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Approfondimenti

Il nuovo volto dell’interpello fiscale

29 Ottobre 2015

Avv. Giancarlo Marzo, Partner, Dott.ssa Raffaella De Carlo, Collaboratrice, Loconte & Partners

1. La delega fiscale e il decreto “interpelli e contenzioso”

Con l’approvazione della Legge 23 marzo 2014, n. 23, è stata demandata al Governo la predisposizione – tramite l’adozione di decreti legislativi ad hoc – di un intervento di ampio respiro volto al ridisegnare il sistema fiscale secondo principi di semplificazione e certezza, con un occhio alla tutela dei contribuenti e alla diminuzione del carico fiscale su di essi gravante.

Nel programma di riordino tracciato dalla legge delega si inserisce la proposta di una generale revisione della disciplina degli interpelli, come previsto dall’articolo 6, comma 6, della suddetta legge.

Al fine di ridimensionare il numero delle liti e deflazionare il contenzioso tributario, infatti, il nostro ordinamento ha, da tempo, predisposto diversi istituti giuridici ispirati dalla finalità di semplificare i rapporti tra Fisco e contribuenti nell’ottica di una maggiore trasparenza. Il cd. diritto d’interpello si pone, appunto, tale obiettivo. Trattasi di un istituto attivabile dal contribuente volto a risolvere preventivamente eventuali controversie relative al corretto prelievo fiscale. In altri termini è data al contribuente la possibilità di adire l’Amministrazione finanziaria al fine di conoscere, in via anticipata, quale sia la condotta da tenere in relazione alla interpretazione e applicazione di disposizioni tributarie in casi concreti, nell’ipotesi in cui si ravvisino incertezze in merito.

L’istituto si presenta, pertanto, come uno strumento che consente all’Amministrazione Finanziaria e ai contribuenti di colloquiare tra loro, in una prospettiva nuova che non considera più il contribuente come soggetto sottoposto ai pubblici poteri, ma vero e proprio soggetto attivo cui sono riconosciuti diritti nei confronti dell’Amministrazione, tra cui appunto quello di interpello. Va da sé che l’operatività di tale istituto si ispira a fondamentali esigenze di certezza del diritto, avvertite in modo particolare nell’ambito tributario – quale settore costantemente in evoluzione – per far conoscere ai contribuenti le conseguenze fiscali delle operazioni che intendono realizzare.

Per tali motivi, la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita inevitabilmente non poteva prescindere dalla revisione organica della disciplina degli interpelli, revisione concretizzatasi nel recente decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 (di seguito “d.lgs. 156 del 2015”) recante “Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23”.

Le nuove regole – che entreranno in vigore all’inizio del prossimo anno – hanno modificato sensibilmente la disciplina dell’istituto “allo scopo di garantirne una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale e di una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, procedendo in tale contesto all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefici ma solo aggravi per i contribuenti e per l’amministrazione”.

2. Tipologie di interpello

La razionalizzazione della disciplina dell’interpello è stata attuata, in primo luogo, con la revisione delle specie di interpello previste e la razionalizzazione delle procedure, ricondotte tutte a sostanziale omogeneità.

Quanto al primo profilo, l’articolo 1 del d.lgs. 156 del 2015 – modificando l’articolo 11 della legge 27 luglio 2000, n. 212 (di seguito “Statuto dei diritti del contribuente”) – contempla cinque diversi interpelli: si tratta, in particolare, dell’interpello ordinario interpretativo, dell’ordinario qualificatorio, dell’interpello probatorio, antiabuso e disapplicativo.

Le prime due tipologie di interpello (di cui al comma 1, lett. a), dell’art 11 dello Statuto dei diritti del contribuente) permettono al contribuente di rivolgersi all’Amministrazione Finanziaria per ottenere chiarimenti in merito all’applicazione di disposizioni tributarie, in relazione alle quali si evidenziano situazioni di obiettiva incertezza[1].

Con l’interpello probatorio (di cui al comma 2, lett. b), dello stesso articolo) il contribuente può richiedere all’Ufficio una valutazione circa la sussistenza, nel caso specifico, delle condizioni ovvero dell’adeguatezza delle prove offerte ai fini dell’applicabilità di un determinato regime fiscale.

L’interpello antiabuso (di cui al comma 1, lett c) del nuovo art. 11) riconosce al contribuente la possibilità di adire l’Amministrazione Finanziaria per conoscere se una determinata operazione presenti profili abusivi.

In ultimo, l’interpello disapplicativo (di cui al comma 2 del nuovo art. 11, “ereditato” dall’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973) si configura coma strumento in grado di condurre alla disapplicazione di disposizioni che, nel caso concreto, non hanno ragione di operare. In particolare, il contribuente che, sicuro della genuinità della sua condotta, abbia interesse alla disapplicazione di norme tributarie che a fini antielusivi limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse, può inoltrare apposita istanza all’Amministrazione fiscale provando che gli effetti elusivi che si vogliono scongiurare non possono, nella fattispecie considerata, prodursi. E’ stato precisato, comunque, che anche qualora l’Amministrazione non condivida le considerazioni prospettate dal contribuente, a quest’ultimo non sarebbe preclusa la riproposizione delle stesse (e delle correlative prove) in sede amministrativa e contenziosa[2].

3. L’istanza d’interpello

Per quanto attiene alle procedure per la presentazione dell’istanza di interpello, si segnala che il d.lgs. n. 156 del 2015, all’art. 2, individua quali soggetti legittimati, i contribuenti, residenti e non, e i sostituti o responsabili d’imposta: è necessario, tuttavia, che la questione sottoposta all’attenzione dell’Amministrazione riguardi casi personali e concreti. E’ richiesto, inoltre, pena l’inammissibilità delle istanze, che esse siano presentate in via preventiva, ossia prima che siano scaduti i termini fissati per la presentazioni delle dichiarazioni o per il compimento di altri adempimenti fiscali connessi alle fattispecie oggetto dell’istanza.

Sono fissati altresì (nell’art. 3 del d.lgs. 156 del 2015) i requisiti di contenuto che l’istanza di interpello deve presentare. In particolare, si richiede l’indicazione dei seguenti elementi:

a) dati identificativi dell’istante e eventualmente del suo legale rappresentante;

b) specifico riferimento al tipo di istanza che si intende presentare;

c) circostanze e specifica descrizione della fattispecie;

d) specifiche disposizioni di cui si richiede l’interpretazione, l’applicazione o la disapplicazione;

e) esposizione, in modo chiaro e univoco, della soluzione proposta;

f) indicazione del domicilio presso il quale la risposta deve essere comunicata;

g) la sottoscrizione dell’istante o del suo legale rappresentante o procuratore generale.

La mancanza delle indicazioni di cui alle lettere a) e c) determina l’inammissibilità dell’istanza. Nell’ipotesi in cui, invece, ad essere carenti siano le informazioni previste dalle lettere b), d), e), f), g), l’Amministrazione dà al contribuente la possibilità di comunicare i dati mancanti entro il termine di trenta giorni, decorsi i quali l’istanza è dichiarata inammissibile. In tal caso, i termini di novanta e centoventi giorni di cui l’Amministrazione dispone per fornire il proprio parere iniziano a decorrere dal giorno in cui il contenuto dell’istanza viene regolarizzato.

Da ultimo è opportuno precisare che nel caso in cui, ai fini della risposta dell’Ufficio, assumano rilievo documentazioni di cui l’Amministrazione non dispone ovvero pareri espressi dalle autorità competenti in relazione ad accertamenti di natura tecnica espletati, l’istanza di interpello deve essere corredata di tale documentazione.

4. Risposte ed istruttoria

Con riferimento alla posizione dell’Amministrazione finanziaria, come anticipato, è stato ridotto a novanta giorni il termine concesso all’Ufficio per rispondere alle istanze di interpello ordinario. Resta fermo, invece, per le altre tipologie di interpello, il termine originariamente previsto di centoventi giorni. In caso di mancata risposta nei termini prescritti vale la regola del silenzio-assenso.

La risposta, scritta e motivata, resa dall’Amministrazione finanziaria vincola quest’ultima, anche se limitatamente alla questione su cui verte l’istanza e nei confronti del solo contribuente istante. Di conseguenza, eventuali atti (anche impositivi e sanzionatori) non conformi alla posizione espressa dall’Ufficio – anche tacitamente – dovranno considerarsi affetti da nullità.

Il parere espresso dall’Ufficio ha efficacia anche rispetto a condotte successive del contribuente che rimandano alla questione oggetto di interpello, a meno che – nel frattempo – l’Amministrazione abbia rivisto la sua posizione per il futuro.

Le risposte, oltre che comunicate ai rispettivi istanti, possono anche essere diffuse mediante pubblicazione di circolari e risoluzioni qualora si ravvisi l’esigenza, o anche solo l’opportunità, di “renderle pubbliche”[3].

L’istruttoria dell’interpello e i motivi di inammissibilità delle istanze sono trattati, rispettivamente, negli articoli 4 e 5 del decreto.

In particolare, la prima disposizione stabilisce che l’Amministrazione finanziaria, nel caso in cui non possa fornire una risposta sulla base dei documenti allegati dal contribuente, dà a quest’ultimo la possibilità di integrare i documenti inizialmente presentati: se entro un anno dalla richiesta dell’Amministrazione il contribuente non vi provvede, l’istanza di interpello si intende rinunciata.

La seconda disposizione, invece, enuncia una serie di circostanze che determinano l’inammissibilità delle istanze, fra cui – oltre i casi che si è già avuto modo di ricordare – la mancanza delle obiettive condizioni di incertezza, il riferimento a questioni sulle quali il contribuente ha già ottenuto il parere dell’Amministrazione ovvero a questioni per cui si ricorre alle procedure previste dall’art. 31-ter del DPR 600/1973, dall’articolo 2 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147 e dall’articolo 6 del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 128. L’istanza è altresì dichiarata inammissibile nell’ipotesi in cui essa si riferisca a questioni già oggetto di controllo da parte degli Uffici alla data in cui l’istanza è presentata di cui il contribuente è a conoscenza.

5. La non impugnabilità delle risposte

Il d.lgs. n. 156 del 2015, da ultimo, ponendo fine alla diatriba che ha contrapposto la dottrina e prassi normativa a sostegno della tesi negazionista, da un lato, e giurisprudenza di legittimità dall’altro, ha definitivamente chiarito che le risposte dell’Amministrazione finanziaria alle istanze di interpello dei contribuenti non sono impugnabili.

Unica eccezione è prevista per le risposte ad istanze di interpello disapplicativo. In relazione a tale ultima tipologia di interpello, infatti, l’articolo 6 del decreto ha previsto per il contribuente la possibilità di contestare in sede di ricorso, unitamente all’atto impositivo, i profili di legittimità della risposta resa dall’Amministrazione.

Il legislatore delegato, evidentemente, ha ritenuto condivisibile la tesi secondo cui la risposta negativa dell’Amministrazione ad un’istanza di interpello non costituisce manifestazione di un vero e proprio potere impositivo, ma si qualifica come un generico parere reso dalla stessa[4].

La scelta di escludere l’impugnabilità delle risposte dell’Amministrazione finanziaria, probabilmente, è legata alla volontà di scongiurare l’eventuale proposizione di una innumerevole quantità di ricorsi avverso le stesse e di moltiplicare oltremodo, anziché deflazionare, il contenzioso tributario[5].

6. Conclusioni

Nella prospettiva della “maggiore omogeneità”, la scelta di prevedere un unico procedimento amministrativo in relazione alle cinque diverse tipologie di interpello appare certamente in linea con l’idea di una semplificazione del sistema. La scelta stessa di mantenere cinque diverse specie di interpello, tuttavia, sembra tradire questa finalità. Qualche perplessità, inoltre, suscita la fissazione di tempi di risposta da parte dell’Amministrazione che appaiono (ancora) troppo lunghi e, oltretutto, diversificati per tipo di interpello. Ci si sarebbe atteso, probabilmente, un intervento più incisivo sul punto.

Mettendo da parte tali considerazioni, a parere degli scriventi, la revisione della disciplina dell’interpello arricchisce il mosaico di interventi pensati ai fini della riorganizzazione del sistema fiscale in termini di efficienza e chiarezza. Fissati tali obiettivi, con la riforma analizzata si è inteso incentivare il ricorso allo strumento dell’interpello, fino ad ora evidentemente poco impiegato per via di lungaggini e complessità procedurali. Resta da vedere per il futuro se la reazione di contribuenti, operatori del diritto e Amministrazione al nuovo volto dell’istituto sarà positiva.



[1] Rispettivamente, circa la loro interpretazione e circa la qualificazione di determinate fattispecie alle luce delle stesse. Si precisa, tuttavia, che le suddette “condizioni di obiettiva incertezza” non ricorrono nell’ipotesi in cui l’Amministrazione – attraverso atti pubblicati, come pareri e circolari – abbia già avuto modo di pronunciarsi su questioni simili a quelle prospettate dal contribuente.

[2] Giova ricordare, inoltre, che la presentazione di un’istanza di interpello da parte del contribuente non spiega alcun effetto sulle scadenze previste da disposizioni tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non determina interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.

[3] È il caso di questioni particolarmente controverse che formano oggetto di differenti e numerosi interpelli, di questioni relative a norme di recente approvazione o in relazione alle quali non sono state divulgate sufficienti chiarificazioni, nonché di ipotesi in cui si riscontrino posizioni non omogenee degli Uffici e di ogni altra ipotesi in cui si presume che la delucidazione fornita possa essere di interesse generale.

[4] Stante la natura non provvedimentale delle risposte, dunque, non sarebbe possibile ammetterne l’autonoma impugnabilità, anche alla luce del fatto che non sarebbe individuabile un interesse giuridicamente tutelato del contribuente alla richiesta di un loro annullamento.

[5] Sotto questo profilo, tuttavia, la soluzione adottata potrebbe collidere con il diritto dei contribuenti di impugnare qualsiasi determinazione dell’Amministrazione.

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