In attesa dell’introduzione di una disciplina organica preannunciata con la Legge n. 111/2023 di delega per la riforma fiscale, la Corte di Cassazione, con sentenza del 15 luglio 2024, n. 19363, è tornata sul tema del trattamento fiscale delle vendite di opere d’arte, facendo riferimento alle figure già espresse nel diritto vivente, con particolare riferimento ala differenza fra speculatore occasionale e collezionista puro:
- del mercante d’arte, la cui “abitualità” attribuisce rilevanza all’attività svolta come reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo 55 del d.P.R. n. 917/1986 (“TUIR”), e ai fini dell’IVA, secondo quanto previsto dall’articolo 4 del d.P.R. n. 633/1972;
- del collezionista “speculatore occasionale”, che potrebbe generare redditi diversi ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i) del TUIR, senza – tuttavia – alcun assoggettamento ad IVA, proprio per la mancanza dell’elemento dell’abitualità;
- del collezionista “puro” che, per il proprio “tipico” scopo di godere dell’opera e “contemplarne la bellezza o soddisfare il proprio gusto estetico o per un fine squisitamente culturale”, rimane escluso da imposizione ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, per carenza di qualsiasi profilo speculativo.
Il caso affrontato riguardava un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava ad un contribuente di aver conseguito un maggior reddito in relazione ad una cessione a titolo oneroso di un’opera d’arte del Monet, dovendosi escludere che lo stesso avesse potuto agire per scopi estranei a quelli speculativi tali da consentirgli di qualificarsi come “collezionista puro” e, conseguentemente, di andare esente da imposizione.
Soccombente nel giudizio di appello, il contribuente adiva la Corte di Cassazione la quale, così, ha colto l’occasione per delineare ulteriormente gli aspetti valutativi pratici caratterizzanti la figura dello “speculatore occasionale” al fine di distinguerlo dal “collezionista puro”, segnatamente ponendo in rilievo:
- l’importo della plusvalenza generata, ammontante a circa 5 milioni di Euro;
- la molteplicità delle operazioni similari compiute nel corso degli anni che, seppure non tali da configurare un’abitualità riconducibile a quella del mercante d’arte, lasciano presumere l’intento di realizzare “(quantomeno anche) un investimento con aspettative finanziarie”;
- nonché e infine le operazioni prodromiche compiute (quali l’esposizione in mostre e in musei, le valutazioni e consulenze di case d’aste) al fine di accrescere il valore complessivo dell’opera successivamente oggetto di cessione.
Elementi tutti che hanno condotto i giudici di legittimità a confermare la sentenza della C.T.R., così ribadendo la rilevanza fiscale della cessione dell’opera d’arte nell’alveo della fattispecie dei redditi diversi di cui all’art. 67, comma 1, lett. i) del TUIR, seppure l’operazione oggetto di accertamento fosse stata l’unica posta in essere nel corso del periodo accertato.
In conclusione, deve negarsi che un contribuente si qualifichi come “collezionista puro” laddove, avuto riguardo al quadro delle complessive attività svolte lungo un periodo d’osservazione da estendersi oltre il singolo periodo d’imposta, possa desumersi abbia agito per scopi estranei ad intenti speculativi prevalentemente connotati dalla passione e per l’arte in genere.