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Attualità

Il private equity e la responsabilità sociale

19 Novembre 2018

Francesco Tedeschini, Socio di Riferimento, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

Il tema apre almeno tre differenti filoni di interesse dal punto di vista giuridico:

– un primo filone riguarda la disciplina dei rapporti in fase di raccolta: le policies e gli accordi in questo ambito riflettono, come noto, regole e principi in materia di ESG;

– un secondo filone riguarda le attività di investimento e, in tale ambito, le attività di “due diligence” e talune previsioni contrattuali (in particolare le representations e le warranties) ne debbono tener conto;

– un terzo filone riguarda la successiva gestione della società verso la sua valorizzazione e successiva dismissione attraverso forme alternative di disinvestimento (IPOs, processi competitivi, in entrambi i casi diretti che debbono tener conto dei principi di CSR).

In questo breve intervento mi vorrei soffermare su uno specifico aspetto giuridico, per così dire di natura trasversale, che riguarda la CSR: e cioè, l’incidenza che la stessa sta avendo sul concetto di “interesse sociale” delle società partecipate.

L’interesse sociale è progressivamente evoluto da “interesse” degli azionisti del momento – e dunque, nella prospettiva del rapporto tra amministratori e azionisti, da “interesse alla massimizzazione del valore attuale per gli azionisti” – a “interesse di tutti gli stakeholders” – e dunque al perseguimento di una “crescita di valore sostenibile” nel medio-lungo periodo.

Se dunque è vero che le società commerciali – come affermato più volte in giurisprudenza – non sono portatrici di uno specifico interesse alla propria “sopravvivenza” o al “mantenimento dei propri assetti”; è altresì vero che le stesse (e dunque i loro amministratori) debbono perseguire, in ogni specifico contesto (e così tanto nell’ambito di operazioni ordinarie che nel contesto di operazioni straordinarie), non solo l’interesse dei propri azionisti attuali, quanto piuttosto l’interesse ad una crescita sostenibile del valore dell’impresa in un orizzonte temporale adeguato in cui vengono ad essere ricompresi tutti gli stakeholders, compresi i soci futuri.

In quest’ottica si spiega anche la regola sul conflitto di interesse dei soci, che può colpire anche l’azionista di maggioranza ove il suo interesse personale (incluso quello alla redditività estrema) confligga con quello a una remuneratività stabile nel tempo.

In questo senso, e volendo semplificare di molto il fenomeno, la CSR ha anche contribuito (e sta contribuendo) all’allargamento del novero degli “stakeholders” delle società commerciali. Oltre agli azionisti (e agli altri possessori di strumenti finanziari emessi), ai dipendenti, ai creditori e alle controparti contrattuali, diventano stakeholders delle società commerciali anche tutti gli altri soggetti che sono interessati al rispetto di un comportamento “etico” è “corretto” in materia ambientale e in ambito sociale.

L’“interesse sociale” si allarga dunque al perseguimento di obiettivi che si aggiungono alla (e modellano la) “massimizzazione del valore finanziario” (sia esso sotto forma di dividendo o di capital gain).

E il meccanismo si autoalimenta, atteso che le politiche di investimento dei principali equity-holders – valorizzando l’attenzione ai valori sociali da parte delle società partecipate – premiano sempre più le imprese con indici di sostenibilità (SRI) più elevati, contribuendo in tal modo all’accrescimento del loro ruolo e valore sul mercato dei capitali e quindi alla redditività del titolo per il suo detentore.

In altre parole è come se dicessimo che, per perseguire il “classico” interesse sociale, gli amministratori debbono conformarsi non solo alle regole che disciplinano le specifiche attività della società, ma anche alle “regole” di comportamento che la società deve comunque osservare nello svolgimento della propria attività caratteristica.

In tal modo, la CSR diventa parte della gestione dell’impresa e inevitabilmente plasma le regole e le procedure di presidio e controllo dei suoi rischi divenendo altresì elemento della business judgment rule nel processo di formazione delle decisioni d’impresa.

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