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Il regime IVA del distacco di personale: riflessioni alla luce della sentenza C-94/19 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

6 Aprile 2020

Federico Ymir Lissoni e Armando Tardini, Facchini Rossi Michelutti Studio Legale Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo trae spunto dalla recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea relativa alla causa C-94/19 (di seguito, la “Sentenza”) a mezzo della quale i Giudici europei hanno sostanzialmente rilevato l’incompatibilità del regime IVA italiano del distacco del personale – previsto dall’art. 8, comma 35, Legge 11 marzo 1988, n. 67 – con l’art. 2, punto 1, della Direttiva n. 77/388/CEE.

Più in particolare, dopo aver brevemente ripercorso le origini del suddetto regime, nonché le più significative interpretazioni dall’Amministrazione finanziaria e della giurisprudenza di legittimità, si provvederà a formulare alcune considerazioni circa l’efficacia temporale della Sentenza.

Il regime previsto dall’art. 8, comma 35, della Legge n. 67/1988

Occorre premettere che il regime IVA del distacco del personale è stato oggetto di diversi documenti di prassi dell’Amministrazione finanziaria pubblicati in epoca antecedente rispetto all’introduzione dell’art. 8, comma 35, legge n. 67/1988[1].

In maggior dettaglio, il Ministero delle Finanze, con riferimento ai prestiti di personale fra società collegate, aveva affermato che, poiché in ambito IVA le prestazioni di servizi sono rilevanti solo se poste in essere verso corrispettivo, “i prestiti di personale dipendente nell’ambito del Gruppo … non realizzano i presupposti per l’applicazione dell’I.V.A., sempreché … le somme pagate dalla Società utilizzatrice in dipendenza del prestito, siano esattamente commisurate alla retribuzione spettante al dipendente prestato ed ai relativi oneri previdenziali ed assistenziali; in tale ipotesi, infatti, le somme in questione sono da ritenere pagate non già a titolo di corrispettivo ma di semplice rimborso di spese di lavoro subordinato, come tali, non soggette al tributo” (cfr. risoluzione ministeriale n. 502712/1973).

Ad avviso del Ministero delle Finanze, dunque, condizione indispensabile affinché il distacco potesse essere considerato operazione non rilevante ai fini IVA era che le somme pagate al distaccante fossero “esattamente commisurate” alla retribuzione spettante al personale; e ciò in quanto le dette somme non potevano essere qualificate quale “corrispettivo” di una prestazione di servizi (rectius, di un’obbligazione di permettere) ai sensi dell’art. 3, D.P.R. n. 633/1972, ma quale “semplice rimborso di spese di lavoro subordinato, come tali non soggette al tributo”.

Il suddetto orientamento è stato poi recepito dal legislatore il quale, nell’ambito della c.d. “Legge finanziaria 1988” (Legge 11 marzo 1988 n. 67), all’art. 8, comma 35, ha previsto che “Non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo”.

Circa la corretta portata applicativa della disposizione in parola, l’Amministrazione finanziaria si è espressa con la Risoluzione, 5 giugno 1995, n. 152/E[2] chiarendo che il regime in parola trova applicazione a condizione che:

  1. il personale distaccato sia legato da rapporto di lavoro dipendente con il distaccante; e
  2. il distaccatario corrisponda il solo costo del personale prestato, e cioè la retribuzione, gli oneri fiscali e previdenziali, e le spese sostenute dai dipendenti (sul punto, cfr. anche Corte di Cassazione, sentenza del 6 marzo 1996, n. 1788)[3].

Ai fini della presente analisi si ritiene inoltre opportuno soffermarsi sulle principali pronunce giurisprudenziali che hanno interpretato il requisito dell’identità tra le somme corrisposte dal distaccatario e i costi sostenuti dal distaccante.

A tale riguardo, di particolare interesse risulta essere la sentenza della Corte di Cassazione, 7 settembre 2010, n. 19129. In tale pronuncia i giudici hanno distinto tre ipotesi, vale a dire quelle in cui

  1. il rimborso corrisponde al costo del personale distaccato. In tale ipotesi, la Cassazione ha confermato la piena applicabilità dell’art. 8, comma 35, citato, e la conseguente non rilevanza ai fini IVA del distacco;
  2. il rimborso è superiore al costo; ipotesi questa in cui i giudici di legittimità hanno ritenuto di operare un distinguo tra le somme corrispondenti al costo dei dipendenti distaccati, considerate non rilevanti ai fini IVA, e quelle eccedenti, considerate invece rilevanti ai fini dell’imposta configurandosi come corrispettivo per l’acquisizione di un servizio[4];
  3. il rimborso è inferiore al costo. In tal caso, la Cassazione ha stabilito che non si configurerebbe un’operazione rilevante ai fini IVA in ragione del fatto che il distaccatario “non avrebbe acquistato alcun bene e non avrebbe usufruito di alcuna prestazione da parte del soggetto distaccante”.

In una pronuncia immediatamente successiva, tuttavia, le Sezioni Unite hanno operato un revirement interpretativo, in aperto contrasto con la posizione assunta dai giudici di legittimità nell’ambito della sentenza n. 19129/2010.

È stato chiarito infatti che l’art. 8, comma 35, citato, “deve essere inteso nel senso che il distacco di personale è irrilevante ai fini dell’IVA soltanto se la controprestazione del distaccatario consista nel rimborso di una somma esattamente pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante”. I giudici di legittimità hanno dunque ristretto l’ambito oggettivo di applicazione del regime in parola negando l’esistenza di una sorta di “franchigia” (rappresentata dal costo sostenuto dal distaccante) fino a concorrenza della quale le somme corrisposte dal distaccatario non assumono rilevanza ai fini IVA, affermando al contrario l’integrale imponibilità del corrispettivo tutte le volte in cui non sia esattamente coincidente con il costo del personale distaccato[5].

Il rinvio pregiudiziale della Corte di Cassazione e la Sentenza

Così ricostruiti, in via di estrema sintesi, i principali interventi di prassi e giurisprudenziali che hanno preceduto e fatto seguito all’introduzione della disciplina di cui all’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988, di seguito si provvederà ad analizzare la Sentenza al fine di comprenderne gli impatti nell’ordinamento interno.

Innanzitutto, si deve rilevare che la Sentenza è stata pronunciata a seguito del rinvio pregiudiziale operato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2385 del 19 gennaio 2019.

In particolare, la fattispecie che ha dato origine al contenzioso dinanzi ai giudici di legittimità riguarda un avviso di accertamento a mezzo del quale l’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto il diritto di una società (distaccataria) di portare in detrazione l’IVA corrisposta all’atto del rimborso alla propria controllante (distaccante) di un importo pari al costo del personale distaccato; e ciò in quanto l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto (in applicazione del disposto di cui all’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988) che il suddetto rimborso, non facendo riferimento ad una prestazione di servizi, dovesse essere considerato fuori campo IVA.

In questo contesto, la Corte di Cassazione ha ritenuto necessario adire i giudici comunitari al fine di valutare la compatibilità della norma nazionale con il diritto comunitario e, in specie, con il disposto di cui agli artt. 2 (relativo alle operazioni imponibili) e 6 (relativo alle prestazioni di servizi) della Direttiva n. 77/388/CEE, oltreché con la definizione di “corrispettivo” dalla giurisprudenza europea.

Ebbene, la Corte è giunta alla conclusione che “l’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’IVA i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente”.

In maggiore dettaglio, si osserva che i giudici europei, dopo avere rilevato che:

  1. una prestazione di servizi è effettuata a titolo oneroso e configura pertanto un’operazione imponibile soltanto quando “sussiste un nesso diretto tra il servizio reso e il corrispettivo ricevuto” (in tal senso cfr., par. 21 della Sentenza); e che
  2. sulla base dei precedenti orientamenti assunti, sussiste un nesso diretto “quando due prestazioni si condizionano reciprocamente … vale a dire che l’una è effettuata solo a condizione che lo sia anche l’altra, e viceversa” (in tal senso cfr., par. 26 della Sentenza),

hanno rimesso alla Corte di Cassazione il compito di verificare se, nel caso specifico, il rimborso del costo del personale costituisse condizione necessaria per il distacco. In altre parole, alla luce della Sentenza, i giudici di legittimità dovranno valutare se il distaccante non avrebbe acconsentito al prestito del personale anche in assenza del suddetto rimborso (in tal senso cfr. par 27 della Sentenza).

Tale circostanza risulta di assoluto rilievo posto che i giudici europei parrebbero introdurre un principio in forza del quale se il datore di lavoro ha un interesse proprio a porre in essere il distacco (diverso dalla mera percezione del rimborso) viene a mancare il nesso diretto necessario perché detto rimborso possa considerarsi corrispettivo nell’ambito di una prestazione di servizi rilevante ai fini IVA.

Ebbene al fine di valutare la rilevanza o meno ai fini IVA del distacco, posto che, come noto, ai sensi della norma giuslavoristica[6], è necessario che il distaccante abbia un interesse specifico, rilevante, concreto e persistente[7] a porre in essere l’operazione, si tratterà di verificare, con riferimento al singolo caso concreto, se le somme corrisposte dal distaccatario abbiano natura di corrispettivo ovvero di semplice rimborso.

L’efficacia nel tempo della Sentenza

Tutto ciò promesso, verranno qui di seguito esposte le ragioni per le quali, ad avviso di chi scrive, la Sentenza non potrà essere invocata dall’Agenzia delle Entrate (o dai giudici nazionali) per contestare i comportamenti tenuti dai contribuenti in conformità al disposto dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988.

In via del tutto preliminare, occorre ricordare che il diritto dell’Unione Europea prevede tra i suoi principi fondamentali la salvaguardia del legittimo affidamento e della certezza del diritto. Sul punto, la Corte di Giustizia ha osservato che i suddetti principi possono essere derogati, in via eccezionale, solo “qualora lo esiga lo scopo da raggiungere e purché il legittimo affidamento degli interessati sia debitamente rispettato” (cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 26 aprile 2005, causa C-376/02). Del resto, anche il nostro ordinamento interno contiene una norma[8] che tutela espressamente il legittimo affidamento del contribuente il cui ambito oggettivo, peraltro, è stato a più riprese interpretato dalla Corte di Cassazione in modo estensivo, così da includervi non soltanto le sanzioni e gli interessi ma anche la prestazione tributaria latu sensu intesa[9].

Ebbene, il fatto che alla data di pubblicazione della Sentenza l’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 fosse pienamente in vigore e che, come osservato sopra, le posizioni ufficiali dell’Agenzia delle Entrate ne confermassero l’applicabilità, dovrebbe già di per sé essere sufficiente a dimostrare come un’applicazione retroattiva da parte dell’Amministrazione finanziaria dei principi espressi nella Sentenza comporterebbe una violazione del legittimo affidamento e della certezza del diritto.

In secondo luogo, preme osservare che la circostanza che la Corte di Giustizia indichi al giudice nazionale la corretta interpretazione della norma interna alla luce della Direttiva 77/388/CEE del Consiglio è giustificato in quanto, nell’ambito della causa, la corretta interpretazione del regime IVA del distacco di personale è stata richiesta nell’interesse del contribuente. Infatti, la più ampia definizione comunitaria di servizi veniva invocata al fine di confutare la pretesa dell’Amministrazione finanziaria che sosteneva la non rilevanza ai fini IVA del distacco di personale in ossequio al disposto dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988.

Sul punto nulla può essere eccepito. È infatti consolidato nell’ambito della giurisprudenza europea il principio della diretta applicabilità delle direttive. Ciò a dire che ogni qualvolta il contenuto di una direttiva sia incondizionato e sufficientemente preciso, il contribuente è legittimato a invocarlo dinanzi ai giudici nazionali nei confronti dello Stato membro interessato (cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 13 febbraio 2019, causa C-434/17). Fermo restando quanto sopra, è altrettanto chiaro, secondo un costante orientamento della Corte europea, che non può verificarsi la situazione inversa. Non può cioè l’Amministrazione finanziaria (rectius, lo Stato membro) richiedere l’applicazione retroattiva dei principi espressi dalla Corte di Giustizia invocandone l’efficacia diretta all’interno dell’ordinamento nazionale.

In merito, valga citare quanto osservato dai Giudici europei nelle sentenze del 21 settembre 2017 relative alle cause C-326/15, C605/15 e C-616/15. In maggior dettaglio, nelle decisioni da ultimo citate, la Corte di Giustizia censurava la legittimità dei regimi nazionali che permettevano l’esenzione delle prestazioni di servizi effettuate dalle associazioni autonome di persone (di fatto assimilabili ai consorzi) costituite da entità quali compagnie assicurative o imprese operanti nel settore dei servizi finanziari. Ebbene, nonostante la dichiarata incompatibilità delle norme interne con il disposto della Direttiva 2006/112/CE, i Giudici europei hanno chiarito che, stante il legittimo affidamento ingenerato nei contribuenti nazionali dagli Stati membri coinvolti nelle cause fino alla data della decisione, le amministrazioni finanziarie non potevano negare a posteriori il regime di esenzione. Agendo altrimenti, infatti, si sarebbe permessa una palese violazione del principio generale dell’ordinamento unionale della certezza del diritto.

Come osservato, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti (cfr. sentenza della Corte di Giustizia del 19 aprile 2016, causa C‑441/14). Le autorità nazionali non possono quindi invocare una norma comunitaria, quale interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, per negare l’applicazione di una normativa interna.

Infine, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme nazionali trova i suoi limiti nei principi generali dell’ordinamento, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, e non può pertanto legittimare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.

L’Amministrazione finanziaria non può dunque fondare una pretesa nei confronti del contribuente contestandone il comportamento tenuto in applicazione di disposizioni interne con riferimento a fattispecie verificatesi in epoca antecedente all’intervento dei Giudici comunitari. È quindi evidente che questo principio debba essere esteso a fortiori qualora il legittimo affidamento del contribuente sia stato ingenerato da una norma nazionale la cui applicazione è stata costantemente confermata dalla prassi della stessa Amministrazione finanziaria.

Sulla base di tutto quanto sopra, è ragionevole concludere che:

  1. laddove il rimborso del costo del personale distaccato non sia condizione necessaria per l’effettuazione del distacco stesso, l’operazione non potrà ovviamente assumere alcuna rilevanza ai fini IVA;
  2. laddove invece dovesse essere accertato, con riguardo al singolo caso concreto, che il rimborso del costo del personale ha natura corrispettiva, alla luce dei principi poc’anzi esposti, l’Agenzia delle Entrate non potrebbe legittimamente avanzare alcuna pretesa relativamente ai distacchi posti in essere in epoca antecedente all’intervento della Sentenza.

Inoltre, ulteriore conseguenza del ragionamento sin qui svolto, ed in particolare del principio secondo cui le autorità nazionali non possono invocare una norma comunitaria come interpretata dalla Corte di Giustizia per negare l’applicazione di una norma interna, dovrebbe essere quella di considerare in ogni caso non rilevante ai fini IVA il distacco del personale fino a quando non interverrà il legislatore nazionale abrogando il disposto dell’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988.

 


[1] In particolare, l’Amministrazione finanziaria si era a più riprese espressa nel senso della non rilevanza ai fini IVA dei prestiti di personale attuati tra società collegate quando la società distaccataria rimborsava al distaccante un importo pari al costo del personale distaccato (in tal senso cfr., tra l’altro, Risoluzione, 5 luglio 1973, n. 502712; Risoluzione, 6 febbraio 1974, n. 505366 e Risoluzione, 5 ottobre 1979, n. 410670). Ad analoghe conclusioni il Ministero delle Finanze era poi pervenuto nella Risoluzione del 19 febbraio 1974, n. 500160 con riferimento ad una fattispecie in cui il distacco di personale era stato posto in essere tra soggetti fra cui non esisteva “alcun collegamento di natura organica o finanziaria”. Con la Risoluzione, 20 marzo 1981, n. 411847, poi, era stato precisato che nel caso in cui il distaccatario sia tenuto a corrispondere, oltre al rimborso del costo, anche una maggiorazione percentuale, l’intera operazione si considera rilevante ai fini IVA. Da ultimo, si segnala che nella Risoluzione, 31 ottobre 1986, n. 363853, l’Amministrazione finanziaria si era espressa nel senso di considerare rilevante ai fini IVA una fattispecie di distacco (posta in essere nell’ambito di un più ampio contratto di affitto di azienda) in cui il distaccatario era obbligato a corrispondere un importo corrispondente al costo del personale; e ciò in antitesi con quanto dalla stessa precedentemente affermato.

[2] Si segnala anche la Risoluzione, 5 novembre 2002, n. 346/E nell’ambito della quale è stato chiarito che la disciplina di cui all’art. 8, comma 35, L. n. 67/1988 si applica solo a condizione che: (i) “lo schema negoziale utilizzato per la fornitura di manodopera (sia, n.d.r.) il prestito o il distacco di personale”; e (ii) “venga rimborsato esclusivamente il costo del personale prestato (retribuzione, oneri previdenziali e contrattuali); e ciò con la conseguenza che, ove le somme rimborsate dal distaccatario risultino essere “superiori (o anche inferiori)” al costo del lavoro l’intero importo deve essere considerato imponibile ai fini IVA.

[3] In senso difforme si segnala la sentenza, 4 gennaio 1996, n. 13 della Commissione tributaria centrale secondo la quale una “lieve maggiorazione del costo, nell’ordine di circa il 5 per cento … dovuta ad oneri indiretti, quali aumenti di contingenza, rivalutazione delle indennità di fine rapporto eccetera” non dà luogo ad una operazione imponibile, in quanto è comunque riconducibile al rimborso del costo effettivamente sostenuto (e non già ad un corrispettivo per il distacco del personale).

[4] Si segnala che tale presa di posizione dei giudici di legittimità è stata criticata a livello dottrinale. In tal senso, cfr. Mantovani, Santacroce, Nei prestiti di personale il rimborso del costo del lavoro è sempre escluso da iva?, Corriere Tributario, 43/2010 e Ricca, Prestito o distacco di personale: l’IVA solo sull’extracosto, L’IVA, 11/2010.

[5] Questa posizione è stata poi ribadita dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 27 febbraio 2015, n. 4024.

[6] Cfr. art. 30, comma 1, del Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276, ai sensi del quale: “L’ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa”.

[7] In merito, cfr. circolare del Ministero del lavoro 15 gennaio 2004, n. 3, interpello 2 febbraio 2011, n. 1, interpello 20 gennaio 2016, n.1 e Sentenza della Corte di Cassazione 4 aprile 2015, n. 6944.

[8] Art. 10, comma 2, della Legge 27 luglio 2000, n. 212.

[9] Cfr. sentenze della Corte di Cassazione 14 gennaio 2012, n. 537, 13 maggio 2009, n. 10982, 6 ottobre 2006, n. 21513 e 10 dicembre 2002, n. 17576.

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