Nella sentenza in esame vengono, innanzitutto, puntualizzati alcuni aspetti relativi all’applicazione della commissione di massimo scoperto. Sul punto viene evidenziato che, non è possibile contestare gli addebiti a titolo di commissione di massimo scoperto per indeterminatezza o per mancanza di causa, in quanto anche prima della riforma attuata con il D.L. n. 185/2008 e con la legge di conversione n. 2/2009, la previsione della commissione di massimo scoperto trovava giustificazione nella funzione remunerativa dell’obbligo della banca di tenere a disposizione del correntista una determinata somma per un determinato periodo di tempo, indipendentemente dal suo utilizzo (cfr. Cass. n. 870/2006 e Cass. n. 11772/2002). La commissione di massimo scoperto andrà perciò computata ai fini della determinazione del saldo del conto corrente, che non dovrà quindi essere depurato della commissione in esame.
In merito alla validità del contratto di mutuo chirografario, del quale se ne contesta la validità sotto il profilo della mancanza di causa e/o di oggetto, in quanto finalizzato esclusivamente a ripianare l’esposizione debitoria sul conto corrente maturata dal mutuatario, viene chiarito che, una simile finalità, quand’anche sussistente, non pregiudica la validità del contratto, inquanto essa è rivolta a perseguire un interesse riconosciuto come meritevole di tutela dall’ordinamento.
In linea di principio, infatti, nulla esclude che la provvista di un’operazione di finanziamento possa servire a ripianare un debito che il mutuatario ha contratto nell’ambito di un distinto rapporto con il mutuante o, eventualmente, con un terzo.
L’ordinamento, invero, non vieta che essa possa configurarsi quale causa in concreto dell’operazione di finanziamento.
Sul punto è necessario specificare che, gli eventuali profili di nullità del rapporto di base influiscono sull’operazione di finanziamento, unicamente se il collegamento negoziale tra il contratto di prestito e un rapporto bancario specifico intrattenuto dal mutuatario sia esplicitato nel regolamento negoziale.
Con riferimento all’illegittimità del metodo di ammortamento c.d. alla francese, il Tribunale esclude che lo stesso possa generare un fenomeno anatocistico, in quanto gli interessi delle singole rate di ammortamento sono calcolati solo sul capitale residuo e non sul capitale comprensivo di interessi. L’anatocismo è, invece, configurabile solo quando gli interessi maturati sul debito in un dato periodo si aggiungono al capitale, andando così a comporre la base di calcolo, ovvero il capitale produttivo degli interessi nel periodo successivo.
Come già precisato precedentemente dallo stesso Tribunale di Trapani, «nel caso dell’ammortamento alla francese, la “legge di sconto composto” è utilizzata unicamente al fine di individuare la quota capitale da restituire in ciascuna delle rate prestabilite ed è pertanto una formula di equivalenza finanziaria che consente di rendere uguale il capitale mutuato con la somma dei valori capitale compresi in tutte le rate del piano di ammortamento, senza incidere sul separato conteggio degli interessi».
Nella sostanza, dunque, l’applicazione del piano di ammortamento alla francese non comporta alcuna violazione dell’art. 1283 c.c., dal momento che gli interessi di periodo vengono calcolati sul solo capitale residuo, alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono contabilizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso del mutuo. Detto pagamento periodico della totalità degli interessi si configura quale elemento essenziale e caratterizzante dell’ammortamento francese dove la rata è costante e la quota capitale rimborsata è determinata per differenza rispetto alla quota interessi; pertanto, il pagamento a scadenza del periodo riduce il capitale produttivo di interessi nel periodo successivo e quindi si verifica un fenomeno addirittura inverso rispetto alla capitalizzazione.