindi evidente che l’affermazione per cui la presenza di clausole abusive in un contratto di mutuo renda nulla l’ipoteca e impedisca l’esecuzione forzata sia una forzatura e che questa sentenza non abbia alcun significativo impatto sul diritto italiano, poiché le norme in materia di esecuzione forzata consentono al giudice di sospendere l’esecuzione in caso di opposizione.
3 – La modifica dell’art. 120 TUB
L’art. 1, comma 629, della l.27 dicembre 2013, n. 147, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, com’è noto, ha modificato l’art. 120, comma 2 del TUB, il quale ora prevede che il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che:
a) nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori;
b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale.
Questa norma pone diverse questioni che sono lungi dall’essere risolte.
Il CNN ha dato una sua lettura in una RQ, abbastanza rassicurante per la categoria notarile, non seguita però da ulteriori approfondimenti. Altri invece forniscono una diversa lettura della norma, direi opposta. La giurisprudenza, a quanto mi consta, si è pronunciata una sola volta. App. Genova 17.3.2014, in particolare, ha ritenuto che la norma si applichi senza bisogno di interventi del CICR. Le prescrizioni di base della norma si applicano, infatti – secondo quanto espressamente previsto dall’art. 120(2) TUB – «in ogni caso».
Sul punto va ricordato che il Consiglio di Stato, in suo parere reso il 25.7.2013 in tutt’altra materia, ha affermato che la fonte legislativa può essere applicata immediatamente anche a prescindere dall’emanazione del regolamento attuativo là dove esso sia configurato dalla legge quale atto dovuto, senza necessità di qualsivoglia valutazione discrezionale da parte dell’autorità emanante. In tal senso, quindi, appare condivisibile l’affermazione per cui l’art. 120(2)(b) sarebbe immediatamente applicabile, potendo la delibera CICR esclusivamente stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi ma essendo in ogni caso vietata la produzione di interessi sugli interessi periodicamente capitalizzati. La norma consentirebbe quindi la sola contabilizzazione e non più la capitalizzazione degli interessi.
In altri termini appare chiaro che dalla norma emerge la volontà di impedire che gli interessi per la prima volta capitalizzati possano produrre interessi ulteriori che nelle operazioni di capitalizzazione successive alla prima, Potrebbe quindi essere consentita una prima capitalizzazione sul debito scaduto ma non le ulteriori.
Secondo la tesi del CNN il contenuto dell’art. 120(2)(b) non è sufficientemente delineato, per cui il CICR dovrebbe completare il dettato normativo con una sua delibera. Questa tesi può essere argomentata, mi pare, sulla base del dato letterale, in quanto la norma si riferisce a interessi “periodicamente capitalizzati” ma non indica quali sono modalità e criteri di tale periodica capitalizzazione, demandandola, appunto alla delibera CICR. Inoltre essa si riferisce a “successive operazioni di capitalizzazione” le cui modalità e i cui criteri, ancora una volta la norma non indica.
Il punto rilevante è però un altro, cioè se la delibera del 9.2.2000 possa ritenersi tuttora in vigore, dato che la norma primaria delegificante, cioè l’art. 120(2) TUB precedente versione è venuta formalmente meno a partire dal 1° gennaio 2014.
La RQ del CNN afferma che in attesa della nuova delibera CICR sarebbero ancora in vigore sia il vecchio art. 120(2) sia la delibera CICR 9.2.2000, in quanto è possibile sia sostenere che l’effetto abrogativo della norma primaria è da ricollegarsi all’emanazione del regolamento da essa autorizzato, sia che il regolamento avrebbe il potere di abrogare quanto era già stato disposto con legge, per cui l’effetto abrogativo del vecchio art. 120(2) TUB e della delibera CICR 9.2.2000 deriverebbe ancora una volta dall’entrata in vigore del regolamento.
Altra tesi invece è nel senso che la semplice modifica dell’art. 120(2) TUB, rendendo orfana la disciplina delegata posta in essere con la delibera CICR del 9.2.2000 della norma sub-delegante, avrebbe reso la disciplina stessa incapace di derogare alla fonte di natura legislativa, cioè l’art. 1283 c.c. La clausola contenuta nei mutui per cui la rata scaduta, inscindibilmente composta di capitale e interessi sarebbe idonea a produrre ulteriori interessi, sarebbe quindi illegittima perché in violazione dell’art. 1283 c.c. E ciò varrebbe anche con riferimento a tutte le operazioni ancora in essere, trattandosi di illegittimità sopravvenuta di un atto amministrativo.
Sul punto è da ricordare una pronuncia di merito in materia di anatocismo (Trib. Mondovì 17.2.2009), secondo cui demandando a un atto di normazione secondaria (la delibera CICR) il potere di incidere sulla disciplina dell’anatocismo, la norma assumeva la natura di norma sub-delegante e conferiva al regolamento una forza pari alla legge ordinaria; solo così era possibile che una fonte regolamentare potesse derogare alla normativa codicistica dell’anatocismo, che, altrimenti, quale fonte sovraordinata, avrebbe prevalso. Ma ciò significava anche, continua la sentenza, che la delibera CICR avrebbe potuto derogare alla legge (in questo caso al codice civile) solo nei limiti in cui fosse stata emanata in conformità e in esecuzione di una valida norma con forza primaria. Venuta meno la norma delegante (nel caso della sentenza l’art. 25 del d. lgs. 342/99 – che modificava anch’esso l’art. 120 TUB – a seguito di dichiarazione di incostituzionalità) ed essendo la delibera CICR una fonte secondaria che non può derogare alla legge, si avrebbe contrasto con il nuovo art. 120(2)(b) per cui essa dovrebbe essere disapplicata. In senso analogo, sempre riguardo all’effetto prodotto dal venir meno della norma delegante, Trib. Piacenza 27.10.2014 e Trib. Padova 12.8.2014.
Vedremo cosa dirà sul punto la giurisprudenza. Osservo che, dal punto di vista notarile, stante l’incertezza interpretativa sul punto, non pare possibile affermare alcuna responsabilità disciplinare del notaio per avere ricevuto un atto contenente una clausola vietata dalla legge.
In tema di anatocismo segnalo infine la prassi negoziale di una banca, che consente, in relazione a contratti di apertura di credito scaduti, di dilazionare il pagamento in un certo numero di anni. Essa intitola tale atto “Modifica di contratto di finanziamento”. Sulla somma dilazionata sono dovuti interessi e, in caso di mancato pagamento, interessi di mora.
La questione è la seguente.
Posto che la somma dilazionata è senza dubbio costituita almeno da capitale e interessi corrispettivi (potrebbe essere costituita anche da capitale + interessi corrispettivi + int. moratori, dal contratto ciò non risulta mai, essendo indicata solo la somma totale dovuta), su questo totalela banca applica interessi corrispettivi. Quindi si tratta di produzione di interessi su interessi, di cui occorre verificare l’ammissibilità. Probabilmente l’operazione è conforme all’art. 120(2)(b) TUB, perché la somma dovuta, se comprensiva dei soli interessi corrispettivi è da considerarsi tutta capitale.
Se tuttavia le rate della dilazione non venissero pagate, su queste la banca applicherebbe gli interessi di mora, da calcolarsi su una somma che è comprensiva: a) degli interessi relativi all’apertura di credito (che potrebbero anche essere di mora), compresi nel “capitale” dilazionato e b) degli interessi (corrispettivi) sulla somma dilazionata.
Qualche dubbio di legittimità di tale operazione mi pare sussista, perché avremmo, appunto, produzione di interessi di mora su due “partite” di interessi (quelli dell’apertura di credito sommati a quelli della dilazione). Ciò non mi parrebbe possibile là dove si voglia mantenere come “titolo” il contratto di apertura di credito originario.
Là dove invece si abbia novazione del titolo (la c.d. conversione dell’apertura di credito in mutuo), forse il problema non si porrebbe, perché a questo punto gli interessi non pagati a fronte dell’apertura di credito, per effetto della novazione, perderebbero la loro natura di interessi e diventerebbero a tutti gli effetti capitale.
4 – Il mutuo fondiario. Criteri di individuazione. Il mutuo fondiario che supera il limite di finanziabilità.
Un’altra interessante questione relativa al mutuo fondiario è quella relativa alla sua individuazione, da un lato, e alla sorte del contratto nel caso in cui si accerti che esso non rientra nell’ambito definitorio dell’art. 38 TUB, dall’altro.
Il credito fondiario, dice l’art. 38 TUB, ha per oggetto la concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili. L’art. 38(2) prevede poi che sia la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, a determinare l’ammontare massimo dei finanziamenti, individuandolo in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle opere da eseguire sugli stessi, nonché le ipotesi in cui la presenza di precedenti iscrizioni ipotecarie non impedisce la concessione dei finanziamenti.
Il limite, a seguito della delibera CICR del 22.4.1995 è pari all’80%, elevabile al 100% in presenza di ulteriori garanzie, fermo restando che il mutuo non può superare l’80% della somma del valore del bene ipotecato e delle garanzie integrative.
Come si individua però in concreto se un mutuo è fondiario? Quali sono cioè gli elementi caratteristici dell’operazione?
Va detto subito che, secondo la recentissima giurisprudenza il mutuo fondiario non è mutuo di scopo (Cass. 12.9.2014, n. 19282; negli stessi termini Cass. (ord., 12.11.2014, n. 24038) non risultando per la relativa validità previsto che la somma erogata dall’istituto mutuante debba essere necessariamente destinata ad una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né che l’istituto mutuante debba controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata, risultando piuttosto connotato dalla possibilità di prestazione da parte del proprietario di immobili, rustici o urbani, a garanzia ipotecaria. E invero, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili (argomentando ex art. 38 cit.), lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti e alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l’impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell’economia del contratto.
Queste affermazioni della Corte probabilmente valgono per il caso del mutuo fondiario erogato in rapporto al valore dell’immobile. Più incerto è, invece, se esse valgano anche per il caso del mutuo fondiario erogato in rapporto al costo delle opere. In questo caso, infatti, potrebbe ben sostenersi che la destinazione delle somme erogate penetri (legalmente e non convenzionalmente) nella causa del contratto e sia condizione imprescindibile affinché s’instauri il collegamento tra finanziamento e bene ipotecato sia dal punto di vista economico che da quello giuridico.
Se allora, come dice la Corte, il mutuo fondiario proporzionato al valore dell’immobile è neutro sotto il profilo della destinazione, come se ne individuano le caratteristiche che lo rendono “speciale” rispetto al mutuo ordinario?
L’unico dato che caratterizza il mutuo fondiario, ricavato dall’esame delle disposizioni a esso dedicate è, con ogni probabilità, la particolare connotazione dell’ipoteca, che deve essere di primo grado in quanto deve garantire integralmente la restituzione del finanziamento al fine di controbilanciare il maggior rischio di credito cui la banca va incontro. In tale prospettiva si spiega il cuscinetto di protezione costituito dal limite di finanziabilità che, secondo tale lettura, diviene elemento essenziale del contratto.
Sorge a questo punto l’interrogativo in merito alla sorte del contratto qualificato mutuo fondiario ma rispetto al quale il limite sia stato superato.
Il tema è stato oggetto di analisi da parte della giurisprudenza di merito e, da ultimo, da parte della Corte di Cassazione.
La giurisprudenza di merito, in un primo caso (trattasi di Trib. Venezia 26.7.2012), coerentemente alla qualificazione del limite di finanziabilità come elemento essenziale del contratto ha ritenuto che la sua violazione costituisca violazione di norme primarie, per cui il mancato rispetto del limite di finanziabilità dettato dalla normativa sul credito fondiario darebbe luogo alla nullità del contratto.
In un altro caso (Trib. Cagliari 4.4.2013) il contratto è stato ritenuto nullo totalmente o parzialmente a seconda della quota corrispondente di superamento del limite di finanziabilitàe non suscettibile di conversione in mutuo ordinario.
Da ultimo è intervenuta Cass. 28.11.2013, n. 26672, la quale ha affermato, sulla premessa per cui unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere eventualmente fonte di responsabilità, ovvero quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi (Cass. S.U., 19.12.2007, n. 26724; Cass. (ord.), 14.12.2010, n. 25222), che il limite di finanziabilità dei mutui fondiari è una disposizione imperativa che non incide sul sinallagma contrattuale, ma investe esclusivamente il comportamento della banca.
Le disposizioni in questione non appaiono quindi volte a inficiare norme inderogabili sulla validità del contratto, ma appaiono norme di buona condotta la cui violazione potrà comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, qualora ne venga accertata la violazione a seguito dei controlli che competono alla Banca d’Italia, nonché eventuale responsabilità, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo.
E, ancora, che essendo il limite di erogabilità del mutuo ipotecario stabilito anche e soprattutto in funzione della stabilità patrimoniale della banca erogante, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato e il venire meno della connessa garanzia ipotecaria condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più proprio quel valore della stabilità patrimoniale della banca che la norma intendeva proteggere.
Da punto di vista del notaio chiamato a ricevere un mutuo fondiario è rilevante l’affermazione della sentenza secondo cui il rispetto del limite del finanziamento non è una circostanza rilevabile dal contratto in quanto l’accertamento in proposito può avvenire solo tramite valutazioni estimatorie dell’immobile oggetto di finanziamento suscettibili di opinabilità e soggette a margini di incertezza valutativa e come tali non rilevabili dal testo del contratto. Nè la Banca d’Italia, nel determinare il limite di finanziamento, ha prescritto che nel contratto venissero indicati degli elementi di riferimento quali il valore dell’immobile o il costo delle opere.
Un’ultima osservazione riguarda i casi in cui nel contratto le parti escludano espressamente la disciplina del mutuo fondiario ovvero, al contrario, qualifichino come mutuo fondiario ciò che non può esserlo.
Ora, in disparte la considerazione per cui sembra difficile riscontrare sul punto una volontà qualificatoria esercitata della parte mutuataria, mi pare possa dubitarsi che la qualificazione dell’operazione negoziale e l’applicabilità della relativa disciplina possa essere rimessa alla volontà delle parti. Se le disposizioni in tema di credito fondiario sono norme di buona condotta finalizzate alla sana e prudente gestione della banca come se ne può unilateralmente escludere l’applicazione? L’unico dato variabile, in un certo senso, è il valore dell’immobile da ipotecare. Se il mutuo non supera l’80% di tale valore e l’ipoteca è di primo grado il mutuo è fondiario in via automatica e quindi non è possibile escludere l’applicabilità delle norme che lo disciplinano.
Potrebbe allora opportuno per il notaio farsi consegnare la perizia di stima dell’immobile ovvero far rendere una dichiarazione in atto o segnalare preventivamente il problema nella relazione ipotecaria.
5 – Il mutuo per estinguere passività pregresse e la revocatoria; ovvero la “trasformazione" di un preesistente credito chirografario in credito ipotecario. Possibili soluzioni.
Il tema va esaminato prendendo in esame alcuni casi concreti oggetto di pronunce della giurisprudenza di legittimità.
Si è ritenuta rilevante un’indagine svolta sui "casi" perchè le "massime" estrapolate dalle sentenze a volte non rispecchiano l’andamento dei fatti e le relative soluzioni.
Qui di seguito vengono esposti tali casi e le conclusioni cui giungono le sentenze, per poi, alla fine, indicare le possibili soluzioni.
1) Cass. 19.11.1997, n. 11495.
Con riferimento ad un ipoteca concessa in relazione ad un contratto di mutuo fondiario, la esclusione del beneficio di cui all’art. 67, comma ultimo, l. fall., presuppone la inopponibilità, al fallimento, dello stesso contratto di mutuo, o perchè costituente, nella fattispecie, un negozio – procedimento indirettamente solutorio, sanzionato – in quanto tale – da inefficacia ex art. 67, comma 1, n. 2, legge cit., o perchè, nella fattispecie, per artificio simulatorio, la ipoteca risulti diretta a garantire, in realtà, un debito preesistente mancando ogni operazione di mutuo attuale e, quindi, il credito garantito non risulti, esso stesso, suscettibile di ammissione al passivo. Da ciò consegue che, una volta ammesso al passivo il credito da mutuo fondiario e ritenuto perciò effettivo e reale il mutuo, non si rende concepibile la revocatoria della sola ipoteca costituita contestualmente alla erogazione del mutuo.
La banca chiede ex art. 101 l. fall. l’ammissione al passivo del fallimento di un credito ipotecario il cui titolo è costituito da un mutuo fondiario; il curatore eccepisce la revoca dell’ipoteca perchè la somma, dopo essere stata accreditata su un c/c del mutuatario era stata contestualmente trasferita su altro c/c dello stesso a riduzione di uno scoperto; con separato giudizio, inoltre, il curatore chiede la revoca del pagamento (= trasferimento dall’uno all’altro c/c).
Il tribunale revoca l’ipoteca (e non il mutuo) richiamando l’art. 67, c. 1, nn. 2 e 3; la sentenza è confermata dalla Corte d’appello, la quale ritiene che il contratto di mutuo sia stato effettivamente voluto ma che vada qualificato come negozio indiretto, finalizzato a eludere la par condicio creditorum.
La Cassazione accoglie il ricorso della banca sulla base della considerazione per cui una volta ammesso al passivo il credito fondato sul mutuo non può poi revocarsi l’ipoteca a garanzia del mutuo medesimo, che quindi è da ritenersi contestualmente creata.
La corte rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello affinchè decida se il trasferimento da un c/c all’altro c/c sia o meno revocabile ex art. 67, c. 2, l. fall.
2) Cass. 20.3.2003, n. 4069.
In tema di revocatoria fallimentare, l’erogazione di un mutuo fondiario ipotecario non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione. Premessa, in tutti i casi predetti, l’azionabilità del meccanismo revocatorio ex art. 67, primo e secondo comma, della legge fallimentare, l’ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi, peraltro, incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poiché, in tal caso, la revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all’inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pur in moneta fallimentare.
La banca insinua al passivo un credito nascente da mutuo assistito da ipoteca ma esso viene ammesso al passivo in via chirografaria, avendo il giudice delegato esercitato il potere di revoca "in via breve", dato che l’ipoteca era stata iscritta nel periodo sospetto e a fronte di una somma non entrata nella disponibilità del mutuatario; si tratterebbe quindi di ipoteca concessa a garanzia di crediti preesistenti non scaduti.
Il tribunale e la Corte d’appello danno torto alla banca, affermando che concretamente il mutuatario non aveva acquisito l’effettiva disponibilità della somma e quindi di fatto si trattava di una "sostituzione" dei preesistenti crediti chirografari con un credito ipotecario.
La banca agisce per la cassazione della sentenza eccependo che mutuo e garanzia ipotecaria "viaggiano assieme" e quindi non si può revocare solo l’ipoteca senza impugnare anche il mutuo. Tale motivo viene però dichiarato inammissibile, quindi la corte non decide.
La sentenza interessa perché individua tre schemi logici cui può ricondursi l’operazione di erogazione di un mutuo garantito da ipoteca che non è destinata a creare un’effettiva disponibilità della somma nel mutuatario:
a) procedimento negoziale indiretto per conseguire l’estinzione del debito, revocabile per la sua "anormalità";
b) simulazione, se le parti avevano inteso munire di ipoteca il preesistente debito, in realtà non estinto;
c) novazione, revocabile perché potrebbe integrare un pagamento con mezzi anormali.
Dice poi la corte che se il credito nascente dal mutuo viene ammesso al passivo certamente non si tratta di simulazione né di novazione, ma tutt’al più di negozio indiretto, nel qual caso però la revoca deve avere a oggetto l’intera operazione (mutuo+ipoteca). Questa incompatibilità tra ammissione al passivo e revoca della sola ipoteca non viene però presa in considerazione dalla corte per la sua novità in sede di legittimità.
3) Cass., 7.1.2004, n. 12.
Ai fini della revocatoria fallimentare di cui all’art. 67, primo comma, n. 3, della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942 n. 267), qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire, attraverso l’acquisto di titoli dati poi in pegno al mutuante, una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile fra i due negozi – mutuo ipotecario e costituzione di pegno – un collegamento funzionale, ed è individuabile il motivo illecito perseguito, rappresentato dalla costituzione di un’ipoteca per debiti preesistenti non scaduti.
La banca chiede l’ammissione al passivo di un credito fondato su un mutuo ipotecario ma il giudice delegato lo ammette in via chirografaria attesa la revocabilità dell’ipoteca ex art. 67, c. 1, n. 3, l. fall.
Sull’opposizione della banca il tribunale ritiene che la revoca sia legittima, atteso che risultava non contestato che il mutuo fosse stato utilizzato dalla società poi fallita per l’acquisto di titoli poi costituiti in pegno a garanzia del debito di un terzo verso la banca.
La Corte d’appello conferma la sentenza, individuando nell’operazione non una simulazione bensì un collegamento negoziale finalizzato all’ottenimento di una garanzia (il pegno) per il debito di un terzo.
La Cassazione conferma la sentenza di appello ravvisando il collegamento funzionale fra i negozi stipulati e il motivo illecito con essi perseguito in violazione della par condicio creditorum. Osserva inoltre la Cassazione come sia stato accertato che la società poi fallita non fosse entrata, nemmeno temporaneamente, nella materiale detenzione della somma mutuata, pur disponendone.
4) Cass., 6.11.2006, n. 23669.
Presupposto per l’applicabilità della disciplina della revocatoria ordinaria alla costituzione di ipoteca contestuale a una operazione di mutuo fondiario, ai sensi del combinato disposto degli artt. 66 l. fall. e 2901 cod.civ., è l’inopponibilità alla massa fallimentare del contratto di mutuo. Ne consegue che, qualora il credito fondato su un contratto di mutuo fondiario sia stato ammesso allo stato passivo fallimentare, deve necessariamente riconoscersi anche l’ipoteca contestualmente costituita, la quale non può, quindi, essere revocata.
La banca concede il mutuo garantito da ipoteca che viene utilizzato per estinguere pregresse posizioni debitorie; il curatore chiede dichiararsi l’inefficacia dell’ipoteca in quanto non contestuale al sorgere del credito ma volta a garantire i debiti preesistenti.
Il tribunale dichiara la simulazione relativa del mutuo e l’inefficacia dell’ipoteca; la sentenza è confermata dalla Corte d’appello.
La banca impugna la sentenza in Cassazione, la quale dà ragione alla banca.
Anche in questo caso il credito ammesso al passivo era quello riveniente dal mutuo (la curatela contestava solo l’ipoteca).
La Cassazione afferma che la ricostruzione operata dalla corte di merito è consistita nell’avere ritenuto simulato il mutuo, non voluta l’ipoteca a garanzia di questo ma voluta la (stessa) ipoteca a garanzia delle pregresse esposizioni debitorie.
La Corte d’appello, però, pur avendo accertato la simulazione del mutuo ha confermato l’ammissione al passivo del credito riveniente dal mutuo, revocando la sola ipoteca.
Ciò, secondo la Cassazione, non è possibile, perché la revoca si sarebbe dovuta estendere all’intera operazione. La revoca della sola garanzia non si concilierebbe infatti con l’ammissione al passivo della somma mutuata. Ammettere il credito da mutuo al passivo contraddice la stessa ipotesi di simulazione del medesimo. E, una volta riconosciuta la sussistenza del credito da mutuo, con ciò si è implicitamente ammesso che la traditio della somma è avvenuta effettivamente.
Il curatore, continua la corte, avrebbe dovuto ricondurre l’intera operazione non alla simulazione ma al negozio indiretto, da valutarsi quale modalità anormale di pagamento.
Alcuni passi della sentenza sono oltremodo rilevanti; li riporto qui di seguito (grassetto di chi scrive).
Giova premettere, al riguardo, che, stante l’attribuzione a tutte le aziende di credito dell’esercizio del credito fondiario, si configura come abbastanza comune l’ipotesi di finanziamento in favore di chi sia già debitore verso la stessa banca ad altro titolo. E’ facile immaginare, infatti, che, in una situazione in cui il debitore si trovi nella difficoltà di far fronte al pregresso debito chirografario verso la banca, sia forte la tentazione, per ambedue le parti, di ripianare la precedente esposizione utilizzando un finanziamento fondiario. In questo modo, infatti, la banca ottiene il vantaggio di sostituire l’originario credito chirografario (che con detta operazione viene estinto) con un credito assistito da garanzia reale creata contestualmente, che si consolida in dieci giorni. A sua volta il debitore-finanziato riesce a sostituire un debito a breve scaduto con un debito a medio/lungo termine, pagabile a rate.
Ma in tale prassi negoziale, la nuova concessione di credito, oltre che voluta, è effettivamente realizzata e il finanziato utilizza il ricavato per pagare i vecchi debiti. Ne consegue che si è sicuramente fuori dal campo della simulazione perché, in assenza di un finanziamento di scopo, il beneficiario non aveva alcun vincolo di destinazione della somma accordata.
Invero, proprio la circostanza che il netto ricavo del mutuo sia stato destinato ad estinguere un altro debito dimostra che l’importo è stato effettivamente erogato dal mutuante e che esso, sia pure per breve lasso di tempo, è entrato nella disponibilità del mutuatario; tanto è vero che le somme sono state accreditate in due tranche e prelevate per il pagamento dei debiti anteatto.
La conclusione per cui l’ipoteca iscritta a garanzia del mutuo non può trasferirsi a garantire un credito diverso nel caso in cui il mutuo venga dichiarato simulato (ciò che nella specie non è avvenuto), è quindi del tutto ovvia.
Una volta riconosciuto che il mutuo non è simulato la conclusione segue de plano: la banca viene ammessa al passivo in via ipotecaria.
5) Cass., 1.10.2007, n. 20622.
L’inopponibilità al fallimento del mutuo fondiario per nullità, simulazione ovvero revoca esclude il cosiddetto beneficio del consolidamento, previsto dall’art. 39 comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993; ne consegue che, laddove la fattispecie sia ricostruita come procedimento indiretto anormalmente solutorio (costituito dal mutuo e dall’utilizzazione della somma accreditata a quel titolo ad estinzione di preesistente credito del mutuante verso il mutuatario) e quindi il contratto di mutuo venga revocato, anche l’ipoteca perde la qualificazione, che deriva dal contratto, di ipoteca iscritta a garanzia del mutuo fondiario.
La vicenda è abbastanza lineare nel suo svolgimento.
La banca concede un mutuo (dichiarato "fondiario") garantito da ipoteca e chiede l’ammissione al passivo. Il giudice respinge la domanda previa revoca dell’intera operazione.
Sull’opposizione della banca la curatela eccepisce che l’operazione aveva avuto lo scopo di "trasformare" il credito della banca da chirografario in fondiario e che, trattandosi di pagamento eseguito con mezzi anormali, è suscettibile di revoca.
Il tribunale conferma la revoca dell’intera operazione.
La Corte d’appello conferma la sentenza ma ammette il credito della banca in via chirografaria, affermando che il mutuo era un negozio-procedimento indirettamente solutorio dei pregressi debiti e come tale inefficace, con conseguente esclusione del consolidamento dell’ipoteca. Il credito veniva ammesso al passivo in quanto, pur revocato il negozio-procedimento, sopravviveva comunque il credito originario dell banca.
La banca impugna la sentenza in Cassazione ma il ricorso viene respinto. La Cassazione in particolare afferma che anche la revoca del mutuo fondiario è sufficiente a impedire il consolidamento dell’ipoteca fondiaria perchè quest’ultima, una volta revocato il mutuo, perde tale qualificazione.
6) Cass., 9.10.2012, n. 17200.
Ai fini della revocatoria ex art. 67, primo comma, legge fall., qualora venga stipulato un mutuo con concessione di ipoteca al solo fine di garantire – attraverso l’erogazione di somme poi rifluite, in forza di precedenti accordi e prefinanziamenti, per il tramite di un terzo, nelle casse della banca mutuante – una precedente esposizione dello stesso soggetto o di terzi, è configurabile, tra i negozi posti in essere, un collegamento funzionale, che persegue il motivo illecito della costituzione di ipoteca per debiti chirografari preesistenti.
Il caso è abbastanza complesso ma nella sostanza l’oggetto del giudizio riguarda la revocabilità o meno di un’ipoteca iscritta a garanzia di un mutuo fondiario.
La banca, sull’opposizione al passivo, ha perso in primo grado e vinto in appello. La Cassazione, su ricorso dell’amministrazione straordinaria della società mutuataria ha cassato con rinvio alla Corte d’appello per un nuovo esame sulla base degli argomenti – ormai consolidati – esposti nelle sentenze sopra citate.
E’ utile, a tal fine riportare qui un passo di questa sentenza.
… secondo l’insegnamento di questa corte l’erogazione di un mutuo fondiario ipotecario, non destinato a creare un’effettiva disponibilità nel mutuatario, già debitore in virtù di un rapporto obbligatorio non assistito da garanzia reale, può astrattamente integrare le fattispecie del procedimento negoziale indiretto, della simulazione e della novazione: in tutti i casi predetti, è azionabile il meccanismo revocatorio ex art. 67, comma 1 o comma 2, l. fall. (Cass. 20 marzo 2003, n. 4069). Con la stessa citata pronuncia si è inoltre chiarito che l’ammissione al passivo della somma mutuata deve ritenersi incompatibile con le sole fattispecie della simulazione e della novazione, e non anche con quella del negozio indiretto, poichè, in tal caso, la stessa revoca dell’intera operazione – e, quindi, anche del mutuo – comporterebbe pur sempre la necessità di ammettere al passivo la somma (realmente) erogata in virtù del mutuo revocato, atteso che, all’inefficacia del contratto, conseguirebbe pur sempre la necessità di restituzione, sia pure in moneta fallimentare. D’altra parte, affinchè possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell’ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l’effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale.
Come risulta dai casi sopra esposti, in definitiva la banca ha avuto ragione in due casi e torto negli altri (in un caso però il ricorso è stato dichiarato inammissibile).
Tutte le sentenze, sebbene si sforzino di individuare un sorta di "principio", sono influenzate dal caso concreto, anche se prevalentemente esse insistono sulla revoca motivata ricostruendo l’operazione come negozio-procedimento, indirettamente solutorio dei pregressi debiti e quindi "anormale".
Nessuna delle sentenze in esame si è espressa in termini di nullità, per cui desta perplessità l’affermazione contenuta nel parere emesso da "Tidona Giuridica" il 6 giugno 2012, secondo cui l’operazione di "trasformazione" di un credito chirografario in un credito privilegiato sarebbe affetta da nullità in quanto "non meritevole di tutela".
Alla luce di quanto affermato nel passo di Cass. 23669/06 sopra riportato non si vede infatti come possa considerarsi immeritevole di tutela l’interesse del debitore-finanziato a sostituire un debito a breve scaduto con un debito a medio/lungo termine, pagabile a rate.
Se il contratto è realmente voluto dalle parti non può essere ritenuto illecito e, anche se si trattasse di mutuo fondiario, non potrebbe mai qualificarsi in frode alla legge, ma, semmai, in frode ai creditori, tanto è vero che a fronte della liceità del contratto, lo strumento offerto ai creditori è la sola azione revocatoria.
Sembra quindi da escludere la nullità del contratto (purchè effettivamente voluto, va ribadito) per mancanza di causa e che, a tutto concedere, si debba parlare non di "mancanza" di causa, bensì di "diversità" di causa.
Allo stesso modo, laddove si ravvisi nell’operazione, come ritenuto da alcune pronunce, un negozio-procedimento atipico, non pare che gli interessi realizzati da tale negozio siano immeritevoli di tutela, sì che il negozio debba di per sèconsiderarsi nullo.
Destano perplessità, pertanto, le sentenze del 2004 e del 2012 che si esprimono in termini di "motivo illecito". L’affermazione per cui il contratto è illecito, cioè nullo, a causa dell’esistenza di un motivo illecito comune a entrambe le parti sembra del tutto inconciliabile con la sanzione della sua revoca, la quale presuppone, invece, la validità del contratto, che per effetto della revoca è solo sanzionato, appunto, di inefficacia nei confronti del fallimento (salvo che si ritenga l’espressione "motivo illecito" confinata all’ambito proprio della legge fallimentare, in cui l’illiceità di certi atti e operazione è sanzionata sempre con l’inefficacia e mai con la nullità).
La stessa giurisprudenza (Cass. S.U., 25.10.1993, n. 10603) ha affermato che l’intento delle parti di arrecare pregiudizio ad altri non è illecito, non rinvenendosi nell’ordinamento alcuna norma che sancisca – come per il contratto in frode alle legge – l’invalidità del contratto in frode ai terzi, a tutela dei quali, invece, l’ordinamento appresta altri rimedi, Il negozio stipulato potrà considerasi invece nullo per contrarietà a norma imperativa nel solo caso in cui si tratti di reato-contratto, cioè qualora la stipulazione di esso integri il reato di bancarotta preferenziale.
Alcune pronunce di merito, infine, hanno esaminato il caso di mutuo fondiario stipulato per ripianare posizioni debitorie pregresse dipendenti tuttavia dall’applicazione di clausole anatocistiche nulle. In questi casi la giurisprudenza ha ritenuto addirittura il contratto nullo per frode alla legge ex art. 1344 c.c., stante il collegamento negoziale esistente tra contratto di mutuo e apparenti debiti alla cui estinzione è destinato (cfr. Trib. Santa Maria Capua Vetere, 14,10.2011, in Foro it., 2012, 2, I, 600).
Tuttavia, a ben vedere, come giustamente osservato, in questi casi non dovrebbe trattarsi di nullità per frode alla legge bensì di nullità derivante dall’applicazione delle regole in tema di novazione. Ex art. 1234 c.c., infatti, la novazione è senza effetto, cioè appunto nulla se l’obbligazione originaria è inesistente.
Tal conclusioni potrebbero spaventare i notai chiamati a stipulare tali mutui, anche se a dire il vero, nei casi esaminati la nullità è emersa, per così dire in seconda battuta e non è chiaramente percepibile al momento della stipula, potendo difficilmente il notaio essere a conoscenza dell’inesistenza, in tutto o in parte dell’obbligazione originaria.
Va dato conto, infine, dell’opinione dottrinale (recente) secondo cui poiché il mutuo fondiario gode di un trattamento privilegiato in quanto posto in essere nel rispetto delle regole prudenziale di corretta gestione del rischio di credito, non è tale nei casi in cui la banca non assume un nuovo rischio di credito bensì tenta di rimediare a posteriori, attraverso un’operazione di rifinanziamento, all’errata valutazione del rischio di credito effettuata all’atto della costituzione dei rapporti giuridici pregressi. La conclusione è nel senso di espungere dalla qualificazione come credito fondiario dell’operazione che non dia luogo all’erogazione di nuova liquidità, perché in questo caso, appunto, il rischio di credito non sorge a seguito della stipulazione del mutuo ma proviene da rapporti bancari costituiti in epoca antecedente (La Sala).
Alla luce di tale quadro giurisprudenziale le principali opzioni a disposizione della banca per conseguire ed eventualmente "consolidare" una garanzia ipotecaria a fronte di un credito vantato nei confronti di soggetto fallibile mi sembrano sostanzialmente due.
1 – Dilazione di pagamento del debito garantita da ipoteca
Tale operazione, sicuramente legittima, determina il "consolidamento" dell’ipoteca trascorso il termine di sei mesi dalla sua costituzione.
Essa è però caratterizzata da un trattamento fiscale penalizzante. Si tratterebbe infatti di operazione che fuoriesce dall’ambito applicativo del d.p.r. 601/73 (in quanto non collegata a un finanziamento a medio/lungo termine), con conseguente applicabilità dell’imposta ipotecaria del 2% sull’importo dell’ipoteca nonché dell’imposta di registro in misura fissa di 200 euro e dell’imposta di bollo di 155 euro.
Non è escluso, inoltre, che il fisco tassi il riconoscimento di debito in capo al debitore (ove coincida con il concedente l’ipoteca), con l’aliquota dell’1% (in tal senso pare sia orientata l’Agenzia delle Entrate). In alternativa potrebbe stipularsi la dilazione mediante scambio di corrispondenza e la concessione di ipoteca con atto unilaterale (in tal caso l’atto di dilazione enunciato non sarebbe soggetto a tassazione), ma la banca non sarebbe munita di titolo esecutivo.
2 – Mutuo
Si tratta di prassi ampiamente diffusa (come affermato nella sentenza del 2006 sopra citata) e certamente di per sé non illecita (n senso contrario cfr. Trib. Taranto 4.3.2014)
Cass., 12.9.2014, n. 19282, afferma espressamente che «Tra le finalità di un’operazione di credito fondiario rientra anche quella dell’utilizzazione delle somme ottenute per estinguere un debito precedente verso la stessa banca concedente il finanziamento, non essendo ravvisabile, in tale ipotesi, un uso distorto dello strumento del mutuo fondiario.»
E’ essenziale che il mutuo sia effettivamente voluto dalle parti, anche se finalizzato all’estinzione dei preesistenti debiti, al fine di evitare un’impugnazione del contratto per simulazione assoluta.
Esso rientra, inoltre, nell’ambito applicativo del d.p.r. 601/73. E’ ormai infatti accettato dalla prassi amministrativa (risoluzione 24 marzo 2004, n. 2/T, esplicativa della circolare n. 240/T del 1999 dell’Agenzia del Territorio e risoluzione n. 121 del 13 dicembre 2011 dell’Agenzia delle Entrate), che la destinazione della somma ricevuta a mutuo a estinzione di precedenti obbligazioni non abbia rilevanza e, in ogni caso, anche a volere aderire all’opinione per cui (come affermato dalla Cassazione in tralaticie sentenze) il finanziamento agevolato deve fluire in "iniziative di potenziamento dell’apparato produttivo" può agevolmente replicarsi, che la disponibilità di somme con le quali estinguere posizioni debitorie troppo onerose, utilizzando finanziamenti più vantaggiosi per tasso, scadenza o garanzie necessarie, realizza comunque il rafforzamento del sistema produttivo.
I mezzi a disposizione della curatela per ottenere la revoca della garanzia ipotecaria sono anzitutto l’azione di simulazione assoluta, per cui la curatela dovrebbe dimostrare che nessun contratto è stato effettivamente voluto dalle parti.
In secondo luogo l’azione di simulazione relativa, cioè la dimostrazione che le parti non hanno voluto il mutuo bensì un diverso contratto (che potrebbe essere individuato, con ogni probabilità, nella dilazione di pagamento garantita da ipoteca ovvero nella mera costituzione di ipoteca a garanzia del preesistente credito).
In terzo luogo l’azione revocatoria, da esercitarsi sulla base di una qualificazione dell’operazione non come mutuo bensì:
a) come negozio-procedimento indirettamente solutorio del debito pregresso, come più volte precisato nelle sentenze sopra citate; si tratterebbe, in tal caso, di dimostrare che l’estinzione del debito preesistente è avvenuta con mezzi di pagamento non normali (per una possibile obiezione vedi oltre),
oppure
b) come novazione anch’essa revocabile (in uno all’ipoteca), come affermato da Cass. 4069/03, sopra citata perché potrebbe integrare un’estinzione del debito preesistente con mezzi anormali (per una possibile obiezione vedi oltre).
Ove l’intera operazione venisse revocata la banca dovrebbe essere ammessa al passivo per il credito originario (ciò è ammesso da Cass. 20622/07 e da Cass. 17200/12).
Il "consolidamento" dell’ipoteca, salve le azioni esercitabili dalla curatela del fallimento avverrà, secondo i casi, nel termine di dieci giorni o di sei mesi dalla sua costituzione, secondo che il mutuo sia fondiario o meno.
Se il mutuo non è fondiario non vi è differenza rispetto all’ipotesi della dilazione garantita da ipoteca: il consolidamento avverrebbe comunque solo dopo trascorsi sei mesi dalla costituzione.
In ogni caso, se l’operazione venisse riqualificata come negozio-procedimento indiretto e quindi revocata, la banca si troverebbe in situazione non peggiore rispetto a quella in cui si trovava prima della stipulazione del contratto di mutuo.
A tal fine si può suggerire di optare per il mutuo non fondiario, poiché il mutuo fondiario, in considerazione del breve termine previsto dalla legge per il consolidamento dell’ipoteca a garanzia del suo rimborso potrebbe costituire indice di una sua utilizzazione "distorta", in quanto finalizzato, per l’appunto, al solo fine di ottenere la garanzia.
La soluzione del mutuo si presta ad alcune obiezioni rispetto alla possibilità di esercizio dell’azione revocatoria, anche qualora esso venisse qualificato come novazione ex art. 1230 c.c.
Rispetto al mutuo si potrebbe obiettare che non vi è alcun pagamento "anormale" del debito preesistente, atteso che esso avviene comunque tramite denaro.
Rispetto alla novazione si potrebbe obiettare che essa non ha carattere satisfattivo, dal momento che non comporta il soddisfacimento del creditore bensì la sola sostituzione dell’obbligazione originaria in altra con titolo diverso.
Tuttavia, da un lato la norma della legge fallimentare sembrerebbe prestarsi a un’interpretazione estensiva, tale da ricomprendervi tutti i mezzi con cui si soddisfi il creditore con modalità "anomale"; dall’altro, la ricostruzione della struttura della novazione è nel senso che essa produce un effetto estintivo-costitutivo, per cui non è del tutto corretto affermare che l’obbligazione precedente non si è estinta.
Altre soluzioni: il mutuo garantito da ipoteca concessa da un terzo; il contratto autonomo di garanzia a sua volta garantito da ipoteca
1) Quale alternativa rispetto alla stipulazione di un mutuo che coinvolga il patrimonio immobiliare del debitore, la stipulazione – ove possibile – di un mutuo garantito da ipoteca su beni di un terzo.
In questo caso, anche qualora il debitore fallisse entro il periodo sospetto può ritenersi che la curatela non abbia alcun interesse alla revoca dell’operazione (quand’anche dimostrasse che non si tratta di vero e proprio mutuo), in quanto, per effetto dell’operazione medesima, non è stata violata in alcun modo la par condicio creditorum.
L’ammissione al passivo del fallimento da parte della banca, infatti, pur trovando titolo nel mutuo, avverrebbe comunque in via chirografaria.
2) Quale ulteriore alternativa si potrebbe proporre la seguente sequenza negoziale (da contenersi, eventualmente, in un medesimo documento):
a) stipulazione di un mutuo ordinario chirografario contenente una garanzia autonoma da parte di un terzo (Garantievertrag);
b) concessione di ipoteca da parte del terzo garante (ipoteca prestata a garanzia della propria obbligazione e non dell’obbligazione nascente dal mutuo).
La concessione della garanzia da parte del terzo sarebbe insensibile all’eventuale revoca del mutuo, in quanto si tratta, appunto, di garanzia (e obbligazione) autonoma. Non opera, pertanto il principio di accessorietà, che determinerebbe, in caso di revoca del mutuo, anche la revoca delle garanzie. Conseguentemente rimarrebbe in essere anche l’ipoteca concessa dal terzo a garanzia della propria obbligazione.
L’unico profilo degno di approfondimento concerne il trattamento tributario dell’operazione, che però dovrebbe rientrare nell’ambito applicativo del d.p.r. 601/73, il quale fa riferimento alle "garanzie di qualunque tipo”.