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Il regime dei dividendi provenienti da territori a regime fiscale privilegiato a seguito della Legge di bilancio 2018

1 Marzo 2018

Massimo Antonini, Avvocato, LL.M., partner, Paolo Ronca, Dottore commercialista, associate, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

L’art. 1, commi 1007, 1008 e 1009, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205, pubblicata in G.U. n. 302 del 29 dicembre 2017 S.O. (“Legge di bilancio 2018”) ha apportato alcune rilevanti modifiche al regime di tassazione dei dividendi provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato.

Si tratta di interventi da accogliere con favore, soprattutto nell’ottica di incentivare (o, quantomeno, di non penalizzare) gli investimenti in società estere. Persistono, tuttavia, talune criticità applicative in relazione alle quali sarebbe auspicabile, a seconda dei casi, un (nuovo) intervento del legislatore oppure un chiarimento a livello ministeriale.

2. Esclusione parziale dal reddito dei dividendi provenienti da territori a regime fiscale privilegiato

Ai sensi degli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del T.U.I.R. – nella versione previgente alla Legge di bilancio 2018 – i dividendi di fonte estera provenienti da Stati o territori a fiscalità privilegiata erano integralmente tassati in capo al socio residente, fatti salvi i casi in cui: (i) tali utili fossero già stati imputati per trasparenza al socio residente ai sensi della disciplina relativa alle controlled foreign companies (cd. CFC), ovvero (ii) fosse dimostrato – anche mediante interpello – che dalle partecipazioni non era conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati [1].

In tale contesto normativo è intervenuto l’art. 1, comma 1009, della Legge di bilancio 2018, che ha modificato l’art. 89, comma 3, del T.U.I.R., escludendo dal reddito il 50% dell’ammontare dei dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata che svolgono un’effettiva attività industriale o commerciale nello Stato o territorio di insediamento[2] [3].

In particolare, si considerano dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, anche a seguito delle modifiche della Legge di bilancio 2018, i dividendi percepiti a fronte di:

  • partecipazioni dirette, anche non di controllo, in società localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato; ovvero
  • partecipazioni indirette, anche non di controllo, in società localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato, attraverso il controllo su una società localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario [4] [5].

Tale regime è volto a ridurre la preesistente disparità di trattamento tra i dividendi di fonte italiana (ovvero di fonte estera provenienti da Paesi a regime fiscale ordinario) e quelli derivanti da partecipazioni in società operative localizzate in Stati o territori a fiscalità privilegiata, che prestava il fianco a possibili censure a livello comunitario. Infatti, il regime di integrale imponibilità determinava di fatto una doppia imposizione economica degli utili distribuiti dalla società estera a regime fiscale privilegiato, avendo questi già scontato una (seppur inferiore) tassazione nello Stato di residenza [6] sul risultato di esercizio a valere sul quale tali dividendi erano stati formati.

Pertanto, posto che gli utili prodotti da una società a regime fiscale privilegiato scontano nello Stato estero una tassazione nominale inferiore al 50% di quella italiana, il legislatore ha inteso eliminare la doppia imposizione economica escludendo dal reddito della società percipiente il 50% del dividendo ricevuto, realizzando così un sostanziale allineamento tra la tassazione nominale complessiva degli utili di fonte italiana e quella degli utili “black-list”.

A seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di bilancio 2018, i dividendi percepiti da società di capitali ed enti commerciali fiscalmente residenti in Italia sono soggetti, a seconda dei casi:

  1. al regime ordinario di esclusione dal reddito per il 95% del relativo ammontare, con riferimento a: (i) dividendi di fonte italiana; (ii) dividendi di fonte estera diversi da quelli provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata; (iii) dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, in relazione ai quali sia dimostrato – anche a seguito di interpello – che dalle partecipazioni non sia conseguito, sin dall’inizio del periodo di possesso, l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati (c.d. “seconda esimente”);
  2. al regime introdotto dalla Legge di bilancio 2018, che prevede, come anticipato, l’esclusione dal reddito in misura pari al 50% del relativo ammontare, in relazione ai dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata a condizione che venga dimostrato – anche a seguito di interpello – l’effettivo svolgimento, da parte della partecipata estera, di un’effettiva attività industriale o commerciale nello Stato o territorio di insediamento (c.d. prima esimente);
  3. al regime di integrale imponibilità per i dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata, in relazione ai quali non sia fornita né la prima né la seconda esimente.

Resta ferma, peraltro, in relazione ai dividendi elencati al punto (b) – i.e., dividendi black-list ricevuti da una partecipata estera “operativa” – la possibilità per il socio di controllo italiano (ovvero per le sue controllate residenti in Italia) di avvalersi del credito d’imposta “indiretto” ai sensi dell’art. 165 T.U.I.R. per le imposte estere assolte dalla partecipata, in relazione agli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione alla quota imponibile (i.e., 50%) degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili  [7] [8].

È appena il caso di ricordare che l’applicazione del “credito di imposta indiretto” era stata introdotta dall’articolo 3, comma 1, lettere a) ed e), del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. Decreto Internazionalizzazione) con la finalità di ovviare agli effetti distorsivi connessi alle differenze tra il trattamento fiscale degli utili della CFC tassati per trasparenza in capo al socio di controllo residente in Italia e quello dei dividendi provenienti da una partecipata estera che costituisce un’effettiva realtà imprenditoriale nel Paese di insediamento [9] [10].

È rimasto invece immutato il regime di tassazione dei dividendi black-list percepiti da persone fisiche, i quali, ai sensi dell’art. 47, co. 4, T.U.I.R. (sul quale non è intervenuta la Legge di bilancio 2018), sono integralmente imponibili a prescindere dallo svolgimento di un’effettiva attività industriale o commerciale da parte della società estera, fatti salvi i casi in cui: (i) tali utili siano già stati imputati per trasparenza al socio residente ai sensi della disciplina CFC, ovvero (ii) sia fornita – anche in sede di interpello – la seconda esimente.

Parimenti, non è stata interessata da alcuna modifica la disciplina delle plusvalenze derivanti da partecipazioni in soggetti residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata di cui all’art. 87 del T.U.I.R., le quali restano dunque imponibili in misura piena, salvo che sia fornita – anche in sede di interpello – la seconda esimente.

A tal ultimo riguardo, si osserva che il mancato allineamento della tassazione delle plusvalenze a quella dei dividendi appare asistematico per il seguente ordine di ragioni: (i) il carattere simmetrico dei due regimi è stato in più occasioni sottolineato dall’Amministrazione finanziaria [11]; (ii) l’asimmetria tra i due regimi favorisce possibili arbitraggi, rendendo conveniente la distribuzione degli utili maturati dalla partecipata estera black-list (che svolge attività commerciale) anziché il loro realizzo tramite cessione della società stessa [12].

3. Tassazione degli utili pregressi

I commi 1007 e 1008, dell’art. 1, della Legge di bilancio 2018 (che, a differenza del comma 1009, trovano applicazione anche con riferimento ai dividendi black-list percepiti da persone fisiche ai sensi dell’art. 47, co. 4, T.U.I.R.) intervengono sul criterio di tassazione degli utili pregressi provenienti da società residenti in Stati a regime fiscale privilegiato.

In particolare, il comma 1007 della Legge di bilancio 2018 stabilisce che non si considerano provenienti da società residenti o localizzate in Stati o territori a regime fiscale privilegiato gli utili maturati in periodi d’imposta nei quali la società partecipata era residente o localizzata in Stati o territori a fiscalità ordinaria (individuati sulla base dei criteri applicabili ratione temporis) anche se percepiti in un periodo d’imposta in cui la società estera è considerata black-list (sulla base dei criteri nel frattempo intervenuti) [13]. Inoltre, in caso di cessione delle partecipazioni la preesistente stratificazione delle riserve di utili si trasferisce al cessionario.

Il successivo comma 1008 introduce invece una presunzione ai sensi della quale, una volta determinata la stratificazione degli utili ai sensi del precedente comma 1007, gli utili distribuiti dal soggetto non residente si considerano prioritariamente formati con quelli da considerare non provenienti da Stati o territori a regime fiscale privilegiato.

Per comprendere la portata delle citate modifiche normative, è utile ricordare che i criteri per l’individuazione degli Stati o territori a regime fiscale privilegiato sono stati oggetto di modifiche ad opera prima della Legge di stabilità 2015 e successivamente della Legge di stabilità 2016.

In sintesi, occorre distinguere i criteri applicabili fino al 31 dicembre 2014, quelli adottabili per l’esercizio 2015 e, infine, le regole valide a partire dal 1° gennaio 2016.

Nello specifico, fino al 31 dicembre 2014, l’individuazione degli Stati e territori a regime fiscale privilegiato ai fini della distribuzione dei dividendi era demandata al D.M. 21 novembre 2001.

Limitatamente all’esercizio 2015, ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati da inserire in decreti ministeriali, occorreva far riferimento alla lista di cui al citato D.M. 21 novembre 2001, come modificato dal D.M. 30 marzo 2015 e dal D.M. 18 novembre 2015, tenuto conto che si consideravano, in ogni caso, privilegiati i regimi fiscali speciali che consentivano un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia [14].

Infine, a partire dal 1° gennaio 2016, si considerano privilegiati ai sensi dell’art.167, comma 4, del T.U.I.R.: a) i regimi in cui “il livello nominale di tassazione risulti inferiore al 50 per cento di quello applicabile in Italia”; b) i regimi “speciali” [15].

Al fine di garantire il coordinamento tra le regole di individuazione dei Paesi black-list vigenti ratione temporis e la disciplina di cui agli artt. 47, comma 4 e 89, comma 3, T.U.I.R. e, più in particolare, di disciplinare il trattamento dei dividendi formati da riserve di utili stratificate nel corso di esercizi precedenti, la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016 aveva individuato un criterio ibrido (c.d. principio di cassa corretto), in base al quale:

  1. se la partecipata estera risulta residente in un Paese a fiscalità privilegiata nell’esercizio in cui il socio residente in Italia percepisce gli utili (sulla base dei criteri vigenti in tale momento), gli stessi devono essere assoggettati alla disciplina dei dividendi black-list descritta nel paragrafo precedente, a prescindere dal criterio vigente nel periodo di formazione dell’utile della partecipata [16];
  2. se la partecipata estera risulta residente in un Paese a fiscalità ordinaria nell’esercizio in cui il socio residente in Italia percepisce gli utili (sulla base dei criteri vigenti in tale momento), gli stessi sono soggetti a tassazione secondo le regole ordinarie a condizione che la partecipata estera sia considerata white-list anche in ciascuno degli esercizi in cui tali utili sono maturati, sulla base del criterio vigente al momento della percezione del reddito (i.e., dal 1° gennaio 2016, livello di tassazione nominale superiore al 50% di quello applicabile in Italia e assenza di regimi speciali) [17]. Preme evidenziare che, in ogni caso, tale verifica va effettuata limitatamente agli esercizi in cui l’utile (oggetto di distribuzione) è maturato e non, come talvolta sostenuto dall’Agenzia delle entrate prima della menzionata circolare, sin dall’inizio del possesso della partecipazione [18].

Tale impostazione risultava innanzitutto eccessivamente penalizzante in relazione all’ipotesi contemplata al punto (a), in quanto la natura black-list della partecipata all’atto della percezione dei dividendi finiva per “travolgere” anche gli utili prodotti quando la stessa era invece considerata white-list [19]. Inoltre, tale approccio avrebbe creato evidenti effetti distorsivi in quanto: (i) poteva potenzialmente penalizzare gli utili di partecipate estere in passato white-list e successivamente divenute black-list, rispetto agli utili generati da società black-list e poi divenute white-list; (ii) creava una ingiustificata discriminazione tra i casi in cui l’utile fosse stato distribuito prima delle modifiche introdotte dalla legge di stabilità 2016 e quelli in cui tale distribuzione fosse avvenuta successivamente [20].

Invero, l’art. 1, comma 1007, della Legge di bilancio 2018, superando l’interpretazione fornita dalla menzionata Circolare n. 35/E del 4 agosto 2016, si limita ad affrontare l’ipotesi descritta al punto (a), chiarendo che gli utili prodotti quando la partecipata estera era white-list non sono soggetti alla disciplina dei dividendi black-list anche se percepiti in un periodo d’imposta in cui la società estera è considerata black-list, per effetto dei criteri nel frattempo intervenuti. Peraltro, in tale ipotesi, ai sensi del comma 1008, gli utili distribuiti dal soggetto non residente si presumono prioritariamente formati con quelli da considerare white-list sulla base del criterio di stratificazione degli utili previsto dal comma 1007.

Al contrario, nulla viene previsto dalla Legge di bilancio 2018 con riferimento all’ipotesi inversa – descritta al punto (b) – relativa ad utili prodotti quando la partecipata estera era blacklist e distribuiti dopo che la stessa è divenuta white–list. In tale ipotesi, si ritiene che debba essere abbandonata l’interpretazione della Circolare n. 35/E del 2016, privilegiando (in quanto maggiormente coerente) l’applicazione mutatis mutandis del criterio analitico adottato dal legislatore in relazione al fenomeno inverso [21]. In ogni caso, il punto meriterebbe sicuramente un chiarimento ufficiale.

Infine, si osserva che la norma, facendo riferimento agli utili percepiti a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014, produce effetti retroattivi e, pertanto, dovrebbe far salvi i comportamenti difformi alla citata Circolare n. 35/E del 4 agosto 2016. Al tempo stesso, le imprese che si fossero in via prudenziale uniformate alle indicazioni dell’Agenzia delle entrate, dovrebbero poter aver diritto a rettificare a proprio favore la tassazione subita, presentando apposita dichiarazione integrativa [22].

4. Utili distribuiti per il tramite di sub-holding

Come anticipato, il regime di cui agli articoli 47, comma 4, e 89, comma 3, del T.U.I.R. trova applicazione in relazione ai dividendi percepiti da soggetti residenti in caso di partecipazioni indirette, anche non di controllo, in società localizzate in Paesi o territori a regime fiscale privilegiato, attraverso l’esercizio del controllo su una società interposta localizzata in uno Stato o territorio a regime fiscale ordinario.

Sul punto, l’Amministrazione finanziaria ha chiarito che: (i) il socio residente in Italia deve individuare e assoggettare a tassazione ai sensi delle citate disposizioni la sola quota parte di dividendi riferibile alla partecipazione nella società black-list [23]; (ii) occorre effettuare una ricostruzione analitica della provenienza degli utili distribuiti al socio italiano, supportata da adeguata documentazione che consenta all’Amministrazione finanziaria di risalire la catena distributiva, in mancanza della quale si ritengono distribuiti al socio italiano, in via prioritaria e fino a concorrenza, gli utili di provenienza black-list (cfr. Circolare 6 ottobre 2010, n. 51/E) [24].

Il tema non è stato oggetto di uno specifico intervento da parte del legislatore. Tuttavia, applicando in via estensiva il comma 1008 (esaminato nel paragrafo precedente), si potrebbe sostenere che la presunzione di prioritaria distribuzione di utili white-list trovi applicazione anche in relazione alla fattispecie da ultimo esaminata (i.e., dividendi percepiti da un soggetto IRES tramite una sub-holding white-list e formati sia da utili black-list sia da utili white-list). Anche in relazione a tale aspetto, sarebbe comunque opportuno un chiarimento da parte dell’Agenzia delle entrate.

 


[1] Al contrario, nessuna deroga al regime di integrale imponibilità era accordata – prima delle modifiche apportate dalla Legge di bilancio 2018 – a seguito della dimostrazione che la società non residente svolgesse un’effettiva attività industriale o commerciale, come sua principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento ai sensi dell’art. 167, comma 5, lett. a), del T.U.I.R. (c.d. “prima esimente”).

La dimostrazione della prima esimente consentiva infatti la disapplicazione della disciplina CFC, così evitando la tassazione per trasparenza del reddito della partecipata estera, ma non la tassazione integrale dei dividendi distribuiti da quest’ultima. A correzione degli effetti distorsivi che potevano scaturire dalla mancata applicazione della disciplina CFC in virtù dell’applicazione della circostanza esimente di cui all’art. 167, comma 5, lett. a) del T.U.I.R., il legislatore con il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, aveva previsto la possibilità di beneficiare in questo caso di un “credito di imposta indiretto” a valere sulle imposte versate all’estero dalla società CFC. Sul punto si rimanda a quanto meglio dettagliato infra.

[2] Il nuovo regime trova applicazione con riferimento ai dividendi percepiti dal 1° gennaio 2018 (a prescindere dalla data di delibera), fatto salvo quanto si evidenzierà nel paragrafo successivo con riguardo alle riserve di utili pregressi. La norma si applica anche alle remunerazioni equiparate ai dividendi, ossia quelle derivanti dai contratti di cui all’articolo 109, comma 9, lettera b), T.U.I.R..

[3] L’utilizzo del termine “esclusione” consente la deducibilità delle spese relative alla partecipazione, ai sensi dell’art. 109, co. 5, T.U.I.R..

[4] In presenza di più società estere intermedie, il requisito del controllo deve riscontrarsi per ciascuna di esse, non essendo necessario, al contrario, che sia integrato rispetto alla società residente nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato. Per un approfondimento, sia consentito il rinvio a M. Antonini, P. Ronca, “Il nuovo regime dei dividendi black-list”, in Rivista della Guardia di Finanza n. 4/2017 (luglio-agosto 2017).

[5] Per quanto riguarda il caso di partecipazione indiretta in società localizzate nello Stato o territorio a regime fiscale privilegiato, la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016 ha confermato che il socio residente in Italia deve individuare, e assoggettare a tassazione integrale, la sola quota parte di dividendi riferibile a tale partecipazione (cfr. par. 4 infra).

[6] Sul punto, si veda P. Arginelli e R. Michelutti, “Dividendi black list, regime di tassazione da migliorare”, in Quotidiano del Fisco, 26 gennaio 2018. In particolare, gli Autori osservano che tale doppia imposizione avrebbe potuto determinare una restrizione alla libera circolazione dei capitali, vietata dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea anche con riferimento agli Stati terzi, in tutti i casi in cui tra l’Italia e lo Stato della partecipata esista un accordo che garantisca un adeguato scambio di informazioni.

[7] Sul punto, la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016 ha chiarito che “in considerazione dell’espresso riferimento all’articolo 165 del TUIR, (…) le disposizioni dettate, in generale, dall’articolo 165 del TUIR in materia di credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero siano, in linea di principio, applicabili, salvo diversa previsione normativa, anche al credito per le imposte assolte dalle società controllate residenti in Stati o territori a fiscalità privilegiata”. Ai fini del computo della quota di imposta pagata dalla società estera che grava sugli utili distribuiti, occorre considerare la somma delle imposte estere pagate durante il possesso della partecipazione moltiplicata per il rapporto tra gli utili distribuiti e quelli maturati durante il periodo di possesso di partecipazione. Sul punto, cfr. S. Mayr, “Prime osservazioni sul decreto sull’internazionalizzazione delle imprese”, in Boll. Trib. n. 9/2015, pagg. 645 e ss.

[8] Si tratta di un credito d’imposta “indiretto”, in quanto è riconosciuto in ragione delle imposte pagate all’estero non dal soggetto beneficiario del credito stesso (i.e., il socio di controllo ovvero le sue controllate), ma dalla società partecipata dalla quale provengono gli utili tassati in Italia. Eventuali soci di minoranza non beneficiano invece del credito d’imposta.

[9] Infatti, in caso di disapplicazione della disciplina CFC sulla base della prima esimente, la disciplina previgente al Decreto Internazionalizzazione non consentiva lo scomputo delle imposte assolte all’estero dalla controllata black-list, all’atto della tassazione (integrale) dei dividendi distribuiti da quest’ultima in capo al socio controllante residente in Italia, mentre in ipotesi di CFC, il soggetto controllante residente aveva diritto alla detrazione – dall’imposta italiana dovuta sui redditi imputati per trasparenza – delle imposte pagate all’estero dalla CFC. Sul punto cfr. anche C. Pirrone, “Il nuovo regime impositivo dei dividendi black list”, in Strumenti finanziari e fiscalità, n. 21/2015.

[10] A tal riguardo, autorevole dottrina considera asistematica l’applicazione congiunta dell’esclusione parziale dal reddito dei dividendi black-list ricevuti da una partecipata “operativa” estera e del credito d’imposta “indiretto” in quanto il regime di esclusione parziale dal reddito ha proprio il fine di eliminare la potenziale doppia imposizione economica derivante dalla tassazione subita nello Stato estero. Cfr. P. Arginelli e R. Michelutti, op.cit.

[11]Cfr. Circolari dell’Agenzia delle entrate n. 7/E del 29 marzo 2013 e n. 35/E del 4 agosto 2016.

[12] In senso conforme, cfr. G. Albano, “Esclusione parziale dal reddito dei dividendi provenienti da paradisi fiscali”, in Corriere Tributario n. 5/2018, pg. 355 e ss..

[13] La nuova regola si applica agli utili percepiti a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 (i.e., 2015 per i contribuenti con esercizio coincidente con l’anno solare) e maturati in periodi d’imposta precedenti.

[14] Infatti, la legge di stabilità 2015 ha novellato il comma 4, dell’articolo 167 del T.U.I.R. stabilendo che, ai fini dell’individuazione dei regimi fiscali privilegiati da inserire in decreti ministeriali, per “livello di tassazione sensibilmente inferiore” si intende un livello di tassazione inferiore al 50 per cento di quello applicato in Italia. Pertanto, è sorta la necessità di adeguare il D.M. 21 novembre 2001 in modo da individuare gli Stati e i territori da considerare a fiscalità privilegiata sulla base dei nuovi parametri normativi. Per dare attuazione alla modifica normativa, sono stati emanati i seguenti due decreti ministeriali: (i) D.M. 30 marzo 2015, che ha abrogato l’articolo 3 del D.M. 21 novembre 2001 (ove erano elencati gli Stati e i territori facenti parte della black list limitatamente a determinati soggetti ed attività) e ha espunto dall’articolo 1 della black-list Filippine, Malesia e Singapore; (ii) D.M. 18 novembre 2015, che ha espunto dalla black-list Hong Kong.

[15] A tale proposito, la legge di stabilità 2016 ha precisato che sono esclusi dalla nozione dei regimi fiscali privilegiati, di cui al comma 4 dell’articolo 167 del T.U.I.R., gli Stati membri dell’Unione europea (UE) e gli Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo (SEE) che garantiscono un adeguato scambio di informazioni. Inoltre, la Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 35/E del 4 agosto 2016 ha opportunamente chiarito che il riferimento al Decreto o al provvedimento contenuto negli artt. 47, comma 4 e 89, comma 3, del T.U.I.R. è ora da intendersi effettuato al comma 4 dell’art. 167 e, quindi, al criterio di individuazione dei regimi fiscali privilegiati ivi contemplato. Per un esame approfondito dei nuovi criteri di individuazione dei paesi a fiscalità privilegiata, cfr. G. Scifoni, “L’Agenzia interviene sul “restyling” delle regole per l’individuazione degli Stati a fiscalità privilegiata”, Corr. Trib. n. 38/2016, pag. 2919.

[16] In altri termini, la circostanza che, nel periodo d’imposta in cui avviene la distribuzione, la società partecipata sia localizzata in un Paese a fiscalità privilegiata rappresentava, secondo l’Agenzia delle entrate, condizione sufficiente per assoggettare a tassazione integrale l’intero ammontare dei dividendi distribuiti. In tali casi, l’unica via d’uscita per disapplicare il regime di imposizione integrale era dunque costituita dalla dimostrazione della seconda esimente.

[17] Si consideri, ad esempio, il caso in cui la società residente in Italia (Alfa) abbia percepito nel 2016 dividendi provenienti da una società localizzata in un Paese a fiscalità ordinaria (Beta), che non fruisce di regimi speciali, e che tali utili siano maturati in parte nel corso del 2014 e, per la restante parte, nel 2015. Si ipotizzi, altresì, che, sulla base dei criteri vigenti all’atto della distribuzione, Beta sarebbe risultata localizzata in un Paese a fiscalità ordinaria nel 2015, ma non nel 2014. Ebbene, Alfa potrà far concorrere al regime ordinario (imponibilità in misura pari al 5%) solo la quota dei dividendi percepiti pari agli utili maturati da Beta nel 2015, mentre l’ammontare maturato nel 2014 sarebbe assoggettato alla disciplina dei dividendi black-list descritta nel paragrafo precedente.

[18] In tal senso, cfr. sentenza della CTP di Novara 6 luglio 2017, n. 145.

[19] Si veda in tal senso l’Interrogazione parlamentare del 19 gennaio 2017, n. 5-10317.

[20] Cfr. anche Circolare Assonime n. 17 del 28 giugno 2017, pg. 65-66.

[21] In altri termini, anche con riferimento all’ipotesi – descritta al punto (b) – di utili prodotti quando la partecipata estera era black-list e distribuiti dopo che la stessa è divenuta white–list, la natura (black-list o white-list) degli utili pregressi andrebbe accertata sulla base dei criteri vigenti ratione temporis e non, come sostiene l’Agenzia delle entrate, sulla base dei criteri in vigore all’atto della percezione. In senso dubitativo, si veda G. Albano, op.cit., p. 360-361.

[22] Nello stesso senso, cfr. Nota di aggiornamento Confindustria del 22 dicembre 2017.

[23] Pertanto, la distribuzione riferibile agli utili propri della controllata intermedia, ovvero a quelli derivanti dalle società white-list a sua volta partecipate da quest’ultima, potrà invece beneficiare del regime ordinario.

[24] Con la menzionata sentenza della CTP di Novara 6 luglio 2017, n. 145 i giudici hanno ritenuto idonea a tali fini la ricostruzione analitica delle riserve di patrimonio netto operata dalla società ricorrente sulla base del criterio LIFO, rifacendosi al disposto dell’art. 47 del T.U.I.R., a mente del quale “indipendentemente dalla delibera assembleare, si presumono prioritariamente distribuiti l’utile dell’esercizio e le riserve diverse” da quelle di capitale. Sul punto cfr. M. Antonini, E.C. Pavesi, “Provenienza degli utili distribuiti da società conduit e momento rilevante ai fini della verifica”, in GT- Rivista di Giurisprudenza Tributaria 1/2018, p. 93.

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