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Attualità

Il nuovo interpello tra esigenze di razionalizzazione e compressione delle tutele per il contribuente

14 Maggio 2024

Marco Palanca, Partner, Simmons & Simmons

Irene Pellecchia, Counsel, Simmons & Simmons

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza le modifiche introdotte dalla Riforma fiscale alla disciplina dell’Interpello prevista dall’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente.


Premessa

Le modifiche apportate all’art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente, di seguito “Statuto”) dalla Legge 9 agosto 2023, n. 111, recante delega al Governo per la riforma fiscale (di seguito “Legge Delega”), riformano in maniera significativa l’istituto dell’interpello.

Nello specifico, l’art. 4 della Legge Delega si pone l’obiettivo di razionalizzare l’istituto con il dichiarato fine di limitare l’attuale ipertrofica produzione di prassi amministrativa cui consegue l’incertezza interpretativa[1]. L’art. 1, co. 1, lett. n) del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, recante “Modifiche allo Statuto” (di seguito “D.Lgs. n. 219/2023”), ha declinato tale obiettivo di compressione del ricorso allo strumento dell’interpello per mezzo di modifiche alla vigente disciplina sia di carattere formale, sia sostanziale[2].

Per quanto riguarda gli interventi formali, è di tutta evidenza come la previsione di un obbligo di versamento in sede di presentazione delle istanze di interpello di un contributo[3] parametrato in funzione della tipologia di contribuente, del suo volume di affari o dei ricavi e della particolare rilevanza e complessità della questione oggetto di istanza (cfr. art. 11, comma 3 dello Statuto) abbia immediate ripercussioni sulle valutazioni di opportunità dei contribuenti, costituendo per alcune realtà imprenditoriali, un elemento di fatto ostativo alla possibilità di accedere all’istituto[4]. Di particolare incisività appaiono inoltre gli interventi inerenti la qualificazione in termini di annullabilità (e non più di nullità) degli atti a contenuto impositivo o sanzionatorio emessi in difformità rispetto alla risposta espressa dall’amministrazione o dal tacito assenso (cfr. art. 11, comma 5, dello Statuto) e la non impugnabilità delle risposte (cfr. art. 11, comma 7, dello Statuto) . Quanto agli interventi sostanziali, questi hanno di fatto comportato una rivisitazione della procedura di interpello nel chiarire la natura facoltativa all’interpello disapplicativo[5], nell’attribuire un’identità autonoma all’interpello per l’accesso al regime di cui all’art. 24-bis del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (“T.U.I.R.”), avente ad oggetto l’opzione per l’assoggettamento all’imposta sostitutiva dei redditi prodotti all’estero da persone fisiche che trasferiscono la propria residenza in Italia, e, soprattutto, nel limitare l’accesso all’interpello probatorio esclusivamente ai soggetti che aderiscono al regime di adempimento collaborativo o che presentano istanza di interpello sui nuovi investimenti.

In questa generale opera di rivisitazione del principale strumento di dialogo tra fisco e contribuenti , due interventi a nostro avviso meritano di essere commentati con maggiore attenzione per le implicazioni che sono destinati ad avere sulla tutela del contribuente, ovvero: (i) il nuovo regime di invalidità degli atti impositivi o sanzionatori difformi dalla risposta espressa o dal tacito assenso, e (ii) la limitazione ad alcuni soggetti della possibilità di presentare interpello probatorio, cui consegue, nei fatti, una parziale abrogazione dell’istituto.

Il nuovo regime di invalidità degli atti impositivi o sanzionatori difformi dalla risposta, espressa o tacita, all’interpello del contribuente

Il nuovo regime di invalidità degli atti impositivi o sanzionatori difformi dalla risposta, espressa o tacita, si pone in linea con lintroduzione nello Statuto degli artt. 7-bis e 7-ter[6] che disciplinano rispettivamente le ipotesi di annullabilità e di nullità degli atti dell’Amministrazione finanziaria.

In particolare, superando la precedente impostazione monistica caratterizzata dall’utilizzo sinonimico e non normativamente identificato dei concetti di nullità/annullabilità/invalidità[7], la Legge Delega introduce una disciplina basata sulla bipartizione di matrice amministrativista[8] tra nullità e annullabilità.

In tale contesto, l’annullabilità rappresenta il regime generale di invalidità deducibile in ipotesi di atti emessi in violazione di legge (ivi incluse le ipotesi di difetto di competenza, di violazione di norme procedimentali e di violazione del diritto al contraddittorio), laddove la nullità è eccepibile esclusivamente in caso di atti viziati da difetto assoluto di attribuzione, di atti emessi in violazione o elusione di un giudicato, ovvero in presenza di vizi sanzionati con la nullità da una disposizione normativa entrata in vigore dopo la pubblicazione del D.Lgs. n. 219/2023 (i.e., dopo il 18 gennaio 2024)[9].

Conseguenza diretta dei citati disposti normativi è che l’atto impositivo e/o sanzionatorio emesso in senso contrario ad una risposta ad interpello, espressa o tacita, debba necessariamente assumere i connotati dell’annullabilità (cfr. art. 11, co. 5, dello Statuto). Tale qualificazione è, però, inevitabilmente foriera di significative conseguenze in termini procedurali e processuali: se, infatti, i vizi di nullità possono essere eccepiti, anche ex officio, in ogni stato e grado del giudizio, i vizi di annullabilità devono essere dedotti, a pena di decadenza, con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado e non sono rilevabili d’ufficio.

Molto si potrebbe argomentare, de iure condendo e nella prospettiva della tutela dell’affidamento del contribuente, in senso contrario all’opportunità di sanzionare con la sola annullabilità l’emanazione di atti impositivi e/o sanzionatori difformi da risposte favorevoli rese o tacite, nell’ambito di procedimenti conseguenti il completamento dell’iter della procedura di interpello, dalla medesima Amministrazione finanziaria. Limitando, però, l’indagine al diritto costituito, le questioni interpretative attengono principalmente alle fattispecie che si pongono temporalmente a cavallo tra la disciplina previgente e quella attuale.

Si pensi, ad esempio, al caso di un giudizio pendente in secondo grado ed avente ad oggetto l’impugnazione di un atto impositivo difforme da una precedente risposta ad interpello (vizio, tuttavia, non rilevato in sede di ricorso introduttivo), ovvero all’ipotesi di atto difforme da una precedente risposta ad interpello divenuto definitivo antecedentemente al 18 gennaio 2024 (data di entrata in vigore della bipartizione in commento).

E’ evidente che, qualora si ritenesse ancora applicabile il regime previgente, pur nella consapevolezza della sussistenza di un indirizzo giurisprudenziale che esclude la rilevabilità della nullità dell’atto dopo il primo grado di giudizio [10], nulla vieterebbe al contribuente di eccepire comunque la nullità dell’atto in sede giudiziale o attraverso la presentazione di un’istanza di annullamento in autotutela[11]. Nella disciplina attuale, invece, la preclusione della rilevabilità d’ufficio rappresenterebbe un innegabile deterrente anche all’annullamento in autotutela dell’atto.

In assenza di chiarimenti, e considerato il previgente orientamento giurisprudenziale, è verosimile ritenere che sia l’Amministrazione finanziaria, sia le Corti di merito, adotteranno l’interpretazione più rigorosa pronunciandosi nel senso dell’inammissibilità dell’eccezione.

La nuova limitazione soggettiva all’accesso all’istituto dell’interpello probatorio

Ulteriore commento meritano le modifiche all’istituto dell’interpello probatorio che, come noto, ha da sempre rappresentato una forma di tutela particolarmente rilevante per il contribuente, costituendo, di fatto, lo strumento al cui esito era subordinata la disapplicazione di regimi fiscali particolarmente penalizzanti (si pensi, per tutti, all’interpello in materia di imprese estere controllate ex art. 167, comma 5 del T.U.I.R., cui è subordinata la disapplicazione del regime di imputazione dei redditi per trasparenza)[12].

Ebbene, fatta eccezione per l’interpello ex art. 24-bis, del T.U.I.R.[13], l’interpello probatorio è stato fortemente depotenziato ad opera della riforma, essendone consentita l’esperibilità ai soli contribuenti che abbiano aderito al regime di cooperative compliance di cui agli articoli 3 e seguenti del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 e ai contribuenti che abbiano presentato un’istanza di interpello sui nuovi investimenti ex art. 2, del D.L. 14 settembre 2015, n. 147[14].

La lesione dei principi di collaborazione e buona fede e il vulnus alla tutela del contribuente appare palese. E’ ragionevole chiedersi se vi siano strumenti alternativi che consentano di ottenere analoghi risultati in termini di certezza del diritto.

Sul punto, ad esempio, ci si potrebbe chiedere se fosse possibile veicolare attraverso l’interpello disapplicativo ipotesi tecnicamente rientranti nel novero degli interpelli probatori, magari muovendo dalla considerazione che, prima della riforma di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, alcune categorie di interpello, poi ricondotte all’istituto degli interpelli probatori, erano sussunte nel novero degli interpelli disapplicativi[15].

Riteniamo, tuttavia, che si tratti di una strada difficilmente percorribile, essendo storicamente l’interpello probatorio connotato dalla tassatività delle fattispecie ad esso ascrivibili ed avendo lo stesso peculiarità difficilmente adattabili alle altre tipologie di interpello.

Conclusioni

I profili esaminati in questa sede inducono a ritenere che la riforma in esame abbia di fatto individuato nelle forme strutturali di cooperazione e comunicazione, quali la cooperative compliance, una via privilegiata, se non necessaria, al raggiungimento dell’auspicata certezza del diritto. E’ infatti di palmare evidenza come le limitazioni soggettive di accesso all’istituto dell’interpello, l’ampliamento della platea di soggetti che in divenire possono accedere al regime di cooperative compliance[16] , la qualificazione in termini di annullabilità di atti impositivi e/o sanzionatori emessi in senso difforme a precedenti risposte ad interpello[17], renderanno il ricorso a tali forme di collaborazione preventiva e continuativa un’opzione di fatto obbligata.

 

L1] La Relazione Illustrativa alla Legge Delega chiarisce che “il Governo è delegato a una razionalizzazione dell’istituto dell’interpello di cui all’articolo 11 della legge n. 212 del 2000, da realizzare innanzitutto implementando l’emanazione di provvedimenti interpretativi di carattere generale che inquadrino in modo sistematico e completo la materia interessata, in modo tale da prevenire le richieste dei contribuenti e, conseguentemente, ridurre il ricorso al detto istituto”. In questo contesto il legislatore delegato è intervenuto sia in ottica preventiva, promuovendo la pubblicazione di documenti di prassi di portata generale idonei a ricomprendere diversi scenari concreti, sia in ottica correttiva, subordinando, in casi di minore rilevanza, la possibilità di fare ricorso all’interpello alla previa infruttuosa consultazione dei suddetti precedenti (cfr. artt. 10-sexies-nonies dello Statuto).

[2] Si legge nella Relazione Illustrativa al D.Lgs. n. 219/2023 che “[l]’articolo contiene la nuova disciplina dell’istituto dell’interpello, alla quale, rispetto al testo vigente, sono apportate modifiche tese a dare attuazione alle previsioni della legge delega che ne ha disposto, oltre che una razionalizzazione, anche una riduzione”.

[3] Il contributo è destinato a finanziare iniziative di formazione del personale dell’amministrazione finanziaria.

[4] In assenza del relativo decreto attuativo, l’interpretazione maggioritaria ritiene che il contributo possa essere parametrato secondo criteri analoghi a quelli attualmente utilizzati per la presentazione dell’accordo preventivo per le imprese con attività internazionale di cui all’art. 31-ter del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Se si considera che, in relazione a quest’ultima fattispecie, la misura del contributo è compresa tra euro 10.000 ed euro 50.000 è verosimile attendersi che l’impatto finanziario rientrerà tra le componenti oggetto di valutazione prima di accedere all’istituto.

[5] L’interpello disapplicativo rappresentava l’unica ipotesi di interpello obbligatorio a seguito della riforma operata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156.

[6] Cfr. art. 1, comma 1, lettera g), del D.Lgs. n. 219/2003.

[7] Sul punto si era sviluppato un orientamento giurisprudenziale che, muovendo dalla natura impugnatoria del processo tributario, affermava che “per le ipotesi di nullità dell’atto tributario, di qualsiasi natura esse siano (…), opera il principio generale di conversione dei vizi in mezzi di gravame. Le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, non sono rilevabili d’ufficio, né possono essere fatte valere per la prima volta nel giudizio di cassazione” (cfr. Cass., ord. 18 maggio 2018, n. 12313; nello stesso senso, v. Cass. sent. 9 novembre 2015, n. 22810; Cass., ord. 27 maggio 2021, n. 14733). In senso contrario all’impostazione giurisprudenziale si è espressa autorevole dottrina, che ha sostenuto che la “disciplina delle invalidità dei provvedimenti amministrativi, avendo introdotto in via generale la distinzione tra provvedimento nullo e provvedimento annullabile, rende necessario ricondurre le singole previsioni di nullità, contenute nelle leggi tributaria, alla nullità disciplinata in generale dalla legge sul provvedimento amministrativo” (F. Tesauro, L’invalidità dei provvedimenti impositivi, in Bollettino Tributario, 2005, p. 1445. In senso conforme, E. Marello, I fondamenti sistematici del sistema duale nullità – annullabilità, in Riv. dir. fin. sc. fin., 3/2014, p. 328).

[8] Ci si riferisce in particolare alla riforma attuata con la L. 11 febbraio 2005, n. 15 che, tra le altre modifiche, ha introdotto una disciplina positiva delle invalidità del provvedimento amministrativo secondo la bipartizione nullità (art. 21-septies, L. 7 agosto 1990, n. 241) – annullabilità (art. 21-octies, L. 7 agosto 1990, n. 241). Sul tema, cfr. F. Caringella, Invalidità e riesame dell’atto amministrativo dopo la Legge n. 15/2005: osservazioni generali in Corso di diritto amministrativo, Milano, Giuffrè, 2005, pp. 1721 ss.

[9] Per completezza, si rappresenta che il D.Lgs. n. 219/2023 ha introdotto anche un nuovo art. 7-quater, preordinato a disciplinare le ipotesi di irregolarità degli atti amministrativi. Tuttavia, come precisato nella Relazione Illustrativa, tale fattispecie non introduce un regime di invalidità in senso proprio, in quanto l’ irregolarità non è di per sé sufficiente a inficiare la validità dell’atto. Attualmente, nel regime delle irregolarità rientra il solo caso di mancata o erronea indicazione, negli atti dell’amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione, delle informazioni in merito all’ufficio presso cui è possibile ottenere informazioni, ovvero all’organo presso cui è possibile promuovere un riesame in autotutela ovvero un ricorso, in caso di atto impugnabile (requisiti di cui all’art. 7, comma 2 dello Statuto).

[10] Cfr. nota 6.

[11] Si segnala che il D.Lgs. n. 219/2023, con l’art. 1, comma 1, lettera m), è intervenuto a modificare anche l’istituto dell’autotutela prevedendo espressamente talune ipotesi di autotutela obbligatoria (art. 10-quater dello Statuto) e modificando la disciplina della autotutela “facoltativa” (art. 10-quinquies dello Statuto), precedentemente regolata dall’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994, n. 564.

[12] Per completezza, si ricorda che rientrano tra le ipotesi di interpello probatorio anche l’interpello per l’acquisizione di partecipazioni nell’ambito di interventi finalizzati al recupero di crediti bancari (art. 113, comma 5, del T.U.I.R.), l’interpello per la continuazione del consolidato nazionale post fusione (art. 124, comma 5, del T.U.I.R.), l’interpello per l’accesso al consolidato mondiale (art. 132, comma 3, del T.U.I.R.), l’interpello per il riconoscimento del beneficio ACE (art. 1, comma 8, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201), l’interpello per l’esclusione dall’ammissione al Gruppo IVA (art. 70-ter, comma 5, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), l’interpello preordinato a dimostrare che le operazioni poste in essere con paesi non collaborativi rispondono ad un effettivo interesse economico (art. 110, comma 9-ter del T.U.I.R.).

[13] Si tratta, come noto, dell’interpello avente ad oggetto l’opzione per l’assoggettamento ad imposta sostitutiva in relazione ai redditi prodotti all’estero da persone fisiche che trasferiscono la residenza in Italia, cui è stata attribuita identità autonoma ad opera dell’art. 11, comma 1, lett. f), dello Statuto.

[14] Si rappresenta, per completezza, che i contribuenti che presentano istanza di interpello nuovi investimenti ex art. 2, del D.L. 14 settembre 2015, n. 147, possono accedere al regime di cooperative compliance indipendentemente dal raggiungimento delle soglie dimensionali (cfr. art. 7, comma 1-quinquies del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128).

[15] Cfr. Circ. 1 aprile 2016, n. 9/E, la quale annovera tra le tipologie di interpello attratte dalla categoria degli interpelli disapplicativi a quella degli interpelli probatori l’interpello CFC, l’interpello per l’acquisizione di partecipazioni nell’ambito di interventi finalizzati al recupero di crediti bancari, l’interpello per la continuazione del consolidato, l’interpello per l’accesso al consolidato mondiale, l’interpello delle società in perdita sistemica)

[16] Cfr. art. 7, comma 1-bis, del D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128, come modificato dall’art. 1, comma 1, del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 221. L’accesso al regime di adempimento collaborativo a decorrere dal 2028 sarà consentito ai soggetti che conseguono un volume di affari o di ricavi non inferiore a 100 milioni di euro.

[17] In tale orientamento rientrano anche le modifiche all’interpello disapplicativo, che da obbligatorio diventa facoltativo. Sull’interpello quale forma di monitoraggio preventivo, cfr. Circ. 14 giugno 2010, n. 32/E; Circ. 1 aprile 2016, n. 9/E.

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