Il presente contributo analizza il piano di ammortamento alla francese, che configura quella tipologia di rimborso dei contratti di finanziamento in cui la restituzione del capitale viene regolata mediante rate costanti di importo fisso e predeterminato, inclusive sia di una quota capitale che di una quota interessi. Il contributo si sofferma in particolare sulla legittimità del piano, escludendo sia il presunto anatocismo sia la presunta indeterminatezza in relazione al c.d. regime di capitalizzazione composta.
1. Premessa
Come noto, negli ultimi anni, si è assistito ad un proliferare di pronunce di merito (allo stato comunque espressive di un orientamento minoritario [1]) che sono giunte ad affermare che il piano di ammortamento alla francese sarebbe illegittimamente sviluppato mediante l’applicazione del c.d. regime di capitalizzazione composta.
Il finanziamento sarebbe quindi viziato:
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- da un lato, dall’applicazione di interessi anatocistici, in violazione dell’art. 1283 c.c. [2];
- dall’altro lato, dall’indeterminatezza delle condizioni pattuite [3], sotto differenti aspetti: (i) l’omessa pattuizione del regime di capitalizzazione composta in luogo del regime di capitalizzazione semplice, che si afferma essere prescritto dall’art. 821 c.c.; e (ii) l’applicazione al finanziamento di un tasso effettivo differente e maggiore rispetto al TAN pattuito.
L’analisi che segue evidenzierà tuttavia che, nell’ambito del piano di ammortamento alla francese, il riferimento operato al concetto di capitalizzazione composta è inidoneo a esprimere un vizio giuridico del contratto di finanziamento, sotto il profilo tanto della presunta applicazione di interessi anatocistici quanto dell’indeterminatezza delle condizioni economiche del rapporto.
2. La struttura del piano di ammortamento alla francese e le ragioni della sua (presunta) illegittimità
Al fine di meglio comprendere le ragioni che sottendono le contestazioni sulla sussistenza di anatocismo ex 1283 c.c. è opportuno ripercorrere le modalità di sviluppo di un piano di ammortamento alla francese.
Come noto, il piano di ammortamento alla francese rappresenta una metodologia di rimborso dei contratti di finanziamento, per mezzo della quale mutuante e mutuatario convengono che il capitale mutuato verrà restituito mediante rate costanti di importo fisso e predeterminato, inclusive sia di una quota capitale sia di una quota interessi, calcolati al tasso (TAN) convenzionalmente pattuito con la stipula del finanziamento.
Ciò premesso, il piano di ammortamento alla francese si sviluppa nei termini che seguono:
- la quota interessi della prima rata del finanziamento (QI1) è calcolata moltiplicando il capitale residuo ancora dovuto al termine del primo mese (CR0) [4] per la percentuale di interessi dovuti in ragione mese (i) [5], secondo la formula dell’interesse semplice:
QI1 = CR0 * i;
- la quota capitale della prima rata del finanziamento (QC1), è pari alla differenza tra l’importo complessivo della rata (R) e la quota interessi (QI1):
QC1 = R – QI1;
- all’esito del pagamento della prima rata, il nuovo capitale residuo (CR1), che resterà tale sino al termine del secondo mese, è pari alla differenza tra il capitale residuo precedente (CR0) e la quota capitale della prima rata (QC1):
CR1 = CR0 – QC1.
Quanto alla seconda rata:
- la quota interessi della seconda rata, analogamente alla prima, è calcolata moltiplicando il capitale residuo ancora dovuto al termine del secondo mese (CR1) per la percentuale di interessi dovuti in ragione mese (i):
QI2 = CR1 * i;
- tuttavia, poiché secondo le formule precedentemente riportate CR1 = CR0 – QC1 e, a sua volta, QC1 = R – QI1, operando le necessarie sostituzioni:
- la formula di CR1 può essere riscritta (sostituendo QC1) come:
CR1 = CR0 – (R – QI1);
-
- e, conseguentemente, la formula di QI2 può essere riscritta (sostituendo CR1) come:
QI2 = [CR0 – (R – QI1)] * i.
È dunque qui che, secondo parte degli interpreti, si anniderebbe l’anatocismo.
Operando le sostituzioni matematiche descritte nei passaggi sopra citati, difatti:
- la formula di calcolo della quota interessi delle rate successive alla prima vede comparire, al proprio interno, la quota interessi delle rate precedenti, così determinando il calcolo di interessi su interessi;
- in ogni caso, emergerebbe l’utilizzo – non pattuito – del regime di capitalizzazione composta, in luogo del regime, che si afferma essere prescritto dall’art. 821 c.c., di capitalizzazione semplice, nonché l’applicazione di un tasso effettivo diverso e maggiore rispetto al TAN pattuito.
Tali conseguenze, inoltre, si afferma essere imputabili, in ultima analisi, all’incasso anticipato degli interessi rispetto alla scadenza del capitale: evenienza che, riducendo per ogni rata l’importo imputabile a capitale, rallenta la restituzione del prestito, così determinando, per le rate successive alla prima, l’incremento del capitale produttivo di interessi in misura pari alle quota interessi delle rate già corrisposte [6].
*
Tanto premesso, la trattazione che segue evidenzierà che, presupposta e convenuta la periodicità mensile del rimborso, ed il pagamento di rate costanti di importo determinato, la predisposizione del piano di ammortamento alla francese rappresenta conseguenza necessaria dell’applicazione della normativa codicistica che governa la produzione e il pagamento degli interessi.
Quanto innanzi, dunque, senza possibilità di rilevare l’impiego di condizioni non pattuite (quali, appunto, il regime di capitalizzazione composta) né, tantomeno, la produzione di interessi su interessi in violazione dell’art. 1283 c.c.
3. Gli interessi del mutuo quali frutti civili: maturazione ed esigibilità
Come accennato, l’orientamento che ritiene illegittimo il piano di ammortamento alla francese giunge, in ultima analisi, a individuare il fattore generativo dell’anatocismo (ovvero dell’indeterminatezza della pattuizione degli interessi) nell’incasso (in thesi) anticipato degli interessi rispetto alla scadenza del capitale.
Una trattazione completa della tematica impone dunque di prendere le mosse dai più basilari principi che, nel nostro ordinamento, disciplinano gli interessi.
Procediamo con ordine.
Non v’è dubbio che gli interessi dovuti in ragione della stipula di un rapporto di mutuo/finanziamento rappresentano, nell’ambito di tali rapporti, il “prezzo” (la remunerazione o il corrispettivo, appunto) riconosciuto al mutuante per la concessione ad altri del godimento del proprio denaro [7].
Per comprendere quali sono i tempi dell’acquisto (e dunque della maturazione e dell’esigibilità) di tale corrispettivo, nonché le modalità che ne governano la quantificazione, occorre considerare le prime norme che, nel codice civile, si preoccupano di disciplinare gli interessi, ossia gli artt. 820 e 821 c.c., che prevedono:
- “Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni” (cfr. art. 820, co. 3 c.c.);
- “I frutti civili si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto” (cfr. art. 821, co. 3 c.c.).
L’analisi di tali norme consente di inferire quanto segue.
Se è vero che gli interessi rappresentano i frutti civili del “godimento altrui” di un capitale, è conseguenza logica e necessaria che tali frutti:
- siano quantitativamente commisurati al capitale concesso in godimento;
- si “ritraggano” o si “acquistino” (utilizzando il lessico codicistico) dal momento in cui tale situazione (ovvero il “godimento altrui”) si instaura, e fin quando la stessa perdura: non è un caso, infatti, che l’art. 821, co. 3 c.c. discorra di “acquisto” “giorno per giorno, in ragione della durata del diritto”.
Ciò chiarito, occorre comprendere cosa si intenda, ai sensi dell’art. 821, co. 3, c.c. con “acquisto” (giorno per giorno) degli interessi.
E nella specie occorre chiedersi se il legislatore (con la nozione di “acquisto”) intendesse riferirsi al mero sorgere del credito per interessi ovvero, altresì, alla sua contemporanea esigibilità [8].
Pare a chi scrive che l’unica soluzione percorribile sia la seconda. In primo luogo, perché il riferimento alla nozione di acquisto evoca l’intenzione del legislatore di stabilire che, sin dal momento della loro maturazione, gli interessi devono ritenersi somme “di proprietà” di colui che ha concesso il godimento del capitale e, come tali, da corrispondersi immediatamente allo stesso. In seconda battuta perché, in difetto di una norma (o di una pattuizione) che statuisca un diverso termine, l’obbligazione di pagamento degli interessi non può che ritenersi immediatamente esigibile, secondo la disciplina generale dettata dal codice civile in materia di obbligazioni (v. art. 1183 c.c.: “se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente”) [9].
Occorre tuttavia approfondire ulteriormente tale considerazione poiché, come si è visto (e si vedrà ulteriormente nel prosieguo), tra i passaggi in cui si snodano le argomentazioni di chi – invece – sostiene l’illegittimità del piano di ammortamento alla francese, si afferma esattamente il contrario di quanto ora evidenziato.
E, nella specie, si afferma che la scelta della metodologia di ammortamento alla francese consentirebbe al mutuante un incasso “anticipato” degli interessi rispetto alla loro effettiva esigibilità, il cui momento, ai sensi dell’art. 1282 c.c. (“Interessi nelle obbligazioni pecuniarie – 1. I crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente”), dovrebbe piuttosto individuarsi con la scadenza del termine per l’adempimento del capitale [10] [11].
Pare tuttavia – a chi scrive – che così non possa essere per molteplici ragioni.
L’art. 1282 c.c. non prescrive in alcuna parte un disallineamento del momento di esigibilità degli interessi rispetto alla loro maturazione.
Lo stesso prevede piuttosto che un diritto di credito produce interessi dal momento in cui lo stesso (il credito) è liquido ed esigibile. Dunque, nell’ambito di tale norma (inconferente al caso che ci occupa), l’esigibilità del credito non si pone quale presupposto dell’esigibilità degli interessi, bensì quale presupposto della loro stessa produzione.
Pretendere di applicare la norma ad un rapporto di mutuo (o finanziamento) equivarrebbe infatti ad asserire che, se è stato pattuito un termine per la restituzione del capitale, l’inesigibilità dello stesso impedisce la produzione di ogni interesse sino al momento della scadenza del termine. Il tutto, con l’ulteriore conseguenza che, nell’ipotesi di adempimento puntuale, nessun interesse potrà mai prodursi [12].
La soluzione prospettata appare illogica e, per ciò solo, contraria a giustizia [13].
Si arriva, in sostanza, a contraddire l’intero impianto normativo vigente in relazione alla produzione degli interessi, espressivo di un principio (quello di naturale fecondità del denaro) diametralmente opposto alla supposta inesigibilità (o addirittura all’improduttività) degli interessi prima della scadenza del capitale.
Si ritiene, in questo senso, di dover richiamare:
- gli artt. 820 e 821 c.c., che individuano i capitali come beni fruttiferi e fanno conseguire, al godimento altrui degli stessi, l’acquisto degli interessi (quali frutti civili) giorno per giorno, in relazione al protrarsi del godimento del denaro e non, invece, al termine di restituzione dello stesso;
- l’art. 1815 c.c., che disciplina il contratto di mutuo come un contratto naturalmente oneroso, prescrivendo appunto che – salvo diversa volontà – il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante;
- l’art. 1820 c.c., il quale prevede che se il mutuatario non adempie l’obbligo di pagamento degli interessi, il mutuante può chiedere la risoluzione del contratto.
La norma si fonda sul presupposto che gli interessi si acquistano (e dunque maturano e divengono esigibili), giorno per giorno, non invece con lo scadere del termine per la restituzione del capitale. Tanto che, ove l’obbligazione di pagamento degli interessi non venga adempiuta, il mutuante ha diritto di chiedere la risoluzione del contratto di mutuo. E ciò, con una finalità evidente: recuperare immediatamente un capitale del quale, in forza dell’inadempimento del mutuatario all’obbligo di pagamento degli interessi, non v’è più ragione di privarsi.
La norma non avrebbe invece alcun senso ove dovesse ritenersi che gli interessi maturano (o divengono esigibili) solo alla scadenza del termine per la restituzione del capitale poiché, in questo caso, il mutuante non potrebbe conseguire alcuna utilità dalla risoluzione del rapporto di mutuo per inadempimento dell’obbligo di pagamento degli interessi.
E infatti, ragionando ipoteticamente, vincolare la maturazione o l’esigibilità degli interessi alla scadenza del termine per la restituzione del capitale significa che l’inadempimento dell’obbligo di pagamento di tali interessi può verificarsi solo successivamente alla scadenza del termine. Dunque, in un momento in cui il capitale deve comunque essere (ovvero è già stato) restituito.
L’analisi delle citate norme conferma quindi che, nel contesto del rapporto di mutuo, gli interessi maturano e divengono esigibili (salvo diversa pattuizione) giorno per giorno, sin dalla dazione del capitale (ovvero dall’erogazione del finanziamento), poiché tale è il momento a partire dal quale si realizza la situazione di godimento altrui della somma oggetto di prestito.
Fatte queste doverose premesse è possibile comprendere a pieno le ragioni dell’inapplicabilità, ai rapporti di mutuo e assimilabili, dell’art. 1282 c.c.: tale norma si presenta infatti come inconferente con tali tipologie contrattuali poiché volta a regolare una fattispecie (i rapporti di credito in generale) che non ne condivide le medesime peculiarità.
E infatti, se – ai sensi degli artt. 820 e 821 c.c. – la ragione e il presupposto della produzione di interessi ad opera di un capitale deve rinvenirsi nella concessione ad altri del godimento della somma di denaro, risulta logico che il legislatore, nel regolare le obbligazioni pecuniarie, abbia previsto che, nel momento in cui un credito diviene liquido ed esigibile, quest’ultimo è altresì produttivo di interessi di pieno diritto: è infatti a partire da tale momento (e solo da tale momento) che, nell’ambito di un normale rapporto obbligatorio, il debitore dovrebbe provvedere all’adempimento e, fintanto che ciò non accade, lo stesso gode di fatto di somme altrui (che avrebbero dovuto già transitare nel patrimonio del creditore).
Nondimeno, il medesimo percorso argomentativo non può essere seguito nell’ambito di un rapporto di mutuo o finanziamento, dal momento che il mutuatario comincia a godere di un capitale altrui ben prima che l’obbligo di restituzione del prestito divenga esigibile [14] [15].
Alla luce di quanto sopra può quindi concludersi che, nel contesto dei rapporti di mutuo, gli interessi maturano e divengono esigibili (salvo diversa pattuizione) giorno per giorno, sin dalla dazione del capitale (ovvero dall’erogazione del finanziamento), poiché tale è il momento a partire dal quale si realizza la situazione di godimento altrui della somma oggetto di prestito.
4. La struttura del piano di ammortamento alla francese: la pedissequa applicazione delle condizioni pattuite e l’assenza di anatocismo o indeterminatezza delle condizioni economiche
Premesso quanto sinora esposto, è possibile spostare l’analisi sulla struttura e le pattuizioni che si pongono alla base del c.d. piano di ammortamento alla francese, per evidenziare come lo stesso non possa dirsi foriero di alcuna indeterminatezza degli interessi (o delle ulteriori condizioni del finanziamento) né, tantomeno, dell’applicazione di costi occulti e interessi anatocistici.
È anzi possibile affermare che il piano di ammortamento alla francese, nei termini descritti sub § II, rappresenta null’altro che la pedissequa applicazione della normativa codicistica sopra richiamata, in relazione – da un lato – alle previsioni pattizie che prevedono il rimborso graduale del capitale concesso e il pagamento dei relativi interessi per mezzo di rate mensili di importo costante e determinato e – dall’altro lato – ad un’ulteriore norma chiamata a regolamentare i termini dell’imputazione dei pagamenti fatti in conto capitale e interessi: l’art. 1194 c.c.
La citata norma prevede infatti che: “Il debitore non può imputare il pagamento al capitale, piuttosto che agli interessi e alle spese, senza il consenso del creditore. Il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi” (cfr. art. 1194 c.c.).
Ne consegue che i pagamenti mensili operati dal mutuatario a titolo di rate del finanziamento dovranno essere imputati, in via preliminare, al pagamento degli interessi e, per la parte residua, al rimborso del capitale.
Il che consente di comprendere anche in che termini ciascuna rata viene a comporsi (progressivamente in maniera sempre diversa) di una quota interessi via via decrescente e di una quota capitale via via sempre maggiore. E invero:
- la quota interessi non potrà che essere pari al totale degli interessi maturati (giorno per giorno) nel corso del mese di riferimento della rata, e certamente esigibili alla scadenza mensile pattuita; gli stessi dovranno dunque calcolarsi moltiplicando il tasso d’interesse pattuito fra le parti per il capitale di cui il mutuatario ha goduto nel mese;
- la quota capitale, di conseguenza, sarà pari a tutto ciò che della rata residua dopo il preliminare pagamento della quota interessi, e che può dunque essere imputata al rimborso del capitale.
Ovviamente, il rimborso graduale del capitale (che avviene col pagamento della quota capitale della rata) determina la riduzione progressiva, per ciascuna mensilità, del capitale goduto dal mutuatario e, conseguentemente, la diminuzione graduale della quota interessi delle rate (calcolata su un capitale sempre inferiore rispetto a quello del mese precedente). La quota capitale risulterà quindi a poco a poco sempre maggiore, perché sempre maggiore sarà la somma della rata fissa che residua dopo la preliminare imputazione del pagamento agli interessi.
Nei termini esposti, il piano di ammortamento alla francese rappresenta dunque un meccanismo di rimborso del finanziamento lineare, privo di costi occulti o interessi anatocistici, costruito esclusivamente in ragione delle previsioni pattizie e delle disposizioni normative. E infatti:
- il tasso applicato per il calcolo della quota interessi di ciascuna rata è quello pattuito in sede contrattuale e le rate sono dunque determinate senza l’applicazione di alcun costo occulto;
- lo sviluppo del piano di ammortamento è determinato dalla sola pattuizione relativa alla corresponsione di rate mensili di importo fisso e predeterminato, laddove l’effettivo pagamento, per ciascuna rata, di tutti gli interessi maturati nel mese di riferimento è giustificata dall’immediata esigibilità degli stessi, e la priorità di tale pagamento rispetto alla restituzione del capitale è invece disposta dall’art. 1194 c.c.;
- infine, il calcolo delle rate e, soprattutto, della quota interessi non presuppone alcun illegittimo anatocismo poiché svolto solo sul capitale residuo (ossia in godimento al cliente) per ciascun periodo di riferimento.
Su tale ultimo punto, si ritiene tuttavia di spendere ulteriori considerazioni.
Come si è visto supra, le teorizzazioni più approfondite in relazione alla supposta illegittimità del piano di ammortamento alla francese non disconoscono che, concentrando lo sguardo sulle singole rate, risulti difficile discorrere di anatocismo ex art. 1283 c.c.
Ciò in quanto, in effetti, è condiviso che il calcolo degli interessi avviene (quantomeno prima facie) su un importo di mero capitale (moltiplicando il capitale residuo dovuto rata per rata, con il tasso degli interessi dovuti in ragione mese).
Tuttavia, si afferma anche che l’anatocismo (o l’effetto anatocistico) emergerebbe valorizzando lo sviluppo complessivo del piano di ammortamento, e che in particolare, analizzando lo sviluppo matematico del capitale residuo, lo stesso dovrebbe dirsi composto anche di una quota parte di interessi: nello specifico, delle quote interessi delle rate già corrisposte.
In altre parole, ciò che si tenta di valorizzare è che la formula della quota interessi delle rate successive alla prima (per semplicità si può fare riferimento alla seconda, QI2 = CR1 * i) possa anche essere riscritta come QI2 = [CR0 – (R – QI1)] * i.
In questo contesto, ciò che si omette di considerare, a parere di chi scrive, è che la comparsa di QI1 nella formula di QI2, lungi dal rivelare un occulto effetto anatocistico, rappresenta la naturale conseguenza dell’applicazione, a ciascun pagamento delle rate, di una regola giuridica: il già richiamato art. 1194 c.c., che prescrive che i pagamenti debbano essere imputati, dapprima, agli interessi (e alle spese) e, solo successivamente, al capitale.
È dunque fisiologico che, nella formula della quota capitale della prima rata (QC1) compaia anche la quota interessi della prima rata (QI1), poiché, dato il pagamento di un determinato importo (ossia la rata R), la quota parte di tale somma da imputare alla restituzione del capitale (QC1) non potrà che corrispondere a quanto dell’importo della rata residuerà dopo che saranno stati pagati (preliminarmente) gli interessi (QI1): da qui, la conseguente formula QC1 = R – QI1.
Conseguentemente, è altrettanto fisiologico che la stessa quota interessi della prima rata (QI1) compaia, dapprima, nella formula del capitale residuo all’esito del pagamento della prima rata (CR1) e, di riflesso, nella formula della quota interessi della seconda rata (QI2).
Tale voce (QI1), difatti, non compare nella formula degli interessi successivi (QI2) poiché su di essi debbano essere calcolati nuovi interessi, ma semplicemente perché, ai sensi dell’art. 1194 c.c., il capitale su cui devono essere conteggiati gli interessi della seconda rata (CR1) costituisce (e non potrebbe essere altrimenti) la differenza tra il capitale produttivo di interessi alla rata precedente (CR0) e ciò che della medesima rata R è stato imputato a capitale (QC1). Ossia, come detto, la quota parte della rata che residua dopo che il pagamento è stato preliminarmente (e del tutto legittimamente, ai sensi del già citato art. 1194 c.c.) imputato al rimborso degli interessi (R – QI1).
In sostanza e in altre parole, la quota interessi della prima rata (QI1) compare nella formula della quota interessi della seconda rata (QI2) perché il capitale produttivo di interessi, al pagamento di ciascuna rata, non diminuisce in misura pari alla rata intera, ma in misura minore: ovvero per quella parte, la c.d. quota capitale, che residua dopo il pagamento degli interessi maturati e che, dunque, può essere imputata alla restituzione del capitale [16].
Si tratta, dunque, di un effetto ineliminabile di un qualunque piano di ammortamento (non solo alla francese) che preveda la contemporanea corresponsione di rate a titolo di capitale e interessi e che venga ricostruito secondo le previsioni del codice civile.
Non è un caso, infatti, che si giunga spesso a sostenere che, al fine di evitare il presunto effetto anatocistico, il piano di ammortamento dovrebbe essere calcolato secondo un regime (definito di “capitalizzazione semplice”), nel quale gli interessi diventano esigibili solo all’esito della restituzione del capitale.
In sostanza:
- l’intera rata dovrebbe essere imputata al rimborso del capitale, e tutti gli interessi dovrebbero invece essere pagati solo al termine del piano di ammortamento;
- o, al più, si potrebbe prevedere il pagamento rata per rata degli interessi previa attualizzazione degli stessi, ossia riducendoli al fine di scontare il vantaggio derivante al mutuante dal loro incasso (in thesi) anticipato.
Appare evidente, tuttavia, come tale ricostruzione si ponga in contraddizione con la normativa codicistica trattata sub § III.
Si imporrebbe così al mutuante di far credito al mutuatario non solo del capitale erogato ma, altresì, degli interessi (che rimarrebbero inesigibili per tutta la durata del finanziamento). E ciò, sebbene sia proprio il Codice Civile a garantire l’immediata esigibilità degli interessi (cfr. artt. 820, 821, 1815, 1816 e 1820 c.c.) e la priorità del pagamento degli stessi rispetto allo stesso capitale (art. 1194 c.c.) [17], così consentendo all’istituto di credito di far propria, progressivamente, la naturale fecondità del denaro [18].
Ragionare in questi termini, peraltro, significherebbe adottare un’interpretazione sostanzialmente abrogativa dell’art. 1194 c.c., che non potrebbe trovare alcuna applicazione.
E infatti, se l’art. 1194 c.c. prescrive che “Il pagamento fatto in conto di capitale e d’interessi deve essere imputato prima agli interessi” è conseguenza ontologica e necessaria che quel pagamento non andrà ad abbattere il capitale in misura pari all’importo integrale del pagamento medesimo. Andrà sempre, piuttosto, ad abbattere il capitale in misura inferiore, ossia per quella parte che residuerà dopo il pagamento degli interessi. Conseguentemente, gli interessi successivi matureranno su un capitale pari a quello precedentemente dovuto, detratto (per mutuare la terminologia del piano di ammortamento) la sola quota capitale del pagamento.
In sostanza, riprendendo ancora le terminologia matematica, per rappresentare l’applicazione dell’art. 1194 c.c. a un pagamento nell’ambito di un rapporto obbligatorio, può osservarsi che:
- se:
- D0 è uguale al capitale che deve essere versato in forza di un rapporto obbligatorio;
- P1 è uguale al pagamento parziale operato;
- I1 è uguale agli interessi maturati al tasso i;
- e se, come è prescritto dall’art. 1194 c.c., il pagamento (P1) deve essere imputato dapprima al rimborso degli interessi (I1);
- risulta allora conseguenza necessaria che:
- la quota parte (C1) del pagamento (P1) che potrà essere imputata al rimborso del capitale (D0) non potrà che essere pari alla differenza tra il pagamento (P1) e gli interessi (I1) che lo stesso è destinato a soddisfare in via preliminare: C1 = P1 – I1;
e conseguentemente - i successivi interessi (I2) dovranno calcolarsi sulla differenza tra il capitale inizialmente dovuto (D0) e quanto rimborsato a tale titolo (C1): I2 = (D0 – C1) * i.
- la quota parte (C1) del pagamento (P1) che potrà essere imputata al rimborso del capitale (D0) non potrà che essere pari alla differenza tra il pagamento (P1) e gli interessi (I1) che lo stesso è destinato a soddisfare in via preliminare: C1 = P1 – I1;
Cionondimeno, se C1 è a propria volta pari alla differenza tra P1 e I1, operando le debite sostituzioni, dovrà concludersi che:
I2 = [D0 – (P1 – I1)] * i
Nuovamente, dunque, nella formula di calcolo degli interessi del periodo successivo al primo pagamento compaiono gli interessi del periodo precedente: e tuttavia, non è in analisi il piano di ammortamento alla francese, bensì il genare meccanismo di imputazione di un pagamento secondo le prescrizioni di cui all’art. 1194 c.c.
Pare, in altri termini, incontestabile che l’effetto definito come “di capitalizzazione composta”, nell’ambito dei rapporti di mutuo/finanziamento, rappresenti invece la semplice conseguenza dell’applicazione della regola prevista dall’art. 1194 c.c., e che nessun elemento di illiceità possa dunque riscontrarsi.
Diversamente, dovrebbe affermarsi che l’imputazione di un pagamento secondo le prescrizioni di cui all’art. 1194 c.c. produrrebbe sempre anatocismo [19].
Il che evidentemente non pare sostenibile.
[1] Sono invece espressione dell’orientamento prevalente a favore della validità del mutuo con ammortamento alla francese, tra le più recenti e rilevanti: (a) nella giurisprudenza di legittimità, Cass., 24 novembre 2022, n. 34677 e Cass., 19 maggio 2022, n. 16221; (b) nella giurisprudenza di merito, App. Brescia, 9 febbraio 2023, n. 240; Trib. Sassari, 16 gennaio 2023, n. 47; Trib. Pisa, 10 gennaio 2023, n. 40; Trib. Napoli Nord, 11 ottobre 2022, n. 3549; App. Firenze, 29 agosto 2022, n. 1846; App. Roma – Sez. imprese, 5 luglio 2022, n. 4620; Trib. Torino, 22 febbraio 2022, n. 747; App. L’Aquila, 2 febbraio 2022, n. 175; App. Milano, 21 gennaio 2022, n. 204. Pronunce cui si aggiungono le ulteriori menzionate nelle successive note.
[2] Ritengono, in particolare, sussistente anatocismo ex art. 1283 c.c.: Trib. Velletri, 30 maggio 2022, n. 1098; Trib. Taranto, 29 marzo 2022, n. 796; App. Bari, 3 novembre 2020, n. 1890; Trib. Larino, 13 settembre 2021, n. 359.
[3] Valorizzano invece il profilo dell’indeterminatezza delle condizioni economiche, in relazione all’omessa pattuizione del regime di capitalizzazione composta (talvolta persino escludendo la violazione dell’art. 1283 c.c.): Trib. Napoli, 15 novembre 2022, n. 10148; App. Napoli, 26 aprile 2022, n. 1724; Trib. Campobasso, 18 marzo 2022, n. 156; Trib. Vicenza, 3 febbraio 2022, n. 170.
[4] Pari all’intero importo finanziato, non essendo stato ancora rimborsato alcunché.
[5] Ossia il tasso d’interesse pattuito moltiplicato per il tempo effettivamente trascorso (convenzionalmente stabilito in 30 giorni su 360, considerando l’anno come composto da 12 mesi di uguale durata.
[6] In questo senso si esprime ad esempio R. Marcelli, Finanziamenti con ammortamento alla francese. Nella celata velocità di estinzione si configura la ‘sorpresa’ ex art. 1195 c.c., in assoctu.it.
[7] Ora, come noto, in dottrina e giurisprudenza si discorre da tempo, seppur con impostazioni differenti, di interessi corrispettivi, moratori e compensativi. Sul piano degli effetti tipicamente ricollegati a tali qualificazioni, gli interessi del mutuo appaiono più propriamente ricollegabili alla nozione di interessi compensativi, poiché non connessi alla scadenza del debito per capitale (come gli interessi corrispettivi) né alla mora del debitore (come gli interessi moratori). Il tema era chiaro già nel 1942, tanto da essere specificamente trattato nella Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice Civile, ove si legge, all’ultimo paragrafo del punto 570: “[…] Gli interessi compensativi, i quali prescindono dalla mora del debitore (interessi moratori) ed anche dalla semplice scadenza del debito (interessi corrispettivi) appaiono in taluni casi specificamente previsti (articoli 1499, 1815, 1825)”.
[8] Essendo peraltro evidente che il legislatore non potesse riferirsi all’effettiva acquisizione degli interessi al patrimonio del titolare, presupponendo ciò un comportamento attivo della controparte (ossia il pagamento).
[9] In questi termini A. Quintarelli, Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento “alla francese” a rata fissa, in il caso.it, p. 7-8. Si afferma l’immediata esigibilità degli interessi, seppur riconducendola al dettato di cui all’art. 1499 c.c. anche in G. B. Barillà – F. Nardini, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po’ di chiarezza tra matematica e diritto, in Banca, borsa e titoli di credito, 2021, n. 5.
[10] Il che, nel piano di ammortamento alla francese, equivarrebbe ad affermare che gli interessi non sarebbero esigibili prima dell’avvenuta restituzione dell’intero capitale preso in prestito o, in subordine, che sarebbe esigibile la sola quota parte di interessi maturata in relazione alla quota di capitale rimborsata con ciascuna rata.
[11] L’applicabilità dell’art. 1282 c.c. è espressamente affermata in N. de Luca, Interessi composti, preammortamento e costi occulti. Note sul mutuo alla francese e all’italiana, in Banca, borsa e titoli di Credito, 2019, n. 3.
[12] Si ritiene utile fornire delle esemplificazioni.
Poniamo il caso che un istituto di credito conceda un finanziamento di Euro 12.000,00 da restituirsi dopo un anno, unitamente ai relativi interessi al TAN del 10%. Applicando l’art. 1282 c.c. si dovrebbe affermare che, sino alla scadenza dell’anno, il credito restitutorio di Euro 12.000,00 è inesigibile e, come tale, improduttivo di interessi; alla scadenza dell’anno, il credito diviene esigibile (e dunque produttivo di interessi) ma, se la somma viene restituita senza ritardi, la produzione di interessi rimane comunque preclusa, perché non v’è più alcun capitale concesso in godimento su cui calcolarli.
Tali conclusioni non mutano esemplificando il concetto in relazione ad un finanziamento rateale. Ipotizziamo quindi che per il citato finanziamento di Euro 12.000,00 venga pattuita la restituzione in 12 rate mensili di Euro 1.000,00 ciascuna, oltre interessi al TAN del 10%. Nuovamente, applicando l’art. 1282 c.c., si dovrebbe affermare che, sino alla scadenza della prima rata, il credito restitutorio è completamente inesigibile, e come tale improduttivo di interessi. Alla scadenza della prima rata, il relativo importo diviene esigibile e tuttavia, se (come dovrebbe accadere) la rata viene pagata puntualmente, nuovamente viene meno la possibilità di produzione di interessi, poiché (stante l’adempimento) non v’è più un credito esigibile su cui calcolarli (neppure in relazione al solo importo della rata scaduta).
[13] Non è un caso che altri autori, nel discorrere di esigibilità degli interessi posticipata al momento della scadenza del capitale, ancorino i propri argomenti direttamente al disposto di cui all’art. 821, co. 3 c.c., riconoscendo l’inconferenza del richiamo all’art. 1282 c.c. In questo senso A. Dolmetta, A margine dell’ammortamento «alla francese»: gravosità del meccanismo e sua difficile intelligenza, in Banca, borsa e titoli di credito, 2022, n. 5.
[14] Sul punto, peraltro, si è espressa la Corte di Cassazione che, nel pronunciarsi su una fattispecie di deposito bancario (produttivo di interessi, al pari del mutuo, la cui normativa viene infatti espressamente richiamata dal giudice di legittimità) ha espressamente evidenziato l’inapplicabilità dell’art. 1282 c.c., rigettando il motivo di ricorso che, a fronte dell’inesigibilità delle somme depositate (per essere in quell’ipotesi state sottoposte a sequestro), invocava l’improduttività di interessi ad opera delle stesse: “L’obbligo di corrispondere interessi sulle somme depositate in banca, a norma dagli artt. 1834 e 1835 c.c., non è legato all’esigibilità del credito restitutorio. Esso invece discende dalle regole del deposito irregolare e del mutuo, cui questo è a tal fine assimilabile (artt. 1782 e 1815 c.c.). Si tratta, pertanto, di interessi connaturati al mero fatto che le somme depositate siano posta nella disponibilità della banca depositaria: essi perciò spettano al depositante per tutto il tempo in cui tale situazione perduri” (cfr. Cass., 25 novembre 2003, n. 17945).
[15] Il tema è ben noto anche in dottrina. Sul punto: B. Inzitari, Delle obbligazioni pecuniarie, artt. 1277-1284, in Commentario Scialoja-Branca, 2011, p. 268-269.
[16] Si potrebbe ulteriormente dire che le quote interessi di ciascuna rata non possono determinare interessi anatocistici nelle rate successive poiché si tratta non già di interessi scaduti (che rimangono nella disponibilità del debitore per così produrre, ex art. 1283 c.c. ulteriori interessi), bensì di interessi pagati. Interessante, sul punto, la recentissima Cass., 24 novembre 2022, n. 34677, intervenuta proprio a chiarire che il divieto di cui all’art. 1283 c.c. concerne esclusivamente la produzione di interessi su interessi scaduti.
[17] Rilevante sul punto è anche il disposto di cui all’art. 1199, co. 2 c.c., secondo cui, quando venga rilasciata una quietanza per il capitale, ciò fa presumere anche l’avvenuto pagamento degli interessi: se ciò è possibile, evidentemente, è perché nell’ottica del legislatore, il rimborso di un prestito deve avvenire inevitabilmente mediante pagamenti che vengono imputati prima alla corresponsione degli interessi e solo successivamente al rimborso del capitale. Cosicché, quando un pagamento perviene ad estinguere il debito per capitale, non si può che presumere che quel pagamento abbia preliminarmente estinto il debito per interessi.
[18] Né, si precisa, è sostenibile che – per consentire il pagamento degli interessi rata per rata – gli stessi debbano essere “scontati” in modo tale da giungere ad una coincidenza tra il tasso pattuito fra le parti (TAN) e il costo dell’operazione espresso in misura percentuale (TAE o TIR). In primo luogo, perché il pagamento degli interessi in corrispondenza della rata mensile non costituisce una solutio anticipata rispetto all’esigibilità degli stessi (e dunque da scontare), essendo invece gli interessi immediatamente esigibili. In secondo luogo, perché non v’è alcuna norma che imponga l’eguaglianza tra il tasso pattuito tra le parti ex art. 1284 c.c. (TAN) e il TAE, che invece muta fisiologicamente in ragione delle modalità di rimborso pattuite fra le parti. Sul punto, è significativo i contributo di A. Quintarelli, Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento “alla francese” a rata fissa, in il caso.it, p. 20-21 e, in particolare, i contenuti della nota 58, ove viene posto in luce che analoga questione è già ampiamente approfondita in Cass., Sezioni Unite, 23 settembre 1974, n. 3797.
Il carattere fisiologico della discordanza tra TAN e TAE è, in ogni caso, stata affermata più volte tanto in dottrina quanto in giurisprudenza: G. B. Barillà – F. Nardini, Legittimità dell’ammortamento alla francese e lo “spettro” dell’anatocismo. Un po’ di chiarezza tra matematica e diritto, in Banca, borsa e titoli di credito, 2021, n. 5, p. 8; App. Milano, 31 marzo 2021, n. 1033; Trib. Catania, 23 maggio 2022, n. 2353; Trib. Modena, 11 novembre 2014, n. 2040.
[19] A conclusioni analoghe giunge A. Quintarelli, Leibniz e il mutuo feneratizio con ammortamento “alla francese” a rata fissa, in il caso.it, p. 19 ss.