Le opinioni contenute nel presente articolo sono da intendersi espresse a titolo personale e non impegnano la banca di appartenenza.
1. La cessione a pronti di valuta nell’ambito del TUIR
L’articolo 67, comma 1, lett. c-ter), del Testo Unico delle Imposte sui Redditi prevede che siano ricomprese a tassazione tra i redditi diversi di natura finanziaria le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute.
L’imponibilità delle operazioni di negoziazione di valute estere riguarda esclusivamente le fattispecie elencate nella lettera c-ter che si intendono, per previsione di legge, derivanti da attività di investimento. In particolare, il riferimento è al prelievo della valuta da depositi o conti correnti ovvero la sua cessione a termine. Non sono, invece, mai rilevanti ai fini impositivi le cessioni a pronti di valuta.
Occorre tuttavia ricordare che, con riguardo ai prelievi di valuta da conti o depositi, il legislatore ha introdotto un limite quantitativo oltre il quale la plusvalenza diventa rilevante ai fini fiscali. Infatti, nell’articolo 67, comma 1-ter, è stato previsto che le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare reddito a condizione che, nel periodo di imposta in cui esse sono realizzate attraverso il prelievo dal deposito o dal conto, la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente presso tutti gli intermediari, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.
A questo proposito, occorre ricordare che le cessioni a pronti di valuta sono operazioni la cui tassabilità non può essere ricompresa tra quelle per le quali opera il regime del risparmio amministrato, infatti ad esse è riservata in via esclusiva la tassazione in sede di dichiarazione dei redditi. A questo proposito, ha avuto modo di precisare l’ABI, non si può non sottolineare un non perfetto coordinamento tra le norme che riguardano la tassazione dei prelievi di valuta da un conto “valutario” (cioè sul quale è depositata valuta estera) e quelle che riguardano l’impatto dell’”effetto cambio” sulla determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria derivanti della negoziazione di strumenti finanziari denominati in currency diverse dall’euro. Tale non perfetto coordinamento continua a comportare dubbi che si riflettono, oltre che sul contribuente in sede di dichiarazione dei redditi, anche sull’operatività degli intermediari[1].
Si faceva cenno sopra alle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti, a questo proposito occorre ricordare che per il calcolo della giacenza complessiva devono essere sommati tutti i controvalori dei depositi e conti intrattenuti anche in valute diverse. Ad esempio: una posizione in franchi svizzeri per un controvalore di 20.000 euro e una posizione in sterline per un controvalore di 40.000 euro formano una posizione complessiva di 60.000 euro. L’importo, superiore alla soglia stabilita di 51.645,69 euro di controvalore, se tenuto in giacenza per almeno 7 giorni lavorativi consecutivi, incardina la condizione prevista dall’articolo 67, comma 1-ter del TUIR. Nel calcolo della giacenza complessiva bisogna considerare poi anche tutti i rapporti in divisa accesi dallo stesso intestatario in essere presso diversi intermediari. Pertanto è necessariamente a carico del cliente della banca verificare tale condizione.
La base imponibile da assoggettare a tassazione con l’aliquota pari al 26 per cento in sede di dichiarazione dei redditi è pari alla differenza tra il corrispettivo della cessione ed il costo della valuta, rappresentato dal cambio storico calcolato sulla base del criterio “L.I.F.O.”, costo che deve essere documentato dal contribuente. Qualora non sia possibile determinare il costo per mancanza di documentazione, si deve far riferimento al minore dei cambi mensili determinati con l’apposito decreto ministeriale nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata conseguita[2].
Agli effetti dell’applicazione del criterio “ L.I.F.O” si considerano cedute per prime le valute acquisite in data più recente.
In pratica, se il cliente supera la soglia di giacenza prevista per sette giorni lavorativi consecutivi, deve portare in dichiarazione la plusvalenza o la minusvalenza realizzata su tutte le operazioni effettuate nell’anno solare di riferimento della dichiarazione; se invece non ha superato la soglia prevista, non deve dichiarare la plusvalenza e di contro non può utilizzare le eventuali minusvalenze realizzate. In base all’articolo 10, co. 1, del D. Lgs. n. 461/1997 e dell’articolo 6 del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate del 28 novembre 2003, gli intermediari sopra elencati devono provvedere entro il mese di marzo di ogni anno a rilasciare ai contribuenti una certificazione delle operazioni effettuate nel corso dell’anno precedente.
2. La tassazione delle cessioni a termine di valuta
I proventi derivanti dalla cessione a termine di valuta estera rientrano, come si accennava, nella fattispecie dei redditi diversi di natura finanziaria.
Sulla base della disciplina generale dell’articolo 68 del TUIR, le plusvalenze e le minusvalenze su valute sono determinate analiticamente, per ciascuna operazione (contratto) effettuata, in misura pari alla differenza tra il corrispettivo di vendita ed il valore di acquisto, aumentato di ogni onere inerente alla produzione del reddito.
Tuttavia, regole particolari sono previste al fine della determinazione della base imponibile dei redditi diversi derivanti da questa operatività, infatti, ai sensi del comma 6 dell’articolo 68 del TUIR, per la determinazione dei redditi diversi derivanti dalla cessione a termine di valute estere si assume come costo il valore della valuta al cambio a pronti vigente alla data della stipula del contratto di cessione[3]. Occorre precisare che nel caso di negoziazione di attività finanziarie, qualora il costo di acquisto ovvero il corrispettivo di cessione sia espresso in valuta, ai fini della determinazione delle plusvalenze o delle minusvalenze, si devono applicare i criteri dettati dal comma 2 dell’articolo 9 del TUIR[4]. Da questo principio discende che l’andamento dei cambi influisce sulla determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria; tale circostanza si verifica indipendentemente dal fatto che il cliente detenga o meno presso la banca un conto corrente in valuta sul quale transitano i flussi finanziari relativi alla negoziazione dei predetti titoli.
Nel caso in cui l’operatività del cliente riguardi invece la mera cessione a termine di valuta, ai fini della determinazione della base imponibile si assume come costo, il valore della valuta al cambio spot (o, a pronti) vigente alla data di stipula del contratto che dovrà poi essere confrontato con il cambio fissato a termine. Dunque, la plusvalenza/minusvalenza imponibile derivante dalla cessione a termine di valuta non coincide con la plusvalenza/minusvalenza effettivamente realizzata tramite l’operazione, ottenibile mediante il raffronto del prezzo di vendita con il costo di acquisto della valuta sostenuto, bensì con una plusvalenza meramente “virtuale”. Interessante quanto precisato nella relazione governativa all’articolo 3, comma 160 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 a proposito dell’articolo 68, comma 2 del TUIR dove si legge che: “come si desume dalla norma che determina la misura del provento imponibile, non [ci] si propone di sottoporre ad imposizione i differenziali positivi e negativi e gli altri redditi conseguiti attraverso tali contratti, che nell’attuale regime rimangono perciò non imponibili, ma soltanto le plusvalenze di carattere, per così dire, virtuale e cioè la plusvalenza che emerga, confrontando il cambio a pronti vigente alla data della stipula del contratto con quello a termine preso a riferimento nel contratto stesso”.
Come precisato anche da autorevole dottrina dottrina[5], la base imponibile della plusvalenza derivante dalla cessione a termine di valuta non sarà quindi determinata assumendo come costo di acquisto il costo effettivamente sostenuto per l’acquisto della valuta ceduta a termine, bensì sulla base del tasso di cambio a pronti, di un tasso cioè, puramente virtuale, alla data della stipula del contratto Forward. A nostro avviso, la base imponibile sarebbe determinabile in misura pari al provento od alla perdita effettivamente sostenuti dall’investitore (e pari alla differenza tra il cambio della cessione a termine ed il cambio applicato ai fini dell’acquisto della valuta ceduta a termine) solamente nel caso in cui fosse possibile sostenere che tale reddito rientra nella fattispecie di cui all’articolo 67, comma 1, lett. c-quater del TUIR. L’inquadramento dei redditi derivanti dalla cessione a termine di valuta nella fattispecie di cui alla lettera c-quater è però possibile solamente se la cessione si perfeziona non tramite la consegna della valuta (c.d. phisical settlement), bensì tramite il pagamento di un differenziale[6] in denaro. Infatti, mancando la consegna della valuta sottostante, in questi casi non si realizza una cessione a termine di valuta.
3. Le più recenti prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria
Interessante, nell’inquadramento generale della tassazione dei proventi derivanti dall’attività in cambi, è la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 102/E del 25 ottobre 2011 in risposta ad un quesito posto da Assosim circa il regime reddituale dei differenziali scaturenti dalla compravendita di valuta in conseguenza della nuova definizione utilizzata dal TUF per tali contratti[7].
In particolare, la compravendita di valute sul Foreign Exchange Market (FOREX) avviene mediante la conclusione dei contratti “spot” e “rolling spot”. L’operatività sul mercato FOREX prevede il regolamento delle transazioni mediante l’utilizzo di un margine ed è esclusa la possibilità di consegna fisica dei controvalori della valuta intermediata. Nel caso di contratti spot la compravendita di valute è regolata giornalmente attraverso una piattaforma elettronica di trading on line per cui le posizioni dei singoli clienti sono aperte e chiuse nella stessa giornata. Nel caso di contratti rolling spot le operazioni chiuse al termine della giornata vengono riaperte nella giornata successiva qualora il cliente abbia convenienza a mantenere in essere, oltre la giornata lavorativa, le posizioni di mercato assunte. In tale ipotesi, l’intermediario applica un meccanismo di rollover consistente nella chiusura e nella successiva riapertura della posizione, in modo che al termine della giornata lavorativa il cliente non potrà mai avere una giacenza di valuta estera.
L’Agenzia delle Entrate, in considerazione delle modifiche apportate dall’articolo 9, comma 7 del decreto legislativo 3 agosto 2010, n. 141 all’articolo 1, comma 4 del TUF, palesa, mediante la risposta all’interpello in argomento, una modifica della propria posizione circa la qualificazione fiscale dei proventi derivanti dall’operatività del mercato FOREX rispetto a quanto aveva avuto modo di precisare nella risoluzione n. 67/E del luglio 2010, dove i contratti rolling spot generavano proventi rientranti nella categoria di cui all’articolo 67, comma c-quinquies del TUIR, escludendo in questo modo la possibilità di dedurre i differenziali negativi (le minusvalenze) in dipendenza di un evento incerto, questo ai sensi dell’articolo 68, comma 5 del TUIR[8]. In sostanza, l’Agenzia argomenta il mutamento della propria posizione circa l’operatività in rolling spot sulla base del fatto che la disciplina civilistica prevede ora che i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza anche mediante operazioni di rinnovo automatico (cd. “roll-over”), rientrano tra i “contratti finanziari differenziali”[9] i quali, ai sensi del TUF, sono ora considerati strumenti finanziari derivati, concludendo che i redditi derivanti da tali operazioni rientrano tra quelli di cui all’articolo 67, comma c-quater del TUIR (non più quindi, c-quinquies) , con evidente vantaggio per il contribuente che potrà ora vedersi dedurre le minusvalenze. Le conclusioni cui perviene l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione in argomento, consentono di far rientrare i redditi derivanti dai rolling spot nell’alveo delle disposizioni di cui al D. Lgs. n. 461/1997 mediante l’applicazione dell’imposta sostitutiva nella misura del 26% a cura dell’intermediario qualora il contribuente abbia optato per il regime c.d. “amministrato”, sulla somma algebrica dei differenziali realizzati, non solo quelli positivi, bensì anche quelli negativi.
[1] Si veda a questo proposito la Circolare ABI 26 giugno 1998, n. TR/4310, pag. 56.
[2] Cfr. Istruzioni al Modello Unico Persone Fisiche 2016, Fascicolo 2, p. 22.
[3] “Per quanto concerne la determinazione della base imponibile delle plusvalenze derivanti dalla cessione a termine di valute, il legislatore ha confermato l’attuale normativa secondo cui la plusvalenza è pari alla differenza tra il corrispettivo percepito a fronte della cessione (determinato in funzione del cambio a termine) ed il valore delle valute calcolato in base al cambio a pronti vigente alla data di stipula del contratto di cessione. In pratica, la plusvalenza (o minusvalenza) è costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito e il costo della valuta come sopra determinato”., cfr. Circolare n. 165 del 24 giugno 1998.
[4] Cfr. Circolare n. 165 del 24 giugno 1998, Circolare ABI TR/4301 del 1998.
[5] G. Escalar, Il riordino della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, in Commento agli interventi di riforma tributaria, a cura di M. Miccinesi, Padova, 1999, p. 582; G. Bolelli, A. Calori, M. Piazza, La tassazione dei redditi di natura finanziaria, Roma, 2002, p. 168; N. Girolamo, L. Rossi, P. Scarioni, La tassazione delle rendite finanziarie, Bologna, 1999, p. 151.
[6] Cfr. ancora Circ. n. 165 del 24 giugno 1998.
[7] Cfr. Marco Piazza, Le istruzioni sul “FOREX” ufficializzate dall’Agenzia in Il Sole 24 Ore, 26 ottobre 2011, p. 37, Luigi Riccardi, L’assimilazione della compravendita di valute a pronti alla categoria degli strumenti finanziari: gli effetti sul trattamento impositivo dei redditi diversi derivanti dalle operazioni sul foreign exchange market, in Strumenti finanziari e fiscalità, n. 6, 2012, EGEA, Milano, p. 143.
[8] Cfr. anche P. De Capitani di Vimercate, La tassazione dei proventi da operazioni in valuta sul mercato FOREX tra lettera c-ter, quater e quinquies dell’articolo 67 del TUIR, in Strumenti finanziari e fiscalità, n. 3, 2011, EGEA, Milano, p. 125.
[9] Sulla definizione di “contratti finanziari differenziali” accolta dal legislatore italiano in considerazione della direttiva MiFID, si veda E. Girino, I contratti derivati, Milano, 2010, p. 191 ss.