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Il regime fiscale delle polizze vita alla luce delle modifiche recate dalla legge di stabilità 2015

6 Dicembre 2016

Roberta Moscaroli, Partner, Dentons Europe Studio Legale Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

1. Premessa

La legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) è intervenuta sul regime fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita, limitandone – a decorrere dal 1° gennaio 2015[1] – l’esenzione dall’IRPEF ai soli capitali percepiti, in caso di morte dell’assicurato, a copertura del rischio demografico.

Le modifiche intervenute hanno formato oggetto di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle entrate con la circolare 1° aprile 2016, n. 8/E e successivamente con la risoluzione 16 settembre 2016, n. 76/E.

Scopo del presente contributo è di illustrare in modo completo e sistematico la disciplina fiscale dei contratti di assicurazione sulla vita ai fini delle imposte sul reddito, alla luce delle più recenti modifiche normative e dei chiarimenti emanati al riguardo dall’Agenzia delle entrate, al fine di fare chiarezza su un regime impositivo alquanto complesso.

2. Tipologie di polizze vita

Preliminarmente vale ricordare chel’assicurazione sulla vita è il contratto in base al quale l’assicuratore, dietro il pagamento di un premio periodico o unico, garantisce un capitale o una rendita, al verificarsi di un evento attinente alla vita umana (articolo 1882 del codice civile).

In base alle differenti tipologie di rischio coperto, i contratti di assicurazione sulla vita sono usualmente distinti nelle seguenti specie:

a. assicurazioni per il caso vita, per tali intendendosi le polizze in cui la prestazione è erogata nell’ipotesi in cui l’assicurato risulti vivo (i.e.: sopravviva) ad una determinata scadenza.

La prestazione può essere erogata, alternativamente:

  • sotto forma di capitale (una tantum);
  • sotto forma di rendita (pagamenti periodici dovuti per tutta la vita dell’assicurato), la quale, a sua volta, può atteggiarsi come:
    – rendita vitalizia immediata (pagamenti periodici per tutta la vita dell’assicurato, dalla sottoscrizione del contratto);
    – rendita vitalizia differita (pagamenti periodici per tutta la vita dell’assicurato, dal termine del periodo di versamento dei premi);
    – rendita temporanea (se il termine del periodo di pagamento della rendita non coincide con la morte dell’assicurato, ma è prestabilito nel contratto);

b. assicurazioni per il caso morte, per tali intendendosi le polizze in cui la prestazione è erogata nell’ipotesi di decesso dell’assicurato[2].

Nell’ambito del genus “assicurazione per il caso morte”, ancora, si distinguono le seguenti species:

  • assicurazioni “a vita intera”, in cui la prestazione è dovuta in qualsiasi momento intervenga la morte dell’assicurato, indipendentemente dalla durata contrattuale;
  • assicurazioni “temporanee” o “temporanee caso morte”, in cui la prestazione dell’assicuratore è dovuta solo ove il decesso dell’assicurato avvenga entro un determinato periodo di tempo (ovverosia entro la durata contrattuale, nulla essendo invece dovuto se il decesso avviene dopo la scadenza del contratto).

La distinzione tra i due suddetti tipi di assicurazione assume rilievo, tra l’altro, per la sussistenza del diritto di riscatto[3]. Vale infatti osservare che:

  1. nelle assicurazioni caso morte a vita intera l’assicuratore assume l’onere di una prestazione certa (essendo il rischio riferito al tempo in cui avverrà la prestazione), per cui è presente una componente di risparmio (la parte di premi capitalizzata che verrà restituita a scadenza) ed è di conseguenza possibile esercitare, da parte del contraente, il diritto di riscatto e la riduzione;
  2. nelle assicurazioni temporanee per il caso morte invece l’ammontare dei premi versati non ha alcuna componente di risparmio, cosicché non vi è una parte di premi capitalizzata che verrà restituita a scadenza e non è previsto né diritto di riscatto né valore di riduzione.

c. assicurazioni miste, per tali intendendosi le polizze in cui la prestazione è erogata comunque e cioè: (i) all’assicurato (o al beneficiario, se diverso dall’assicurato), ove questi sia in vita ad una determinata scadenza, oppure (ii) al(i) beneficiario(i), alla data del decesso dell’assicurato, in caso di premorienza di questi rispetto alla medesima scadenza.

Tra i contratti di assicurazione sulla vita, peraltro, si annoverano fattispecie in cui la componente dell’investimento finanziario è particolarmente marcata, quali – inter alia – i contratti “index linked”, in cui le prestazioni sono direttamente collegate ad un indice azionario o ad altro valore di riferimento[4], ed i contratti “unit linked”, in cui le prestazioni sono direttamente collegate al valore di attivi contenuti in un fondo interno oppure al valore delle quote di OICR[5].

Ancora, sempre al fine di fornire un quadro esaustivo, si ricorda che ai contratti di assicurazione sulla vita sono assimilati i “contratti di capitalizzazione”, per tali intendendosi quelli con i quali l’impresa assume l’impegno a pagare, senza convenzione relativa alla durata della vita umana, una somma di danaro quale corrispettivo del versamento di premi unici o periodici al decorso di un termine non inferiore a cinque anni (articolo 40, decreto legislativo n.174 del 17 marzo 1995)[6].

3. Regime fiscale delle polizze vita

3.1. Premessa

Il regime fiscale delle polizze vita si basa sulla summa divisio, introdotta con la riforma attuata mediante il decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47 e ss.ii.mm., tra le seguenti due macro-categorie di polizze vita:

  1. polizze di puro rischio (quali le assicurazioni “temporanee caso morte”), che hanno una funzione esclusivamente assicurativa. Come meglio specificato infra, per detti contratti sono stati mantenuti il regime di detraibilità dei premi pagati e quello di esenzione dei capitali erogati al verificarsi del rischio;
  2. polizze a prevalente carattere finanziario (assicurazioni per il caso vita e contratti di capitalizzazione)[7], assimilati alla generalità degli strumenti finanziari (e quindi senza alcuna detrazione per i premi versati e con tassazione dei rendimenti finanziari erogati a scadenza).

Rispetto a dette categorie, vi è inoltre la categoria “intermedia” delle polizze nelle quali oltre ad una causa assicurativa pura vi è anche una causa finanziaria (polizze “miste” e polizze “a vita intera”), in cui la prestazione corrisposta al beneficiario può comprendere anche un rendimento di natura finanziaria. Come si dirà, ai fini fiscali, tali contratti sono sostanzialmente “scissi” nelle due componenti citate (demografico-assicurativa, da un lato, e finanziaria dall’altra) e trattati fiscalmente di conseguenza.

L’intervento recato dalla legge di stabilità 2015 si innesta, come si vedrà, su detto impianto, rendendo coerente, per le polizze “miste” e per quelle “a vita intera”, il trattamento impositivo dei capitali corrisposti in dipendenza dell’evento morte rispetto a quanto previsto in tema di detraibilità dei premi versati.

Nel presente paragrafo illustreremo il regime fiscale applicabile alle varie tipologie di contratti di assicurazione sulla vita, segnalando sin d’ora che detta disamina sarà effettuata prendendo in considerazione, nell’ordine:

  1. il regime dei premi versati (in termini di loro eventuale deducibilità dal reddito o detraibilità dalle imposte);
  2. il regime delle prestazioni erogate a scadenza.

3.2. Polizze di puro rischio e polizze “miste” o a “vita intera”

Ai sensi dell’articolo 15 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e ss.ii.mm. (di seguito, “TUIR”)[8], i premi versati per i contratti di assicurazione aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente non inferiore al cinque per cento da qualsiasi causa derivante o di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana (sempreché, in quest’ultima evenienza, l’impresa di assicurazione non abbia facoltà di recesso dal contratto), entro determinati limiti, sono detraibili dall’imposta lorda, in misura pari al 19 per cento del relativo ammontare[9].

La disposizione in commento si applica, evidentemente, alle polizze “temporanee caso morte”, nelle quali i premi versati sono integralmente volti alla copertura del rischio demografico.

Il comma 2 dell’articolo 13 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 47 stabilisce inoltre che, per i contratti di assicurazione che prevedono la copertura di più rischi aventi un regime fiscale differenziato, nella polizza va evidenziato l’importo del premio afferente a ciascun rischio (al fine di evidenziare i premi per i quali spetta la detrazione d’imposta).

Ora, si è già ricordato (cfr. supra, sub § 2) che, nell’ambito dei contratti di assicurazione finalizzati alla copertura del rischio di morte, rientrano non solo quelli in cui l’erogazione della prestazione è dovuta esclusivamente per il caso di morte, ma anche quelli che prevedono l’erogazione sia in caso di morte sia in caso di permanenza in vita dell’assicurato alla scadenza del contratto stesso o di riscatto prima della scadenza (polizze cosiddette “miste”). Pertanto, in quest’ambito rientrano anche i contratti che hanno per oggetto il cosiddetto rischio di morte a vita intera[10] [11].

Il disposto dell’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo n. 47 del 2000 comporta che, sotto il profilo fiscale, per questi ultimi contratti (i.e., polizze “miste” e polizze “a vita intera”), potrà fruire della detrazione la sola parte del premio riferibile al rischio di morte[12].

Per quanto concerne il trattamento fiscale delle prestazioni erogate a scadenza, queste sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche, limitatamente alla parte riferibile alla componente demografica (i.e., di puro rischio).

Detto trattamento deriva:

  • dall’articolo 34, ultimo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, nel testo riformulatodall’articolo 1, comma 658 della legge di stabilità 2015, secondo il quale i capitali percepiti in caso di morte in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita, a copertura del rischio demografico, sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche;
  • dall’articolo 6, comma 2, del TUIR, ai sensi del quale non costituiscono reddito le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento dipendente da invalidità permanente o da morte.

Si noti che, sulla base delle disposizioni contenute nell’articolo 34, ultimo comma, del D.P.R. n. 601 del 1973 nel testo vigente prima delle modifiche recate dall’articolo 1, comma 658 della legge di stabilità 2015 (e quindi sostanzialmente fino al 2014), i capitali percepiti in caso di morte dell’assicurato dai beneficiari di contratti di assicurazione sulla vita erano comunque del tutto esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (e cioè anche laddove il contratto in questione fosse “a vita intera” o di tipo “misto”)[13].

Come specificato, i commi 658 e 659 dell’articolo 1 della legge di stabilità 2015, modificando il citato quinto comma dell’articolo 34 del D.P.R. n. 601 del 1973, hanno limitato – a decorrere dal 1° gennaio 2015[14] – la predetta esenzione ai soli capitali erogati, in dipendenza di contratti assicurativi per caso morte, a copertura del rischio demografico e non anche ai relativi rendimenti di natura finanziaria.

Sul piano operativo, la modifica normativa in esame determina una diversificazione del regime fiscale applicato ai capitali erogati in dipendenza di polizze assicurative per il caso morte aventi differenti caratteristiche contrattuali (così anche l’Agenzia delle entrate, con la circolare n. 8/E del 2016).

In particolare, secondo il “nuovo” regime (e cioè quello in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2015):

  • nel caso di contratti di assicurazione “temporanea caso morte”, i cui premi sono finalizzati interamente alla copertura del rischio demografico, si applica – come sopra specificato – la totale esenzione dall’IRPEF di quanto corrisposto ai beneficiari (come nel passato);
  • diversamente, nel caso delle cosiddette polizze vita “miste” o “a vita intera”, caratterizzate – come visto – sia da una componente demografica che da una componente finanziaria, anche laddove l’evento che determini l’erogazione del capitale sia costituito dalla morte dell’assicurato, è esente dall’IRPEF il solo capitale erogato a copertura del “rischio demografico”, mentre la parte restante della prestazione corrisposta è imponibile[15].
    Più in dettaglio, tale ultimo reddito rientra fra i redditi di capitale di cui all’articolo 44, comma 1, lettera gquater) del TUIR ed è determinato ai sensi del successivo articolo 45, comma 4, in base al quale «i capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione costituiscono reddito per la parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati[16]. Detto reddito di capitale imponibile è soggetto all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 26-ter, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, secondo le regole di seguito meglio specificate con riferimento alle polizze “finanziarie”.
    Ancora, ai fini dell’applicazione – in concreto – di detta disciplina, l’Agenzia ha specificato che l’ammontare della prestazione imponibile debba corrispondere alla differenza fra (i) il “valore di riscatto” (che in caso di sopravvivenza sarebbe stato riconosciuto all’assicurato, sulla base delle condizioni contrattuali) e (ii) l’ammontare dei premi pagati al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio morte[17].
    Nei casi in cui non sia possibile determinare il valore di riscatto (in particolare nei casi in cui il decesso dell’assicurato si verifichi in un momento in cui il contratto assicurativo non prevede ancora la possibilità di riscatto), l’Agenzia ritiene che si possa assumere, in sostituzione di tale dato, la riserva matematica rilevata alla data del decesso. Vale infatti osservare che il valore di riscatto e la riserva matematica forniscono un’approssimazione attendibile della componente finanziaria della polizza.

Infine, resta altresì inteso che, come nel passato (e cioè prima delle modifiche apportate dalla legge di stabilità 2015), nel caso delle polizze “miste” o “a vita intera”, laddove la prestazione sia corrisposta (non già per il verificarsi del caso morte bensì) per effetto della permanenza in vita dell’assicurato alla scadenza del contratto ovvero del riscatto della polizza, viene a configurarsi – come anche desumibile da quanto specificato per il caso precedente – un reddito di capitale ex articolo 44, comma 1, lettera g-quater) del TUIR, da assoggettare all’imposta sostitutiva di cui all’articolo 26-ter, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973, sulla parte corrispondente alla differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati, a norma dell’articolo 45, comma 4, del TUIR, secondo le regole previste per la tassazione dei capitali erogati in dipendenza delle polizze cosiddette finanziarie, di seguito analizzate (cfr. infra, sub § 3.3).

3.3. Contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione aventi prevalente contenuto finanziario

Come già precisato nelle premesse del presente paragrafo, per i contratti di assicurazione a prevalente contenuto finanziario (i.e.: contratti di assicurazione sulla vita diversi da quelli aventi per oggetto il rischio di morte, di invalidità permanente e di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana) e per i contratti di capitalizzazione, i premi versati non danno diritto ad alcuna deduzione dal reddito o detrazione dall’imposta[18].

Inoltre i rendimenti finanziari che derivano da tali contratti costituiscono redditi di capitale (articolo 44, comma 1, lettera g-quater), del TUIR), determinati, ex articolo 45, comma 4, del TUIR, come «differenza tra l’ammontare percepito e quello dei premi pagati». A norma dello stesso articolo, si considera corrisposto anche il capitale convertito in rendita a seguito di opzione.

Con riferimento alla tassazione di detti redditi di capitale, l’articolo 26-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dall’articolo 14 del decreto legislativo n. 47 del 2000, stabilisce l’applicazione da parte dell’impresa di assicurazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi nella misura prevista dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997 (attualmente il 26 per cento)[19].

In proposito, l’Agenzia, nella circolare n. 8/E citata, ha opportunamente ricordato che sui redditi di capitale in parola l’imposta sostitutiva si applicherà con l’aliquota vigente nei periodi di maturazione degli stessi e cioè, in dettaglio:

  • l’aliquota del 12,5 per cento sulla parte di rendimento maturata fino al 31 dicembre 2011;
  • l’aliquota del 20 per cento sulla parte di rendimento maturata dal 1° gennaio 2012 al 30 giugno 2014;
  • l’aliquota del 26 per cento sulla parte di rendimento maturata dal 1° luglio 2014.

Infine, si ricorda che dal 1° gennaio 2012 la base imponibile del reddito in questione è ridotta di una quota riferibile alle obbligazioni ed altri titoli di cui all’articolo 31 del D.P.R. n. 601 del 1973 ed equiparati e alle obbligazioni emesse da Stati che assicurano un adeguato scambio di informazioni individuati nel decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 e successive modificazioni (cosiddetta white list) e, dal 1° luglio 2014, da enti territoriali degli stessi. Tale riduzione è operata ai sensi delle disposizioni del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze del 13 dicembre 2011 riguardanti i contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione[20].

Come già precisato, con riferimento ai contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, l’articolo 26-ter, comma 1, del D.P.R. n. 600 del 1973 ha previsto l’assoggettamento ad imposta sostitutiva dei redditi di cui all’articolo 41, comma 1, lettera g-quater), del TUIR. L’esplicito riferimento a tale norma (ossia alla fattispecie di redditi di capitale corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione) impedisce l’applicazione della stessa disposizione ai proventi della medesima specie conseguiti da soggetti che esercitano attività d’impresa. Conseguentemente, ai redditi in esame conseguiti da soggetti che esercitano attività di impresa non dovrà essere applicata la predetta imposta sostitutiva[21].

4. In particolare: le polizze vita a prestazioni ricorrenti

Nel corso del tempo si sono poste alcune questioni interpretative con riferimento a specifiche tipologie di polizze di assicurazione caratterizzate, oltre che dalla corresponsione di un capitale a scadenza di importo pari, superiore o inferiore all’ammontare dei premi versati, anche dall’erogazione di prestazioni ricorrenti (cedole).

La particolarità della fattispecie, tale da rendere opportuna una pronuncia da parte dell’Amministrazione, riguardava l’eventualità in cui le clausole contrattuali non prevedessero un capitale garantito, né a scadenza né in caso di riscatto anticipato, cosicché la prestazione erogata alla scadenza del contratto o in occasione di altre cause di estinzione contrattuale poteva risultare inferiore a quella dei premi pagati[22].

L’Agenzia delle entrate era già intervenuta sul punto con la risoluzione 17 novembre 2004, n. 138/E, con la quale aveva precisato che le prestazioni ricorrenti di una polizza sono tassabili qualora alle prestabilite scadenze periodiche sia determinabile con certezza la sussistenza di un vero e proprio rendimento finanziario della polizza stessa e non soltanto nell’ipotesi in cui il loro importo complessivo abbia superato quello dei premi pagati.

Sulla base del medesimo documento di prassi è stato, a tal fine, precisato che le prestazioni ricorrenti assumono rilevanza ai fini della tassazione qualora il loro importo, aumentato dell’eventuale capitale minimo garantito in caso di riscatto anticipato o alla scadenza contrattuale, ecceda i premi versati[23].

L’esistenza di tali fattispecie ha indotto l’Agenzia delle entrate ad escludere l’imponibilità delle prestazioni ricorrenti erogate nel corso della durata contrattuale qualora alla data della loro corresponsione non siano maturati rendimenti che presentino il carattere della certezza e, quindi, della definitività[24]. Sulla base di tali premesse, pertanto, l’Agenzia ha ritenuto corretto “sospendere” la tassazione delle prestazioni ricorrenti fino al momento dell’erogazione del capitale assicurato, a seguito di riscatto o a scadenza del contratto. La tassazione troverà applicazione, infatti, sull’eventuale rendimento finanziario corrisposto al momento dell’erogazione della prestazione, qualora – appunto – si venga a determinare un differenziale positivo tra l’ammontare delle prestazioni ricorrenti programmate, aumentate di quello della prestazione corrisposta a scadenza o in caso di riscatto anticipato, e l’ammontare dei premi versati[25].

L’Agenzia delle entrate è tornata sul tema delle polizze con prestazioni ricorrenti (cedole) con la circolare n. 8/E del 2016 e successivamente con la risoluzione 16 settembre 2016, n. 76/E, entrambe emanate per tener conto delle modifiche recate dalla legge di stabilità 2015 e del relativo “impatto” sui criteri impositivi di dette polizze.

A tal fine, l’Agenzia ha rilevato che nel § 1 della predetta circolare n. 8/E del 2016 è stato individuato, quale criterio principale da utilizzare per l’individuazione della parte imponibile della prestazione, la «differenza fra il “valore di riscatto” che sarebbe stato riconosciuto all’assicurato, come determinato al momento individuato sulla base delle pattuizioni contrattuali e l’ammontare dei premi pagati al netto di quelli corrisposti per la copertura del rischio morte». Detto criterio si applica anche alle polizze con prestazioni ricorrenti (cedole).

L’adozione di tale modalità di determinazione del reddito imponibile presuppone, tuttavia, che nel caso concreto sia possibile distinguere i premi riferibili alla copertura del rischio morte e quelli riferibili alla prestazione di tipo finanziario prevista dalla polizza.

Nel §2, la medesima circolare si è occupata, infine, della fattispecie costituita dalle polizze sulla vita con prestazioni ricorrenti, nel caso in cui la suddetta distinzione non sia possibile, indicando a tal fine un criterio proporzionale.

Rispetto a tale ambito, è stato fornito – in particolare – un esempio in cui, a fronte di un premio unico di 800 euro, viene corrisposta una prestazione complessiva di 1.800 euro composta da prestazioni ricorrenti (cedole) già erogate nel corso del contratto (450 euro) e dalla prestazione all’atto del decesso (1.350 euro) di cui una parte a copertura del rischio demografico (500 euro) e un’altra parte (850 euro) “per la componente finanziaria determinata in base ai criteri illustrati nel paragrafo 1”. Nel caso prospettato, la parte imponibile della prestazione sarà determinata in misura proporzionale all’incidenza della componente finanziaria rispetto alla totalità della prestazione erogata (1.300 euro / 1.800 euro = 72,2%)[26].

La successiva risoluzione n. 76/E del 2016, peraltro, ha opportunamente precisato che, anche per le polizze a prestazioni ricorrenti, il suddetto criterio proporzionale ha carattere suppletivo e cioè verrà in rilievo solo per i contratti in cui il(i) premi(o) versato(i) non sia(no) scindibile(i) nelle due componenti di copertura di rischio (“finanziario” e “demografico”).

 


[1] Rectius: per i proventi percepiti a decorrere dal 1° gennaio 2015, anche qualora l’evento morte sia avvenuto anteriormente a tale data.

[2] Detti contratti sono detti “di puro rischio”. Più in generale, anche secondo le definizioni della normativa regolamentare di settore, sono definiti come “contratti di puro rischio” quei contratti di assicurazione in cui le prestazioni sono legate esclusivamente al verificarsi di eventi quali il decesso, l’invalidità, l’inabilità dell’assicurato.

[3] Con esso viene erogata anticipatamente, al contraente, la prestazione maturata. Il riscatto è quindi ammissibile solo se la prestazione è certa ed il rischio risiede nel “quando” dovrà essere effettuata. I presupposti per l’esercizio del diritto di riscatto sono: (i) che il contraente dichiari di voler riscattare la polizza in modo che l’assicuratore ne venga a conoscenza; (ii) che sussista il debito dell’assicuratore cioè che esista la riserva matematica (che è quell’ammontare di denaro accantonato ed investito dall’assicuratore per far fronte agli impegni derivanti dal contratto). Nelle condizioni di polizze è specificato come deve essere calcolato il valore di riscatto ed è compito dell’assicuratore indicare in qualsiasi momento tale valore (art.1925 c.c.). Sull’argomento si v Donati, A. – Volpe putzolu, G., Manuale di diritto delle assicurazioni, Milano, 2000; bazzano, C., L’assicurazione sulla vita, Milano, 1998, 164 e ss..

[4] Articolo 30, comma 2, decreto legislativo n.174 del 17 marzo 1995.

[5] Articolo 30, comma 1, decreto legislativo n.174 del 17 marzo 1995.

[6] Detta assimilazione opera anche ai fini fiscali, come ricordato dall’Agenzia delle entrate già con la circolare n. 14 (prot. n. 8/128) del 17 giugno 1987.

[7] Che si pongono, per così dire, all’estremo opposto dei contratti di puro rischio.

[8] Fino al 31 dicembre 2003, corrispondente all’articolo 13-bis), comma 1, lettera f) del TUIR.

Si ricorda che l’articolo 13-bis, comma 1, lettera f), del TUIR, nella formulazione precedente alle modifiche recate dal D.Lgs. 18 febbraio 2000, n. 47, disponeva la detrazione dall’imposta lorda di un importo pari al 19 per cento dei premi per assicurazioni sulla vita del contribuente, dei premi contro gli infortuni e dei contributi previdenziali non obbligatori per legge, per un importo complessivamente non superiore a lire 2 milioni e 500 mila.

La detrazione relativa ai premi per assicurazione sulla vita era ammessa a condizione che il contratto avesse durata non inferiore a cinque anni dalla sua stipulazione e non consentisse la concessione di prestiti nel periodo di durata minima.

Veniva, inoltre, previsto che in caso di riscatto dell’assicurazione nel corso del quinquennio, l’ammontare dei premi per i quali si era fruito della detrazione d’imposta costituisse reddito da assoggettare a tassazione applicando una aliquota non superiore al 19 per cento. In questo caso l’impresa assicuratrice era tenuta ad operare, sulla somma corrisposta al contribuente, una ritenuta a titolo di acconto con l’aliquota stabilita dall’articolo 11 del TUIR per il primo scaglione di reddito commisurata all’ammontare complessivo dei premi riscossi ed effettivamente portati in detrazione.

[9] Ai sensi dell’articolo 15, comma 1, lettera f) del TUIR, dall’imposta lorda si detrae un importo pari al 19 per cento dei seguenti oneri sostenuti dal contribuente, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi che concorrono a formare il reddito complessivo «i premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente non inferiore al 5 per cento da qualsiasi causa derivante, ovvero di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, se l’impresa di assicurazione non ha facoltà di recesso dal contratto, per un importo complessivamente non superiore a euro 630 per il periodo d’imposta in corso alla data del 31 dicembre 2013, nonché a euro 530 a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2014 e, a decorrere dallo stesso periodo d’imposta, a euro 1.291,14, limitatamente ai premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, al netto dei predetti premi aventi per oggetto il rischio di morte o di invalidità permanente. A decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2016, l’importo di euro 530 è elevato a euro 750 relativamente ai premi per assicurazioni aventi per oggetto il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge. Con decreto del Ministero delle finanze, sentito l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private (ISVAP), sono stabilite le caratteristiche alle quali devono rispondere i contratti che assicurano il rischio di non autosufficienza. Per i percettori di redditi di lavoro dipendente e assimilato, si tiene conto, ai fini del predetto limite, anche dei premi di assicurazione in relazione ai quali il datore di lavoro ha effettuato la detrazione in sede di ritenuta».

[10] Cfr. in tal senso la circolare dell’Agenzia delle entrate 20 marzo 2001, n. 29/E, le cui indicazioni sul punto sono ancora valide.

[11] Come si è specificato, infatti, nelle polizze cosiddette miste e nei contratti a vita intera il premio è formato da una parte (solitamente ridotta) destinata a coprire il rischio morte ed una parte destinata ad un impiego finanziario.

[12] Cfr. anche la circolare n. 29/E del 2001, citata.

[13] Al riguardo, nella circolare n. 29/E del 2001, era stato precisato che, se l’evento che determinava l’erogazione della prestazione era la morte, l’intero ammontare delle somme corrisposte (quindi comprensivo degli eventuali rendimenti finanziari) non era soggetto a tassazione. L’esenzione dalla tassazione, pertanto, era intesacon riferimento all’intera somma che risarciva il verificarsi dell’evento morte, a prescindere dalla natura finanziaria di parte della prestazione corrisposta ai beneficiari dell’assicurazione sulla vita per il caso di morte dell’assicurato.

[14] Più precisamente, detta modifica si applica ai proventi percepiti a decorrere dal 1° gennaio 2015, anche qualora l’evento morte sia avvenuto anteriormente a tale data.

[15] Con le regole previste per la tassazione dei capitali erogati in dipendenza delle polizze “finanziarie” (su cui cfr. infra).

[16] Sostanzialmente, pertanto, l’imponibilità è limitata ai rendimenti finanziari inclusi nei capitali erogati a scadenza. In altri termini, la restituzione dei premi non costituisce mai un reddito.

[17] In proposito, la stessa Agenzia fornisce una serie di ipotesi esemplificative, di cui in questa sede ci si limita a riportare la seguente:

«Esempio 1 – Caso in cui il valore di riscatto è inferiore al capitale erogato

Polizza “mista” vita stipulata il 1° gennaio 2010

Decesso il 31 gennaio 2015

Premi corrisposti per 1200 euro (di cui 1000 euro riferibili alla componente finanziaria e 200 euro riferibili al rischio demografico)

Capitale erogato caso morte pari a 4000 euro

Valore di riscatto pari a 3000 euro

Il valore di riscatto (3000) è inferiore al capitale erogato (4000)

Reddito imponibile = 3000 – 1000 = 2000».

[18] La previgente disciplina relativa al trattamento fiscale dei proventi derivanti da contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, era contenuta nell’articolo 6 della legge 26 settembre 1985, n. 482.

Tale disposizione stabiliva che sui capitali corrisposti le imprese di assicurazione dovevano operare una ritenuta, a titolo di imposta e con obbligo di rivalsa, del 12,50 per cento. La ritenuta era commisurata alla differenza tra l’ammontare del capitale corrisposto e quello dei premi riscossi, ridotta del 2 per cento per ogni anno successivo al decimo se il capitale era corrisposto dopo almeno dieci anni dalla conclusione del contratto.

In relazione a tali contratti, l’articolo 3, comma 113, della legge 28 dicembre 1995, n. 549 aveva stabilito che nei confronti dei soggetti che nell’esercizio di attività commerciali percepissero capitali corrisposti in dipendenza di contratti di assicurazione sulla vita e di capitalizzazione, stipulati a decorrere dal 1 gennaio 1996, data di entrata in vigore di tale legge, la predetta ritenuta era applicata a titolo di acconto.

[19] L’imposta è applicata dall’impresa di assicurazione residente. Qualora il contratto sia stipulato con un’impresa estera, invece, l’imposta sostitutiva può essere applicata direttamente dall’impresa estera operante nel territorio dello Stato in regime di libertà di prestazione di servizi oppure da un rappresentante fiscale – sostituto d’imposta residente – che risponde in solido con l’impresa di assicurazione per gli obblighi di determinazione e versamento dell’imposta. Negli altri casi (e cioè in tutti i casi in cui si tratti di polizze di assicurazione estere per le quali non trovi applicazione la speciale disciplina prevista per le polizze offerte in Italia in regime di libera prestazione dei servizi), l’imposta sostitutiva è applicata dal soggetto residente, sostituto d’imposta, che interviene nella riscossione dei proventi.

[20] Cfr. Agenzia delle entrate, circolare n. 8/E del 2016, citata.

[21] Se i proventi corrisposti a persone fisiche o a enti non commerciali sono relativi a contratti stipulati nell’ambito dell’attività commerciale, al fine di non applicare la predetta imposta sostitutiva, le imprese di assicurazione dovranno acquisire una dichiarazione da parte degli interessati riguardo alla sussistenza di tale circostanza; in tal caso l’imposta sostitutiva non dovrà essere applicata (cfr. anche, in tal senso, la circolare 29/E del 2001, citata).

[22] Cosicché sostanzialmente il rendimento finanziario poteva mancare del tutto.

[23] Cfr. N. Arquilla, La disciplina fiscale delle polizze assicurative, in “il fisco” n. 21 del 2015.

[24] Al momento dell’erogazione delle singole prestazioni ricorrenti – e finché l’ammontare delle stesse risulti di importo non superiore a quello dei premi versati – non è infatti possibile stabilire con certezza l’esistenza delle condizioni per l’applicazione dell’imposta (così N. Arquilla, op. cit.).

[25] Cfr. N. Arquilla, op. cit..

[26] Come specificato, con tale esempio sono state fornite indicazioni per fattispecie in cui, in assenza di dati certi circa la riferibilità dei premi versati alle componenti, demografica e finanziaria, della polizza, il premio “unico” di 800 euro deve essere “suddiviso” replicando la proporzione delle due componenti sul valore della prestazione finale.

In tal caso, il reddito complessivo della polizza è pari alla differenza tra la prestazione erogata complessivamente (1.800) e i premi pagati (800) dal sottoscrittore.

Determinata l’incidenza del reddito complessivo sulla prestazione erogata (pari a 1000/1800), ai fini della tassazione, il reddito dovrà essere ripartito come segue:

  • Reddito da assoggettare a tassazione in corrispondenza della quota della prestazione da attribuire al rendimento dell’investimento finanziario
    1000/1800 x (450 +850)
    1000/1800 x 1300 = 722,22; 11
  • Reddito esente da imposta in misura pari alla quota della prestazione da attribuire alla copertura del rischio demografico:
    1000/1800 x 500 = 277,77.
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