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Il nuovo meccanismo dello “Split payment” tra critiche e dubbi di legittimità. Soluzioni alternative al disagio finanziario dell’operatore economico

23 Aprile 2015

Antonio Piciocchi e Mattiafrancesco Masini, STS Deloitte

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Quello dello “split payment” (o anche “scissione del pagamento”, in seguito anche solo “SP”) è l’argomento di cui oggi si sente parlare più frequentemente in tema di nuovi adempimenti IVA. Si tratta della novità introdotta dalla Legge di Stabilità 2015[1] la quale, per un verso, sta creando non pochi inconvenienti in merito alle modalità attuative ad opera dei destinatari della novella normativa, dall’altro, determinando una serie di incertezze interpretative in termini di compatibilità con il generale sistema di funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto, soprattutto alla luce della normativa comunitaria di riferimento.[2]

Lo SP, infatti, introduce una rilevante novità in tema di riscossione del tributo relativo alle cessioni di beni e/o servizi poste in essere, come regola generale[3], da soggetti passivi d’imposta nei confronti delle pubbliche amministrazioni; novità della cui legittimità, in termini di generale meccanismo di funzionamento del tributo, è legittimo quantomeno dubitare. Ma procediamo per grado.

Nello specifico, la Legge di stabilità 2015 ha introdotto l’art. 17ter al D.P.R. 633/1972 il quale stabilisce che “Per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali e dei consorzi tra essi costituiti ai sensi dell’ articolo 31 del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e successive modificazioni, delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, degli istituti universitari, delle aziende sanitarie locali, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico, degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza, per i quali i suddetti cessionari o committenti non sono debitori d’imposta ai sensi delle disposizioni in materia d’imposta sul valore aggiunto, l’imposta è in ogni caso versata dai medesimi secondo modalità e termini fissati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze”.

A primo impatto non si può non notare come il testo di cui sopra ricalchi in maniera pedissequa quanto già disposto dall’art. 6, comma 5, dello stesso D.P.R. 633/1972, il quale prevede il differimento dell’esigibilità dell’imposta, con riferimento alle cessioni di beni e/o servizi poste in essere nei confronti della stessa categoria di soggetti indicati dal nuovo art. 17ter, al momento di effettuazione del pagamento. Elemento, quello della perfetta assonanza testuale, che potrebbe trarre in inganno in merito alla individuazione dei soggetti destinatari della norma.

Il meccanismo della scissione dei pagamenti non è stato accolto con favore da parte dei soggetti interessati che effettuano prevalentemente cessioni nei confronti della pubbliche amministrazioni i quali, a causa della sua applicazione obbligatoria, si troveranno in una strutturale situazione creditoria dovuta al fatto di non poter compensare il potenziale debito IVA derivante da tali cessioni con il credito IVA derivante dagli acquisti dagli stessi effettuati nell’esercizio della loro attività. Indi per cui, tali soggetti dovranno fare i conti con una situazione di rilevante deficit finanziario, essendo costretti ad attuare le procedure di rimborso dell’Iva a credito generata dall’applicazione dello SP (situazione di deficit accentuata dai lunghi tempi di attesa necessari per ottenere il rimborso medesimo), anche se, come si vedrà in seguito, il legislatore ha cercato di ovviare a tale effetto negativo tramite la previsione di procedure di rimborso prioritario per i soggetti interessati dall’applicazione della norma[4].

Al fine di definire le modalità attuative della nuova disposizione è intervenuto, da un lato, apposito Decreto del Ministero dell’economia e delle Finanze[5], dall’altro la  prassi dell’Agenzia delle Entrate[6]; da ultimo, , la Circolare n. 15/E del 13 aprile 2015.

Procederemo, con il seguente lavorato, a formulare una serie di osservazioni in merito agli aspetti più critici connessi all’applicazione del meccanismo de quo, nonché in merito alle novità interpretative più rilevanti illustrate all’interno della circolare da ultimo citata.

Finalità del nuovo meccanismo e compatibilità con la normative UE

Come pocanzi accennato, l’introduzione all’interno del sistema IVA italiano del meccanismo dello SP ha sollevato non pochi dubbi in termini di compatibilità con i principi generali, i cardini, su cui poggia l’intero impianto IVA a livello europeo.

Com’è noto, la modalità di funzionamento dell’imposta sul valore aggiunto lascia ampio spazio a comportamenti fraudolenti ad opera dei soggetti coinvolti; comportamenti che, appunto, hanno come unico obiettivo quello di arrecare un danno all’Erario tramite l’evasione del tributo dovuto. Basti pensare, ad esempio, al meccanismo delle c.d. “frodi carosello”[7]. La finalità che ha determinato l’introduzione dello SP è proprio quella di evitare il perfezionarsi di tali comportamenti.

Il wording della norma, come anticipato in premessa, risulta identico a quello utilizzato per il comma 5 dell’art. 6 del D.P.R. 633/1972. In quella occasione, però, il legislatore ha inteso perseguire una finalità ben diversa dall’intento anti-evasivo dello SP. L’art. 6, infatti, prevedeva la possibilità di differire, con riferimento alle cessioni effettuate nei confronti di determinati soggetti pubblici, il momento dell’esigibilità dell’imposta[8] all’atto del pagamento del corrispettivo[9]. La finalità era quella di “ammortizzare” la situazione di difficoltà finanziaria in cui si sarebbero potuti trovare i soggetti che effettuavano prevalentemente tali cessioni sulla base di contratti di fornitura che prevedessero il pagamento in un momento successivo a quello della consegna dei beni.

Con lo SP, invece, l’obiettivo perseguito è quello di evitare che il cessionario del bene possa indebitamente appropriarsi dell’imposta addebitata al destinatario in via di rivalsa, senza procedere al versamento della stessa nelle casse dell’Erario. 

Le differenti finalità perseguite dalla due norme determinano altrettante differenze in merito alla portata applicativa delle stesse ed alla platea dei soggetti destinatari coinvolti (di cui parleremo infra).

Si tiene a precisare come lo SP non sia stata una invenzione del legislatore italiano. Già la Commissione Europea, infatti, nell’ambito della lotta ai meccanismi frodatori in tema di IVA, ha avuto modo di soffermarsi sullo studio di metodi alternativi di riscossione del tributo diretti, appunto, ad evitare il perfezionarsi di meccanismi frodatori. In particolare, nel libro verde sul futuro dell’IVA[10] venivano previsti una serie di metodi di riscossione alternativa del tributo tra i quali quello dello SP ricopriva una posizione preminente in termini concreta attuabilità.

Invero, la struttura originariamente sottoposta agli studi delle autorità comunitarie era riferita a tutte le operazioni soggette ad IVA[11] e prevedeva una scissione del pagamento effettuato in maniera tale che questo venisse effettuato, al fornitore, da un istituto finanziario all’uopo incaricato dall’acquirente. In questo scenario, la banca sarebbe stata obbligata a versare al fornitore solo ed esclusivamente l’importo corrispondente alla base imponibile della cessione effettuata, mentre l’IVA sarebbe stata versata direttamente nelle casse dell’erario. Successivamente, invece, era stato previsto che l’imposta sarebbe stata versata in un conte corrente c.d. “bloccato” del cessionario; conto corrente che avrebbe potuto essere utilizzato da quest’ultimo solo ed esclusivamente per versare l’IVA, a sua volta, ai suoi fornitori.

Da quanto sopra emerge in maniera abbastanza evidente che l’intenzione del legislatore comunitario sia stata concretizzata dal legislatore italiano all’interno di uno scenario del tutto differente.

La novella normativa, inoltre, deve fare i conti con i meccanismi legislativi previsti in ambito europeo per la modifica delle modalità di applicazione/riscossione del tributo. A tal riguardo infatti, l’art. 395 della Direttiva 2006/112/Ce del 27 novembre 2006(di seguito per brevità anche “Direttiva”) stabilisce che “Il Consiglio, deliberando all’unanimità su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla presente direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell’imposta o di evitare talune evasioni o elusioni fiscali”.

Con tale norma il legislatore comunitario ha previsto la possibilità per gli Stati Membri di introdurre meccanismi alternativi alle modalità di riscossione del tributo, diretti a facilitare la riscossione dello stesso o ad evitare fenomeni elusivi/evasivi. Per tali deroghe, in ogni caso, è necessaria apposita richiesta di autorizzazione da sottomettere al vaglio dei competenti organi comunitari.

Alle luce di quanto sopra, l’art. 1, comma 632 della legge 190/2014 ha previsto che la deroga all’ordinario meccanismo di funzionamento dell’IVA introdotta dallo SP sia soggetta a richiesta di autorizzazione ai sensi dell’art. 395 della Direttiva. Nonostante ciò il legislatore italiano, nelle more della procedure di autorizzazione[12], ha previsto che il nuovo meccanismo trovasse applicazione con riferimento alle fatture emesse a partire dal 1° gennaio 2015, incurante dell’eventuale giudizio negativo che potrebbe arrivare dalla Commissione Europea. In tale ultima ipotesi, infatti, l’assenza di autorizzazione determinerebbe la inapplicabilità della nuova norma con buona pace per tutti i soggetti coinvolti che nel frattempo avranno dovuto affrontare una serie di costi amministrativo/contabili per adeguarsi al nuovo sistema.[13]        

Modalità attuative ed ambito soggettivo di applicazione dello SP

Il meccanismo di applicazione dello split payment non presenta particolari complessità da un punto di vista teorico. Il fornitore emetterà regolare fattura ai sensi dell’art. 21 del D.P.R. 633/1972, indicando sia la base imponibile che l’IVA e, al fine di dare evidenza che si tratti di operazione sottoposta all’applicazione del nuovo art. 17ter, dovrà indicare la dizione “scissione dei pagamenti”. Nessuna modifica formale interverrà in merito all’obbligo di registrazione di tale fattura per il fornitore che dovrà provvedere ad effettuare regolare iscrizione della stessa nel registro IVA vendite; la modifica, invece, interviene a livello sostanziale in quanto l’IVA addebitata in fattura (ma non riscossa) non dovrà essere computata in liquidazione.

Per quanto riguarda gli adempimenti da porre in essere ad opera del soggetto pubblico destinatario della fattura, invece, dovrà distinguersi a seconda se l’acquisto venga effettuato nell’esercizio dell’attività commerciale dell’ente o della sua attività istituzionale. Nel primo caso l’IVA addebitata in fattura dal fornitore (e che dovrà essere versata all’Erario in ossequio al meccanismo dello SP) potrà confluire regolarmente nella liquidazione periodica dell’ente[14]; nella seconda ipotesi il versamento dovrà essere effettuato mediante appositi codici tributo forniti dall’Agenzia delle Entrate[15].

Le maggiori difficoltà causate dall’introduzione dal nuovo SP sono dovute alla poca chiarezza che ha caratterizzato l’intervento del legislatore relativamente alla individuazione dei soggetti acquirenti destinatari della norma. Come anticipato, il wording dell’art. 17ter, esattamente speculare a quello dell’art. 6, comma 5 del D.P.R. 633/1972[16], potrebbe trarre in inganno e indurre a pensare che la platea dei soggetti destinatari coinvolti sia a sua volta identica. Conclusione alla quale non può giungersi se si prendono in considerazione (come esaminato supra) le differenti finalità perseguite dalle due norme. A tal riguardo, l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 1/E del 9 febbraio 2015, ha specificato che mentre la disposizione di cui all’art. 6, comma 5, sia “una norma speciale avente carattere agevolativo a natura derogatoria rispetto ai principi ordinari dell’IVA” con riferimento alla quale “non è possibile effettuare interpretazioni estensive della stessa”, la stesso ordine di argomentazioni non può essere formulato in merito all’art. 17ter.

Continua l’Agenzia affermando che alla luce di quelle che sono le diverse finalità perseguite da tale disposizione “ai fini dell’individuazione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 17-ter del DPR n. 633 del 1972, occorra, quindi, fare riferimento ai soggetti destinatari dell’art. 6, quinto comma, del DPR n. 633 del 1972, effettuando, comunque, un’interpretazione del dettato normativo della disposizione in commento basata su valutazioni sostanziali di ordine più generale, che tengano conto della differente ratio che ha ispirato il legislatore nell’adozione di tale norma rispetto al citato art. 6, quinto comma, dello stesso DPR n. 633”. Tramite lo stesso documento di prassi, poi, l’Agenzia chiarisce che al fine di facilitare l’individuazione dei soggetti destinatari dello SP può farsi riferimento all’Indice delle Pubbliche Amministrazioni, in tal modo il fornitore dovrebbe poter verificare direttamente nell’anagrafica dell’IPA la categoria di appartenenza e i riferimenti dell’ente pubblico acquirente. Precisando, infine, che nell’ipotesi in cui dovessero permanere dei dubbi in merito all’individuazione della natura pubblicistica o meno del destinatario, l’operatore interessato può presentare un’istanza di interpello ai sensi dell’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212[17].

A parere di chi scrive il criterio interpretativo fornito dall’Agenzia risulta carente e poco efficace (se non con riferimento a quelle ipotesi in cui la natura pubblicistica dell’ente appare ictu oculi indiscussa, ad esempio la categoria dei Ministeri o delle scuole pubbliche–) laddove afferma che l’interpretazione del nuovo dettato normativo debba essere effettuata su “valutazioni sostanziali di ordine più generale” che prendano anche in considerazione la differente ratio che ha ispirato il legislatore rispetto a quella dell’art. 6, comma 5. Non sembra essere stato individuato un criterio oggettivo, di univoca e uniforme applicazione ad opera degli addetti ai lavori, esaustivo di qualsiasi dubbio in merito.

Così come non esaustivo deve considerarsi il riferimento all’Indice delle Pubbliche Amministrazioni. A tal riguardo, infatti, si precisa che il portale IPA non contiene l’elenco esaustivo degli enti potenzialmente assoggettabili all’applicazione della nuova disposizione in forza della loro natura pubblicistica; e ciò in quanto alcune amministrazioni, possibilmente, non hanno ancora provveduto ad effettuare la comunicazione dei dati dai inserire nell’IPA entro i termini previsti dalla legge[18]. Ciò non vuol dire che i soggetti della cui esistenza non possa rinvenirsi traccia all’interno dell’IPA non debbano essere qualificati come soggetti pubblici destinatari della disposizione de qua.

A risolvere l’arcano mistero ci ha provato da ultimo la Circolare 15/E del 13 aprile 2015 con la quale l’Agenzia, forse dietro pressanti solleciti intervenuti dalle forze in gioco, ha provato a dettare un criterio di poco più specifico rispetto a quello fissato dalla Circolare 1/E del 2015, ma comunque, a parere di chi scrive, non ancora del tutto esaustivo. In tale occasione l’ADE specifica, infatti, che “Stante l’obiettivo del legislatore, si ritiene che nell’ambito soggettivo di applicazione del meccanismo della scissione dei pagamenti debbano essere compresi, oltre agli enti espressamente elencati nell’art. 17-ter, anche i soggetti pubblici che, in quanto qualificabili come loro immediata e diretta espressione, siano sostanzialmente immedesimabili nei predetti enti”.

Anche in questa occasione pare che l’amministrazione abbia fornito una chiave interpretativa foriera di innumerevoli dubbi. Il semplice fatto di lasciare alla discrezionalità dell’interprete (in questo caso dei fornitori) l’individuazione della natura pubblica o meno del destinatario della cessione, già da sé è sintomo di applicazioni della norma potenzialmente contrastanti. Motivo per cui si ritiene auspicabile un intervento diretto a fornire una lettura della norma scevra da qualsiasi particolarismo interpretativo ad opera dei singoli fornitori[19].

Tramite la Circolare 15/E, tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria apre ad un tentativo di sollevamento da responsabilità del fornitore nell’ipotesi in cui la situazione di incertezza in merito alla natura del cessionario non sia risolvibile. Infatti, l’Agenzia chiarisce che “In caso di incertezza si è dell’avviso che per i fornitori sia sufficiente attenersi alle indicazioni fornite dalla PA committente o cessionaria, nel presupposto che la predetta PA abbia tutti gli elementi per valutare i propri profili soggettivi in ordine alla riconducibilità della stessa nell’ambito applicativo della scissione dei pagamenti”. Quasi a voler dire che, qualora la P.A. interessata dovesse comunicare, erroneamente, di essere/non essere soggetta al meccanismo dello SP, nessuna responsabilità possa essere ascritta in capo al fornitore tratto in inganno dalle informazioni ricevute dall’ente medesimo[20]

Con riferimento all’ambito soggettivo, infine, è bene chiarire come, a differenza del meccanismo del reverse charge[21], il nuovo art. 17ter trovi applicazione anche nell’ipotesi in cui l’ente pubblico agisca nella sua veste istituzionale e, in quanto tale, non qualificabile come soggetto passivo ai fini IVA.

Ambito oggettivo ed esclusioni

La Circolare 15/E di cui sopra richiama perfettamente quanto già chiarito dalla precedente Circolare 1/E del 2015 al fine di definire l’ambito oggettivo di applicazione dello SP. A tal riguardo si ribadisce come il meccanismo in oggetto trovi applicazione con riferimento a tutte le cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere nei confronti di soggetti avente natura pubblica e documentate da fattura emessa a partire dal 1° gennaio 2015[22].

Al di fuori delle ipotesi di esclusione previste dai precedenti interventi dell’Agenzia[23], la Circolare 15/E in commento fornisce ulteriori delucidazioni in merito a quelle operazioni con riferimento alle quali, di regola, non dovrebbe trovare applicazione lo SP in quanto soggette a reverse charge. L’esempio è quello delle spese di pulizia relative ad un immobile dedicato in parte all’attività istituzionale, in parte a quella commerciale. In tale ipotesi, specifica l’Amministrazione, il cessionario/committente dovrà indicare al fornitore (sulla base di un calcolo oggettivo) la quota parte della cessione da assoggettare a reverse charge; la restante parte sarà assoggettata a SP.

Con riferimento a quanto disposto dal secondo comma dell’art. 17ter[24], la medesima Circolare precisa che l’esclusione dall’applicazione della norma deve intendersi anche con riferimento a quei “compensi pagati a soggetti che rendono all’ente pubblico prestazioni di lavoro autonomo i cui compensi sono assoggettati a ritenute a titolo di acconto”; l’esclusione è valida, però, solo nei casi in cui la ritenuta in questione sia effettuata direttamente da parte dell’Amministrazione che eroga il compenso e non da parte di un soggetto terzo.

Infine, la Circolare 15/E elenca una serie di ulteriori ipotesi di esclusione dovute all’applicazione di regimi IVA c.d. “speciali”:

– Regimi monofase di cui all’art. 74 del D.P.R. 633/1972;

– Regime del margine di cui all’art. 36 e ss. Del D.L. 41/1995;

– Regime speciale applicato alle agenzie di viaggio;

– Regime speciale di cui agli artt. 34 e 34 bis del D.P.R. 633/1972;

– Regime agevolato per il terzo settore di cui alla legge 398/1991;

– Regime relativo all’attività di intrattenimento di cui alla tariffa allegata al D.P.R: 640/1972, cui si applicano ai fini IVA le disposizioni di cui all’art. 74, comma 6, D.P.R. 633/1972;

– Regime applicabile agli spettacoli viaggianti, nonché alle altre attività di cui alla tabella C allegata al D.P.R: 633/1972.

Rimedi alla situazione di difficoltà finanziaria arrecata dallo SP alle imprese. Rimborsi prioritari.

Come anticipato in premessa, l’introduzione dell’obbligo dello split payment determina una situazione di ingente difficoltà finanziaria in capo a qui soggetti che prevalentemente pongono in essere operazioni soggette alla sua applicazione. Lo SP, infatti, va ad alterare quello che è il fisiologico meccanismo di funzionamento dell’imposta finalizzato ad assicurare il principio cardine della “neutralità” dell’IVA in capo a tutti i soggetti coinvolti nella catena di produzione, distribuzione, commercializzazione di beni e servizi antecedente il momento in cui questi giungano al consumatore finale (soggetto che verrà economicamente gravato del peso del tributo). Tale neutralità, che sulla base dei principi comunitari ispiratori dell’imposta non può essere mai sacrificata dagli Stati Membri, è garantita tramite il meccanismo della rivalsa e detrazione del tributo; in virtù di tale meccanismo, infatti, il soggetto passivo IVA deve detrarre l’imposta a credito derivante dagli acquisti dal medesimo effettuati nell’esercizio di imprese/arti/professioni, dall’imposta a debito derivante dalle cessioni poste in essere nell’esercizio della medesima attività; la differenza tra l’IVA a credito e a debito deve essere versata all’erario (in caso di debito finale) o può essere richiesta a rimborso (in caso di credito).

Il meccanismo dello SP va ad infrangere questo procedimento, laddove l’IVA relativa a determinate cessioni deve essere versata, anziché al fornitore, direttamente nelle casse dell’Erario. Previsione, questa, che va ad alterare il meccanismo della rivalsa e detrazione sopra citato, comportando l’effetto negativo per i fornitori di trovarsi in una situazione creditoria strutturale. Credito con riferimento al quale il fornitore è costretto a chiederne il rimborso nei confronti dell’Erario, pagando la pena delle lungaggini amministrative che al riguardo affliggono il sistema italiano dei rimborsi IVA.[25]

A tal riguardo, una piccola parentesi merita di essere aperta in merito al “Decreto Semplificazioni 2015”[26], che ha sensibilmente modificato l’art. 38 bis del D.P.R. 633/1972, modificando “le procedure per l’esecuzione dei rimborsi dell’IVA risultanti a credito nella dichiarazione annuale dell’IVA (comma 1) ovvero, per talune fattispecie che non vengono modificate rispetto a quelle attualmente previste, nella liquidazione dell’IVA di fine trimestre (comma 2)”[27]. Tale modificata è stata indotta, principalmente, dalla procedura di infrazione 2013/4080 aperta dalle autorità comunitarie al fine di contestare all’Italia i tempi troppo lunghi per i rimborsi annuali IVA e per le condizioni, troppo severe, previste per l’esenzione dall’obbligo di prestare una garanzia al fine di beneficiare del periodo ridotto di rimborso dell’IVA.[28]

Tornando agli effetti negativi causati dallo SP in termini di criticità finanziaria per l’operatore economico, la Circolare 15/E del 2015 ha richiamato la nuova formulazione dell’art. 30 del D.P.R. 633/1972, così come modificato dalla lettera c) del comma 629, art. 1, della legge di stabilità 2015, in merito alle procedure di rimborso garantire ai soggetti che effettuano cessioni ex art. 17ter.

In particolare, l’art. 30, comma 2, lett. a), del D.P.R. 633/1972, prevede la possibilità di richiedere il rimborso dell’IVA a credito (se di importo superiore ad Euro 2.582,28) per le ipotesi in cui il soggetto effettui prevalentemente cessioni di beni e servizi applicando un’aliquota mediamente inferiore rispetto a quella scontata sugli acquisti dal medesimo effettuati (c.d. criterio dell’”aliquota media”). Nella nuova formulazione, chiarisce la Circolare, al fine del calcolo di tale aliquota media sono da ricomprendere anche le operazioni di cui all’art. 17ter, come operazioni ad aliquota zero.

L’Agenzia, inoltre, spiega come il fatto di porre in essere operazioni sottoposte al meccanismo dello SP non costituisca, sic e simpliciter, un autonomo presupposto per la richiesta di rimborso. Al contrario, il soggetto potrà ritenersi legittimato a richiedere il rimborso solo ed esclusivamente ove sussista il requisito dell’aliquota media, al cui calcolo, appunto, contribuiscono le operazioni ex art. 17ter.

L’agevolazione vera e propria, tuttavia, proviene dal comma 630, dell’art. 1 della legge di Stabilità 2015, il quale prevede che con Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze siano inclusi, tra i soggetti nei confronti dei quali il rimborso è eseguito in via prioritaria, i fornitori delle pubbliche amministrazioni, ma limitatamente al credito rimborsabile relativo alle operazioni soggette alla scissione dei pagamenti. A tal riguardo, infatti, l’art. 8 del DM del 23 gennaio 2015[29] stabilisce al comma 1 che “La disposizione di cui all’articolo 38-bis, comma 10, del decreto n. 633 del 1972, e successive modificazioni, che prevede l’erogazione dei rimborsi in via prioritaria dell’eccedenza d’imposta detraibile, si applica, a partire dalla richiesta relativa al primo trimestre dell’anno d’imposta 2015, ai soggetti passivi che hanno effettuato operazioni nei confronti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 17-ter dello stesso decreto n. 633 del 1972, nel rispetto dei presupposti di cui all’articolo 30, secondo comma, lettera a), del decreto n. 633 del 1972”; continua il comma 2 del citato art. 8: “I rimborsi di cui al comma 1 sono erogati in via prioritaria per un ammontare non superiore all’ammontare complessivo dell’imposta applicata alle operazioni, di cui all’articolo 17-ter del decreto n. 633 del 1972, effettuate nel periodo in cui si è avuta l’eccedenza d’imposta detraibile oggetto della richiesta di rimborso”.

Da quanto sopra si deduce che il soggetto che effettua operazioni assoggettato a SP potrà ottenere il rimborso solo ove sussista il requisito dell’aliquota media, con garanzia della priorità del rimborso solo con riferimento a quella parte di IVA relativa a cessioni ex art. 17ter. Alla luce di ciò si potrebbe benissimo verificare l’ipotesi in cui l’ammontare richiesto a rimborso debba essere scisso in due parti: una, per la quale è garantito il rimborso prioritario (iva ex art. 17); l’altra, per la quale il rimborso segue le vie di priorità ordinaria.[30]

Infine, la Circolare 15/E chiarisce che i ai rimborsi in questione verrà attribuito un numero cronologico che permetta di inserirli nell’apposita graduatoria dei rimborsi da eseguirsi in via prioritaria. Ovviamente, al fine della verifica della sussistenza del requisito dell’aliquota media, l’istruttoria del rimborso seguirà la via prioritaria (con prevalenza sull’istruttoria dei rimborsi ordinari). Una volta accertata la sussistenza del requisito, la priorità per l’erogazione verrà garantita solo per quella parte di rimborso relativa alle cessioni ex art. 17ter.

Rimedi alternativi al rimborso prioritario. La cessione del credito IVA infrannuale

Invero, una soluzione fattibile e alternativa alla difficoltà finanziaria derivante dall’applicazione dello SP, esiste. Si tratta della cessione del credito IVA infrannuale da porre in essere tramite fattispecie contrattuali create appositamente al fine di garantirne l’effettività nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria. Figure negoziali in grado di tutelare i diritti di tutte le parti coinvolte (cedente, cessionario, Amministrazione Finanziaria).

La soluzione prospettata dal legislatore, infatti, appare un vano tentativo di “ammorbidire” la situazione di disagio creata dall’introduzione del nuovo meccanismo. Basti pensare al fatto che, inevitabilmente, saranno plurimi i soggetti che procederanno a chiedere il rimborso in via prioritaria; altrettanto numerosi saranno le istruttorie da condurre, ad opera dei competenti Uffici dell’Agenzia delle Entrate, in merito alla esistenza del requisito dell’aliquota media; e, infine, sulla graduatoria dei rimborsi da eseguire in via prioritaria graverà, in misura considerevole, il numero dei soggetti che effettuano operazioni ex art. 17ter. Tutti elementi, questi, che inducono quantomeno a far dubitare della concreta efficacia del rimedio previsto dal legislatore. In ogni caso trattasi di soluzioni che lasciano un margine di incertezza circa i tempi di effettivo incasso del credito IVA, elemento purtroppo assolutamente necessario ai fini di un’adeguata pianificazione finanziaria.

Quella della cessione del credito IVA infrannuale, invece, appare come una soluzione più immediata e in grado di portare elementi di certezza circa i tempi di disponibilità delle risorse finanziarie per le società strutturalmente a credito IVA. Tale cessione, infatti, permette di monetizzare immediatamente il credito IVA maturato dal fornitore, senza la necessità di dover attendere le lungaggini del procedimento amministrativo previsto ai fini dell’erogazione del rimborso.

Al riguardo preme comunque evidenziare come la posizione assunta dall’Amministrazione Finanziaria con riferimento alla cessione del credito IVA trimestrale sia contrastante rispetto a quella, di certo più rilevante o quantomeno produttiva di effetti giuridici, assunta in tal senso dalla giurisprudenza.

Nello specifico, l’assunto dell’Agenzia secondo cui il credito infraannuale non possa formare oggetto di cessione, si fonda sul dettato dell’art. 5, comma 4-ter del decreto-legge 14 marzo 1988, n. 70, sulla base del quale “in caso di cessione del credito risultante dalla dichiarazione annuale deve intendersi che l’ufficio…possa ripetere anche dal cessionario le somme rimborsate”. Secondo l’Agenzia “Da tale disposto normativo si desume implicitamente che il credito relativo ai rimborsi infrannuali non possa essere ceduto, non essendo configurabile alcun limite alla possibilità di ripetere le somme cedute. Per “credito risultante dalla dichiarazione annuale”, infatti, si deve intendere quello indicato nella dichiarazione annuale IVA e, pertanto, solo tali crediti –  e non anche quelli infrannuali chiesti a rimborso – sono suscettibili di cessione”.[31]   

L’Amministrazione ha sempre negato l’efficacia nei propri confronti del trasferimento del credito IVA infrannuale, ed il conseguente obbligo, in qualità di debitore ceduto, di pagare nei confronti del cessionario, agli effetti di cui all’art. 1264 c.c.

Contro la tesi dell’Amministrazione deve segnalarsi la posizione assunta dalla giurisprudenza la quale ha acconsentito alla fattibilità di tale operazione. In particolare, la sentenza n. 436/2008 del Tribunale di Venezia ha riconosciuto la validità anche nei confronti dell’Agenzia delle Entrate della cessione di un credito IVA chiesto a rimborso per un periodo inferiore all’anno.

La corte, nel richiamare il comma 4ter dell’art. 5 del D.L. 70/1988, in merito all’esecuzione dei rimborsi, mette in discussione il fatto che il credito IVA trimestrale non risulterebbe dalla dichiarazione annuale e che, conseguentemente l’espressione utilizzata dal legislatore “credito risultante dalla dichiarazione annuale” coinciderebbe con il solo credito IVA annuale. Secondo i giudici, infatti, il credito IVA trimestrale, allo stesso modo di quello annuale, deriva da operazioni effettuate nel corso dell’anno d’imposta, che confluiscono nella dichiarazione annuale IVA.  Pertanto tale sentenza non effettua alcuna distinzione tra credito IVA annuale e credito IVA trimestrale, posto che il credito IVA chiesto a rimborso in sede trimestrale, risultando dalla dichiarazione annuale, potrà eventualmente essere recuperato dall’Amministrazione Finanziaria – in virtù dell’art. 5, comma 4-ter del D.L. 70/1988, presso il cessionario – utilizzando anche l’escussione della garanzia fideiussoria ex art. 38-bis D.P.R. n. 633/1972, prestata ai fini del rimborso.

L’orientamento in questione, confermato anche nel secondo grado di giudizio dai giudici della Corte di Appello di Venezia (cfr. Sentenza n. 2252/2013), risulta meritevole di considerazione alla luce di quella che è la ratio che regola la cessione del credito. Il fatto che l’Agenzia si sia basata sul dato meramente letterale della norma relativa all’opponibilità del credito ad opera del cessionario nei confronti dell’Agenzia medesima (il quale fa solo ed esclusivamente riferimento al credito risultante dalla dichiarazione annuale) pare del tutto privo di fondamento. Non si capisce, infatti, la ratio sottesa a tale orientamento interpretativo ad opera dell’autorità finanziaria. Nulla vieta di effettuare una interpretazione estensiva della norma di cui all’art. 5, comma 4-ter del D.L. 70/1988, riferendola anche al credito IVA trimestrale. Interpretazione estensiva che è stata correttamente effettuata dai giudici del Tribunale di Venezia, prima, e della Corte d’appello, poi.

Di questo avviso, è stata anche la Commissione Tributaria Regionale di Perugia che, con sentenza n. 188 emessa in data 27 novembre 2012, ha ritenuto cedibile a terzi il credito IVA annuale e trimestrale chiesto a rimborso anche con effetto nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, in forza del principio generale per cui qualsiasi credito è in linea di principio cedibile, salvo espresso divieto. Divieto che non pare sussistere con riferimento alla cedibilità del credito IVA.

Infine, preme precisare come quello dell’Agenzia delle Entrate sia un mero orientamento interpretativo, privo di efficacia diretta inter partes sulla cessione del credito IVA infrannuale. Diverso è il discorso per quanto riguarda la giurisprudenza citata, avente, appunto, potere decisionale in merito alla efficacia di una simile cessione. A parere di chi scrive, l’eventuale opposizione ad opera dell’Amministrazione alla cessione del credito infrannuale verrebbe, con ogni probabilità, rigettata da parte della competente autorità giudiziaria per le motivazioni sopra esposte. Motivo per cui, molto probabilmente, la stessa Agenzia delle Entrate sarà costretta a modificare il proprio orientamento, onde evitare l’istaurarsi di inutili contenziosi che si concluderebbero con il riconoscimento della validità della cessione posta in essere.

La fattibilità della cessione del credito infrannuale, quindi, è una strada percorribile al fine di porre rimedio alla situazione di difficoltà finanziaria arrecata dallo SP. Strada percorribile, come anticipato, grazie a specifiche strutture contrattuali atte a garantire la tutela degli interessi di tutte le parti in gioco.

 


[1] L. 23 dicembre 2014, n. 190, Gazzetta Ufficiale n. 300 del 29 dicembre 2014, Serie generale, Art. 1, comma 629, lettere b) e c), commi 630, 632 e 633.

[2] Come si avrà modo di vedere più avanti, il meccanismo è già stato reso efficace da parte del legislatore italiano, ma lo stesso è in attesa di essere espressamente autorizzato, quale misura derogatoria al normale meccanismo di funzionamento dell’imposta, da parte delle autorità comunitarie.

[3] La regola generale, appunto, è quella secondo cui il nuovo meccanismo troverà applicazione con riferimento alle operazioni poste in essere da soggetti passivi IVA nei confronti delle pubbliche amministrazioni. Come si vedrà più avanti, l’Amministrazione finanziaria ha avuto modo di specificare come il dettato del nuovo art. 17 ter del D.P.R. 633/1972 non debba essere interpretato in senso eccessivamente restrittivo con riferimento all’elencazione dei soggetti destinatari da esso indicati, bensì in una maniera tale che permetta di perseguire le finalità anti-evasive per le quali la stessa norma è stata introdotta. Al contempo sono stati previsti una serie di casi – alcuni per espressa previsione legislativa (comma 2 del nuovo art. 17 ter), altri a seguito di interpretazione della norma fornita dall’Agenzia delle Entrate (vedi Circolari 1/E, 6/E e 16/E del 2015) – con riferimento ai quali il meccanismo in questione non trova applicazione, di cui si dirà più avanti nella presente trattazione.

[4] Come si vedrà in seguito, l’agevolazione in questione viene concessa solo ed esclusivamente a condizione che il soggetto rientri nella causale del rimborso dell’”aliquota media”, prevista dall’articolo 30 del D.P.R. 633/1972, e limitatamente all’importo relativo alle cessioni soggette al meccanismo dello split payment. A tal riguardo, le operazioni soggette a SP andranno ad integrare il calcolo dell’aliquota media, aggiungendosi alle altre operazioni poste in essere dal fornitore, e verranno considerate come cessioni ad aliquota zero. In assenza del requisito dell’aliquota media non viene applicata alcuna priorità di rimborso.

[5] Decreto 23 gennaio 2015, integrato dal Decreto 20 febbraio 2015.

[6] Circolare 1/E del 9 febbraio 2015 e Circolare 6/E del 19 febbraio 2015.

[7] La frode carosello vede coinvolte una serie distinta, quantomeno a livello nominativo, di soggetti nell’ambito della circolazione a livello comunitario e nazionale dello stesso prodotto. L’ipotesi classica è quella che vede il perfezionarsi di un acquisto intracomunitario ad opera di un soggetto nazionale (all’uopo definito “società cartiera”) con riferimento al quale l’IVA viene assolta tramite il meccanismo del “reverse charge” (o “inversione contabile”). Per il tramite di tale meccanismo di assolvimento dell’imposta l’acquirente non versa alcuna IVA nelle casse dell’Erario ponendo in essere una doppia registrazione dell’operazione sia nel registro IVA vendite che nel registro IVA acquisti. Successivamente, la cartiera cede il bene ad un soggetto nazionale perfezionando una cessione rilevante ai fini Iva in Italia con conseguente addebito dell’imposta nei confronti del cessionario; ed è in questo momento che si perfeziona la c.d. frode carosello. La cartiera, infatti, provvede ad incassare l’imposta addebitata al cessionario in via di rivalsa senza, però, provvedere a versare la relativa IVA nelle casse dell’Erario (di solito, una volta perfezionata la cessione la cartiera sparisce in modo tale da evitare i controlli da parte delle autorità statali); al contempo, l’acquirente nazionale porterà in detrazione l’IVA pagata nei confronti della cartiera, compensandola con il debito derivante dalla successiva cessione che verrà effettuata nei confronti di un altro acquirente nazionale a cui l’IVA verrà addebitata in rivalsa. È bene precisare come, nella maggior parte dei casi, tutti i soggetti coinvolti facciano capo ad un unico soggetto e come siano solo distinti fra di loro solo in termini nominativi.

[8] La regola generale in merito all’esigibilità dell’imposta per le cessioni di beni è fissata dai commi 1 e 5 (prima parte) dell’art. 6 del D.P.R. 633/1972, sulla base dei quali “Le cessioni di beni si considerano effettuate nel momento della stipulazione se riguardano beni immobili e nel momento della consegna o spedizione se riguardano beni mobili…L’imposta relativa alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi diviene esigibile nel momento in cui le operazioni si considerano effettuate secondo le disposizioni dei commi precedenti e l’imposta è versata con le modalità e nei termini stabiliti nel titolo secondo

[9] A tal riguardo, con riferimento allo split payment, preme sottolineare il dettato dell’art. 3 del D.M. 23 gennaio 2015 il quale stabilisce che “Le pubbliche amministrazioni possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione della fattura”. Ciò vuol dire che, a meno che l’ente pubblico non decida di provvedere al versamento dell’imposta nelle casse dell’Erario al momento della ricezione delle fatture, o in un momento comunque antecedente il momento del pagamento, l’imposta dovrà essere computata nella liquidazione relativa al mese in cui è stata ricevuto il pagamento.

[10] “Verso un sistema dell’IVA più semplice, solido ed efficiente

[11] Mentre nello SP di derivazione Italiana la portata è limitata solo ed esclusivamente alle cessioni di beni poste in essere nei confronti di soggetti avente natura pubblica, escludendo, quindi, tutte le operazioni intercorrenti tra i privati soggetti d’imposta.

[12] Autorizzazione che, per essere ritenuta valida, deve essere rilasciata entro 8 mesi dalla richiesta dello stato membro (in tal senso l’ultimo comma dell’art. 395 della Direttiva, sulla base del quale “La procedura di cui ai paragrafi 2 e 3 deve essere completata, in ogni caso, entro otto mesi dal ricevimento della domanda da parte della Commissione”).

[13] Il legislatore, però, ha “intelligentemente” previsto una clausola di salvaguardia per l’ipotesi in cui tale autorizzazione non dovesse pervenire nei termini previsti; clausola di salvaguardia diretta a rimpinguare le casse erariali di quanto non ricavabile dallo SP tramite l’aumento delle accise sui carburanti.

[14] Nello specifico la fattura sarà soggetta a doppia registrazione: da un lato nel registro IVA vendita al fine di essere computata come IVA a debito da versare nelle casse dell’Erario; dall’altro all’interno del registro IVA acquisti di cui all’art. 25 del D.P.R. 633/1972, trattandosi a tutti gli effetti di un acquisto.

[15] In tal caso il soggetto pubblico acquirente ha a disposizione 3 diverse modalità di versamento del tributo: i) versare l’imposta relativa ad ogni singola fattura per cui l’IVA è divenuta esigibile; ii) versare l’imposta giornalmente con riferimento alle fatture ricevute per cui l’IVA è divenuta esigibile in quel giorno; iii) versare l’imposta entro il giorno 16 del mese con riferimento alle fatture per cui l’IVA è divenuta esigibile nel mese precedente. Al riguardo, la Circolare 15/E del 13 aprile 2015 ha avuto modo di precisare che non esiste alcun limite al numero di versamenti effettuati tramite modello F24 e che, inoltre, l’F24 inviato successivamente non va a sostituire il precedente ma andrà ad aggiungersi a questo.

[16] È bene sottolineare il disposto dell’art. 3 del Decreto Ministeriale 23 gennaio 2015, sulla base del quale “Per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 17-ter del decreto n. 633 del 1972, alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi disciplinate dal medesimo articolo non è applicabile la disposizione di cui all’art. 6, quinto comma, secondo periodo, del decreto n. 633 del 1972.”.

[17] “Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente”

[18] La Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 1 del 31 marzo 2014, a commento del Decreto n. 55 del 3 aprile 2013 in tema di fatturazione elettronica, chiarisce che “la disposizione dell’art. 6, comma 5 del DM 55 stabilisce che il termine entro il quale ciascuna pubblica amministrazione deve completare il caricamento in IPA dell’anagrafica dei propri uffici deputati alla ricezione delle iatture elettroniche precede di tre mesi la data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica”.

[19] Potrebbe farsi riferimento, ad esempio, al fatto che il soggetto destinatario della cessione è un soggetto il cui budget concorre a formare una delle voci del bilancio statale; o ancora, le cui spese, o i cui conti, siano soggette ad apposito controllo ad opera della Corte dei Conti; diversamente si potrebbe far riferimento alla natura del soggetto definita nell’atto costitutivo dello stesso ed al sistema normativo diretto a disciplinare il funzionamento dell’ente medesimo (norme di diritto pubblico o norme di diritto privato).

[20] Tale osservazione costituisce un’interpretazione, ad opera degli scriventi, di quanto affermato dall’Agenzia. Invero, nessun riferimento esplicito alla responsabilità del fornitore, in caso di erronea applicazione del tributo, viene formulato dall’Amministrazione.

[21] Il quale trova applicazione solo ed esclusivamente tra soggetti qualificabili come soggetti passivi ai fini IVA.

[22] Una serie di dubbi erano stati sollevati in merito alle fatture emesse nel 2014 sulla base dell’art. 6, comma 5 del D-P.R. 633/1972 (fatture ad esigibilità differita), con riferimento alle quali non fosse ancora stato effettuato il pagamento da parte dell’ente pubblico. L’Agenzia ha chiarito che in tali casi non troverà applicazione il meccanismo dello SP in quanto la fattura è stata emessa prima del 1° gennaio 2015.

[23] Nella Circolare 1/E del 2015 l’Agenzia chiarisce che il meccanismo dello SP non trova applicazione con riferimento a tutte le ipotesi in cui l’amministrazione, sulla base della normativa vigente, debba considerarsi debitore d’imposta ai fini IVA: è il caso, ad esempio, in cui trova già applicazione il meccanismo dell’inversione contabile (art. 17 del D.P.R. 633/1972; art. 74, comma 7 stesso D.P.R.; acquisti Intra-UE di beni oltre la soglia di Euro 10.000 annui ad opera dell’amministrazione che non sia soggetto passivo IVA ma che sia identificato agli effetti della stessa imposta;); o dell’ipotesi in cui non è previsto l’obbligo di emissione della fattura. Con riferimento a tale ultima fattispecie, la Circolare 15/E ha chiarito che il meccanismo dello SP troverà applicazione nel caso in cui la fattura viene emessa su richiesta dell’amministrazione cessionaria.

[24] “Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta sul reddito”.

[25] Come osservato dall’Agenzia delle Entrate nella Circolare 15/E del 2015, la deroga al classico meccanismo di funzionamento dell’imposta basato su rivalsa e detrazione della stessa sarebbe giustificata “dall’esigenza di contrastare fenomeni di frode che hanno indotto il legislatore ad introdurre il meccanismo della scissione dei pagamenti”.

[26] Decreto legislativo n. 175 del 21 novembre 2014.

[27] Relazione illustrativa al “Decreto Semplificazioni”, Capo II “Semplificazioni per i rimborsi”, art. 14.

[28] Al fine di porre rimedio alla procedura di infrazione, il legislatore ha previsto una serie di rimedi tra cui:

– Innalzamento da 5.164,57€ a 15.000 € della soglia dei rimborsi erogabili «senza» garanzia e senza altri adempimenti: per i rimborsi fino a 15.000 € sarà sufficiente presentare l’istanza di rimborso (mediante dichiarazione annuale IVA o modello IVA TR);

– Possibilità di ottenere rimborsi per importi superiori a 15.000 € senza presentazione di garanzia, presentando la dichiarazione annuale munita di «visto di conformità» (o sottoscrizione alternativa da parte dell’organo di controllo) e dichiarazione sostitutiva di atto notorio attestante la sussistenza di certi requisiti patrimoniali: per la richiesta di rimborsi superiori a 15.000 € sarà sufficiente procedere alla richiesta del rimborso IVA mediante presentazione della dichiarazione annuale IVA o modello IVA TR da cui emerge il credito IVA chiesto a rimborso recante il visto di conformità o la «sottoscrizione alternativa» dell’organo di controllo;

– Di una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti la sussistenza in capo alla società di requisiti di «solidità patrimoniale», «continuità aziendale» e di «regolarità contributiva» (ex art. 38 bis, c.3).

Sono poi state previste una serie di ipotesi con riferimento alle quali continuerà a trovare applicazione l0obbligo di emissione della garanzia: attività d’impresa esercitata da meno di due anni; notifica, nei due anni precedenti la richiesta di rimborso, di avvisi di accertamento o rettifica (a condizione che siano riscontrate differenze tra importi accertati e dichiarati nell’ammontare id specifiche soglie); ipotesi in cui la dichiarazione sia presentata senza visto di conformità o senza dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà.

[29] Come modificato dal DM del 20 febbraio 2015.

[30] Come chiarito dall’Agenzia con la Circolare 15/E del 2015, nulla vieta al soggetto di richiedere, in ogni caso, il rimborso qualora sussistano in capo al medesimo gli altri requisiti dettati dall’art. 30 del D.P.R: 633/1972. Tenendo però in considerazione il fatto che la priorità è garantita solo ed esclusivamente in caso di sussistenza del requisito dell’aliquota media.

[31] Circolare del 13/02/2006 n. 6 – Agenzia delle Entrate – Direzione Centrale Normativa e Contenzioso. Lo stesso parere è stato fornito dall’Agenzia con la Risoluzione del 04/04/2006 n. 49.

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