A.Con una limpidezza estrema, l’art. 1 del decreto legge n. 59 del 3 maggio 2016 (di seguito, “DL 59”), recante “Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione”, introduce (almeno per 60 giorni) nel panorama italiano delle garanzie (reali) la figura del “pegno non possessorio”.
<<Gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti loro concessi, presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell’importo massimo garantito, inerenti all’esercizio dell’impresa.>>
Se, da un lato, è indubbio il fatto che ci si trovi dinanzi ad un “tipo” assolutamente nuovo, molto vicino agli istituti stranieri del (floating)charge, dall’altro, non è altrettanto certo che esso sia dotato di una portata innovativa effettivamente dirompente.
B.Nel delinearne la struttura, a ben guardare, l’art. 1 del DL 59 sembra ricalcare lo schema operativo del floating charge di diritto anglosassone, per lo meno secondo la formula definitoria emersa nella giurisprudenza (Re Yorkshire Woolcombers Association Ltd)[1] delle corti britanniche di inizio XXI secolo per la quale – in presenza delle seguenti tre caratteristiche – un charge non avrebbe potuto che dirsi floating:
- “ove concesso su una categoria di beni, presenti e futuri, di una società”;
- “ove detta categoria sia tale per cui, nello svolgimento dell’ordinaria attività imprenditoriale della società costituente, sia soggetta a variare di tempo in tempo”; e
- “ove, fino al compimento di qualsivoglia azione da parte, o nell’interesse, del beneficiario, la società costituente possa svolgere la propria attività imprenditoriale in modo ordinario avuto riguardo alla particolare categoria di beni in questione”.
Il comma 2 dell’art. 1 del DL 59, infatti, seppure in diverso ordine, ripropone ciascuno dei predetti elementi qualificanti:
- con l’esclusione dei beni mobili registrati, si prevede espressamente che il pegno non possessorio possa essere costituito su beni mobili “esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o più categorie merceologiche o a un valore complessivo”;
- viene specificato che i beni mobili suscettibili di formare oggetto di pegno non possessorio debbano essere “destinati all’esercizio dell’impresa”; e
- salvo che sia diversamente previsto dall’atto costitutivo e “fino al verificarsi di un evento che determina l’escussione del pegno” (comma 7, art. 1 del DL 59), è sancito il diritto del datore del pegno non possessorio, ovvero del terzo datore del pegno non possessorio, di “disporre dei beni gravati”, ferma restando l’estensione del pegno al “prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo”.
Inoltre, come il floating charge, il quale – nelle more dell’eventuale crystallisation – non può considerarsi né un impegno (attuale) a concedere una garanzia (futura) né una garanzia ad efficacia sospensivamente condizionata, dando esso luogo piuttosto ad “una garanzia effettiva” (Evans v. Rival Granite Quarries Ltd)[2], così il pegno non possessorio, attenendosi al mero dato letterale della disposizione, si atteggia a garanzia suscettibile di essere immediatamente concessa, a dispetto del carattere presente o futuro dei beni che vi siano assoggettati e delle obbligazioni garantite.
Le analogie tra le due figure proseguono in virtù della presenza, in entrambi i casi, di un regime di pubblicità quale, rispettivamente, quello stabilito al paragrafo 860 del Companies Act 2006, come modificato dalla Regulation 2013,e quello di cui al comma 4 dell’art. 1 del DL 59 (attraverso un registro informatizzato, denominato “registro dei pegni non possessori”, ed istituito presso l’Agenzia delle Entrate) – sebbene, nel caso del floating charge, l’omessa registrazione determini la nullità della security nei confronti del liquidator, administrator o creditore della società (essendo stata peraltro abolita ogni forma di responsabilità penale della società e del competente officer) e, nel caso del pegno non possessorio, la mancata costituzione della garanzia, secondo le regole tipiche delle forme di pubblicità costitutiva.
Non mancano, tuttavia, divergenze che, comprensibili e giustificabili in ragione delle specifiche peculiarità degli ordinamenti di riferimento, possono principalmente ricondursi alle modalità di escussione ed al ranking della garanzia in questione rispetto alle altre security.
C.Si è menzionato in precedenza il dubbio in ordine all’effettiva introduzione, per effetto della nuova tipologia di pegno, di elementi anti-sistemici, vale a dire tali da far vacillare i pilastri portanti dell’istituto pignoratizio tradizionale.
C.1In prima istanza, pensando al pegno classico, non ci si può non chiedere se la garanzia non possessoria segni una definitiva rottura con il passato, sancendo l’abbandono del requisito dello spossessamento dell’oggetto del pegno quale elemento costitutivo della relativa fattispecie.
In proposito, sebbene detto spossessamento, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza[3], sia stato storicamente visto quale elemento indefettibile, la cui assenza non consentirebbe l’insorgere del diritto di prelazione in capo al creditore garantito, è bene – per amore della verità – ricordare anche le voci fuori dal coro, che muovono dalla centralità del requisito dell’indisponibilità della cosa rispetto a quello della traditio della medesima[4].
In altri termini, riconsiderato il precipitato normativo di cui al primo ed al secondo comma dell’art. 2786 cod. civ., la consegna ivi richiesta appare piuttosto essere una consegna qualificata, ossia teleologicamente orientata al raggiungimento di un unico risultato: quello di sottrarre l’oggetto del pegno alla disponibilità (esclusiva) del costituente. Da qui, l’individuazione di una relazione di tipo “mezzo-fine” tra lo spossessamento fisico del bene gravato (il mezzo) e l’indisponibilità dello stesso (il fine). Con la chiara conseguenza che laddove qualsivoglia altro strumento (diverso dallo spossessamento fisico) permetta di conseguire l’intento ricercato non potrà negarsi l’avvenuta valida costituzione di un diritto reale di pegno – seppure “anomalo”, vale a dire privo della “possessorietà”.
Nel corso degli ultimi decenni, la (presunta) imprescindibilità dallo spossessamento fisico pare aver trovato una serie di confutazioni anche di natura normativa[5].
Basti pensare alla pluralità di figure non possessorie emerse di tempo in tempo, a cominciare dal pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata, tipizzato dalla legge n. 401 del 24 luglio 1985, rispetto ai quali la costituzione in pegno non presuppone alcun tipo di spossessamento. Quest’ultimo, infatti, manca del tutto a fronte di una diversa tecnica utilizzata per determinare l’indisponibilità del bene: l’apposizione (in qualunque fase della lavorazione) sulle cosce di suino di uno speciale contrassegno indelebile, con annotazione su appositi registri vidimati annualmente; tecnica poi estesa, dall’art. 7 della legge n. 122 del 27 marzo 2001, ai pegni sui prodotti lattiero-caseari a denominazione di origine a lunga stagionatura.
Analogamente, il meccanismo previsto dal decreto legislativo n. 213 del 24 giugno 1998 (di seguito, “DLGS 231”) di registrazione dei vincoli sugli strumenti finanziari dematerializzati in appositi conti – accesi dalla società di gestione accentrata per ogni intermediario (comma 2, art. 30 del DLGS 231), salvo che l’intermediario sia incaricato dello svolgimento del servizio (comma 3, art. 30 del DLGS 231) – individua un’ulteriore modalità, anch’essa alternativa allo spossessamento, peraltro fisicamente impossibile data l’immaterialità dell’oggetto del pegno.
La mera funzionalità dello spossessamento fisico, delineatasi attraverso gli interventi normativi sopra richiamati, pare essere stata positivamente scolpita dalla modifica apportata all’art. 1, lettera q), del decreto legislativo n. 170 del 21 maggio 2004 (di seguito, “DLGS 170”) da parte dell’art. 2 del decreto legislativo n. 48 del 24 marzo 2011 che, nel fornire la definizione di “prestazione di garanzia”, cita la consegna quale una delle possibili metodologie in esito alle quali “le attività finanziarie stesse risultino nel possesso o sotto il controllo del beneficiario della garanzia o di persona che agisce per conto di quest’ultimo”.
Il relegare la consegna sullo stesso piano del “trasferimento” e della “registrazione delle attività finanziarie”, nel contempo collocandola nell’alveo indistinto della serie infinita di atti (mezzi) idonei allo scopo, segna un passaggio di centrale importanza, tanto quanto quella dell’espresso riferimento al controllo del creditore garantito sul bene, che si presenta come la forma evolutiva più avanzata del ventaglio dei mezzi per il conseguimento dell’indisponibilità (fine) del medesimo da parte del beneficiario.
Quanto meno sotto il profilo appena esaminato, dunque, il dubbio sull’innovatività del pegno non possessorio si tramuta in certezza circa l’assenza di una vera e propria rivoluzione nel sistema delle garanzie, che continua a muoversi lungo un percorso già tracciato in precedenza.
C.2 In seconda istanza, l’altro aspetto a cui occorre rivolgere l’attenzione attiene al requisito della “sufficiente indicazione della cosa” (art. 2787, comma 3, cod. civ.). La necessità di determinatezza dell’oggetto, com’è noto, non ha impedito l’affermazione nella prassi, prima, ed il riconoscimento nella giurisprudenza, dopo, di forme rotative del pegno in cui la sostituzione dell’oggetto – “senza necessità di ulteriori stipulazioni e quindi nella continuità del rapporto originario”[6] – non è stata reputata quale causa estintiva della garanzia.
Già da tempo, cioè, la protezione di un valore economico, suscettibile di essere espresso non da un solo ed unico bene, ha progressivamente assunto un rilievo predominante tanto da ridurre il bene stesso, e tutti quelli successivi dati in sostituzione del precedente, ad un accidente, dalla valenza meramente funzionale rispetto a detto valore.
Su questo schema, a cui peraltro risponde una diversa garanzia reale (i.e., il privilegio speciale previsto dall’art. 46 del decreto legislativo n. 385 dell’1 settembre 1993), nel corso del tempo sono state costruite dal legislatore le varie figure sopra menzionate del pegno sui prosciutti, del pegno sui prodotti lattiero-caseari, dei vincoli sugli strumenti dematerializzati e delle garanzie finanziarie.
Il pegno non possessorio, che fluttua sui beni del costituente, non si sottrae a questa logica consolidatasi nel quadro normativo (si pensi alla possibilità di individuare i beni mediante riferimento ad un valore complessivo (comma 2, art. 1 del DL 59)), nonostante l’ossequio alla tradizione del comma 3 dell’art. 1 del DL 59, per il quale il contratto costitutivo deve risultare da atto scritto recante, inter alia, la “descrizione del bene dato in garanzia”.
D. In conclusione, il pegno non possessorio può sicuramente annoverarsi tra gli strumenti che contribuiscono ad ammodernare l’ordinamento giuridico in coerenza con i precedenti sviluppi del sistema ancorché lo si faccia attraverso tecniche affatto nuove. Uno strumento in più, che va di certo incontro alle esigenze degli affari, favorendo l’ottenimento del credito da parte delle imprese che operano in Italia pur salvaguardando l’ordinary course of business.
Vi è però da chiedersi se, in un momento storico quale quello attuale, caratterizzato da grandi tensioni per l’economia, esso possa effettivamente essere giudicato adeguato rispetto al fine proposto, data la propria natura di garanzia “debole”, anche in ragione dell’insieme di difficoltà connesse all’escussione di una garanzia su res mutevoli.
Le esperienze straniere, al riguardo, testimoniano come il solo floating charge non sia considerato sufficiente dagli istituti finanziatori che, in molti casi, tendono a richiedere ai debitori la concessione di una combinazione – di solito documentata in una sola debenture – di fixed charge (vincolo su beni specificamente individuati, con ranking superiore) e floating charge.
Bisogna quindi attendere (oltre alla conferma dell’istituto in sede di conversione del DL 59) di verificare quale atteggiamento verrà adottato nei confronti dei security providers italiani per capire se il pegno non possessorio costituisca un mero “nice to have” ovvero se la sua introduzione rappresenti una concreta arma in più messa a disposizione degli operatori economici.
[1] CA ([1903] 2 Ch 295),“I certainly do not intend to attempt to give an exact definition of the term ‘floating charge, nor I am prepared to say that there will not be a floating charge within the meaning of the Act, which does non contain all the three characteristics that I am about to mention, but I certainly think that if a charge has the three characteristics that I am about to mention it is a floating charge. (1) If it is a charge on a class of assets of a company present and future; (2) if that class is one which, in the ordinary course of business of the company, would be changing from time to time; and (3) if you find that by the charge is contemplated that, until some future step is taken by or on behalf of those interested in the charge, the company may carry on its business in the ordinary way as far as concerns the particular class of assets I am dealing with.”.
[2] [1910] 2KB 979, “A floating charge is not a future security; it is a present security which presently affects all the assets of the company expressed to be included in it … A floating security is not a specific mortgage of the assets, plus a licence of the mortgagor to dispose of them in the course of business, but is a floating mortgage applying to every item comprised in the security, but non specifically affecting any item until some act or event occurs or some act on the part of the mortgagee is done which causes it to crystallise into a fixed security.”.
[3] Per tutti, G. Gorla – P. Zanelli, Del pegno. Delle ipoteche, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, Bologna, 1992, pag. 67 e seguenti.
[4] E. Gabrielli, Il pegno, in Trattato di diritto civile, diretto da Sacco, Torino, 2005, pag. 115.
[5] E. Gabrielli, Il pegno anomalo, Cedam, 1990.
[6] Cfr. Cass. 27 settembre 1999, n. 10685, in Giust. civ., 2000, I, pag. 1459. Va tuttavia segnalato che, in precedenza, la Suprema Corte, nello stabilire i limiti di operatività del pegno rotativo, aveva ritenuto che la continuità della garanzia dovesse comunque passare, inter alia, dalla stipula – ad ogni sostituzione – di scritture aventi data certa e contenenti una sufficiente indicazione della cosa; cfr. Cass. 28 maggio 1998, n. 5264, in Giurisprudenza commerciale, 1998, II, pag. 681.