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Il peer to peer lending: una soluzione alternativa al tradizionale canale bancario?

24 Giugno 2019

Biagio Campagna, Cultore di diritto Bancario presso l’Università “La Sapienza” di Roma

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: 1. Il processo storico e le titubanze di Banca d’Italia – 2. Progressiva accettazione del peer-to-peer lending nel nostro ordinamento – 3. Il compito della Banca d’Italia: fase autorizzativa e vigilanza prudenziale – 4. Disciplina giuridica, riferimenti normativi e regolamentari – 5. Gli ultimi interventi comunitari – 6. Quali i vantaggi e limiti per i lenders (o prestatori)? 6.1 Quali i vantaggi e limiti per i borrowers (o prenditori)? – 7. Brevi considerazioni finali

 

1. Il processo storico e le titubanze di Banca d’Italia

Conosciuto come peer to peer (p2p) lending, è la nuova frontiera dei prestiti, verso privati ma anche verso le pmi (piccole e medie imprese). Una soluzione alternativa al tradizionale canale bancario e che si pone sul mercato anche come interessante fonte di diversificazione degli investimenti. L’attività di peer-to-peer lending trae la sua ragion d’essere economica nei drammatici avvenimenti accaduti a cavallo della crisi finanziaria che ha colpito l’industria finanziaria statunitense nel 2008. Il dissesto di molte delle più importanti istituzioni finanziarie, dovuto all’ondata di insolvenze maturate nel settore dei mutui sub-prime, sviluppò infatti quale principale conseguenza la diminuzione del credito concesso ad imprese e consumatori. Per ovviare alla carenza di liquidità offerta dal sistema bancario, l’industria finanziaria americana ha quindi creato delle forme di intermediazione del credito che operassero al di fuori del perimetro del sistema bancario tradizionale. Muovendo infatti dalla categoria dei prestiti personali finalizzati al consumo, alcuni operatori, facendo leva sulle nuove possibilità offerte dalla industria hi-tech, hanno sviluppato portali telematici allo scopo di favorire l’accesso al credito a condizioni vantaggiose. Il meccanismo di peer-to-peer lending si basa fondamentalmente sulla possibilità offerta agli investitori (persone fisiche o anche giuridiche) di remunerare il prestito da loro concesso attraverso la corresponsione di tassi di interesse più alti rispetto a quelli praticati dagli intermediari finanziari tradizionali e, allo stesso tempo, accreditare il prestito al richiedente imputando oneri di rimborso più bassi. Detta operazione viene resa possibile per via del beneficio prodotto dal fatto di operare integralmente per via telematica, non dovendo pertanto sostenere i medesimi costi di una banca tradizionale. Più nello specifico la società di peer-to-peer lending si occupa di mettere in relazione il desiderio dell’investitore di accedere ad un mezzo che assicuri una alta remunerazione del proprio capitale e, dal lato opposto, la necessità del soggetto finanziato di reperire risorse finanziarie altrimenti negategli dagli operatori finanziari tradizionali. L’assegnazione di un tasso di remunerazione più alto viene giustificata sulla base dell’elevato rischio accettato dagli investitori che contribuiscono al finanziamento del prestito. Tale prestito infatti non è circondato da alcuna garanzia, né di carattere personale né tantomeno di natura reale. La durata del prestito ha normalmente una durata che non eccede i 48 mesi e gli importi finanziati sono ricompresi tra i 2.000 e i 25.000 Euro. Anche se come detto l’introduzione di questa nuova tipologia di intermediari finanziari sia avvenuta nei sistemi di diritto anglosassone, il recepimento dell’attività nel nostro ordinamento, a livello di prassi, è stato relativamente rapido. Già nel 2009 infatti nel nostro territorio nazionale si potevano contare almeno due operatori, regolarmente iscritti presso l’albo generale degli intermediari finanziari, ma l’eventuale ampliamento del mercato venne bloccato dall’intervento della Banca d’Italia. Con la pubblicazione di un provvedimento di sospensione dall’attività, l’istituto di vigilanza argomentò infatti la violazione, da parte dell’operatore di peer-to-peer lending Zopa (acronimo di Zone of Possible Agreement), delle norme del Testo Unico Bancario (“TUB”) in materia di raccolta del risparmio presso il pubblico. Infatti, secondo l’opinione di Via Nazionale, le società, una volta ricevute le somme dagli investitori, non procedevano alla collocazione di tali crediti in appositi conti separati da quelli della società, come previsto dalle applicabili disposizioni di legge, ma ne acquistavano al contrario titolarità e proprietà ponendo automaticamente l’inconsapevole investitore nella medesima situazione di un comune depositante. Più in particolare, le contestazioni di Banca d’Italia si concentrarono dunque sulla violazione dell’articolo 10 del TUB[1] che riserva l’esercizio dell’attività bancaria in via esclusiva alle banche nonché del successivo articolo 11 in cui viene definita l’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico. Tali attività, essendo circondate da espressa riserva di legge, sono pertanto escluse dall’ambito di operatività degli operatori finanziari esercenti servizi di investimento iscritti nell’albo di cui all’articolo 106 del TUB. In virtù di quanto appena esposto, e dovendo certificare l’assenza di alternativi, possibili, riferimenti normativi grazie ai quali operare un lavoro interpretativo tale da poter ricomprendere il peer-to-peer lending nei limiti giuridici ammessi dall’ordinamento, la Banca d’Italia optò per la cancellazione dell’operatorepeer-to-peer dall’elenco generale degli intermediari finanziari ex articolo 106 TUB[2].

2. Progressiva accettazione del peer-to-peer lending nel nostro ordinamento

A seguito del decisivo intervento dell’istituto di vigilanza della Banca d’Italia, l’evolversi del settore nel nostro territorio ha subito un incontrovertibile arresto. Tuttavia il recepimento nel nostro ordinamento della Direttiva no. 2007/64/EC (“PSD – Payment Service Directive”), avvenuto mediante il Decreto Legislativo no. 11 del 2010, ha aperto degli spazi giuridici per inquadrare il fenomeno entro fattispecie normative certe. Scopo della PSD è stato quello di armonizzare le pratiche relative ai servizi di pagamento all’interno dei Paesi Membri dell’Unione Europea al fine di permettere una maggiore rapidità nell’esecuzione dei pagamenti transfrontalieri. L’introduzione di queste regole è risultata essere propedeutica per la graduale implementazione di una Single Euro Payments Area (“SEPA”) entro cui trasferire somme di denaro alle medesime condizioni di base garantendo in questo modo maggiore trasparenza e concorrenzialità in favore dei consumatori europei. In ragione della portata innovatrice dei principi in essa contenuti, la Direttiva ha quindi incentivato la creazione, nelle rispettive legislazioni di ciascun paese, di una nuova categoria di operatori, anche provenienti da settori non finanziari, e specializzati nell’esecuzione di determinati pagamenti sotto forma elettronica. Il Decreto Legislativo n. 11 del 2010 (il “Decreto”) ha recepito in Italia principi e regole enunciate nella PSD. Tale esercizio ha riguardato la modifica di disposizioni di legge già esistenti e l’istituzione di nuove previsioni normative. Su questo secondo punto il Decreto, precisamente all’articolo 33, ha disposto la formulazione, all’interno del TUB, di un Titolo inedito (V-ter) collocato nella cornice normativa regolata dal Titolo V e relativa ai soggetti operanti nel settore finanziario. Il Titolo V-ter risponde proprio all’esigenza di disciplinare l’accesso al mercato dei nuovi prestatori di servizi di pagamento. Per prestazione di servizio di pagamento, nozione rinvenibile all’articolo 1, comma 1 , lettera b) del Decreto, viene intesa l’attività (i) che renda possibile il deposito di contante su un conto di pagamento nonché di tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento (e.g. rimesse di denaro, incasso e trasferimento fondi), (ii) di esecuzione d’ordini di pagamento e (iii) di emissione o gestione di strumenti di pagamento. Come visto tutte le elencate operazioni di accreditamento o trasferimento di denaro sotto diverse forme hanno ad oggetto un conto di pagamento vale a dire, secondo la definizione datane dalla PSD, un conto detenuto a nome di uno o più utenti di servizi di pagamento che venga utilizzato per l’esecuzione delle operazioni di trasmissione dei fondi. L’elaborazione dell’ambito applicativo entro cui ricomprendere i servizi di pagamento è stato orientato ad accettare fondamentalmente tutte le operazioni di trasformazione e circolazione del denaro contante all’interno del sistema elettronico dei pagamenti. In tal senso è apparso dunque inevitabile porre al di fuori di questa categoria le operazioni che, al contrario, riguardano direttamente o indirettamente l’utilizzo di contante o l’esecuzione di pagamenti ordinati per via di documenti cartacei (e.g. assegni, titoli cambiari, voucher, traveller’s cheque, vaglia postali). Per ciò che concerne invece la sfera soggettiva dell’esercizio dei servizi di pagamento, l’insieme dei rapporti giuridici si contraddistingue per l’interazione tra un soggetto utilizzatore, che può essere a seconda delle circostanze pagatore o beneficiario, ed il prestatore del servizio di pagamento. Se, su questo punto, il legislatore non ha riservato particolari cenni specifici con riguardo alla configurazione del soggetto utilizzatore, che perciò non è circondato da particolari cautele o riserve ai fini della facoltà di accedere ai servizi di pagamento, elementi più caratterizzanti hanno investito l’area dei prestatori del servizio. Sul punto, l’esercizio di tale attività è stata circoscritta agli istituti di moneta elettronica e agli istituti di pagamento nonché, quando prestano servizi di pagamento, banche, Poste Italiane S.p.a., la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali fuorché nei casi di esecuzione delle loro funzioni monetarie e, infine, le pubbliche amministrazioni statali, regionali e locali qualora non agiscano nella veste di pubbliche autorità. Come brevemente accennato ai paragrafi che precedono, il Decreto ha provveduto, per via del nuovo Titolo V-ter TUB, a disciplinare l’unico, tra i soggetti giuridici elencati poco sopra, che ancora non godeva di inquadramento giuridico nel nostro ordinamento, ovverosia gli istituti di pagamento. Pertanto, sulla base di questi nuovi presupposti normativi, si è potuto autorizzare l’operatività di soggetti esercenti attività di peer-to-peer lending riconducendoli alla disciplina degli istituti di pagamento e, più nello specifico, a quanto previsto dal comma IV dell’articolo 114-novies TUB[3]. Questa opera di armonizzazione dei contratti di prestito tra privati su portali telematici con la normativa regolamentare in materia bancaria è da considerare in termini certamente positivi: se da un lato infatti non c’è dubbio che le piattaforme di peer-to-peer lending offrano dei servizi di pagamento, l’impossibilità di considerarle delle banche o degli istituti di moneta elettronica impone l’applicazione della specifica disciplina sugli istituti di pagamento e, a riprova dell’ormai assodata prassi di riconoscimento delle imprese di peer-to-peer lending nel nostro territorio, la Banca d’Italia ha già autorizzato ad operare due società .

3. Il compito della Banca d’Italia: fase autorizzativa e vigilanza prudenziale

I soggetti che desiderano intraprendere un’attività imprenditoriale nel settore del peer-to-peer lending sono tenuti a rispettare alcune delle disposizioni previste dal TUB e dalle Disposizioni Generali di Vigilanza per gli Istituti di Pagamento emanate dalla Banca d’Italia. Il rilascio dell’autorizzazione avviene infatti al termine di una procedura di verifica nella quale l’Istituto di Vigilanza della Banca d’Italia esamina la solidità, sia dal punto di vista finanziario che gestionale, della società richiedente. Il procedimento può avere inizio subito dopo la stipula dell’atto costitutivo dell’Istituto di Pagamento. Sono gli amministratori infatti a depositare la domanda di autorizzazione la quale deve tassativamente contenere, oltre ovviamente all’atto costitutivo, una serie di altri documenti. Per prima cosa nella domanda devono essere riportate le evidenze che dimostrino che l’Istituto di Pagamento (i) possiede la forma della società per azioni (ii) ha la sede legale posta all’interno del territorio della Repubblica Italiana e (iii) capitale sociale versato non inferiore a quello determinato dalla anca d’Italia. L’ammontare minimo del capitale sociale è soggetto a limiti diversi a seconda delle attività che l’Istituto di Pagamento si propone di svolgere. Se infatti la società presta solo il servizio di rimessa di denaro, il versamento dovrà essere di 20.000 Euro. Al contrario, l’ammontare minimo sale a 50.000 Euro qualora l’attività svolta riguardi l’”esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore ad eseguire l’operazione di pagamento sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico e il pagamento sia effettuato all’operatore del sistema o della rete di telecomunicazioni o digitale o informatica che agisce esclusivamente come intermediario tra l’utilizzatore di servizi di pagamento e il fornitore di beni e servizi”. Per tutti gli altri servizi di pagamento ricompresi nell’ambito applicativo del D.lgs. n. 11/2011 il capitale minimo iniziale, interamente versato, dovrà essere pari a 125.000 Euro. In secondo luogo, oltre ai requisiti di carattere patrimoniale, il rilascio dell’autorizzazione di Banca d’Italia è inoltre condizionato al rispetto di altri parametri organizzativo-gestionali, tra i quali assume particolare rilevanza la predisposizione di un programma di attività che illustri i servizi di pagamento che l’istituto intende svolgere, le linee di sviluppo e gli obiettivi perseguiti nonché gli investimenti previsti per esercitare l’attività. Il programma di attività deve essere accompagnato da una documentazione che esponga la struttura organizzativa che si intende creare, una stima previsionale dei risultati economici attesi per i primi tre anni e le misure adottate per tutelare i fondi ricevuti dalla clientela. Completano la domanda di autorizzazione, assieme alla mappa del gruppo a cui appartiene l’istituto, le informazioni riguardanti i soggetti che partecipano, direttamente o indirettamente, al capitale sociale ed il verbale della riunione nel corso della quale l’organo amministrativo ha verificato il possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità e di indipendenza dei soggetti chiamati a svolgere funzioni di amministrazione, direzione e controllo. La Banca d’Italia, se al termine delle verifiche svolte riconosce il rispetto delle condizioni per il rilascio dell’autorizzazione, rilascia l’autorizzazione non oltre novanta giorni dalla data di deposito della domanda. A questo punto l’organo amministrativo dell’Istituto di Pagamento può procedere all’iscrizione della società nel Registro delle Imprese; allo stesso tempo, la Banca d’Italia iscrive l’Istituto all’interno dell’albo speciali degli Istituti di Pagamento cui all’articolo 114 – septies del TUB. Il compito della Banca d’Italia di regolamentare l’attività non si limita alla fase autorizzativa ma, all’opposto, conosce un momento di grande importanza nel monitoraggio delle attività condotte dall’Istituto di Pagamento. Unitamente ai poteri di vigilanza ispettiva ed informativa a lei demandati, la Banca d’Italia esercita un consistente controllo della consistenza patrimoniale dei soggetti vigilati. Per prima cosa questi ultimi sono soggetti a delle regole che, così come avviene per le banche, impongono di destinare determinate somme di denaro a fronte dei rischi connessi ai servizi di pagamento prestati. Il calcolo del requisito patrimoniale da rispettare è rinviato, nelle Disposizioni di Vigilanza sugli Istituti di Pagamento, a quanto stabilito dalla Circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 (aggiornata al 2 luglio 2013). In questo documento, e precisamente al Titolo I, Capitolo 2, Sezioni I e II, sono delineati gli elementi positivi e negativi da utilizzare per la copertura dei rischi e delle perdite aziendali. Sinteticamente, il Patrimonio di Vigilanza viene ad essere costituito dal patrimonio di base (c.d. “tier 1”) e dal patrimonio supplementare (“tier 2”) al netto delle deduzioni. Il requisito patrimoniale dell’istituto è pari almeno al 10% dei costi operativi fissi dell’anno precedente o, in alternativa, alla somma dei volumi di pagamento moltiplicati per un coefficiente matematico di riferimento. La Banca d’Italia, in base ad una valutazione discrezionale basata sull’analisi dei dati trasmessi dall’Istituto di Pagamento, può imporre a quest’ultimo di detenere requisiti patrimoniali superiori a quelli minimi previsti dalla Circolare n. 263. In ogni caso, l’importo del patrimonio di vigilanza non può risultare inferiore al livello di capitale minimo iniziale richiesto per la costituzione dell’Istituto di Pagamento.

4. Disciplina giuridica, riferimenti normativi e regolamentari

In Italia il peer to peer lending è operativo dal 2008, ma solo negli ultimi anni sta riscontrando una significativa diffusione, anche a causa dell’iniziale scarsa chiarezza del quadro regolamentare, parzialmente sanata ad opera di recenti provvedimenti nazionali e comunitari. Già nel 2009, infatti, alcuni operatori avevano iniziato l’attività, previa iscrizione presso l’albo generale degli intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B.[4], ma l’eventuale ampliamento del mercato fu bloccato dall’intervento dellaBanca d’Italia[5], che ne sancì sospensione adducendo come motivazione la violazione delle norme del D.Lgs. 385/1993 in termini di raccolta del risparmio presso il pubblico, in quanto le piattaforme, una volta ricevute le somme dagli investitori, non procedevano alla collocazione di tali crediti in appositi conti separati da quelli della società, ma ne acquistavano al contrario titolarità e proprietà, ponendo automaticamente l’investitore nella medesima situazione di un comune depositante. Più in particolare, gli appunti di Banca d’Italia si concentrarono dunque sulla violazione dell’art. 10 del T.U.B. (che riserva in via esclusiva alle banche “la raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito”) e dell’art. 11, che contiene la definizione dell’attività di raccolta del risparmio presso il pubblico. In base alle norme citate le attività in questione sono vincolate ad un’espressa riserva di legge e, di conseguenza, sono escluse dall’ambito di operatività degli operatori finanziari esercenti servizi di investimento iscritti nell’albo di cui all’art. 106 del TUB[6]. Il momento di stallo conseguente agli interventi della Banca d’Italia è stato parzialmente superato grazie all’introduzione della Direttiva Europea n. 2007/64/EC[7](“PSD – Payment Service Directive”), recepita nell’ordinamento nazionale ad opera del D.Lgs. 11/2010, che ha iniziato a definire una prima cornice giuridica all’interno della quale incardinare il peer to peer lending con un certo grado di certezza normativa. In questo contesto, tuttavia, è intervenuta nuovamente la Banca d’Italia che nel 2016, con un apposito provvedimento[8], ha dettato disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche, dedicando una “sezione specifica anche al fenomeno del social lending (o lending based crowdfunding)”, fornendo indicazioni e chiarimenti agli operatori sui limiti entro i quali tale strumento può essere utilizzato nel rispetto delle regole sulla riserva di attività di raccolta del risparmio tra il pubblico. A tale proposito, il provvedimento citato rimarca come tale attività sia in linea di principio vietata sia ai gestori sia ai prenditori, fatte salve alcune eccezioni atteso che, peraltro, valgono anche per detti soggetti le deroghe al divieto di raccolta di risparmio tra il pubblico previste dal succitato art. 11 del T.U.B. In particolare, per quanto riguarda i gestori, non costituisce raccolta di risparmio tra il pubblico: i) la ricezione di fondi da inserire in conti di pagamento utilizzati esclusivamente per la prestazione dei servizi di pagamento dai gestori stessi, se autorizzati a operare come istituti di pagamento, istituti di moneta elettronica o intermediari finanziari di cui all’art. 106 del T.U.B., autorizzati a prestare servizi di pagamento in base all’art. 114-novies, comma 4, del T.U.B.; ii) la ricezione di fondi connessa all’emissione di moneta elettronica effettuata dai gestori autorizzati. Per quanto riguarda, invece, i prenditori, in base alle indicazioni della Banca d’Italia, non deve essere considerata raccolta di risparmio tra il pubblico: i) l’acquisizione di fondi effettuata in base a trattative personalizzate con singoli finanziatori. Al riguardo, il requisito della personalizzazione si considera rispettato laddove i prenditori e i finanziatori siano in grado di incidere con la propria volontà sulla determinazione delle clausole del contratto stipulato e il gestore del portale si limiti a svolgere una mera attività di supporto allo svolgimento delle interlocuzioni precedenti alla formazione del contratto[9]. Al fine di non incorrere in un’attività che possa configurarsi come esercizio abusivo della raccolta del risparmio, i prenditori si avvalgono esclusivamente di piattaforme che assicurano il carattere personalizzato delle trattative e sono in grado di dimostrare il rispetto di tale condizione anche attraverso un’adeguata informativa pubblica; ii) l’acquisizione di fondi presso soggetti sottoposti a vigilanza prudenziale, che operano nei settori finanziario, bancario, assicurativo, mobiliare e previdenziale. Pur non essendo individuati in maniera puntuale i limiti di importo, si suggerisce la definizione per i prenditori di un tetto massimo, di importo contenuto, all’acquisizione di fondi tramite portale on line diP2P lending, in maniera coerente con la ratio sottesa all’impostazione della Banca d’Italia, tesa a impedire ai soggetti non bancari di raccogliere fondi per ammontare rilevante presso un numero indeterminato di risparmiatori[10]. A livello nazionale, ad ogni modo, giova sottolineare alcuni recenti interventi contenuti nella Legge di Bilancio per il 2019[11], laddove all’art. 1, commi 236 e 238, è stato modificato il Testo Unico in materia di intermediazione finanziaria[12][13] (intervenendo in primis sull’art. 1, comma 5-novies), stabilendo in maniera puntuale che le piattaforme on-line non sono più destinate in via esclusiva alla raccolta di capitale di rischio, ma anche “di finanziamenti tramite obbligazioni o strumenti finanziari di debito da parte delle piccole e medie imprese”. Tale impostazione è ripresa anche attraverso una modifica all’art 100-ter, comma 1-ter, del TUF, in cui è inserito un richiamo alla possibilità di emettere obbligazioni o titoli di debito nei limiti indicati dal codice civile da parte di investitori istituzionali o particolari categorie di investitori che tramite piattaforma sono controllati dalla Consob. A livello internazionale, d’altro canto, si registra un basso livello di omogeneità dal punto di vista normativo e regolamentare, oltre che in relazione al tipo di attività che le piattaforme di lending crowdfunding possono svolgere. Come si evince da una recente indagine che ha coinvolto i principali paesi dell’OCSE, mentre alcuni frameworks normativi restringono il perimetro operativo dei gestori alla semplice intermediazione creditizia, altri esplicitamente stabiliscono una soglia massima per i prestiti, consentendo la creazione di appositi fondi di garanzia e la gestione di mercati secondari. In questo modo, si permette alle piattaforme di investire nei finanziamenti da loro stesse intermediati.

5. Gli ultimi interventi comunitari

Le considerazioni sopra sviluppate sono state verosimilmente le motivazioni che hanno spinto la Commissione Europea, nel corso del 2018, a divulgare una Comunicazione che ha dato il via a una pubblica consultazione. Il tutto finalizzato alla creazione di un quadro normativo pan-europeo omogeneo relativo alla gestione delle piattaforme di crowdfunding (anche quelle relative al lending) e a una maggiore protezione per gli investitori[14]Si tratta di definire un più ampio progetto che prevede una serie di provvedimenti volti ad approfondire l’Unione dei mercati dei capitali[15]. L’obiettivo dichiarato è il superamento dell’attuale frammentazione causata dall’eterogeneità delle normative nazionali, che crea notevoli costi di conformità giuridica per gli investitori al dettaglio i quali, nel determinare quali norme si applichino ai servizi di crowdfunding transfrontalieri, si trovano spesso di fronte a difficoltà di dimensioni sproporzionate rispetto al loro investimento. Pertanto, la Commissione Europea intende fornire l’opportunità di perseguire i propri scopi in un ambiente stabile e omogeneo dal punto di vista regolamentare alle piattaforme che intendono intraprendere un processo di scale up, internazionalizzando l’attività e estendendola a livello europeo. Le autorizzazioni concesse nel quadro delle norme comunitarie[16]dovrebbero garantire copertura normativa alla prestazione di servizi, sia all’interno di un singolo Stato membro sia a livello transfrontaliero. Se l’operatore opterà per l’applicazione delle nuove norme, si vedrà revocata l’autorizzazione concessa ai sensi della normativa nazionale e gli sarà rilasciata una nuova autorizzazione nell’ambito del Regolamento europeo che permetterebbe ai fornitori di servizi di crowdfunding di operare in tutti gli Stati membri. Il nuovo quadro normativo dovrebbe anche mitigare i problemi di azzardo morale e selezione avversa che in alcuni casi potrebbero determinarsi in operazioni di P2P, attraverso l’allineamento di interessi tra i finanziatori e le piattaforme, i cui sistemi di risk management dovrebbero trovare un rafforzamento, anche grazie alla definizione di requisiti minimi in termini di capitale e alla definizione di adeguate garanzie[17]. In tema di tutela degli investitori, in base al considerando 15 del nuovo Regolamento, “per mantenere un livello elevato di tutela degli investitori, ridurre i rischi connessi al crowdfunding e assicurare un trattamento equo di tutti i clienti, i fornitori di servizi di crowdfunding dovrebbero essere dotati di dispositivi volti ad assicurare che i progetti siano selezionati in modo professionale, imparziale e trasparente e che i servizi di crowdfunding siano forniti nello stesso modo”. L’art. 7-bis della bozza di nuova norma, d’altro canto, evidenzia come per garantire che le piattaforme di crowdfunding allineino i loro incentivi a quelli degli investitori, è incoraggiato il ricorso a meccanismi di incentivazione e che i portali possono partecipare al finanziamento di un progetto, entro i limiti del 2% del capitale accumulato per l’iniziativa. Sempre in tema di esigenze di tutela dei finanziatori, il Regolamento stabilisce che, al fine di consentire ai potenziali investitori di comprendere chiaramente la natura, i rischi, i costi e gli oneri dei servizi di crowdfunding, i fornitori di tali servizi dovrebbero fornire ai loro clienti “informazioni chiare e disaggregate”. Tra gli elementi di maggiore novità dal punto di vista operativo, gli attuali lavori del Parlamento Europeo hanno portato a un innalzamento ad 8 milioni della soglia massima dei prestiti[18](inizialmente quantificata in un milione). Inoltre, la proposta normativa punta a introdurre, anche per le piattaforme di crowdlending, una sorta di vero e proprio marchio europeo che definisca il rispetto dei requisiti stabiliti dal Regolamento.

6. Quali i vantaggi e limiti per i lenders (o prestatori)?

A livello Europeo, in un momento di bassi tassi di interesse dei titoli di stato, i cui rendimenti reali a volte in questi anni hanno faticato a offrire valori soddisfacenti oltre l’inflazione, alcuni risparmiatori hanno orientato l’impiego dei propri fondi verso forme di investimenti più rischiose ma che consentono una migliore remunerazione. Pur con le criticità di valutazione derivanti dalla difficoltà nell’individuare investimenti alternativi con le stesse caratteristiche, alcune ricerche[19]mostrano come, tra il 2007 e il 2013, i rendimenti, al netto delle perdite degli investimenti nelle principali piattaforme di credito al consumo statunitensi, abbiano mostrato performance più elevate di circa il 3% rispetto al rendimento indicato dal Barclays Capital Fixed ABS Idex[20].

La possibilità di ridurre i costi di intermediazione[21]e gli altri oneri connessi al ribaltamento degli overheads delle banche[22], d’altronde, consente anche di ottenere tassi di interesse più favorevoli, pur a parità di profili di rischio.

Inoltre, giova sottolineare come, sempre dal 2018, i prestiti erogati tramite piattaforme P2P rientrino tra le tipologie di investimento che possono essere inserite in un piano individuale di risparmio (PIR). Come per i redditi derivanti dagli altri investimenti inseriti in un PIR, anche gli interessi derivanti da tale tipologia di prestiti sono esenti da imposizione laddove siano rispettate alcune condizioni[23]. Ne deriva che, in tal caso, rispettando i requisiti stabiliti dalla legge, soprattutto in termini di periodo possesso dell’investimento, un interesse attivo lordo corrisponderà a un valore netto di pari importo. L’assimilazione della tassazione dei guadagni da P2P a quanto previsto per la tassazione delle rendite finanziarie, in definitiva, rende di fatto più conveniente scegliere di investire i propri risparmi nell’erogazione di prestiti tra privati online[24].

Altro aspetto da tenere in considerazione per i finanziatori riguarda anche la maggiore possibilità di diversificazione degli investimenti consentita dall’utilizzo del P2P, grazie al quale è possibile impiegare risorse in maniera diretta (e non solo attraverso titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazione) in asset class (i prestiti al consumo e quelli alle PMI) altrimenti acquistabili solo in maniera mediata e indiretta.

Oltre agli aspetti positivi e alle opportunità fin qui evidenziate, appare utile riportare altresì alcune criticità che meritano particolare attenzione, soprattutto in prospettiva di un ulteriore sviluppo del mercato del P2P.

In particolare, devono essere tenuti in considerazione anche alcuni limiti per i lenders, a partire da una più elevata esposizione alla possibilità di default del richiedente[25], ancorché le piattaforme più strutturate abbiano ormai sviluppato l’offerta di fondi di compensazione che agiscono in caso di mancato pagamento da parte del prenditore.

I prestatori, inoltre, al fine di valutare al meglio il proprio ritorno, dovranno approfondire le condizioni praticate in quanto alcuni portali, ad esempio, non comunicano in maniera esplicita l’importo delle proprie fee di gestione (che in alcuni casi raggiungono anche l’1% su base annua), commissioni per incasso rata, e così via. Altro elemento da tenere in considerazione riguarda la possibilità di ritirare i fondi offerti prima della scadenza concordata: in molti casi, tale operazione è consentita, seppure dietro pagamento di una commissione/penale.

Per quanto non si tratti di una vera e propria criticità, è bene sottolineare che uno degli aspetti da non sottovalutare è rappresentato dalla non sempre adeguata informazione di alcune piattaforme. Ne consegue che, dal lato della piattaforma, vi è la possibilità di assegnare risorse monetarie a soggetti che non sono nelle condizioni di garantire un rating finanziario soddisfacente o con un merito creditizio basso, mentre, dal lato dell’investitore, che questi si trovi a dover scontare un più elevato rischio di insolvenza, con relative conseguenze anche a livello macroeconomico nell’allocazione del risparmio[26].

Una simile dinamica potrebbe svilupparsi come conseguenza del fatto che i portali LBC, non risentendo direttamente dal rischio di credito, potrebbero operare non ponendo la giusta attenzione nella fase di valutazione del rating creditizio dei prenditori, con effetti deleteri sulla dinamica di liquidabilità per i finanziatori.

6.1 Quali i vantaggi e limiti per i borrowers (o prenditori) ?

Come in precedenza sottolineato, una delle principali conseguenze dello sviluppo del mercato del P2P riguarda i significativi benefici prodotti in termini di disponibilità e differenziazione dei finanziamenti sia per le famiglie sia per le PMI, ampliando l’offerta di credito[27]. Tali vantaggi sono rivolti soprattutto a favore di soggetti che necessitano di finanziamenti di importo contenuto, in molti casi rifiutati dalle banche, soprattutto in relazione agli elevati costi fissi connessi al processo di erogazione del credito, che li rende poco remunerativi per gli istituti di credito[28].

Tali aspetti sono di grande rilevanza per consentire in ogni caso l’accesso alle risorse finanziarie necessarie per supportare consumi e investimenti soprattutto in circostanze – come quelle vissute durante la crisi globale del 2008 – in cui i canali bancari tradizionali operarono una forte contrazione dei prestiti.

A ciò si aggiunga che la frequente natura uncollateralized (senza richiesta di garanzie) dei prestiti accesi in questi mercati online (supra) li rende particolarmente attrattivi soprattutto per imprese di piccole dimensioni e privati, che altrimenti dovrebbero ricorrere ad altre tipologie di finanziamenti ovvero a un maggiore utilizzo di strumenti di pagamento che spesso scontano tassi molto elevati[29].

Un altro vantaggio per i richiedenti è dato dalla natura completamente digitale dei prestiti accesi tramite P2P, da cui consegue una riduzione degli oneri da sostenere in termini di istruttoria e lavorazione delle pratiche, e quindi, minori costi generali sopportati dalle piattaforme. L’utilizzo della tecnologia digitale, inoltre, consente di comprimere significativamente e notevolmente il tempo che intercorre tra il momento della richiesta di finanziamento e la sua effettiva concessione: tale profilo è considerato come uno dei principali vantaggi dello strumento in questione dalla maggior parte dei richiedenti[30].

I vantaggi dovrebbero tradursi anche in minori tassi di interesse, soprattutto in determinati settori, come dimostrato da alcune ricerche che, seppur effettuate su campioni non eccessivamente ampi, confermano la possibilità, attraverso l’utilizzo del P2P, di ridurre i tassi corrisposti dai debitori, sia per quanto riguarda il segmento del credito al consumo[31]che in relazione a finanziamenti ordinari, anche se di dimensioni contenute[32].

Ovviamente, pur in un contesto che complessivamente sembra molto positivo per chi richiede finanziamenti, è necessario prestare attenzione ad alcuni aspetti che meritano un approfondimento, al fine di mitigare eventuali criticità potenzialmente connesse al ricorso al crowdlending. A maggior ragione in considerazione del fatto che il mercato peer to peer è popolato di soggetti non necessariamente esperti in tematiche finanziarie, la cui capacità di giudicareilrischio di credito con le informazioni disponibili è vitale per il funzionamento di questi mercati.

Uno dei principali riferimenti è sicuramente quello delle asimmetrie informative che si generano in relazione, ad esempio, alla solidità e affidabilità dei prenditori. Tra le funzioni più importanti assolte dai mercati del credito tradizionali, infatti, si rileva certamente quella di effettuare un primo screening dei richiedenti e allocare il credito in maniera efficiente sulla base della credibilità e del merito creditizio dell’emittente. Il tutto in relazione al ruolo istituzionale ricoperto delle banche all’interno del contesto macro-economico oltreché in funzione al know-how acquisito dai predetti soggetti in ambito finanziario[33].

7. Brevi considerazioni finali

Certamente la scarsa sofisticatezza del settore finanziario italiano non è un dato sul quale poter elaborare valutazioni ottimistiche circa le chances di sviluppo massiccio di iniziative d’avanguardia tra le quali rientra certamente quella del peer-to-peer lending.

Tuttavia, i menzionati passi in avanti operati sul campo giuridico e la contestuale congiuntura economica che vede il settore bancario intrappolato dentro ad indici di sofferenze creditizie sempre maggiori concedono una sponda sicuramente favorevole affinché la pratica del social lending possa prendere piede in maniera convinta anche nel nostro paese.

C’è infine da aggiungere che molti settori economici sono stati ultimamente colpiti dalle nuove capacità di mettere in relazione domanda e offerta mediante modalità infinitamente più economiche e rapide rispetto a quelle sino ad oggi utilizzate dagli operatori economici tradizionali. Si pensi ad esempio alle innovazioni apportate nel settore dei trasporti da società quali UBER o, nello stesso senso, la rivoluzione offerta nel settore dei servizi alberghieri dalla start-up Airbnb. Il concetto di fondo che unisce tutte queste esperienze imprenditoriali è costituito dall’obiettivo di eliminare sovrastrutture economiche a detta di molti non più necessarie e riavvicinare i consumatori a forme di scambio economico basate sulla fiducia reciproca e la condivisione di beni, idee e linguaggi.

Sebbene in precedenza si sia pensato che l’industria finanziaria non sarebbe stata toccata da queste novità, l’avvento del peer-to-peer lending dimostra che anch’essa verrà coinvolta in questa inarrestabile epoca di cambiamenti.

 


[1] 1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa. 2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. 3. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge.

[2] 1. L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia. 2. Oltre alle attività di cui al comma 1 gli intermediari finanziari possono: a) emettere moneta elettronica e prestare servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114 quinquies, comma 4, e iscritti nel relativo albo, oppure prestare solo servizi di pagamento a condizione che siano a ciò autorizzati ai sensi dell’articolo 114 novies, comma 4, e iscritti nel relativo albo; b) prestare servizi di investimento se autorizzati ai sensi dell’articolo 18, comma 3, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58; c) esercitare le altre attività a loro eventualmente consentite dalla legge nonché attività connesse o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dalla Banca d’Italia. 3. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, specifica il contenuto delle attività indicate nel comma 1, nonché in quali circostanze ricorra l’esercizio nei confronti del pubblico.

[3] 1. La Banca d’Italia autorizza gli istituti di pagamento quando ricorrano le seguenti condizioni: a) sia adottata la forma di società per azioni, di società in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata o di società cooperativa; b) la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio della Repubblica ove è svolta almeno una parte dell’attività avente a oggetto servizi di pagamento; c) il capitale versato sia di ammontare non inferiore a quello determinato dalla Banca d’Italia; d) venga presentato un programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa, unitamente all’atto costitutivo e allo statuto; e) sussistano i presupposti per il rilascio dell’autorizzazione prevista dall’articolo 19 per i titolari delle partecipazioni ivi indicate; e-bis) i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo siano idonei, secondo quanto previsto ai sensi dell’articolo 114 undecies; f) non sussistano, tra gli istituti di pagamento o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, stretti legami che ostacolino l’effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza. 1-bis. Fermo restando quanto previsto dal comma 1, la Banca d’Italia autorizza gli istituti di pagamento alla prestazione del servizio di disposizione di ordini di pagamento a condizione che abbiano stipulato una polizza di assicurazione della responsabilità civile o analoga forma di garanzia per i danni arrecati nell’esercizio dell’attività derivanti da condotte proprie o di terzi. 2. La Banca d’Italia nega l’autorizzazione quando dalla verifica delle condizioni indicate nel comma 1 non risulti garantita la sana e prudente gestione ovvero il regolare funzionamento del sistema dei pagamenti. 3. La Banca d’Italia disciplina la procedura di autorizzazione, i criteri di valutazione delle condizioni del comma 1, i casi di revoca e le ipotesi di decadenza quando l’istituto autorizzato non abbia iniziato l’esercizio dell’attività. 4. La Banca d’Italia, autorizza alla prestazione di servizi di pagamento soggetti che esercitino altre attività imprenditoriali quando: a) ricorrano le condizioni indicate al comma 1, ad eccezione del possesso dei requisiti di professionalità degli esponenti aziendali; b) per la prestazione dei servizi di pagamento e per le relative attività accessorie e strumentali sia costituito un patrimonio destinato con le modalità e agli effetti stabiliti dall’articolo 114 terdecies; c) siano individuati uno o più soggetti responsabili del patrimonio di cui alla lettera b); ad essi si applica l’articolo 26, limitatamente ai requisiti di onorabilità e professionalità. 5. Se lo svolgimento delle altre attività imprenditoriali rischia di danneggiare la solidità finanziaria dell’istituto di pagamento o l’esercizio effettivo della vigilanza, la Banca d’Italia può imporre la costituzione di una società che svolga esclusivamente l’attività di prestazione dei servizi di pagamento. 5-bis. La Banca d’Italia detta disposizioni attuative del presente articolo.

[4] Sono tenuti all’iscrizione nell’elenco coloro i quali svolgono “L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma”.

[5] Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro, Direzione V, no. 258/385-C.

[6] In base a quanto fin qui considerato, e dovendo certificare l’assenza di alternativi, possibili, riferimenti normativi grazie ai quali operare un lavoro interpretativo tale da poter ricomprendere il peer-to-peer lending nei limiti giuridici ammessi dall’ordinamento, la Banca d’Italia optò addirittura per la cancellazione dell’operatore peer-to-peer dall’elenco degli intermediari finanziari di cui all’art. 106 T.U.B.

[7] Directive 2007/64/EC Of The European Parliament And Of The Council of 13 November 2007 on payment services in the internal market amending Directives 97/7/EC, 2002/65/EC, 2005/60/EC and 2006/48/EC and repealing Directive 97/5/EC. Decreto legislativo del 27/01/2010 n. 11 – “Attuazione della direttiva 2007/64/CE, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 97/7/CE, 2002/65/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, e che abroga la direttiva 97/5/CE”.

[8] “Provvedimento recante disposizioni per la raccolta del risparmio dei soggetti diversi dalle banche” dell’8 novembre 2016 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie generale n.271, del 19 novembre 2016).

[9] Tale condizione può considerarsi rispettata nel caso in cui il gestore definisca un regolamento contrattuale standard che rappresenti solo un elemento di partenza per le trattative, che devono essere in ogni caso svolte autonomamente dai contraenti, eventualmente anche avvalendosi degli strumenti informatici messi a disposizione dalla piattaforma.

[10] Restano ferme le possibilità di raccolta senza limiti da parte di banche che esercitano attività di social lending attraverso portali on-line.

[11] Legge 30 dicembre 2018, n. 145.

[12] Decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58.

[13] Il tutto si traduce in un chiaro regolamento adottato dalle single piattaforme.

[14] Comunicazione della Commissione Europea, “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese”, COM(2018) 113 final, 8 marzo 2018.

[15] L’iniziativa in questione rientra nel quadro della priorità della Commissione relativa alla creazione di un’Unione dei mercati dei capitali, che è volta ad ampliare l’accesso ai finanziamenti per le imprese innovative, le start-up e altre aziende non quotate. Si veda Comunicazione della Commissione Europea, “Proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2014/65/UE relativa ai mercati degli strumenti finanziari”, COM(2018) 99 final, 8 marzo 2018.

[16] Da parte dell’European Securities and Markets Authority (ESMA). In base al considerando 27 del Regolamento in approvazione, per facilitare la trasparenza per gli investitori al dettaglio relativamente alla prestazione di servizi di crowdfunding, l’ESMA dovrebbe istituire un registro pubblico e aggiornato di tutti i fornitori di servizi di crowdfunding autorizzati e delle piattaforme che operano nell’Unione.

[17]Cfr. O. Havrylchyk e M. Verdier, “The financial intermediation role of the P2P lending platforms”, Comparative Economic Systems, 2018, Vol. 60, No. 1, pp. 115-130.

[18]Secondo la Relazione del Parlamento Europeo al provvedimento in esame, l’importo “rappresenta il valore massimo fino al quale gli Stati membri possono esentare le offerte al pubblico di titoli dall’obbligo di pubblicazione del prospetto, conformemente all’articolo 3 del regolamento (UE) 2017/1129 del Parlamento europeo e del Consiglio. Nonostante sia necessario un elevato livello di tutela degli investitori, tale soglia dovrebbe essere in linea con le prassi dei mercati nazionali al fine di rendere la piattaforma dell’Unione interessante per le attività transfrontaliere di finanziamento alle imprese”. 30Cfr. U. Atz e D. Bholat, “Peer-to-peer lending and financial innovation in the United Kingdom”, 2016, Staff Working Paper No. 589, Bank of England.

[19] A. Morse, “Peer-to-Peer Crowdfunding: Information and the Potential for Disruption in Consumer Lending”, 2015, NBER Working Paper n. 20899.

[20] Un indice del rendimento dei titoli derivanti da operazioni di cartolarizzazioni di crediti al consumo.

[21] Cfr. “Il lending-based crowdfunding: opportunità e rischi”, cit.

[22] Secondo alcune ricerche, il costo connesso alla gestione delle filiali fisiche raggiunge il 3% dell’attivo totale degli istituti finanziari. Sul punto si veda S.G. Hanson, A. Shleifer, J.C. Stein e R.W. Vishny, “Banks as Patient Fixed-Income Investors”, Journal of Financial Economics, 2015, Vol. 117 N. 3, pp. 449–469.

[23] Cfr. N. Lucido e R. De Luca, “I piani individuali di risparmio: quadro normativo e aspetti operativi”, Fondazione Nazionale Commercialisti, marzo 2018.

[24] Fino al 2017, infatti, a fronte di un interesse attivo lordo del 6%, il rendimento netto oscillava da un minimo del 3,42%, (per i soggetti ai quali si applica l’aliquota del 43%) a un massimo del 4,62% (per i soggetti con aliquota del 23%). Con le nuove regole, a un tasso attivo di interesse lordo del 6% corrisponderà un rendimento netto del 4,44%.

[25] Al fine di evitare una eccessiva esposizione, alcune piattaforme suddividono in tagli di minori dimensioni le somme prestate allocandole su più prenditori, al fine di diversificare e mitigare il rischio in capo al singolo prestatore.

[26] Secondo alcune ricerche, infatti, in molti casi i finanziatori non hanno piena contezza degli effettivi rischi derivanti dall’investimento in prestiti erogati attraverso piattaforme di peer to peer lending. Si veda, ad esempio, Deloitte, “Marketplace Lending. A Temporary Phenomenon?”, 2016.

[27] Cfr. C. de Roure, L. Pelizzon e P. Tasca, “How Does P2P Lending Fit Into the Consumer Credit Market?”, 2016, Deutsche Bundesbank Discussion Paper N. 30.

[28] Cfr. Goldman Sachs, Report “The Future of Finance. The Rise of the New Shadow Bank”, Marzo 2015.

[29] Cfr. W. Adams, E. Liran, J. Levin, “Liquidity Constraints and Imperfect Information in Subprime Lending,” American Economic Review, 2009, Vol. 99 N. 1, pp. 49-84.

[30] Cfr. Nesta, University of Cambridge, ACCA e PWC, “Understanding alternative finance. The UK Alternative Finance Industry Report 2014”.

[31] Cfr. Y. Demyanyk e D. Kolliner, “Peer-to-Peer Lending Is Poised to Grow”, Economic trends, Federal Reserve of Cleveland, 2014.

[32] Cfr. Deloitte, cit., 2016.

[33] Cfr. D.W. Diamond, “Financial Intermediation and Delegated Monitoring”, Review of Economic Studies, 1984, Vol. 51, N. 3, pp. 393-414.

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