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Il reato di usura e gli oneri eventuali: tra derive giurisprudenziali e strumenti di tutela contrattuali

7 Novembre 2018

Avv. Jean-Paule Castagno, counsel, Avv. Andrea Alfonso Stigliano, associate, Clifford Chance

Di cosa si parla in questo articolo

1. L’usura bancaria e la rilevanza degli oneri eventuali

La riforma introdotta con la legge 7 marzo 1996 n. 108, modificando radicalmente l’art. 644 c.p., attraverso l’introduzione di parametri oggettivi di rilevazione del tasso usurario ed eliminando la condotta di approfittamento dello stato di bisogno o di altre situazioni di difficoltà economica, ha dato vita, accanto all’usura criminale, al fenomeno dell’usura bancaria, ovvero “l’usura praticata da soggetti qualificati sotto il profilo professionale e istituzionale, che operano in un contesto lecito”[1].

A differenza che nelle ipotesi “classiche” di usura, storicamente incentrate sul binomio approfittamento/stato di bisogno, il fenomeno dell’usura bancaria guarda esclusivamente alle caratteristiche quantitative del singolo contratto attraverso il confronto tra il tasso del singolo rapporto ed un parametro soglia.

Tale operazione di confronto può apparire relativamente semplice nel momento in cui lo schema contrattuale del singolo rapporto risulta lineare: prendendo l’esempio di un contratto di mutuo – la situazione nella quale a fronte della corresponsione di una somma da parte dell’istituto bancario, il cliente si impegna alla restituzione del medesimo corrispondendo un interesse mensile (sia esso fisso o variabile) – se l’interesse pattuito è superiore al tasso soglia usura, il contratto sarà considerato usurario.

Nella prassi, tuttavia, i diversi contratti di finanziamento presenti sul mercato prevedono una serie di oneri accessori, ulteriori rispetto ai semplici interessi corrispettivi. Tra questi oneri accessori, ve ne sono alcuni la cui corresponsione è legata alla concessione del finanziamento e la cui applicazione è certa, ovverosia non dipendente dall’evoluzione del rapporto contrattuale: solo per fare alcuni esempi, spese per l’istruttoria della pratica, spese per la perizia sull’immobile, commissioni per l’incasso delle rate, spese per la cancellazione dell’ipoteca.

A fianco a tale prima categoria (oneri accessori “certi”), esiste una ulteriore categoria di oneri accessori c.d. eventuali, ovverosia tutte quelle spese, previste ab origine dal contratto di finanziamento, la cui corresponsione è legata al comportamento del debitore: interessi di mora, commissione di estinzione anticipata e clausola penale.

Da anni tematica al centro di un fervido dibattito, quella relativa alla rilevanza di tali oneri eventuali ai fini della normativa anti-usura, è di recente stata oggetto di una pronuncia della Suprema Corte di Cassazione laddove, in una vicenda relativa ad una clausola penale[2], ha negato l’inclusione di tale voce nel computo del TEG, evidenziando come “per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel “corrispettivo” che previsto dall’art. 644 c.p., può assumere carattere di illiceità, perché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo diretto dell’obbligazione principale, ma è l’effetto susseguente ad una diversa causa che è l’inadempimento”[3].

Tale recente pronuncia, che costituisce uno dei pochissimi arresti delle sezioni penali della Corte di Cassazione sul tema[4], fornisce l’occasione per svolgere una analisi in merito all’attuale panorama giurisprudenziale in tema di usura ed oneri eventuali, al fine di comprendere i potenziali rischi e gli strumenti di tutela attuabili da parte degli operatori finanziari.

Posto che l’art. 644 c.p. stabilisce che ai fini del calcolo del tasso usurario si deve tener conto di “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, è possibile far rientrare in tale definizione, apparentemente onnicomprensiva, quegli oneri che attengono esclusivamente alla dimensione patologica del contratto (clausola penale, interessi di mora) ovvero che sono legati a prestazioni diverse rispetto alla originale concessione del credito (commissione di estinzione anticipata). Possono tali oneri rientrare nella nozione di “corrispettivo” rilevante ai sensi della normativa antiusura? Nel caso di risposta affermativa, è necessario che gli stessi vengano effettivamente corrisposti (quindi che si verifichi l’inadempimento o l’estinzione anticipata) o rileveranno ex ante,a prescindere dallo sviluppo concreto della vicenda contrattuale?

La risposta a tali quesiti presenta notevoli ripercussioni pratiche. Ed infatti, considerata la natura del delitto di usura quale reato a schema duplice (promessa vs dazione), laddove si concluda che gli oneri eventuali siano rilevanti ai fini della disciplina in analisi, l’usurarietà degli stessi dovrà essere verificata indipendentemente dalla loro concreta corresponsione. Nell’esperienza pratica, infatti, sono molteplici i procedimenti penali avviati a seguito di denunce-querele che contestano l’usurarietà del contratto di finanziamento con esclusivo riferimento ad oneri eventuali (interessi moratori, clausole penali o commissione di estinzione anticipata) mai corrisposti, essendo stato il relativo finanziamento integralmente rimborsato alle scadenze concordate.

2. L’usura pecuniaria presunta ed il procedimento di calcolo

La legge n. 108 del 7 marzo 1996 ha riscritto integralmente la disciplina civilistica e penalistica dell’usura, modificando da un lato, l’art. 644 c.p., così ancorato al dato oggettivo dell’eccedenza rispetto alla soglia legale, e, dall’altro lato, prevedendo, al secondo comma dell’art. 1815 c.c., che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

L’attuale formulazione dell’art. 644 c.p. punisce con la reclusione da due a dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000 “chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari”. Le pene sono aumentate da un terzo alla metà “se il colpevole ha agito nell’esercizio di una attività professionale, bancaria o di intermediazione finanziaria mobiliare”. Il successivo comma terzo precisa che “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Tale riferimento è all’art. 2 della legge n. 108 del 7 marzo 1996 la quale stabilisce dettagliatamente la procedura amministrativa per la verifica del carattere usurario degli interessi pattuiti.

Banca d’Italia rileva il tasso effettivo globale medio (“TEGM”) operato nel mercato per differenti categorie creditizie[5]. A tale riguardo, le istruzioni emanate da Banca d’Italia per l’individuazione degli oneri e delle spese da includere nel calcolo dei tassi di interesse praticati[6], precisano che sono escluse le imposte e tasse, le spese notarili, “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di un inadempimento di un obbligo” e “le penali a carico del cliente previste in caso di estinzione anticipata del rapporto, laddove consentite, sono da ritenersi meramente eventuali, e quindi non vanno aggiunte alle spese di chiusura della pratica”. Il TEGM così ottenuto[7], aumentato di un quarto ed aggiunto un ulteriore margine di quattro punti percentuali, genera il tasso soglia (“TSU”) che deve essere confrontato con il tasso effettivo globale del singolo rapporto contrattuale (“TEG”).

Ma se per il calcolo del TEGM e del TSU sono presenti chiare e puntuali linee guida, il calcolo del TEG presenta, invece, maggiori incertezze, dovendo l’operatore bancario (ma anche il giudice) fare riferimento esclusivamente al quarto comma dell’art. 644 c.p., il quale si limita a prevedere che il medesimo debba comprendere “commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”.

3. Interessi moratori

Iniziando dall’analisi degli interessi moratori, il primo dato oggettivo è che gli stessi hanno una funzione differente rispetto a quella degli interessi corrispettivi: mentre questi ultimi rappresentano il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere della somma capitale in conformità con il piano di rimborso graduale, gli interessi moratori rappresentano la liquidazione anticipata e forfettaria del danno causato al mutuante dall’inadempimento o dal ritardato adempimento del mutuatario. I medesimi, pertanto, sono legati ad una fase patologica del contratto, non essendo in alcun modo dovuti nel caso di regolare rimborso del debito.

Il recente dibattito in merito alla rilevanza degli interessi di mora in materia di usura ha avuto inizio a seguito della sentenza della I Sezione civile della Suprema Corte n. 350/2013 la quale affermava che “si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori[8].

Pur nella sua laconicità, causa di dubbi e contrasti nella giurisprudenza degli ultimi anni, tale sentenza causava un “terremoto” giudiziario che vedeva il proliferarsi di numerosissimi procedimenti civili e penali. In tali contesti, i principali problemi che la giurisprudenza è stata chiamata ad affrontare attengono alla individuazione di TEGM e TEG “di mora” oltre che, evidentemente, alla stessa astratta rilevanza degli interessi di mora nella disciplina anti-usura.

3.1. TEGM e Interessi moratori

Partendo dalla individuazione del TEGM (e quindi del TSU), le istruzioni emanate da Banca d’Italia, nel ricordare come “ai sensi della legge il calcolo del tasso deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”, escludono da tale calcolo “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”[9].

Tale esclusione solleva immediatamente una questione: in che modo è possibile verificare il carattere usurario degli interessi di mora pattuiti se il relativo parametro di riferimento non tiene in considerazione tale dato? Detto altrimenti, la verifica del carattere usurario di un contratto sarebbe effettuata confrontando due dati tra loro disomogenei: il TEG del singolo contratto che include (o consiste) negli interessi di mora e il TEGM (da cui è ricavato il TSU) rilevato da Banca d’Italia che, invece, non comprende tale voce.

In merito, la recente giurisprudenza di merito e di legittimità, ha criticato tale disomogeneità, osservando che se algoritmo e criteri di calcolo del TEG sono differenti da quelli del TEGM non sarebbe possibile stabilire se il singolo prestatore di denaro si sia discostato oltre la soglia di tollerabilità dal costo medio del credito praticato dal sistema bancario-finanziario ed espresso nel TEGM rilevato e pubblicato[10]. Esigenze di omogeneità che sono state, peraltro, di recente ribadite dalle Sezioni Unite in una recentissima pronuncia in tema di commissione di massimo scoperto[11].

Una possibile soluzione alternativa, veniva proposta dalla stessa Banca d’Italia che, a pochi mesi di distanza dalla sentenza della Cassazione n. 350/2013, emanava un documento denominato “Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura”, precisando che “gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un’indagine per cui “la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”[12].

Tale provvedimento, tuttavia, non trovava risposte univoche da parte della giurisprudenza che, ancora oggi, appare divisa. Nel panorama attuale, accanto a sentenze che ritengono il TEGM maggiorato di 2,1 punti un valido parametro di riferimento[13], altre pronunce ne negano ogni rilevanza, ritenendo illegittimo individuare una diversa e differenziata soglia di usura per gli interessi moratori seguendo un criterio privo di qualsiasi fondamento normativo[14].

3.2. TEG e Interessi moratori

Non meno complessa appare la rilevazione del TEG di mora.

Considerando il silenzio serbato dalla Suprema Corte sull’argomento, la casistica giurisprudenziale conosce un elevatissimo numero di procedimenti – sia civili sia penali – nei quali il mutuatario lamenta l’usurarietà del contratto proponendo un TEG “creativo”, derivante dall’aggregazione degli interessi compensativi con gli interessi di mora. Tale TEG viene confrontato con il TSU ricavato dai decreti ministeriali (con o senza la maggiorazione del 2,1). Tale operazione, comportando la somma tra due interessi e confrontando la stessa con un TSU pensato con riferimento ad un unico interesse (corrispettivo), porta sempre allo sforamento, anche notevole, del tasso soglia.

Sul punto, la costante giurisprudenza[15] ha da subito negato pregio giuridico e razionalità economica all’operazione di cumulo, posto che i due tassi, corrispettivo e moratorio, sono alternativi tra loro, e non cumulativi[16]. Conseguentemente, per valutare l’eventuale natura usuraria del tasso di mora, il medesimo dovrà essere considerato in alternativa (e non in aggiunta) rispetto al tasso corrispettivo.

Tuttavia, anche l’operazione di confronto del tasso di mora del singolo contratto con il TEGM/TSU riportato nei decreti ministeriali presenta alcune criticità.

In primo luogo, i due parametri (TEG “di mora” e TEGM/TSU) continuano ad essere disomogenei atteso che, come osservato nel paragrafo precedente, le istruzioni di Banca d’Italia escludono gli interessi di mora dalla rilevazione del TEGM.

In secondo luogo, a sollevare dubbi è la stessa riconducibilità dell’interesse di mora al concetto di corrispettivo, alla luce della loro natura del medesimo di “liquidazione forfettaria minima del danno per il ritardo imputabile nel pagamento del di debiti”[17]. In tale contesto non mancano provvedimenti delle giurisdizioni di merito civili, anche molto recenti, che, disattendendo quanto statuito dai giudici di legittimità, negano rilevanza degli interessi di mora ai fini della normativa antiusura, per nulla riconducibile al concetto di corrispettivo: “l’espressione “a qualunque titolo” contenuta nell’art. 644.c.p. non elide il riferimento al concetto di interessi convenuti in via di corrispettivo, significando soltanto la necessità di dare rilievo a tutte le voci integranti il costo effettivo del credito, non potendo in alcun caso far riferimento ad interessi convenuti in via moratoria, posto ampliarne l’ambito del significato fino ad includere anche gli interessi moratori determinerebbe un’interpretatio abrogans della suindicata norma”[18].

Tale ultimo orientamento appare essere in linea con l’interpretazione oggi fornita dalla giurisprudenza di legittimità penale in tema di clausola penale.

4. Commissione di estinzione anticipata

Nei contratti di finanziamento è spesso presente una clausola che permette al cliente di estinguere il proprio debito in una unica soluzione, restituendo l’intero capitale residuo oltre ad una somma aggiuntiva corrispondente al corrispettivo dovuto alla Banca per remunerare la facoltà concessa al cliente di recedere dal contratto.

Le formule di calcolo di tale commissione sono varie ma, solitamente, consistono nel pagamento di un corrispettivo fisso (pago la medesima somma indipendentemente dalla durata residua del contratto) ovvero di un corrispettivo variabile ancorato all’ammontare del capitale residuo (prima decido di azionare la clausola, maggiore è il quantitativo di capitale che devo ancora restituire, maggiore sarà il costo che dovrò sostenere per procedere a tale estinzione anticipata).

Commissioni di estinzione anticipata della seconda tipologia, di certo la più frequente nella prassi, presentano la seguente caratteristica: laddove il cliente decida di recedere dal contratto di finanziamento a pochi mesi dalla sottoscrizione del medesimo, l’azionamento di tale clausola comporterebbe un costo relativamente considerevole che, se rapportato ai pochi mesi di durata del contratto, potrebbe corrispondere un interesse virtualmente usurario.

Si ipotizzi un contratto di mutuo fondiario del valore di 100.000 euro della durata di dieci anni, con clausola di estinzione anticipata con commissione pari al 10% del capitale residuo: azionando tale clausola a pochi mesi dalla estinzione naturale del contratto, il valore assoluto della stessa sarà risibile e, conseguentemente, sarà limitato il “tasso” percentuale della medesima rapportato al capitale erogato (misura rilevante al fine della individuazione del TEG)[19]; viceversa, azionando tale clausola immediatamente dopo l’accensione del mutuo, capitale residuo e capitale erogato si equivarranno e, con essi, equivalente sarebbe anche l’incidenza che la commissione avrebbe sui medesimi[20].

La situazione sopra rappresentata permette di cogliere il carattere doppiamente eventuale di tale clausola. Eventuale sia in quanto il suo azionamento dipende esclusivamente da una scelta del mutuatario sia in quanto – in assenza di previsioni contrattuali che ne limitino la azionabilità a determinati periodi – la stessa potrebbe essere azionata in qualunque momento della vita del contratto, dando vita a moltissimi scenari ipotetici. La conseguenza è evidente in termini di usura: per valutare il carattere usurario della pattuizione di tale clausola si dovrebbero ipotizzare i diversi scenari possibili e, in particolare, il peggiore di essi[21], indipendentemente dall’effettivo azionamento del meccanismo risolutorio (e dunque dalla dazione di tale commissione)[22].

La materia non è mai stata oggetto di pronunce di legittimità, né penali né civili. Sono, invece, molteplici le pronunce civili di merito, le quali possono essere ricondotte a tre orientamenti.

Un primo orientamento[23] propende per l’inserimento di tale onere nel computo del TEG determinando, in caso di superamento del TSU, la gratuità del finanziamento (e, sussistendone gli ulteriori presupposti, anche l’applicazione delle sanzioni penali). Secondo tale, rigoroso, orientamento, sarebbe sufficiente la presenza teorica anche di un solo scenario con effetti usurari per considerare l’intera pattuizione illecita, a prescindere che l’usurarietà sia stata concretamente applicata, essendo stati promessi vantaggi usurari. Attraverso un giudizio prognostico ex ante, da svolgere al momento della pattuizione del finanziamento, sarebbe sufficiente la sola potenzialità che il costo usurario si verifichi sulla scorta delle condizioni contrattuali, a nulla rilevando persino che detto costo, già al momento della contestazione o dell’azione legale, non possa più verificarsi[24].

È presente poi un orientamento “mediano” che per valutare la rilevanza della commissione di estinzione anticipata guarda alla concreta vicenda contrattuale.

Tale orientamento presenta due diverse gradazioni. Secondo un primo gruppo di sentenze, la clausola sarebbe da computare solo nei casi di effettiva applicazione della medesima[25]. Si argomenta, in merito, che se è vero che l’art. 644 c.p. attribuisce, rilevanza alla sola “promessa”, (…) resta il fatto che, nei finanziamenti a rimborso graduale, di cui è figura paradigmatica il mutuo, la “promessa” genera un debito di interessi corrispettivi relativamente certo, sia pure a esigibilità differita secondo le scadenze del piano di rimborso, e di effettivo impatto economico sul costo del credito: pertanto, per essere rilevante, anche l’onere eventuale deve essere ragionevolmente certo, come gli interessi corrispettivi, e non semplicemente possibile e per essere certo occorre che si siano verificate le condizioni per la sua applicabilità”[26]. Altre pronunce, invece, valorizzano l’incidenza della clausola anche in scenari ipotetici (non venuti ad esistenza) ma, per lo meno, “verosimili”. In particolare, secondo tale orientamento “non vanno quindi prese in considerazione remunerazioni, commissioni e spese del tutto “irreali”, perché non dovute per effetto della mera conclusione del contratto e subordinate al verificarsi di eventi che non si sono verificati, né potranno in seguito verificarsi. Ciò si verifica, ad esempio, nel caso in cui il contratto preveda una penale di estinzione anticipata che potrebbe risultare usuraria se applicata a breve distanza dalla concessione del credito, ma il cliente non sia receduto”[27].

L’esclusione di scenari inverosimili, come quello dell’esempio sopra riportato che prevedeva il recesso dal contratto il giorno successivo all’erogazione, discende da una analisi economico-sociale della normativa antiusura: “indubbio che le norme di diritto sono scritte avuto riguardo a figure paradigmatiche: l’homo oeconomicus, capace di decisioni razionali, il buon padre di famiglia ecc. Non pare, malgrado l’indubbia finalità di protezione di un soggetto debole, che la legge n. 108/96 abbia inteso assumere come figura paradigmatica il “debitore sconsiderato”, né che ogni prenditore di denaro a prestito possa qualificarsi come “debitore sconsiderato”, pur quando i suoi comportamenti esecutivi del contratto sono rimasti sul piano della razionalità economica e contrattuale, avendo egli trattenuto la somma presa a prestito e dato – per un certo tempo o per tutta la durata convenuta – regolare esecuzione al piano di rimborso previsto contrattualmente”[28].

Il merito di questo orientamento è quello di evitare le evidenti distorsioni che si avrebbero da una inclusione indiscriminata della commissione di estinzione anticipata nel calcolo del TEG: si pensi al caso di un mutuatario che, dopo aver rimborsato integralmente il finanziamento alla scadenza naturale dello stesso, denunci la natura usuaria del contratto ancorandola ad uno scenario meramente ipotetico e congetturale, mai venuto ad esistenza, in cui la clausola fosse stata azionata immediatamente dopo l’erogazione del mutuo. Risponderebbe ad esigenze di tutela del mercato del credito la applicazione della disciplina anti-usura in situazioni prive di offensività, tutelando comportamenti antieconomici, per non dire sconsiderati, del mutuatario?

Tuttavia, tale tesi sconta alcuni limiti. Posto che l’art. 644 c.p. considera rilevanti interessi o altri vantaggi dati o promessi come corrispettivo di una prestazione, l’avvenuta (o meno) corresponsione della commissione di estinzione anticipata non dovrebbe rilevare ai fini della commissione dell’illecito. Per altro verso, ancorare l’usurarietà della pattuizione alle modalità di esecuzione del contratto richiamerebbe il concetto di usura sopravvenuta che, come ormai chiarito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, non comporta né le sanzioni civili né le sanzioni penali previste dalla disciplina anti-usura[29].

Una diversa soluzione è offerta da un terzo orientamento che nega ex ante rilevanza a tale commissione. In particolare, la possibilità di recedere anticipatamente dal contratto viene ricondotta alla facoltà di recesso di cui all’art. 1373 c.c.[30] ed il relativo compenso costituisce il corrispettivo previsto dal comma 3 di tale articolo[31]. Da un punto di vista sostanziale, la facoltà in esame attribuisce al mutuatario la possibilità di terminare unilateralmente il contratto altrimenti non consentita: tale possibilità, che arricchisce il patrimonio giuridico del cliente, non è un costo che deve sopportare per accedere all’operazione né una remunerazione del mutuo, ma è il costo di una utilità (solutio ante diem) che, determinando una perdita economica per l’istituto mutuante, viene comprensibilmente monetizzata. La penale, di fatto, sostituisce dal punto di vista economico gli interessi corrispettivi che, a seguito del recesso, non dovranno essere più corrisposti alla banca: in altri termini, si tratta di un compenso corrispettivo della rinuncia da parte del creditore al potere consentitogli dall’art. 1815 c.c., compenso che riequilibra il sinallagma altrimenti alterato dal recesso. A fronte di tale inquadramento dell’istituto, alcune recenti sentenze concludono che “non vi è dubbio che l’esercizio della facoltà di recesso attribuita al cliente costituisce una eventualità rimessa alla esclusiva volontà dello stesso cliente e collegata non alla erogazione del finanziamento, ma ad un quid pluris, accessorio rispetto al mutuo”[32]. Ed infatti, osservano i giudici, che è pur vero che l’art. 644 c.p., comma 4 richiama, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente è costretto a sopportare in connessione dell’uso del credito[33], tuttavia, “la penale in esame non trova la sua ragione giustificatrice, né dal punto di vista economico né dal punto di vista giuridico, nell’utilizzo del credito, quanto, al contrario, nel rimborso anticipato del credito ricevuto. Essa dunque non appartiene al novero dei costi che il mutuatario deve sostenere per ottenere, gestire ed utilizzare il credito, ma un costo solo eventuale per esercitare la facoltà di sciogliersi dal vincolo contrattuale”[34].

Come già osservato con riferimento agli interessi moratori, l’esclusione della commissione di estinzione anticipata dal calcolo del TEG in ragione della sua funzione, diversa da quella di corrispettivo della prestazione in denaro, appare essere in linea con il dettato normativo e trovare il favore delle sezioni Suprema Corte.

5. Clausola penale

Come anticipato in premessa, in tale panorama merita sicuro interesse un recente arresto della Suprema Corte che, con specifico riferimento alla clausola penale[35].

Partendo dal tenore letterale dell’art. 644 c.p. – secondo il quale è punito chiunque si fa dare o promettere “interessi” o “vantaggi” usurari “quale corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità” – la Corte rileva come il legislatore “pone in stretta correlazione diretta: gli interessi o i vantaggi (usurari) conseguibili dall’accipiens con la prestazione da quest’ultimo effettuata (dazione di denaro o di altra utilità)”. Tale stretta correlazione emerge dall’uso del termine corrispettivo il quale “rende evidente come il “pagamento” (usurario) debba trovare causa e relazione diretta con quanto dato dal soggetto attivo”.

Fatte queste premesse, i giudici di legittimità concludono escludendo che la clausola penale possa avere rilievo ai fini della rilevazione dell’usura: “per la sua funzione (desumibile dal dettato degli artt. 1382 – 1386 c.c.) ex se, non può essere considerata come parte di quel “corrispettivo” che previsto dall’art. 644 c.p., può assumere carattere di illiceità, perché sul piano giuridico l’obbligazione nascente dalla clausola penale non si pone come corrispettivo diretto dell’obbligazione principale, ma è l’effetto susseguente ad una diversa causa che è l’inadempimento”[36]. Una tale esclusione, tuttavia, non opera laddove “le parti, con la “clausola penale” non abbiano dissimulato il pagamento di un corrispettivo (usurario) attraverso un simulato o preordinato inadempimento”.

La Suprema Corte, proponendo un approccio sostanziale, propone di guardare alla vera funzione economica della penale. Nei casi in cui la stessa costituisce un ristoro del creditore a seguito dell’inadempimento, la clausola non potrà essere considerata un corrispettivo alla concessione del finanziamento e, dunque, sarà fuori dalla normativa anti-usura. Parimenti, nel caso in cui l’analisi della concreta vicenda contrattuale porti a ritenere che, nonostante il nomen iuris, la clausola abbia una funzione non dissimile rispetto agli interessi corrispettivi, non si potrà fare a meno di computare anche la stessa.

6. Conclusioni

Nonostante l’attuale panorama giurisprudenziale, così ondivago e schizofrenico, è possibile trarre alcune considerazioni conclusive.

Sia l’orientamento più rigoroso, che propende per una inclusione indiscriminata degli oneri eventuali nel calcolo del TEG, sia l’orientamento “mediano”, che condiziona l’inclusione di tali oneri alla loro effettiva corresponsione, non forniscono soluzioni univoche e criteri certi di calcolo tali da poter identificare ex ante i casi in cui una determinata pattuizione sia usuraria. L’incertezza generata da tali orientamenti non è conciliabile, già a livello dogmatico, con i principi di tassatività e determinatezza in maniera penale[37]: da una parte, un precetto non chiaro non appare idoneo a orientare la condotta degli operatori di mercato al momento della definizione dei tassi di interesse da applicare nei singoli contratti, dall’altra parte, la violazione di un precetto non chiaro non appare meritevole di sanzione in quanto tale scelta sarebbe figlia di una non piena comprensione del precetto medesimo.

In assenza di interventi normativi che riscrivano la fattispecie e disciplinino dettagliatamente la rilevazione degli oneri eventuali ai fini della normativa anti-usura, non si può non essere propensi ad accogliere il principio secondo il quale tali oneri non costituiscano corrispettivo per la prestazione di denaro e, quindi, siano fuori dalla portata dell’art. 644 c.p.: la recente pronuncia della Corte di Cassazione Penale in tema di clausola penale appare un chiaro passo verso tale direzione.

Nell’esperienza pratica, tuttavia, non sono rari i procedimenti penali, avviati su iniziativa dal mutuatario inadempiente spesso a latere di un procedimento civile promosso dall’istituto di credito, nei quali si lamenta il carattere usurario di oneri eventuali (primi tra tutti gli interessi di mora). In tali situazioni, vi sono diverse argomentazioni che possono essere sviluppate a difesa dell’operato dell’esponente dell’istituto di credito sottoposto ad indagine. Se, in prima battuta, è la stessa natura eventuale di tale tipologia di oneri a far propendere per una esclusione dei medesimi nel calcolo del TEG, così da negare ogni loro oggettiva rilevanza ai fini della normativa anti-usura, sussistono fondate ragioni per sostenere la carenza dell’elemento soggettivo del dolo di usura.

In tale ottica, appaiono validi strumenti di tutela una serie di meccanismi contrattuali, predisposti già in sede di stipula del contratto i quali, potenzialmente idonei ad evitare già sul nascere qualsivoglia contestazione, possono essere valorizzati anche in chiave difensiva nell’ambito di procedimenti penali. In particolare, nei contratti bancari sono spesso presenti “clausole di salvaguardia” che comportano un automatico adeguamento del tasso di interesse al TSU in caso di successivo sforamento. Sorte per evitare il fenomeno dell’usura sopravvenuta causato dalle variazioni dei tassi di interesse nel corso dell’esecuzione del contratto, l’inclusione di tali clausole nel contratto appare un rimedio adeguato per eliminare ex ante ilrischio usura: l’operatività automatica della clausola appare, infatti, idonea a garantire che gli interessi promessi siano sempre sotto la soglia dell’usura[38] ed, in ogni caso, indice di una condotta incolpevole. Ulteriori strumenti contrattuali, specialmente in tema di commissione di estinzione anticipata, possono concretizzarsi in una puntuale e dettagliata normazione delle modalità di esercizio del diritto di estinzione anticipata, escludendo già in astratto scenari nei quali il mutuatario, per recedere dal contratto, debba corrispondere alla banca commissioni che, se rapportate al capitale erogato, restituirebbero un tasso di interesse superiore al TSU.



[1] Maria Beatrice Magro, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale Contemporaneo, Fasc 3/2017.

[2] La clausola penale è il patto con cui si conviene che in caso di inadempimento di un’obbligazione la parte debitrice versi una somma di denaro o effettui altra prestazione.

[3] Cass. Pen., sez. II, 13 febbraio 2018 n. 29010 (dep. 22 giugno 2018). Conf. Cass. Pen. sez. II, 25 ottobre 2012 n. 5683 (dep. 5 febbraio 2013).

[4] La casistica giurisprudenziale in materia di usura bancaria risulta oggi molto variegata, spesso caratterizzata da un elevato grado di tecnicismo ma, in gran parte, riconducibile a pronunce emesse nell’ambito di giudizi civili, principalmente da parte di giudici di merito. Numerose, infatti, sono le tematiche oggetto di interesse da parte degli operatori del settore che, ad oggi, non sono ancora oggetto di pronunce da parte delle sezioni penali della Suprema Corte di Cassazione. Si pensi, per esempio, alla tematica della (ir)rilevanza dell’usura sopravvenuta, di recente oggetto di pronuncia da parte delle Sezioni Unite Civili. Con la sentenza n. 24675 del 19 ottobre 2017, la Suprema Corte negava qualsivoglia rilevanza della c.d. usura sopravvenuta, statuendo che il superamento del tasso soglia nel corso del rapporto contrattuale non determina né la nullità o l’inefficacia della clausola o la sostituzione automatica del tasso divenuto usurario con il tasso soglia applicabile in quel momento, né l’applicabilità delle sanzioni penali. Tale sentenza, peraltro, si spinge ad affermare che la pretesa del mutuante di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, pur se successivamente divenuto superiore al tasso soglia, non costituisce, in sé, comportamento contrario al canone di buona fede nell’esecuzione del contratto.

[5] La rilevazione viene svolta attraverso l’analisi delle segnalazioni, inviate ogni tre mesi da tutti gli operatori iscritti nell’albo unico degli intermediari, nelle quali sono riportate i tassi effettivamente praticati dai medesimi, divisi per categorie omogenee di operazioni di finanziamento. In particolare: Aperture di credito in conto corrente; Anticipi, sconti commerciali e altri finanziamenti alle imprese effettuati dalle banche; Crediti personali e altri finanziamenti alle famiglie effettuati dalle banche; Anticipi, sconti commerciali, crediti personali e altri finanziamenti effettuati dagli intermediari non bancari; Factoring; Leasing; Prestiti contro cessione del quinto dello stipendio; Mutui ipotecari a tasso fisso e variabile; Mutui ipotecari a tasso fisso; Mutui ipotecari a tasso variabile; Credito finalizzato all’acquisto rateale; Credito finalizzato all’acquisto rateale e credito revolving.

[6] Cfr. Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi e disposizioni correlate, ultima versione in vigore luglio 2016, https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/normativa/archivio-norme/contrasto-usura/cusu-istr-tassi/index.html.

[7] Il TEGM così calcolato viene riportato trimestralmente in un Decreto del MEF e pubblicato in Gazzetta Ufficiale e sui siti della Banca d’Italia e del MEF. Le serie storiche dei TEGM sono reperibili al link: http://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/compiti-vigilanza/tegm/index.html.

[8] Cass. Civ., sez. I, 9 gennaio 2013, n. 350. Orientamento, questo, ribadito anche di recente dalla Suprema Corte, in due recenti pronunce: Cass. Civ., sez. VI-1, ordinanza 04 ottobre 2017 n. 23912; Cass. Civ., sez. VI, 5 marzo 2017 n. 5598.

[9] L’esclusione degli interessi di mora dal calcolo del TEGM era prevista anche nelle precedenti versioni delle istruzioni, pubblicate nel 2006 e nel 2009. A conferma della ritenuta non rilevanza di tali oneri, si rileva come il MEF, nei decreti di rilevazione dei tassi soglia, all’art. 3, comma 4 emanati a partire dal marzo 2003, ha previsto che “i tassi effettivi globali medi di cui all’articolo 1, comma 1°, del presente decreto non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento. L’indagine statistica condotta nel 2002 a fini conoscitivi dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio italiano dei cambi ha rilevato che, con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali”. Inoltre, Banca d’Italia, nell’ambito del resoconto della consultazione sulla disciplina dell’usura della del 2009, ha precisato che “gli interessi di mora sono esclusi dalla rilevazione del TEG in quanto riferiti a situazioni di deterioramento del rapporto e a casi di inadempimento, che normalmente determinano un inasprimento delle condizioni economiche inizialmente applicate. L’eventuale inclusione degli interessi di mora nel TEG andrebbe ad innalzare le soglie applicabili ai rapporti “normali”, lasciando margini per ingiustificati incrementi nell’onerosità del finanziamento. È allo studio una rilevazione degli interessi di mora, separata dal TEG, che potrà fornire utili informazioni per le valutazioni sulla usurarietà dei tassi, anche nei casi di morosità del debitore”.

[10] Cass. Civ., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965; Tribunale di Torino, 13 settembre 2017, n. 4304 – G.U. Astuni.

[11] Cass. Civ., sez. un., 27 febbraio 2018 n. 16303 (dep. 20 giugno 2018): “La comparazione di cui trattasi si rivela soltanto più complessa (peraltro non eccessivamente), perché le commissioni di massimo scoperto, essendo rilevate separatamente secondo grandezze non omogenee rispetto al tasso degli interessi (a differenza degl’interessi, si calcolano sull’ammontare della sola somma corrispondente al massimo scoperto raggiunto nel periodo di riferimento e senza proporzione con la durata del suo utilizzo), devono conseguentemente essere oggetto di comparazione separata – ancorché coordinata – rispetto a quella riguardante i restanti elementi rilevanti ai fini del tasso effettivo globale di interesse, espressi nella misura del TEGM. La stessa Banca d’Italia, del resto, preso atto degli orientamenti che andavano profilandosi nella giurisprudenza di merito sulla rilevanza delle commissioni di massimo scoperto agli effetti dell’usura presunta, nel Bollettino di Vigilanza n. 12 del dicembre 2005 ha indicato modalità di comparazione che tengono conto appunto dell’esigenza di non trascurare, nel confronto, l’incidenza delle commissioni di massimo scoperto. Secondo tali indicazioni, la verifica del rispetto delle soglie di legge richiede, accanto al calcolo del tasso in concreto praticato e al raffronto di esso con il tasso soglia, “il confronto tra l’ammontare percentuale della CMS praticata e l’entità massima della CMS applicabile (cd. CMS soglia), desunta aumentando del 50 % l’entità della CMS media pubblicata nelle tabelle” (la L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4, prima della modifica introdotta con il D.L. 13 maggio 2011, n. 70, conv., con modif. nella L. 12 luglio 2011, n. 106, prevedeva appunto che il tasso soglia era costituito dal TEGM aumentato della metà). “Peraltro – prosegue la Banca d’Italia l’applicazione di commissioni che superano l’entità della “CMS soglia” non determina, di per sé, l’usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l’importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”). Qualora l’eccedenza della commissione rispetto alla “CMS soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge”.

[12] Sul punto è di recente intervenuto il MEF che, nel Decreto ministeriale 21 dicembre 2017, relativo alla rilevazione del TEGM per il periodo 1º luglio – 30 settembre 2017, segnala che “Secondo l’ultima rilevazione statistica condotta dalla Banca d’Italia d’intesa con il Ministero dell’economia e delle finanze, i tassi di mora pattuiti presentano, rispetto ai tassi percentuali corrispettivi, una maggiorazione media pari a 1,9 punti percentuali per i mutui ipotecari di durata ultra quinquennale, a 4,1 punti percentuali per le operazioni di leasing e a 3,1 punti percentuali per il complesso degli altri prestiti”.

[13] Tribunale di Catania, Giudice Nicola La Mantia, 11 luglio 2018 n. 2948; Tribunale di Lanciano, Giudice Cleonice G. Cordisco, 4 aprile 2018 n. 141; Tribunale di Bologna, Giudice Sara Smurro, 15 febbraio 2018 n. 832.

[14] Tribunale Belluno, 17 marzo 2018 n. 248, est. Dott. Paolo Velo.

[15] Tra le numerosissime sentenze sul tema, si segnalano: Tribunale di Taranto, sez II civ., 1 febbraio 2018 n. 302, est. Dott. Clausio Casarano; Tribunale di Verona, sez. III Civ., 27 aprile 2014; Tribunale di Treviso, sez. II Civ., 9 dicembre 2014; Tribunale di Padova, 27 gennaio 2015, est. Dott.ssa Caterina Zambotto.

[16] R. Marcelli, La mora e l’usura: criteri di verifica, 2014, in assoctu.it: “Nel mutuo il mancato pagamento di una rata fa decorrere gli interessi di mora i quali si sostituiscono (senza capitalizzazione alcuna) agli interessi corrispettivi all’atto della scadenza della rata stessa, mentre il residuo capitale mutuato, se non interviene la risoluzione o la decadenza dal beneficio del termine, prosegue con la produzione degli interessi corrispettivi secondo il piano di ammortamento stabilito. La somma dei due tassi risulta logicamente scorretta: il primo tasso, quello corrispettivo, è riferito all’intero capitale di credito e copre il periodo contrattualmente previsto per il finanziamento, il secondo, quello di mora, è riferito alla rata scaduta e/o al capitale scaduto ed è dovuto per il periodo successivo alla scadenza degli stessi. Di tal che l’applicazione del tasso di mora non si cumula – nel senso di sommarsi – con il tasso corrispettivo, risultando il primo ‘sostitutivo’ del secondo, dal momento della scadenza della rata o del capitale rimasti impagati”.

[17] Tribunale di Avellino, Dott. Raffaele Califano, 10 ottobre 2016.

[18] Tribunale di Milano, Giudice Dott. Claudio Antonio Tranquillo, 13 marzo 2016 n. 33945. Cfr. anche Tribunale di Modena, Dott. Paolo Siracusano, 7 settembre 2016 n. 1703; Tribunale di Avellino, Dott. Raffaele Califano, ordinanza del 10 ottobre 2016.

[19] Se il mutuatario recede a pochi della scadenza naturale del contratto, quando il capitale residuo consisterà in (supponiamo) 5.000 euro, il valore assoluto della commissione sarà (5% X 2.000 euro) di 100 euro. Tale somma, se rapportata al capitale erogato (100 euro / 100.000 euro), è pari allo 0.01%.

[20] Continuando con il precedente esempio: se il mutuatario decidesse di recedere dal contratto dopo un giorno dall’ascensione, la commissione dovrebbe calcolarsi sull’intero importo erogato così restituendo un valore di 5.000 ed una percentuale di 5%.

[21] Nell’esempio riportato nelle note precedenti, lo scenario peggiore sarebbe quello dell’estinzione contestuale all’accensione del contratto. Nella pratica, tuttavia, gli scenari possono essere più complessi, prevedendo, per esempio, percentuali diverse a seconda del tempo di azionamento della clausola ovvero la presenza congiunta di costi fissi e variabili.

[22] Tribunale di Fermo, 1 marzo 2018 n. 172, est. M. Diodato; Tribunale Siena, 21 novembre 2017 n. 1167, est. Alessandra Verzillo.

[23] Tribunale di Udine, sez. II, 26 settembre 2014; Tribunale di Pescara, ordinanza del 28 novembre 2014; Tribunale di Bari, ordinanza del 1 dicembre 2014; Tribunale di Bari, ordinanza del 19 ottobre 2015; Tribunale di Bari, ordinanza del 27 novembre 2015; Corte di Appello di Venezia, 18 febbraio 2013; Tribunale di Padova, ordinanza del 13 maggio 2014; Tribunale di Udine del 26 settembre 2014; Tribunale di Rimini, ordinanza del 27 aprile 2015; Tribunale di Padova, sez. I Civ., 30 giugno 2015 n. 1999; Tribunale di Rovereto, 30 giugno 2015 n.178; Tribunale di Torino, ordinanza del 20 giugno 2015.

[24] M. B. Magro, Riflessioni penalistiche in tema di usura bancaria, Diritto Penale Contemporaneo, Fascicolo 3/2017, pag. 94.

[25] Tribunale di Trani, Dott. Ivan Barlafante, ordinanza del 11 gennaio 2017; Tribunale di Trani, 4 gennaio 2018 n. 10; Tribunale di Monza, sent. 19 giugno 2017 n. 911.

[26] Ibidem. Cfr. Tribunale di Pordenone, 13 novembre 2017 n. 832.

[27] Tribunale Mantova sez. II, 26 gennaio 2016 n. 106, est. Dott. Marco Benatti.

[28] Tribunale Torino sez. I, 13 settembre 2017 n. 106, est. Dott. Enrico Astuni

[29] Cass. Civ., sez. un., 19 ottobre 2017 n. 24675.

[30] 1373 comma 1 c.c.: “Se a una delle parti è attribuita la facoltà di recedere dal contratto, tale facoltà può essere esercitata finché il contratto non abbia avuto un principio di esecuzione”.

[31] 1373 comma 3 c.c.: “Qualora sia stata stipulata la prestazione di un corrispettivo per il recesso (5), questo ha effetto quando la prestazione è eseguita.”

[32] Cfr. Tribunale Torino, Giudice Massino Manuela, sent. 20 settembre 2017 n. 4434.

[33] In tal senso, la giurisprudenza delle sezioni penali della Corte di cassazione: sez. II, 12 febbraio 2010 n. 12028; conformi Cass. pen., sez. II, 14 maggio 2010 n. 28743 e Cass. pen., sez. II, 23 novembre 2011 n.46669.

[34] Tribunale di Cagliari, sent. 28 novembre 2016 n. 3359.

[35] La clausola penale è il patto con cui si conviene che in caso di inadempimento di un’obbligazione la parte debitrice versi una somma di denaro o effettui altra prestazione.

[36] Cass. Pen., sez. II, 13 febbraio 2018 n. 29010 (dep. 22 giugno 2018). Conf. Cass. Pen., sez. II, 25 ottobre 2012 n. 5683 (dep. 5 febbraio 2013).

[37] Come sottolineato da autorevole dottrina, “la determinazione oggettiva del limite oltre il quale interessi e vantaggi devono qualificarsi come usurari si presenta come esigenza non altrimenti eludibile al cospetto del principio di tassatività della fattispecie. Se infatti la condotta punibile è connotata se non dall’entità dell’interesse o del vantaggio richiesto in cambio della prestazione data dal mutuante, è giocoforza ammettere che questo estremo della fattispecie costituisce l’elemento discretivo unico ed essenziale tra lecito ed illecito (…) ne segue che la precisione della norma incriminatrice assume una funzione essenziale, posto che proprio il dato quantitativo (il limite massimo oltre il quale non può essere lecitamente richiesto alcunché al mutuatario) non solo rappresenta il fuoco dell’incriminazione, ma diviene anche un fondamentale strumento di controllo sostanziale dell’attività di concessione del credito”. F. Mucciarelli, “Commento” L. 108/1996, in “Legislazione penale 1997”, pag. 548.

[38] Chiaramente, laddove, nonostante la clausola venissero poi corrisposti e ricevuti interessi usurari, alla promessa (virtualmente non usuraria) seguirebbe una dazione usurarie e, dunque, si ricadrebbe nuovamente nella disciplina di cui all’art. 644 c.p.

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