Con il dichiarato obiettivo di fare chiarezza su un tema di incerta soluzione, l’Agenzia delle Entrate (risoluzione n. 79/E del 31 dicembre 2021) ha espresso il proprio parere sulla questione della determinazione della base imponibile ai fini dell’IVA delle cessioni aventi ad oggetto crediti deteriorati (o, anche, “NPLs”). Purtroppo occorre rilevare, e si anticipa da subito la posizione di chi scrive, che all’indubbio merito dell’obiettivo corrispondono criticità dell’interpretazione che si riflettono sulle conclusioni cui l’Agenzia perviene.
I motivi di dissenso rispetto alla posizione dell’Agenzia nascono già sulla preliminare qualificazione dell’operazione di cessione di crediti deteriorati laddove questa viene impropriamente fatta rientrare tra le “prestazioni di servizi aventi natura finanziaria effettuate dal cessionario” e in quanto aventi “finalità di finanziamento (rese dal cessionario a favore del cedente) esenti da IVA ai sensi dell’art. 10, primo comma, n. 1)” del D.P.R. 633/1072. Indubbiamente la cessione del credito può assumere finalità di finanziamento, è però tutt’altro che scontato che ciò sia prescindendo dalle finalità e caratteristiche delle singole operazioni e, più in generale, per le cessioni aventi ad oggetto NPLs.
La qualificazione dell’operazione operata dall’Agenzia sembra non tenere conto né delle peculiarità del mercato degli NPLs né della giurisprudenza unionale sul tema. Quanto alle prime, non sfugge al regolatore bancario che il mercato degli NPLs – e, a seguire, quello degli UTPs – sia essenzialmente un mercato di servizi di recupero dei crediti e non certamente un mercato di raccolta di capitali o di erogazione di finanziamenti: “negli ultimi anni, le pressioni del regolatore e del mercato per ridurre l’incidenza degli NPL nei bilanci bancari e per migliorarne la gestione hanno indotto le banche a ricorrere a due principali modalità alternative di gestione degli NPLs: la cessione diretta a terzi; le cartolarizzazioni. Nel complesso, da questi sviluppi è scaturito un significativo aumento delle opportunità di business per le imprese operanti nel mercato della gestione e del recupero crediti. Il mercato, che inizialmente vedeva attivi pochi acquirenti internazionali, si è gradualmente ampliato. Dopo una prima fase in cui gli operatori specializzati si sono concentrati sulle sole sofferenze, l’attenzione si sta progressivamente spostando verso le posizioni classificate come inadempienze probabili (unlikely to pay – UTP)” e, ancora: “Il buon funzionamento dell’industria del recupero è assai importante. Maggiore efficienza ed efficacia di questi operatori si traducono in prezzi più elevati degli NPLs, e quindi in minori impatti delle cessioni sul conto economico delle banche venditrici. Inoltre, lo sviluppo dell’industria degli UTP può dare un significativo contributo alla quota di debitori in difficoltà che rientrano in bonis, con effetti benefici per il sistema bancario (minori NPLs) e per l’economia (maggiore crescita economica).” (v. Banca d’Italia, “Approfondimento della Banca d’Italia sull’attività di gestione e recupero di crediti deteriorati – Nota illustrativa”, https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/02.03.2020-npls/index.html ).
Quanto alla giurisprudenza unionale, la questione è stata esaminata dalla Corte di Giustizia (sentenza del 27 ottobre 2011, GFKL Financial Services, C-93/10) in relazione ad una fattispecie, del tutto sovrapponibile a quella che ci occupa, in cui una società (GFKL) acquistava da una banca crediti deteriorati, ad un prezzo inferiore al valore nominale del credito ceduto, assumendosi la responsabilità del recupero e il rischio del mancato pagamento da parte del debitore ceduto. Osserva la Corte che nella fattispecie esaminata la differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti e il prezzo di acquisto “… non costituisce un compenso diretto a retribuire direttamente un servizio fornito dall’acquirente dei crediti ceduti. Infatti, la differenza tra il valore nominale dei crediti ceduti ed il prezzo di acquisto dei medesimi non costituisce il corrispettivo di tale servizio, bensì riflette il valore economico effettivo di tali crediti al momento della loro cessione, su cui incide lo stato di sofferenza dei crediti stessi e l’accresciuto rischio di insolvenza dei debitori.” E, conclude, stabilendo che “gli artt. 2, punto 1, e 4 della sesta direttiva devono essere interpretati nel senso che un operatore che acquisti, a proprio rischio, crediti in sofferenza ad un prezzo inferiore al loro valore nominale non effettua una prestazione di servizi a titolo oneroso, ai sensi di detto art. 2, punto 1, e non compie un’attività economica che ricade nella sfera di applicazione di tale direttiva qualora la differenza tra il valore nominale dei crediti ed il loro prezzo di acquisto rifletta il valore economico effettivo dei crediti medesimi al momento della loro cessione.” L’attività economica, nel pensiero della Corte, coerentemente con le caratteristiche del settore, consiste nel sostituirsi al cedente nell’attività di recupero del credito e nel sollevarlo dal rischio di maturare ulteriori perdite. Attività che nulla ha a che vedere con quella di finanziamento che, se così fosse, assumerebbe la peculiare caratteristica di essere volta al finanziamento di soggetti la cui capacità di rimborso è irrilevante rispetto alla restituzione del capitale dato in prestito.
Proseguendo nell’analisi del pensiero della Corte, l’attività del cessionario, sarebbe svolta verso un corrispettivo solo laddove il prezzo di acquisto del credito fosse diverso (inferiore) rispetto al valore economico del credito; qualora ciò fosse ci si troverebbe di fronte a un corrispettivo riconosciuto dal cedente al cessionario per l’attività di recupero svolta e pari alla differenza tra il valore (economico) del credito e il prezzo di acquisto dello stesso.
Così impostata la questione, il tema della imponibilità/esenzione ad IVA dell’eventuale corrispettivo di una operazione di acquisto di crediti non performing, si sposta sulla eventuale applicabilità della ipotesi di esenzione prevista sempre dal numero 1, del comma 1, dell’articolo 10, del D.P.R.633/1972, ma non in relazione alle operazioni di finanziamento bensì in relazione alle “operazioni, compresa la negoziazione, relative a … crediti … ad eccezione del recupero di crediti” (previsione che riprende quella contenuta alla lettera d), del paragrafo 1, dell’articolo 135, della direttiva IVA 2006/112/CE). Anche rispetto a questo tema dovrebbe soccorrere la giurisprudenza della Corte di Giustizia che ha affrontato la fattispecie (sentenza del 26 giugno 2003, MGK, C-305/01) in relazione all’attività di factoring, definita come “una mera variante del concetto più generale di «recupero dei crediti», a prescindere per il resto dalle modalità secondo le quali viene praticato” laddove conclude affermando che “un’attività economica, con cui un operatore acquisti crediti assumendo il rischio d’insolvenza dei debitori e, come corrispettivo, fatturi ai propri clienti una commissione, costituisce un «recupero dei crediti» ai sensi dell’art. 13, parte B, lett. d), punto 3, in fine, della sesta direttiva ed è pertanto esclusa dall’esenzione stabilita dalla stessa disposizione.”
Nello stesso senso di quanto precede si richiamano anche le conclusioni cui è pervenuto il Comitato IVA dell’Unione Europea (Working paper n. 917, del 9 febbraio 2017) proprio in materia di assoggettamento a IVA delle operazioni di acquisto di NPLs.
Singolare è infine la preoccupazione dell’Agenzia laddove si fa carico di precisare che le aspettative di realizzo del cessionario potranno legittimamente continuare ad essere mantenute riservate – è sulla base di queste aspettative che dovrebbe determinarsi il corrispettivo dell’operazione di finanziamento – dovendosi comunque riconoscere la facoltà del committente (i.e. il cedente il credito) di richiedere l’emissione della fattura.
Riportando tutte queste considerazioni nell’ambito dell’operatività degli operatori del settore, ci si attenderebbe che in transazioni effettuate tra parti indipendenti, dotate delle medesime informazioni, il prezzo pagato per l’acquisto tenderà a coincidere con il valore economico che cedente e cessionario attribuiscono al credito trasferito. Il cessionario certamente si attenderà di realizzare un profitto dall’operazione grazie alla propria capacità di gestire il singolo credito o il portafoglio di crediti acquistati, eventualmente anche per le economie di scala nel processo di gestione dei crediti che è in grado di ottenere, ma questo attiene alla economicità dell’attività di gestione dei crediti non o under-performing, non all’esistenza di un corrispettivo rilevante ai fini dell’IVA.
Ci risulta che gli acquirenti di NPLs seguano una impostazione diversa da quella oggi sostenuta dall’Agenzia e in linea con la ricostruzione qui proposta; l’incertezza che deriva dalla recente interpretazione amministrativa – pur prescindendo dalla difficile stima dell’impatto che questa potrà avere sulla detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti da parte dei gestori di crediti – non contribuisce alla stabilità di applicazione delle norme in un settore per più motivi vitale nell’attuale contesto economico.