L’acquisto di immobili ipotecati
Un problema assai frequente nella contrattazione immobiliare concerne la possibilità di acquistare immobili colpiti da una o più ipoteche, iscritte per somma superiore al valore di mercato del bene. Può accadere che il debitore intenda vendere il proprio immobile, sul quale gravano varie iscrizioni ipotecarie a garanzia delle banche, che hanno concesso finanziamenti al proprietario, oppure di altri creditori, che hanno ottenuto provvedimenti di condanna e hanno iscritto ipoteche giudiziali sul bene.
Come è ben noto, il principio di fondo in materia consiste nell’opponibilità all’acquirente delle ipoteche: ogni creditore ipotecario ha “il diritto di espropriare, anche in confronto del terzo acquirente, i beni vincolati a garanzia del suo credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione” (art. 2808 c.c.).
Però il codice civile appresta il procedimento di liberazione del bene dalle ipoteche – chiamato anche purgazione delle ipoteche – che viene attivato su iniziativa dell’acquirente, il quale abbia stipulato il contratto di acquisto, senza però versare il prezzo al venditore. Questo procedimento, che si svolge presso il tribunale competente per territorio, è regolato dagli artt. 2889 ss. c.c. e 792 ss. c.p.c.[1].
In passato questa procedura rivestiva un’importanza piuttosto marginale. La crisi immobiliare, iniziata nel 2007, ha purtroppo dato nuova linfa a questo procedimento, che si dimostra utile per il frequente caso di acquirenti di immobili gravati da ipoteche per somme ampiamente superiori al prezzo che essi sono disposti a pagare. Seguendo la procedura di legge l’acquirente ottiene la cancellazione delle ipoteche, tra i creditori ipotecari si ripartisce il prezzo pattuito per l’acquisto, e gli stessi restano chirografari per la frazione dei crediti non soddisfatta.
L’offerta di purgazione
Il procedimento riguarda tutti i creditori, che abbiano preso iscrizione contro il venditore. Non si estende invece ai creditori personali del terzo acquirente, i quali abbiano eventualmente iscritto ipoteche sullo stesso bene. Né giova ai creditori chirografari dell’alienante, i quali non hanno diritto di aggredire il bene pervenuto al terzo acquirente, salvo esercitare con successo contro di lui l’azione revocatoria[2]. Questa procedimento non pare invece applicabile rispetto all’ipoteca iscritta dall’agente della riscossione a tutela dei crediti fiscali e previdenziali. La Cassazione ha infatti ritenuto, per la particolare rilevanza pubblicistica della garanzia, che non sia sufficiente il pagamento del prezzo stipulato per l’acquisto o corrispondente al valore dichiarato: “si verrebbe a permettere all’iniziativa del privato, offrendo un prezzo comunque modesto, la facoltà di liberare un immobile sul quale l’agente della riscossione aveva posto un diritto reale di garanzia a tutela del superiore interesse vantato dallo Stato”[3].
Il terzo acquirente deve notificare per mezzo di ufficiale giudiziario, ai creditori iscritti ed al precedente proprietario, un atto formale, chiamato usualmente offerta di purgazione.
Se la notifica dell’offerta precede la trascrizione di un pignoramento, essa va diretta ai creditori che hanno preso iscrizione prima della trascrizione dell’atto di acquisto (quindi anche quelli iscritti tra la data dell’atto e la sua trascrizione, perché essi prevalgono sul terzo acquirente ex art. 2644 c.c.). Se invece la notifica segue la trascrizione di un pignoramento contro il terzo acquirente, essa va diretta a tutti i creditori che hanno iscritto prima della trascrizione del pignoramento.
La notifica può essere effettuata direttamente dall’interessato, oppure tramite avvocato munito di procura alle liti.
Con l’offerta il terzo esercita il diritto potestativo alla purgazione, ma non assume obbligazioni a favore dei creditori iscritti: l’offerta opera come condizione per l’inizio del procedimento di purgazione[4].
L’offerta di purgazione contiene: – l’indicazione del titolo dell’acquisto del terzo, con la sua data, e la data della relativa trascrizione; – l’indicazione dei beni oggetto del procedimento di purgazione, ritenendosi ammessa anche la liberazione parziale, cioè di alcuni soltanto i beni acquistati; – l’indicazione del prezzo stipulato, oppure del valore attribuito al bene in caso di acquisto senza corrispettivo pecuniario, che il terzo offre di pagare ai creditori iscritti: in caso di acquisto cumulativo di immobili e mobili, oppure di immobili ipotecati e immobili liberi, o comunque non gravati dalle stesse iscrizioni, l’offerta deve riportare la somma partitamente considerata dal terzo per ciascun immobile da liberare (art. 2898 c.c.); – il domicilio eletto dal terzo acquirente nel comune dove ha sede il tribunale competente per l’espropriazione.
E’ incerto se il terzo acquirente possa offrire una somma maggiore del prezzo risultante dall’atto di acquisto. La soluzione positiva consente una maggiore soddisfazione dei creditori iscritti, anche se finisce per introdurre un nuovo procedimento di liberazione dalle ipoteche, ben differente da quanto previsto dal codice civile. D’altra parte, per l’acquisto senza un corrispettivo pecuniario (ad esempio per una permuta), la legge in effetti consente l’offerta con somma proposta dal terzo stesso.
La somma offerta non può essere inferiore a quella stabilita come base degli incanti dal codice di procedura civile in caso di espropriazione. Si deve quindi applicare l’art. 568 c.p.c. (nel testo introdotto dal D.L. 27.6.2015, n. 83, convertito con L. 6.8.2015, n. 132): il valore dell’immobile è determinato dal giudice in base al valore di mercato, sulla scorta degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato a sensi dell’art. 569 c.p.c. Ciò pone un evidente problema di coordinamento con il procedimento in esame, che deve essere risolto tenendo conto della natura sommaria del procedimento, della sua necessaria snellezza, e della funzione di controllo di congruità dell’offerta data dal richiamo al valore di espropriazione. L’offerta da parte del terzo deve indicare la somma messa a disposizione dei creditori iscritti; a seguito della richiesta di liberazione, il presidente del tribunale dispone il deposito del prezzo, e nomina l’esperto che dovrà fornire la stima del bene. Il controllo, che l’offerta del terzo acquirente non sia inferiore al valore valevole per l’espropriazione, viene quindi svolto nell’udienza fissata a sensi dell’art. 793 c.p.c. Qualora però il valore determinato dal giudice, sulla base della stima dell’esperto, sia superiore alla somma offerta dal terzo acquirente, è ragionevole consentire a questi di aumentare la propria offerta. Altrimenti il procedimento si estingue.
L’offerta è quindi notificata ai creditori iscritti ed al precedente proprietario: dalla data dell’ultima di tali notifiche decorrono i termini fissati dalla legge per le successive fasi del procedimento, e per l’obbligo gravante sul terzo acquirente per i frutti (art. 2865, comma 2, c.c.). La notifica ai creditori iscritti viene rivolta presso il domicilio eletto, ed in mancanza presso la conservatoria, salvo sia già iniziato un processo esecutivo, nel qual caso occorre far riferimento al domicilio eletto ai fini del processo.
Il terzo acquirente può formulare l’offerta di purgazione anche dopo il pignoramento dell’immobile da parte di uno dei creditori iscritti, purché la notifica dell’offerta sia compiuta entro il termine perentorio di trenta giorni dalla notifica del pignoramento. In tal caso il procedimento esecutivo viene sospeso, finché dura quello di liberazione dalle ipoteche.
Un estratto sommario della notifica, ex art. 2890 c.c., viene poi inserito nel giornale degli annunzi giudiziari (da intendersi come F.A.L.). Ciò serve per informare i fideiussori di ogni creditore iscritto, i quali restano estranei al procedimento di liberazione, ma hanno facoltà di promuovere l’espropriazione a sensi dell’art. 2891 c.c. In base alla L. 24.11.2000, n. 340, la pubblicazione nel foglio degli annunzi legali è sostituita da quella nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica. In caso di assenza di pubblicità, rilevata in sede di udienza ex art. 794 c.p.c., oppure eccepita dai creditori con le modalità dell’art. 617 c.p.c., il giudice dispone la pubblicazione, con riammissione dei creditori al termine ex art. 2891 c.c. per l’eventuale istanza di espropriazione.
Il procedimento giudiziario
Segue poi una fase processuale, regolata dagli artt. 792 ss. c.p.c. in maniera piuttosto parziale e lacunosa. La Cassazione ha precisato la procedura che deve essere seguita, dando largo spazio alla natura contenziosa del procedimento ed all’esigenza di instaurazione del contraddittorio tra i soggetti interessati, sia pure in un procedimento sommario[5].
Formulata l’offerta, il terzo acquirente deve chiedere (in tempo utile per rispettare il termine perentorio di sessanta giorni per il deposito), con ricorso al presidente del tribunale territorialmente competente per l’espropriazione[6], la determinazione dei modi per il deposito del prezzo offerto; il presidente provvede con decreto, che ha contenuto meramente ordinatorio.
Il ricorso, data la natura contenziosa del procedimento (non appartenente alla volontaria giurisdizione), deve essere presentato tramite un difensore con procura alle liti, a pena di inammissibilità[7]. In questa fase introduttiva non è previsto il contraddittorio.
Nel termine perentorio di sessanta giorni dall’ultima delle notificazioni dell’offerta il terzo deve depositare, nei modi prescritti dal presidente del tribunale, il prezzo offerto, e deve altresì presentare nella cancelleria il certificato del deposito, il titolo d’acquisto con il certificato della trascrizione, un estratto autentico dello stato ipotecario, e l’originale dell’offerta notificata al precedente proprietario ed ai creditori iscritti (art. 792 c.p.c.). Ancorché il termine sia definito come perentorio, il terzo acquirente può ottenere dal giudice la rimessione in termini, a sensi dell’art. 153 c.p.c., qualora il superamento del termine derivi da causa a lui non imputabile (ad esempio per il ritardo del presidente, pur tempestivamente adito, nel dare le disposizioni sul deposito della somma). Ancora, a tale termine perentorio si applica la sospensione feriale, trattandosi di procedimento di natura contenziosa[8].
Però il presidente del tribunale, se reputa inammissibile od infondato il ricorso, deve negare in via provvisoria la fissazione del termine, e deve comunque fissare l’udienza di comparizione per l’instaurazione del contraddittorio. Il rigetto del ricorso, cioè, deve sempre essere deciso all’esito dell’udienza indicata dall’art. 793 c.p.c. Se così non avviene, il provvedimento irrituale del presidente di diniego viene comunque considerato alla stregua dell’ordinanza prevista dall’art. 794 c.p.c., e contro di esso è ammesso il regime di impugnazioni proprio di quella ordinanza.
Se il terzo non deposita il prezzo nei modi stabiliti, la richiesta di liberazione del bene dalle ipoteche rimane senza effetto, salva la responsabilità del terzo verso i creditori iscritti per i danni causati. Il presidente del tribunale non deve allora emettere ulteriori provvedimenti. Però se il debitore, nonostante non abbia adempiuto all’onere del deposito, sollecita un provvedimento del presidente, questi deve procedere instaurando il contradditorio tra l’acquirente, il precedente proprietario, e gli atri creditori iscritti.
Se il terzo effettua il deposito, il presidente designa con decreto il giudice relatore (ovvero procede egli stesso in forza di autodesignazione, anche implicita) e fissa l’udienza di comparizione del terzo acquirente, del precedente proprietario, e dei creditori iscritti, stabilendo il termine perentorio per la notifica del decreto stesso alle parti, a cura del terzo acquirente (art. 793 c.p.c.). In tale udienza il giudice verifica che la somma offerta non sia inferiore al valore dell’immobile fissato a sensi dell’art. 568 c.p.c., come sopra indicato. Se così fosse, e il terzo acquirente non intendesse aumentare la propria offerta, il giudice dovrebbe negare la liberazione.
All’udienza, inoltre, il giudice accerta la regolarità del deposito e degli atti del procedimento, ordina la cancellazione delle ipoteche iscritte anteriormente alla trascrizione dell’acquisto del terzo (non anche quelle iscritte successivamente), e provvede alla distribuzione del prezzo a sensi degli artt. 596 ss. c.p.c. (art. 794 c.p.c.). Secondo la Cassazione, la distribuzione del prezzo, che ha come presupposto l’ordine di cancellazione, rappresenta una autonoma fase processuale, che sostanzialmente si concreta in una esecuzione sul prezzo offerto e messo a disposizione dall’acquirente.
Il regime di impugnazione sia dell’ordinanza di cancellazione (da parte dei creditori iscritti) sia del provvedimento di diniego della liberazione dalle ipoteche (da parte dell’acquirente ricorrente) in un primo momento era ritenuto consistere nel solo ricorso straordinario in Cassazione a sensi dell’art. 111 Cost. Si riteneva infatti trattarsi di procedimento di volontaria giurisdizione, concluso con provvedimento monocratico non suscettibile, nel silenzio della legge, di reclamo in appello, ma idoneo ad incidere sui diritti delle parti[9].
La Suprema Corte ha chiarito che il procedimento in esame ha sempre carattere contenzioso, perché da un lato la legge non prevede la decisione in camera di consiglio, e d’altro lato esso concerne un diritto soggettivo dell’acquirente. Inoltre ogni provvedimento – positivo o negativo – difetta del carattere di definitività, che consentirebbe il ricorso in Cassazione ex art. 111 Cost. Infatti, aggiunge la Cassazione, poiché il procedimento in esame indice sul modo di compiere l’esecuzione, la cognizione piena sulla pretesa ingiustizia di un provvedimento è riconducibile nell’alveo delle opposizioni all’esecuzione di cui all’art. 617 c.p.c., con gli adattamenti imposti dalla particolare natura del procedimento[10].
Pertanto, se il creditore è munito di titolo esecutivo, l’acquirente può impugnare il provvedimento, con cui la liberazione viene negata, mediante atto di citazione, con rispetto del termine perentorio di venti giorni soltanto se il creditore ha notificato il precetto. Se il creditore non ha titolo esecutivo, l’acquirente impugna il provvedimento negativo con una normale azione di cognizione. Se invece il provvedimento di liberazione è stato concesso, e quindi si è iniziata la fase di esecuzione sul prezzo depositato, anche il creditore iscritto può impugnarlo con l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., nel termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza del provvedimento.
L’ordinanza che dispone la liberazione dalle ipoteche è ovviamente titolo idoneo per la cancellazione. Il conservatore, a fronte dell’art. 2884 c.c. che richiede un provvedimento definitivo, può procedere alla cancellazione soltanto una volta decorso il termine di legge per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi.
L’espropriazione richiesta dai creditori
Ai creditori iscritti è consentito impedire la purgazione ed iniziare un normale procedimento di espropriazione, se l’offerta del terzo è anteriore al pignoramento, oppure far riprendere il processo esecutivo già iniziato, se l’offerta del terzo è successiva al pignoramento.
Entro il termine perentorio di quaranta giorni dalla ricezione della notifica dell’offerta del terzo, ciascun creditore iscritto può presentare un ricorso, sottoscritto in proprio o da procuratore speciale, e dal difensore munito di procura alle liti, trattandosi di atto processuale, al presidente del tribunale, con notifica al terzo acquirente ed al precedente proprietario, nel quale dichiari di aumentare di un decimo il prezzo o il valore indicati nell’offerta del terzo, ed offra una cauzione pari al quinto del nuovo ammontare (art. 2891 c.c.). L’omissione di alcuna di queste condizioni, prosegue la norma, produce la nullità della richiesta di espropriazione. Peraltro soltanto l’assenza di sottoscrizione e l’assenza della richiesta di espropriazione rendano inammissibile il ricorso, mentre gli altri vizi paiono sanabili.
La medesima facoltà spetta ai fideiussori dei creditori iscritti. Anche per loro il termine di quaranta giorni decorre dalla notificazione fatta al rispettivo creditore, sul quale grava l’onere di informarli del procedimento di liberazione, per evitare l’impossibilità di surrogazione nell’ipoteca con liberazione del fideiussore ex art. 1955 c.c.[11].
La specifica natura di questa espropriazione, che si innesta nel procedimento di liberazione dalle ipoteche, impone di consentire l’istanza prevista dall’art. 2891 c.c. anche ai creditori iscritti, i quali non dispongano di un titolo esecutivo per il pignoramento. Del pari, i fideiussori non devono munirsi di titolo esecutivo per presentare l’istanza.
Anche a questo termine si applicano gli istituti processuali della rimessione in termini per causa non imputabile e la sospensione feriale dei termini.
In tal caso il giudice, verificate le condizioni stabilite dalla legge per l’ammissibilità della richiesta, dispone che si proceda all’espropriazione, venendo aperto l’incanto sul prezzo offerto dal creditore istante (art. 795 c.p.c.). La vendita segue le regole ordinarie fissate dal codice di procedura civile, salva la non necessità di nomina del perito, in quanto il prezzo di espropriazione è stabilito per legge. In caso di asta deserta, il giudice procede ad un nuovo incanto, con riduzione del prezzo come previsto dalla legge.
L’acquirente, che intenda contestare la ritualità della richiesta, può nuovamente presentare opposizione agli atti a sensi dell’art. 617 c.p.c.[12].
All’espropriazione possono partecipare anche i creditori muniti di privilegio speciale sul bene, ed i creditori dell’acquirente, anche privi di titolo esecutivo. Tutti costoro partecipano alla distribuzione della somma ricavata (art. 795 c.p.c.).
Anche il terzo acquirente partecipa alla distribuzione, in quanto egli ha diritto di essere collocato nella graduazione con privilegio per le spese sopportate per la dichiarazione di liberazione (art. 795 c.p.c.). In tal modo egli gode, pure in caso di distribuzione della somma offerta, e quindi in assenza di un’espropriazione del bene, dello stesso privilegio accordatogli in via generale dall’art. 2770 c.c.
[1] Cfr. più ampie trattazioni in Chianale, L’ipoteca, 3° ed., Torino, 2017, 451 ss.; Rubino, L’ipoteca immobiliare e mobiliare, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 1956, 449 ss.; Ravazzoni, Le ipoteche, in Tratt. Schlesinger, Milano, 2006, 546 ss.;Balena, Il procedimento per la liberazione degli immobili dalle ipoteche, in Riv. dir. civ., 1983, II, 703 ss. (e Procedimento di liberazione dalla ipoteca, in Enc. giur., XVII, Roma, 1989); Cottone, Il processo di liberazione degli immobili dalle ipoteche, Milano, 2010.
[2] Così Nicolò, I creditori chirografari dell’alienante nel giudizio di purgazione delle ipoteche, inRaccolta di scritti, Milano, 1980, I, 493 ss. (nota a sentenza scritta nel 1938).
[3] Cass., 9 aprile 2015, n. 7075. La motivazione consiste nell’impossibilità per il concessionario di chiedere l’assegnazione dei beni pignorati né rendersi acquirente dei medesimi negli incanti, né proporre la richiesta di espropriazione con offerta di aumento e deposito di cauzione: “la tesi favorevole all’applicazione, alla vicenda in esame, dell’istituto della liberazione di ipoteca, regolato dagli artt. 2889 e ss c.c. finirebbe con il determinare una irragionevole disparità di trattamento tra il creditore privato e quello pubblico, in danno di quest’ultimo”.
[4] Cfr. Graziani, Le promesse unilaterali, in Tratt. Rescigno, 9, 2ª ed., Torino, 1999, 789 s.
[5] Si tratta di Cass., 29.12.2011, n. 29746.
[6] Per le questioni processuali relativa all’incompetenza territoriale v. Cottone, op. cit., 75 ss.
[7] Ancora Cottone, op. cit., 74.
[8] Cottone, op. cit., 80.
[9] In tal senso si espresse Cass., 6.8.1996, n. 7214, in Foro it., 1996, I, 1, 3729 ss., e in Giur. it., 1997, I, 1, 1090 ss. In precedenza v. anche App. Roma, 16.1.1958, in Giur. it., 1958, I, 2, 274 ss., con nota di Agostino, Sulla proponibilità di reclamo contro le ordinanze exart. 794 codice di procedura civile.
[10] La soluzione è ribadita da Cass., 15 maggio 2012, n. 7525.
[11] Così Cottone, op. cit., 90 s.
[12] Così Cass. 29.12.2011, n. 29746, seguita da Cass., 21 agosto 2013, n. 19305: questa fase ha natura esecutiva e ogni provvedimento è impugnabile ex art. 617 c.p.c.