Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha ribaltato la prospettazione del giudice di merito che aveva ritenuto sussistere un rapporto di genere a specie tra l’art. 2112 cc e l’art. 3 comma 24 del D.L. n. 203/2005 sul rilievo che quest’ultimo, nell’autorizzare le aziende concessionarie a trasferire ad altre società il ramo di azienda relativo alle attività svolte in regime di concessione per conto degli enti locali prima, non contempla il requisito della preesistenza del ramo di azienda trasferito. Quest’ultima norma, secondo il giudice di legittimità, parla precisamente di un trasferimento di “ramo di azienda” e pertanto non può che richiamare la nozione codicistica di cui all’art. 2112 cc come regolata a livello sovranazionale oltre che dalla disciplina interna di ricezione.
Ha pertanto errato la Corte di merito laddove ha inferito dalla mancanza della succitata norma di un qualsivoglia riferimento alla preesistenza del ramo di azienda ceduto, posto che il richiamo all’art. 2112 cc, operato attraverso il concetto di “ramo di azienda”, non può che far ritenere il requisito della preesistenza del ramo (nel senso di una entità produttiva funzionalmente autonoma, cfr Cass. n. 19141/2015, Cass. n. 17901/2014 e Cass. n. 8757/2014, nonché Corte di Giustizia del 6 marzo 2014 C-458/12) un presupposto necessario per la legittimità della traslazione del contratto in capo al cessionario senza il consenso del lavoratore.