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Il revenue cap: natura giuridica e profili fiscali

26 Luglio 2023

Serafino Sandro Masoni

Di cosa si parla in questo articolo

SOMMARIO: In risposta alla crisi dei prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica che ha investito l’Unione Europea, tanto il legislatore interno quanto quello unionale hanno tentato di elaborare strumenti legislativi idonei a fronteggiarne gli effetti negativi. Particolare importanza, a tal fine, hanno rivestito le forme di prelievo operate sui c.d. extraprofitti realizzati dagli operatori del settore energetico, sostanziatesi in due meccanismi, il contributo temporaneo di solidarietà obbligatorio e il revenue cap. Il presente articolo ricostruisce la disciplina del secondo di questi strumenti, attraverso una disamina della normativa europea di riferimento e di quella nazionale, mettendone in luce gli aspetti di contrasto alla luce dei più recenti sviluppi giurisprudenziali in materia. Segue un’analisi sui possibili profili di illegittimità della normativa nazionale rispetto alla carta costituzionale, rilevandosi che tali meccanismi potrebbero presentare i caratteri tipici di un tributo. Di conseguenza, in conclusione, vengono posti in evidenza i profili di frizione rispetto al principio di uguaglianza tributaria.

ABSTRACT: In response to the crisis in the prices of natural gas and electricity that has affected the European Union, both domestic and European legislators have tried to develop legislative tools to deal with its negative effects. To this end, the forms of levy on the c.d. extraprofits made by operators in the energy sector are particularly important, they are made up in two mechanisms, the temporary contribution of mandatory solidarity and the revenue cap. This article takes into account the rules of the second of these tools, through an examination of the European legislation of reference and the national one, highlighting the aspects of contrast in light of the most recent developments in the field of jurisprudence. The analysis continues by focusing on the possible illegitimacy of national legislation with respect to the Constitution and noting that these mechanisms could be characterized by the typical characteristics of a tax. Consequently, in conclusion, the possible friction profiles with respect to the principle of tax equality are highlighted.


1. Premessa

Mai come in questo periodo, il tema “energia” ha suscitato tanto interesse, non solo tra gli addetti ai lavori.

In particolare, l’attenzione si è rivolta alla crisi dei prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica, attesa la concreta incidenza a livello economico e sociale di tale fenomeno.

Una crisi energetica di questa portata ha, infatti, avuto profonde ricadute avvertite, non solo dai paesi membri dell’Unione Europea, ma anche da paesi in via di sviluppo quali Pakistan e Bangladesh, fortemente dipendenti dal metano[1].

In realtà, la crisi dei prezzi è stata conseguenza di eventi eccezionali ed imprevedibili, pertanto difficilmente gestibili a livello normativo. A tale situazione, in parte generata dalla interdipendenza tra mercati del gas europei e asiatici si è poi accompagnata una tendenza all’inflazione che ha colpito vari paesi, aggravandone il quadro economico e dimostrando, ancora una volta, quanto la globalizzazione abbia reso sempre più interconnesso il mondo e abbia quindi reso necessario ricercare soluzioni transnazionali per risolverne gli effetti negativi.
In questo contesto, si è registrato un fenomeno particolare: talune imprese del settore energetico hanno maturato “extraprofitti”, definibili come “sovra guadagni” straordinari o abnormi, eccedenti il normale rientro economico dal rischio d’impresa.

Questo anomalo incremento di capacità contributiva ha provocato l’intervento del legislatore europeo e nazionale che hanno cercato, almeno parzialmente, di mitigare gli effetti negativi su consumatori e imprese degli abnormi prezzi di gas naturale ed energia elettrica.

Da qui una serie di misure dirette alla tassazione degli extraprofitti.

Gli interventi adottati si possono distinguere in due categorie, i “revenue caps”, ovvero tetti ai ricavi di mercato di taluni operatori del settore energetico – di cui ci occuperemo nel presente contributo – e i contributi di solidarietà temporanei.

Lo scorso anno, il legislatore europeo, con il Regolamento (UE) 2022/1854, ha definito il quadro normativo a cui gli stati membri si sono dovuti uniformare con ulteriori norme interne di recepimento rispetto a quelle in precedenza adottate.

Le norme dettate in materia di tassazione degli extraprofitti formano dunque un sottosistema che si inserisce nel settore della “tassazione dell’energia”, la cui disciplina generale è rappresentata dalle disposizioni sulle accise sul gas naturale, energia elettrica e prodotti energetici [2], senza tuttavia sovrapporvisi.

Nel prosieguo, come accennato poc’anzi, l’analisi verterà sulla misura più risalente nel tempo, ossia i meccanismi di compensazione, anche detti revenue caps.
 Partendo dalla normativa europea di riferimento (il Regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio del 6 ottobre 2022 relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia) verranno messe in luce la disciplina e le criticità delle misure nazionali adottate in materia prima e dopo l’entrata in vigore della disciplina unionale.

2. Il revenue cap introdotto dal Regolamento (UE) 2022/1854

Il revenue cap è stato introdotto, a livello europeo, dal Regolamento (UE) 2022/1854 del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia, ed è direttamente ricollegato al c.d. system marginal pricing[3].
 Il sistema del prezzo marginale è oggetto di attenzioni, a livello europeo, già dall’inizio della crisi energetica; infatti, la Commissione, nel suo toolbox di ottobre 2021[4], riconosceva le responsabilità di questo meccanismo nella formazione di prezzi eccessivi dell’energia elettrica.

Sebbene in quel documento venisse affermato che “è opinione diffusa che il modello dei prezzi marginali sia il più efficiente per i mercati liberalizzati dell’energia elettrica e il più adatto a promuovere scambi efficaci tra gli stati membri sul mercato all’ingrosso”, tuttavia, la Commissione affermava, in quell’occasione, che avrebbe incaricato “l’Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) di valutare vantaggi e svantaggi dell’attuale assetto del mercato all’ingrosso dell’energia elettrica”.

A questo proposito, sulla base delle considerazioni dell’ACER[5], il 6 ottobre 2022, è entrato in vigore il Regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia.

Questo atto predispone vari interventi emergenziali volti a ridurre gli effetti dei prezzi elevati dell’energia per mezzo di misure eccezionali, specifiche e contenute nel tempo.

Tali provvedimenti mirano a diminuire il consumo di energia elettrica.

In particolare, ad istituire un tetto sui ricavi di mercato che alcuni produttori ricevono dalla produzione di energia elettrica, ridistribuendoli in modo mirato ai clienti finali; a consentire agli stati membri di applicare misure di intervento pubblico nella fissazione dei prezzi di fornitura dell’energia elettrica ai clienti civili e alle PMI e a introdurre norme per un contributo di solidarietà temporaneo, obbligatorio alimentato dalle imprese e dalle stabili organizzazioni dell’Unione che svolgono attività nei settori del petrolio greggio, del gas naturale, del carbone e della raffinazione, al fine di rendere maggiormente accessibili i prezzi dell’energia per famiglie e imprese[6].

Il Regolamento ha, dunque, un campo di applicazione piuttosto ampio e presenta molteplici profili di interesse.

Il proveddimento, sebbene non disaccoppi[7] il prezzo dell’energia elettrica da quello del gas, né istituisca un price cap, come accaduto per il mercato del gas naturale[8], introduce, comunque, limitazioni ai ricavi (revenues) che le imprese inframarginali[9] possono ritrarre dall’applicazione del system marginal pricing, fissando un limite massimo di 180 €/MWh.

Si tratta, dunque, di un meccanismo che non incide sulla modalità di formazione dei prezzi nel mercato all’ingrosso (id est il system marginal pricing), in quanto, essi continueranno a rimanere dipendenti dal prezzo a cui lo vendono le aziende marginali (che attualmente, in Europa, sono, nella maggioranza dei casi, quelle che producono energia elettrica a partire da gas).

Invece, tale meccanismo, applicato dal 1 dicembre 2022 al 30 giugno 2023, prevede la “restituzione”, da parte dei soggetti che ne sono assoggettati, degli eventuali ricavi che eccedano il cap di 180 €/MWh[10].

Di fatto, i produttori inframarginali saranno chiamati a restituire la differenza tra il prezzo di mercato dell’energia elettrica e il cap (tetto), per ciascuna ora del giorno in cui i prezzi dovessero essere superiori al livello prestabilito.

Nello specifico, è previsto che “i ricavi di mercato dei produttori ottenuti dalla produzione di energia elettrica dalle fonti di cui all’articolo 7, paragrafo 1, sono limitati a un massimo di 180 EUR per MWh di energia elettrica prodotta[11].

Le fonti di energia oggetto dell’art. 7, paragrafo 1 sono: l’energia eolica, solare (termica e fotovoltaica), geotermica, idroelettrica senza serbatoio, combustibili da biomassa (combustibili solidi o gassosi da biomassa), escluso il biometano, rifiuti, energia nucleare, lignite, prodotti del petrolio greggio, torba[12].

Il tetto si applica a tutti i ricavi di mercato, indipendentemente dall’orizzonte temporale del mercato in cui ha luogo l’operazione e a prescindere dal fatto che la vendita avvenga su mercati centralizzati o sia bilaterale [13].

Il meccanismo prevede eccezioni per determinati ricavi, alcune direttamente stabilite dal Regolamento [14], e ne introduce altre attivabili dagli stati[15].

I produttori, gli intermediari e i pertinenti partecipanti al mercato, nonché i gestori dei sistemi, se del caso, sono incaricati di fornire i dati necessari per l’applicazione del tetto, tra cui quelli sull’energia elettrica prodotta e i relativi ricavi di mercato, alle competenti autorità statali.

Gli stati membri hanno la possibilità di agire sotto vari aspetti.

Innanzitutto, possono decidere che il tetto si applichi solo al 90 % dei ricavi di mercato che superano il limite di 180 €/MWh[16].

Inoltre, hanno la facoltà di mantenere o introdurre misure che limitano ulteriormente i ricavi, compresa la possibilità di differenziare tra le tecnologie, nonché, limitare i ricavi di altri partecipanti al mercato, compresi quelli attivi nella compravendita di energia elettrica, fissare un tetto più elevato, a condizione che i loro investimenti e costi di esercizio superino il limite massimo di 180 €/ MWh.

Gli stati, in aggiunta, possono mantenere o introdurre misure nazionali volte a limitare i ricavi di mercato dei produttori di energia elettrica che producano a partire da fonti che rientrano nell’art. 7, par. 1 o che non vi ricadono.

Possono fissare un tetto specifico per i ricavi di mercato ottenuti dalla vendita di energia elettrica prodotta a partire da carbon fossile e, infine, applicare agli impianti idroelettrici, non ricompresi nella misura, un tetto sui ricavi di mercato ovvero mantenere o introdurre misure che limitino ulteriormente i loro utili, compresa la possibilità di differenziare tra le tecnologie[17].

Gli stati membri provvedono affinché i ricavi ottenuti dal tetto siano usati per finanziare misure a sostegno dei clienti finali di energia elettrica[18].

Tali interventi possono comprendere, ad esempio: a) la concessione di una compensazione finanziaria ai clienti finali di energia elettrica per la riduzione del loro consumo di energia elettrica, anche attraverso procedure d’asta o di gara per la riduzione della domanda; b) trasferimenti diretti ai clienti finali di energia elettrica, anche attraverso riduzioni proporzionali nelle tariffe di rete; c) compensazioni ai fornitori obbligati a fornire energia elettrica ai clienti sotto il prezzo di costo a seguito di un intervento dello Stato o pubblico nella fissazione dei prezzi a norma dell’articolo 13; d) la riduzione dei costi di acquisto dell’energia elettrica sostenuti dai clienti finali, anche limitatamente a un volume determinato di energia elettrica consumata; e) la promozione di investimenti dei clienti finali di energia elettrica nelle tecnologie di decarbonizzazione, nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica[19].

Viene, infine, stabilito che, nell’ipotesi in cui la dipendenza dalle importazioni nette di uno stato membro sia pari o superiore al 100 %, il paese membro importatore e lo stato membro esportatore principale concludano un accordo entro il 1° dicembre 2022 per ripartire adeguatamente i ricavi eccedenti e, sotto questo profilo, la Commissione assiste i paesi membri durante l’intero processo negoziale[20].

La Commissione europea controllerà l’effettiva attuazione del Regolamento esaminato, anche interloquendo con gli Stati membri che, entro dicembre, dovranno riferire in merito alle misure previste per conseguire la riduzione della domanda di energia ed entro il 31 gennaio 2023 rispetto alle altre misure per cui il Regolamento ha lasciato loro margine di discrezionalità[21].

3. I revenue caps introdotti nell’ordinamento interno

3.1. Il meccanismo di compensazione a due vie introdotto dal D.l. n. 4/2022 convertito con modificazioni in L. n. 25/2022

In Italia, una misura similare a quella prevista dall’art. 6 del Regolamento (UE) 2022/1854, già esisteva ed è stata introdotta dal D.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con modificazioni in L. 28 marzo 2022, n. 25.

Si tratta di un prelievo sugli extraprofitti conseguiti da alcune imprese che producono energia elettrica a partire da fonti rinnovabili.

Il prelievo è stato applicato a partire dal 1° febbraio 2022 fino al 30 giugno 2023[22].

La normativa introduce un meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia immessa in rete da impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kW, che beneficiano di tariffe fisse derivanti dal meccanismo del Conto Energia[23], indipendenti dai prezzi di mercato, nonché dagli impianti con medesima potenza, alimentati da fonte solare, idroelettrica, geotermica ed eolica che non accedono a meccanismi di incentivazione, entrati in esercizio prima del 1° gennaio 2010[24].

Il GSE (Gestore dei servizi energetici s.p.a.) è l’organo competente a rendere operativo il meccanismo, infatti, è tenuto a calcolare la differenza tra due livelli di prezzo, al cui superamento o al cui mancato sforamento sono collegati effetti diversi.

Il primo livello di prezzo è definito “prezzo di riferimento” ed è pari, in media, a circa 61 €/MWh[25].

Il secondo livello di prezzo è definito “prezzo di mercato” e varia in relazione al tipo di impianto.

In particolare, per gli impianti fotovoltaici di potenza superiore a 20 kW, che beneficiano di premi fissi legati al Conto Energia, non dipendenti dai prezzi di mercato e per gli impianti con medesima potenza, alimentati da fonte solare, eolica, geotermica ed idrica ad acqua fluente che non accedono a meccanismi di incentivazione, entrati in esercizio prima del 1° gennaio 2010, il “prezzo di mercato” è pari al prezzo zonale orario di mercato, ossia il costo dell’energia in ciascuna delle sei zone in cui è suddiviso il mercato energetico italiano; invece, per i contratti di fornitura conclusi prima del 27 gennaio 2022 che non rispettano le condizioni di cui al comma 7[26] è uguale al prezzo indicato nei contratti medesimi.

Per “gli impianti di cui al comma 1, lettera b), diversi da quelli di cui all’art. 3, lettera b, comma 1” (che paiono essere gli impianti di potenza superiore a 20 kW, alimentati da fonte idrica a bacino o a serbatoio, oltre che gli impianti fotovoltaici con la medesima potenza che beneficino di premi variabili), il “prezzo di mercato” equivale alla media aritmetica dei prezzi zonali di mercato dell’energia elettrica; tuttavia, anche in questo caso, per i contratti di fornitura stipulati prima del 27 gennaio 2022 e che non rispettano le condizioni di cui al comma 7, esso è pari al prezzo indicato in tali contratti.

Ai fini dell’applicabilità del meccanismo, i produttori interessati dalla misura, su richiesta del GSE, devono trasmettere, a tale organo, una dichiarazione attestante le informazioni necessarie, che vengono individuate da ARERA, con appositi provvedimenti[27].

La compensazione opera a due vie; da una parte, è diretta a conseguire gli eventuali extraprofitti ricavati dai produttori di energia elettrica nel corso del 2022 e, dall’altra, a compensare quegli impianti che producano una redditività inferiore, per cui il produttore di energia elettrica potrebbe trovarsi nella situazione di dover erogare oppure, viceversa, di ricevere un importo corrispondente alla differenza tra i due valori di cui sopra.

Il meccanismo di compensazione si estrinseca in una duplice direzione, nel senso che, qualora il “prezzo di mercato” sia inferiore al “prezzo di riferimento”, il GSE eroga il relativo importo al produttore, mentre, in caso contrario, il Gestore dei Servizi Energetici conguaglia[28] o provvede a richiedere al produttore l’importo corrispondente.

Le modalità di attuazione dello strumento di compensazione, conformemente a quanto previsto dalla normativa, sono state individuate da ARERA, con apposita delibera[29].

L’art. 15-bis, D.l. n. 4/2022, cit., aveva previsto che le risorse oggetto di regolazione con il GSE venissero versate in un apposito fondo istituito presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali (CSEA) e portati a riduzione del fabbisogno a copertura degli oneri generali afferenti al sistema elettrico.

In attuazione dell’art. 15-bis, ARERA, con la Deliberazione del 21 giugno 2022 n. 266/2022/R/EEL, aveva stabilito che il gettito complessivamente resosi disponibile avrebbe dovuto essere utilizzato per contribuire alla copertura del Conto per nuovi impianti da fonti rinnovabili e assimilate, alimentato dalla componente tariffaria Asos (la componente Asos identifica gli oneri di sistema usati per far fronte ai costi per il sostegno delle energie rinnovabili e della cogenerazione CIP 6/92)[30].

Tuttavia, tale previsione è stata superata dalla modifica, operata al comma 6 dell’art. 15-bis dall’art. 42, comma 1 del D.l. 23 settembre 2022, n. 144, convertito con modificazioni in L. 17 novembre 2022, n. 175, il quale prevede che i proventi riscossi con il meccanismo di compensazione resteranno acquisiti all’erario fino a concorrenza dell’importo complessivo di € 3,8 miliardi.

Il meccanismo di compensazione a due vie non si applica all’energia oggetto di contratti di fornitura conclusi prima del 27 gennaio 2022, che non siano collegati all’andamento dei prezzi dei mercati spot dell’energia e che, comunque, non siano stipulati ad un prezzo medio superiore del 10% rispetto al valore del “prezzo di riferimento”, limitatamente al periodo di durata di detti contratti[31].

Per quanto concerne i produttori di energia appartenenti a gruppi societari, è prevista una norma di interpretazione autentica, in base alla quale, ai fini dell’applicazione del meccanismo, non rilevano le immissioni in rete di energia da parte dei produttori in favore di altre imprese del gruppo, ma esclusivamente, i contratti stipulati tra imprese del gruppo, anche non produttrici e persone fisiche e giuridiche esterne al gruppo societario[32].

È specificato che, ai fini dell’applicazione del meccanismo all’energia immessa in rete nel 2023, rilevano esclusivamente i contratti conclusi prima del 5 agosto 2022.

Infine, disposizioni apposite sono dettate per gli “impianti che accedono al ritiro dedicato dell’energia di cui all’articolo 13, commi 3 e 4 del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387”[33].

3.2. Il meccanismo di compensazione a una via introdotto dalla L. n. 197/2022

Il meccanismo di compensazione a due vie è stato istituito prima dell’entrata in vigore del Regolamento (UE) 2022/1854.

Il legislatore italiano, tuttavia, non ha reagito all’adozione di questo atto europeo con un adeguamento della normativa italiana già esistente, che, sotto determinati aspetti, sembra confliggervi (come si chiarirà in seguito) ma, ha, invece, introdotto un nuovo specifico strumento, al fine di dare attuazione al Regolamento.

Si tratta del meccanismo di compensazione a una via, contenuto nella L. 29 dicembre 2022, n. 197, che si affianca allo strumento preesistente, senza sostituirlo e di cui riproduce il funzionamento, tale meccanismo è rimasto in vigore dal 1 gennaio 2022 al 30 giugno 2023.

Anche in questo caso, viene stabilito un tetto ai ricavi di mercato dei produttori o loro intermediari ottenuti dalla produzione e dalla vendita di energia elettrica.

Tale cap è pari a 180 €/MWh ovvero, per le fonti che presentino costi di generazione superiori al predetto prezzo, ad un valore più elevato per tecnologia, stabilito da ARERA, tenuto conto dei costi d’investimento, d’esercizio e di un’equa remunerazione per gli investimenti[34].

Questa limitazione dei ricavi concerne l’energia elettrica immessa in rete: a) dagli impianti a fonti rinnovabili non rientranti nell’ambito di applicazione del meccanismo di compensazione a due vie[35]; b) dagli impianti alimentati da fonti non rinnovabili, di cui all’ art. 7 comma 1 del Regolamento (UE) 2022/1854 (id est, bio massa, escluso il biometano, rifiuti, energia nucleare, lignite, prodotti del petrolio greggio, torba e lignite).[36]

La limitazione dei ricavi è realizzata, come nel caso dell’altra misura italiana, tramite un meccanismo di compensazione, che, però, nello strumento in esame, è solo ad una via; ossia, non viene contemplata l’ipotesi che il GSE eroghi alcuna somma in favore dei soggetti colpiti dalla misura, ma è solo previsto che, qualora il “prezzo di mercato”, calcolato sulla base di specifici parametri da parte del GSE, superi il revenue cap, il GSE conguagli o richieda al produttore l’importo corrispondente[37].

Tale somma verrà poi riversata nel Bilancio dello Stato, fino a concorrenza dell’importo complessivo di € 1,4 miliardi e degli eventuali maggiori oneri derivanti dai crediti di imposta per le spese energetiche, di cui ai commi 2 e 9 della L. 29 dicembre 2022, n. 197.

Le eventuali maggiori somme raccolte verranno destinate ad un apposito fondo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MESA), volto a finanziare le misure previste dall’art. 10 del Regolamento (UE) 2022/1854[38].

Il resto delle previsioni ricalca pedissequamente, quanto previsto dall’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022.

In particolare, entro 30 giorni dalla richiesta formulata dal GSE, i produttori dovranno trasmettere a tale organo una dichiarazione che attesti le informazioni necessarie per l’applicazione del prelievo, individuate da ARERA; quest’ultima è inoltre tenuta a elaborare le modalità attuative “in continuità con le modalità operative definite in attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 15-bis, del D.l. 4/2022, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 Marzo 2022, n. 25[39].

Vengono, inoltre, riprodotte le norme in materia di gruppi societari[40].

Infine, sono esclusi dalla misura, appositi impianti e contratti[41].

4. Sulla conformità dei revenue caps italiani con il Regolamento (UE) 2022/1854

4.1. Premessa

Il meccanismo di compensazione a una via, approntato dal legislatore nazionale con L. n. 197/2022, deve necessariamente risultare conforme al Regolamento (UE) 2022/1854, in quanto, ne costituisce l’atto di esecuzione.

Invece, rispetto al legame del meccanismo a due vie con la normativa europea, sussistono maggiori incertezze, dovute alla poca chiarezza di alcune previsioni regolamentari.

Specificamente, è dubbio se la normativa italiana sia riconducibile all’art. 7, par. 2 del Regolamento il quale prevede che “Il tetto sui ricavi di mercato di cui all’articolo 6, paragrafo 1, non si applica…ai produttori i cui ricavi per MWh di energia elettrica prodotta sono soggetti a un tetto già esistente in virtù di disposizioni statali o pubbliche non adottate a norma dell’articolo 8[42]; o invece all’art 8, par. 1 che stabilisce che gli Stati possono “mantenere … misure che limitano ulteriormente i ricavi di mercato dei produttori che producono elettricità dalle fonti di cui all’art. 7 “o “da fonti che non rientrano nell’ambito dell’art. 7”.

La questione risulta rilevante, in quanto, nel primo caso, la misura non è in alcun modo assoggettata alle previsioni europee in materia di tetto ai ricavi, mentre nel secondo caso, essa deve, “in linea con il regolamento” : a) essere proporzionata e non discriminatoria, b) non compromettere i segnali di investimento, c) assicurare la copertura degli investimenti e dei costi di esercizio, d) non generare distorsioni nel funzionamento dei mercati all’ingrosso dell’energia elettrica e, in particolare, non incidere sull’ordine di merito e sulla formazione dei prezzi sul mercato all’ingrosso, e) essere compatibile con il diritto dell’Unione.

Pur in assenza di certezze, sembra più corretto accogliere la seconda interpretazione, in virtù dei chiarimenti discendenti dai considerando 36 e 40 del Regolamento (UE) 2022/1854[43].

Il primo, pare riferirsi alla previsione di cui all’art. 7 par. 2, e da esso emerge che, le misure nazionali già esistenti, a cui si riferisce l’articolo in questione, sono “misure statali e pubbliche quali le tariffe di riacquisto e i contratti bidirezionali per differenza.”; e dunque, non meccanismi di compensazione, come la misura nazionale in esame; inoltre, il considerando precisa che i produttori assoggettati a tali misure “non beneficiano dell’aumento dei ricavi derivante dalla recente impennata dei prezzi dell’energia elettrica. È quindi opportuno escludere i produttori esistenti soggetti a tale tipo di misure di Stato, non adottate in risposta all’attuale crisi energetica, dall’applicazione del tetto sui ricavi di mercato”.

Anche questa caratteristica non sembra riferirsi alla misura italiana, adottata, come emerge dai lavori preparatori, proprio per contenere i costi dell’energia elettrica[44] e per colpire i presunti sovraprofitti realizzati dai produttori a partire da fonti rinnovabili, in quanto maggiori beneficiari del meccanismo del system marginal pricing[45].

Il considerando prosegue “analogamente, il tetto sui ricavi di mercato non dovrebbe applicarsi ai produttori i cui ricavi di mercato sono soggetti ad altre misure di regolazione adottate dalle autorità pubbliche in base alle quali i ricavi sono trasferiti direttamente ai consumatori”, anche in questo caso il riferimento è ad un carattere non tipico del meccanismo di compensazione a due vie, dato che i proventi derivanti dalla sua applicazione resteranno acquisiti all’erario fino a concorrenza dell’importo complessivo di € 3,8 miliardi, non venendo, dunque, trasferiti ai clienti finali.

Invece, il considerando 40 si riferisce all’art. 8 del Regolamento (UE) 2022/1854, descrivendo le misure nazionali che vi rientrano in termini di “misure nazionali di crisi”, come è appunto il meccanismo di compensazione a due vie, quale risulta dal titolo del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 in cui è contenuto l’art. 15-bis, rubricato “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica”.

La necessità e l’importanza di aver chiarito che le due misure rientrano nell’ambito di applicazione del Regolamento (UE) 2022/1854 derivano dal principio della primazia del diritto europeo su quello nazionale.

In base a tale principio, affermato anche in Costituzione (per effetto delle modifiche intervenute con L. costituzionale n. 18 ottobre 2001, n. 3) [46], la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la Corte Costituzionale, sebbene con motivazioni diverse, hanno affermato che un eventuale contrasto tra normativa interna e i regolamenti, ma più in generale, con qualsiasi norma europea produttiva di effetti diretti[47], determina l’obbligo per il giudice nazionale e per gli organi amministrativi di disapplicare la normativa statale.

Secondo la Consulta, tale difformità richiede, inoltre, l’abrogazione o la modificazione delle norme interne confliggenti con gli obblighi imposti dal Trattato.

Necessità che, sul piano dell’ordinamento interno, si ricollega al principio della certezza del diritto, mentre, a livello europeo rappresenta espressione del principio della prevalenza del diritto eurounitario su quelli nazionali, essendo, la necessità di conformarsi oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri [48].

Trattandosi, nel caso di specie, di un regolamento, l’onere di conformità risulta ancora più stringente, posto che questa tipologia di atti di diritto derivato, risulta obbligatoria in tutti i suoi elementi, non solo nelle finalità da perseguire, come previsto, invece, per le direttive e anche perché i regolamenti sono direttamente applicabili ovvero non necessitano, in linea di principio, di alcun atto interno per operare, in quanto di per sé idonei a far sorgere (in capo alle persone fisiche o giuridiche) situazioni giuridiche soggettive[49].

4.2. Verifica di compatibilità

L’atto di esecuzione del Regolamento (UE) 2022/1854, ossia il meccanismo di compensazione a una via, pare presentare un’unica difformità rispetto alla normativa europea, relativa alla destinazione dei ricavi eccedenti il tetto.

Questi, in base alla previsione unionale, devono essere “tutti […] utilizzati in modo mirato per finanziare misure a sostegno dei clienti finali di energia elettrica[50]”.

La normativa nazionale divergerebbe, in quanto prevede che solo le eventuali somme eccedenti l’introito programmato dall’applicazione della misura, ovvero € 1,4 miliardi, siano specificamente destinate a tale finalità.

Precisamente, esse verrebbero destinate a un apposito fondo, da istituire presso il MASE, venendo poi indirizzate al soddisfacimento degli obbiettivi di cui all’art. 10, par. 4 del Regolamento.

Invece, i ricavi fino a € 1,4 miliardi e, tra l’altro, fino a concorrenza degli eventuali maggiori oneri derivanti da crediti d’imposta previsti dai commi da 2 a 9 della legge di Bilancio del 2023 (L. n. 197/2022), sono genericamente acquisiti all’erario senza che gli sia impressa specifica assegnazione[51].

Il meccanismo di compensazione a due vie sembra, invece, contrastare con il Regolamento sotto molteplici profili; questa posizione è suffragata dalla sentenza del T.A.R. Lombardia, Sezione Prima, n. 1744 del 21 giugno 2023, con cui il giudice amministrativo, chiamato nuovamente[52] ad esprimersi sulla conformità dell’art. 15-bis con la normativa europea, ha disposto il rinvio pregiudiziale della disciplina interna alla C. Giust. UE, adducendo motivi in larga parte simili a quelli di seguito esposti.

Anzitutto, la normativa interna più risalente presenta la medesima criticità riscontrata nel meccanismo di cui alla L. n. 197/2022, relativamente all’art. 10, comma 1 del Regolamento, norma estendibile anche al meccanismo a due vie, poiché si riferisce genericamente al “tetto sui ricavi di mercato”.

Infatti, il comma 6 dell’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022, a seguito della modifica intervenuta con D.l. 23 settembre 2022, n. 144, convertito con modificazioni dalla L. 17 novembre 2022, n. 175, stabilisce che i proventi derivanti dall’applicazione del meccanismo siano versati dal GSE all’entrata del bilancio dello Stato e vi restino acquisiti fino alla concorrenza della somma di € 3,8 miliardi , per cui, anche in questo caso, essi non verrebbero “tutti […] utilizzati in modo mirato per finanziare misure a sostegno dei clienti finali di energia elettrica[53],o, quanto meno, è ancora incerta la loro destinazione.

Al riguardo, ha espresso un’opinione opposta, il Consiglio di Stato, nell’ambito dell’ordinanza cautelare del 18 gennaio 2023, n. 204, che ha sospeso l’esecutività della sentenza del T.A.R. della Lombardia[54] che ha annullato gli atti attuativi del meccanismo di compensazione a due vie (id est la Deliberazione di ARERA del 21 giugno 2022 n. 266/2022/R/EEL e di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente).

In quell’occasione, il supremo organo di giustizia amministrativa ha affermato che il versamento dei proventi all’entrata del bilancio dello Stato per restarvi acquisiti, sarebbe conforme alle previsioni del Regolamento, posto che “costituisce obiettivo riconosciuto e sancito nei considerando del regolamento europeo n. 1854 del 2022 che negli Stati membri il ricorso a un tetto sui ricavi di mercato sia strumento per generare entrate statali per finanziare misure a sostegno dei consumatori, nell’ambito di un insieme complesso di misure interdipendenti[55].

Non si ritiene di poter condividere tale posizione, almeno fino a quando non verrà impressa una specifica destinazione ai proventi derivanti dall’applicazione del tetto, che, ad oggi, non paiono inserirsi nell’ambito di alcun “insieme complesso di misure interdipendenti volte a finanziare misure a sostegno dei consumatori”, essendo genericamente acquisiti all’erario.

A contrario la disposizione nazionale, sarebbe stata sicuramente conforme alle indicazioni contenute nel Regolamento, qualora fosse stata mantenuta la previgente disciplina del comma 6 dell’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, cit., che stabiliva che i proventi derivanti dall’applicazione del tetto venissero destinati alla CSEA, per essere usati per coprire parzialmente gli oneri generali afferenti al sistema elettrico e, specificamente, la quota tariffaria Asos che alimenta il Conto per nuovi impianti da fonti rinnovabili e assimilate.

La norma avrebbe integrato la previsione dell’art. 10, par. 4, lett. d del Regolamento il quale prevede che le misure a sostegno dei consumatori “possono consistere” nella “riduzione dei costi di acquisto dell’energia elettrica sostenuti dai clienti finali” e, più specificamente, l’indicazione del considerando 47, in base al quale “Le entrate provenienti dal tetto dovrebbero aiutare gli Stati membri a finanziare misure quali… riduzioni sulle bollette” ; in tal modo, infatti, la misura sarebbe rientrata tra gli interventi volti a finanziare gli oneri di sistema del settore elettrico che, fino al I trimestre del 2022, hanno costituito uno dei costi contenuti nelle bollette domestiche.

La normativa italiana, inoltre, disattenderebbe il disposto dell’art. 8, par. 2, lett. b) e c); tali previsioni normative impongono che le misure nazionali di crisi, in linea con il Regolamento, “non compromettano i segnali d’investimento” e “assicurino la copertura degli investimenti e dei costi di esercizio[56].

In particolare, la disciplina nazionale pare, in alcuni casi, compromettere la capacità dei produttori dalle fonti di cui all’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, cit., di recuperare i loro costi di investimento e sembra, inoltre, disincentivare futuri investimenti volti alla creazione di un sistema elettrico decarbonizzato e affidabile[57]; dato che il tetto italiano in esame è relativo ad impianti da fonti rinnovabili.

Risulta evidente l’enorme differenza tra l’entità del tetto applicabile ai sensi della normativa europea (180€/MWh) e la misura di quello previsto dal meccanismo a due vie (60€/MWh).

Il tetto europeo, sebbene possa essere inferiore al tetto di 180 €/MWh[58], comunque, per evitare di inficiare la valutazione iniziale della redditività degli investimenti, dovrebbe consentire un margine ragionevole sul prezzo che gli investitori avrebbero potuto attendersi al momento di investire[59].

In particolare, il considerando 28 afferma che per soddisfare le ragionevoli aspettative dei partecipanti al mercato, il tetto europeo “non dovrebbe essere fissato al di sotto del livello medio dei prezzi dell’energia nelle ore in cui la domanda era, ai massimi livelli prima della guerra in Ucraina”, valore che, tra l’altro, nel caso specifico dell’Italia si aggirava intorno ai 200 €/MWh e, dunque, addirittura, al di sopra del cap europeo.

In tal modo, il legislatore europeo dimostra di ritenere non contrari alle logiche di investimento i limiti non di molto inferiori al tetto stabilito nel Regolamento e, dunque, sicuramente non quelli che siano fissati a 1/3 del suo valore, come quello del meccanismo di compensazione a due vie[60].

A sostegno del giudizio di difformità della norma italiana rispetto a quella europea pesa, inoltre, la scelta del legislatore interno di escludere, ai fini del calcolo del “prezzo di riferimento”, il 2021, annata in cui i prezzi sono sensibilmente aumentati, includendovi, invece, il 2020, anno in cui si sono registrati i minimi storici per il costo dell’energia elettrica.

Questa scelta comporta un’artificiale riduzione del “prezzo di riferimento” (definito dal legislatore “equo”), da confrontare con i prezzi del 2022, che rischia di compromettere la sostenibilità di alcuni impianti colpiti dalla misura, ovvero, gli impianti da fonti rinnovabili di potenza superiore ai 20 kW non incentivati da alcun premio ed entrati in funzione prima del 2010, i quali, proprio perché non sovvenzionati, necessitano di sfruttare appieno le fasi positive del mercato, che, consentono di coprire le congiunture negative, come quella del 2020, e hanno bisogno di poter recuperare i pregressi costi di investimento, sicuramente aumentati, nell’ultimo periodo per effetto delle attuali, severe dinamiche inflattive[61].

Inoltre, la scelta del legislatore italiano di “tassare” così duramente gli impianti alimentati dalle fonti rinnovabili cui all’art. 15 bis del D.l. n. 4/2022, cit., e dunque disincentivare gli investimenti in tale settore se, da un lato può apparire giustificata dai profitti che questi produttori potrebbero aver ottenuto (e in alcuni casi, sicuramente hanno ottenuto) per effetto dell’impennata dei prezzi dell’energia elettrica e dei benefici derivanti dal system marginal pricing; tuttavia, dall’altro non si pone in linea con le politiche ambientali del legislatore europeo, che considera l’aumento della produzione di elettricità da fonti rinnovabili un obbiettivo primario[62].

Tra l’altro, l’incremento di produzione a partire dalle fonti rinnovabili rappresenta un valido strumento per far fronte agli obbiettivi di riduzione della domanda di gas che l’Unione Europea si è prefissata alla luce delle difficoltà e dei rischi di approvvigionamento causati dalla strumentalizzazione delle esportazioni, messa in atto dalla Russia[63].

Come sottolineato nella sent. n. 1744/2023 emanata dal T.A.R. della Lombardia, Sez. I, un ulteriore profilo di contrasto tra la normativa italiana e quella europea attiene alla mancata differenziazione di regime applicabile alle diverse fonti di produzione da parte dell’art. 15-bis, nonostante l’art. 8, par. 1, lett. a) del Regolamento (UE) 2022/1854 lo permetta.

La scelta del legislatore interno di prevedere un unico tetto sui ricavi valido per qualsiasi categoria di produttori è suscettibile di dar luogo ad una discriminazione ed ad una distorsione del funzionamento del mercato, in quanto i costi di generazione dell’energia non sono identici per tutte le categorie di impianti.

5. Profili di incostituzionalità dei meccanismi di compensazione

Il meccanismo di compensazione a due vie si porrebbe, inoltre, in contrasto con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, dato che introduce un’evidente disparità di trattamento tra le imprese rinnovabili assoggettate al tetto di cui all’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 e quelle colpite dalle limitazioni dei ricavi ai sensi della L. n. 197/2022.

In particolare, i due gruppi di imprese scontano un trattamento molto differente, sia con riguardo al periodo di applicazione, sia con riferimento alla misura del tetto imposto.

Sotto il primo profilo, vi è piena coincidenza tra le due misure per il 2023, invece, nel 2022, le imprese colpite dal cap più recente sono state assoggettate al meccanismo, per il solo mese di dicembre, mentre le altre, per undici mesi, ossia, dal 1° febbraio 2022, fino alla fine dell’anno[64].

Per quanto riguarda la misura dei due tetti, come si è visto, essa diverge significativamente.

È stato sostenuto che tale disparità di trattamento sarebbe giustificata, in quanto, gli impianti individuati dal D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 avrebbero conseguito un extraprofitto maggiore, poiché incentivati secondo i meccanismi del Conto Energia[65], con un ammontare fisso, a cui si aggiungono i proventi della vendita a prezzi di mercato.

Per quanto concerne l’altro insieme di impianti individuato dall’art. 15 bis del D.l. n. 4/2022, cit., ossia, quelli entrati in esercizio da prima del 2010 e non incentivati, la diversità di condizione sarebbe ammissibile poiché questi hanno generalmente già ammortizzato i costi di investimento ed essendo alimentati da fonti rinnovabili, non sostengono costi variabili dipendenti dalla materia prima con cui producono energia elettrica[66].

Se l’argomentazione sostenuta con riguardo alla prima categoria di impianti, in parte, può apparire ragionevole, non sembra, invece, condivisibile la giustificazione addotta per il secondo gruppo, dato che esso ricomprende “gli impianti a fonti rinnovabili non rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 15-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2022, n. 25”, tra cui rientrano gli impianti da fonti rinnovabili entrati in funzione dopo il 2010.

Questi, non presentando costi marginali, sono sostanzialmente parificabili agli impianti non sovvenzionati di cui all’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, cit., posto che non sembra sufficiente argomentare una così importante diversità di trattamento adducendo che, gli uni sono generalmente rientrati degli investimenti, mentre gli altri non ancora.

Si deve, inoltre, sottolineare che la scelta di differenziare il prelievo tra le due categorie di impianti sulla base del fatto che gli stessi siano entrati in funzione prima o dopo il 2010, è arbitraria, posto che l’operatività di un impianto da prima del 2010 non è in grado di dimostrare che tali strutture siano già rientrate dai loro investimenti.

Più in generale, questa argomentazione non giustifica una maggiore “tassazione” delle fonti rinnovabili rispetto a quelle fossili, e si pone in contrasto con il principio di ragionevolezza, atteso che le prime svolgono un ruolo fondamentale nel tutelare l’ambiente.

L’ambiente, infatti, rappresenta un bene costituzionalmente protetto, la cui tutela è stata, recentemente garantita in modo esplicito dall’art. 9 della Costituzione, di talchè, posto che le fonti rinnovabili rappresentano il più efficace e attuale presidio per la protezione di tale bene[67], giustificare una così importante diversità di trattamento, a partire dalle ragioni economiche summenzionate, non potrebbe ritenersi conforme al combinato disposto degli art. 3 e 9 della Costituzione.

È opportuno ricordare che l’ambiente è anche protetto a livello europeo, in particolare dagli articoli 191 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea[68], come pure, dall’articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, c.d. Carta di Nizza[69].

La sua rilevanza viene anche riconosciuta a livello internazionale, in particolare, dall’Agenda 2030 dell’ONU (Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development).

Con specifico riguardo, poi, al ruolo che le fonti rinnovabili svolgono per proteggere l’ambiente e alla rilevanza che ad esse viene attribuita nell’ordinamento europeo e internazionale, giova richiamare il c.d. “principio di favore per le fonti rinnovabili”[70], così come, a più riprese, interpretato dalla Corte Costituzionale, in base al quale le norme in materia di rinnovabili “si rendono interpreti dell’esigenza di potenziare le fonti rinnovabili, che, in virtù della loro naturale vocazione a preservare l’interesse ambientale, costituiscono un punto di intersezione tra l’obiettivo di difendere il citato interesse e l’istanza di garantire la produzione di energia[71]” e il cui sviluppo “è anche il riflesso dei vincoli imposti dalla normativa dell’Unione europea, così come degli obblighi assunti a livello internazionale nel comune intento di ridurre le emissioni di gas ad effetto serra onde contrastare il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici[72].

Alla luce di queste considerazioni, poteva essere giustificato prevedere un maggiore prelievo per gli impianti che producono elettricità a partire da fonti fossili[73].

Infatti, in virtù delle recenti modifiche che hanno interessato l’art. 9 e l’art. 41 della Costituzione[74], la libera iniziativa economica, oltre a non potersi svolgere in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla salute, alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana, non deve, oggi, neppure arrecare danno all’ambiente.

Parimenti, questi prelievi si sarebbero posti in linea con le più recenti proposte di tassazione dell’energia, ovvero la riforma della direttiva sulla tassazione dell’energia (Direttiva 2003/96/CE, recepita in Italia con D.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26), che dovrebbe prevedere che la tassazione energetica, realizzata tramite le accise, sia proporzionata alla capacità inquinante dei singoli prodotti energetici e una riforma dell’emission trading system (ETS)[75].

Tale prospettiva, ancorata al principio di matrice europea “chi inquina, paga”, era, tra l’altro, già stata accolta dalla Corte Costituzionale, nella sentenza 10/2015 c.d. Robin Hood Tax[76], in cui si era ventilata la possibilità che un prelievo straordinario, come la Robin Hood Tax, imposta sugli operatori del settore energetico, fosse allineato a tale principio, dato l’impatto dell’attività dei medesimi sull’ambiente.

Il meccanismo di compensazione a due vie contiene un’ulteriore previsione che introduce una ingiustificata disparità di trattamento.

Ci si riferisce alla previsione frutto del combinato disposto tra il comma 3 lett. b, n. 1 e 2 e il comma 7 dell’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, cit., che prevede l’applicazione del tetto di 60 €/MWh ai contratti di fornitura di energia a prezzo variabile stipulati prima del 27 gennaio 2022, che generino un sovraprofitto inferiore al 10% del tetto, ma non ai contratti a prezzi fisso, stipulati entro la medesima data, che generino profitti di identico ammontare.

Si tratterebbe di un’ingiustificata discriminazione, poiché l’applicazione del tetto non viene fatta dipendere dal superamento della soglia del 10%, bensì dalla natura del contratto, fisso o variabile, in tal modo andando ad assoggettare a regimi giuridici diversi, contratti del medesimo ammontare[77].

La disciplina del meccanismo compensativo a due vie solleva ulteriori incertezze in merito alla sua conformità con il principio di tutela del legittimo affidamento, strettamente connesso ai principi generali di uguaglianza e ragionevolezza ed espressione dello stato di diritto.

Detto principio rientra fra quelli relativi all’esercizio dell’azione amministrativa e in quanto tale è diretto ad assicurare che detto esercizio avvenga nell’interesse pubblico della collettività (alla cui cura la pubblica amministrazione è asservita)[78].

Nell’ordinamento interno il legittimo affidamento è sorto come specificazione del dovere di buona fede, il quale si fa discendere “dal dovere di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione e consiste nell’esercitare i diritti in maniera tale da non comportare un eccessivo sacrificio della sfera giuridica altrui[79].

Nella sua versione europea, elaborata dalla Corte di Giustizia, riceve una sottolineatura più forte, nel senso della “protezione delle posizioni private a fronte di misure che, pur astrattamente conformi all’interesse pubblico, non siano tuttavia strettamente necessarie, così da giustificare il sacrificio delle posizioni private stesse, assumendo un connotato garantistico della posizione dei terzi che prima non aveva[80].

In particolare, la giurisprudenza europea lo ha concepito come limitativo del potere di emanazione degli gli atti da parte dei pubblici poteri e come uno dei tre corollari del principio della certezza del diritto oltre a quello di irretroattività degli atti normativi e di protezione dei diritti quesiti[81].

Con specifico riguardo alla tutela dell’energia rinnovabile, inoltre, il considerando n. 29 della Direttiva (UE) 2018/2001 stabilisce che “Fatti salvi gli articoli 107 e 108 TFUE, le politiche di sostegno all’energia rinnovabile dovrebbero essere prevedibili e stabili e dovrebbero evitare modifiche frequenti o retroattive. L’imprevedibilità e l’instabilità delle politiche hanno un impatto diretto sui costi di finanziamento del capitale, sui costi di sviluppo del progetto e quindi sul costo complessivo della diffusione di energia rinnovabile nell’Unione. Gli Stati membri dovrebbero fare in modo che un’eventuale revisione del sostegno concesso ai progetti di energia rinnovabile non incida negativamente sulla loro sostenibilità economica. In tale contesto, gli Stati membri dovrebbero promuovere politiche di sostegno efficaci sotto il profilo dei costi e garantirne la sostenibilità finanziaria. Inoltre, dovrebbe essere pubblicato un calendario indicativo a lungo termine che copra i principali aspetti del sostegno previsto, lasciando impregiudicata l’abilità degli Stati membri di decidere riguardo all’allocazione di bilancio negli anni rientranti nel calendario”.

Al riguardo, vero è che “un operatore economico prudente e avveduto sia in grado di prevedere l’adozione di un provvedimento idoneo a ledere i suoi interessi, […] non può invocare detto principio nel caso in cui il provvedimento venga adottato. Inoltre, gli operatori economici non possono fare legittimamente affidamento sul mantenimento di una situazione esistente, che può essere modificata nell’ambito del potere discrezionale delle autorità nazionali[82].

Tuttavia, per la tutela del legittimo affidamento certamente assume importanza l’“ampiezza dell’impatto di” una “riduzione sulla redditività degli investimenti effettuati dai” soggetti colpiti dalla disposizione sopravvenuta, “nonché dell’eventuale carattere improvviso e imprevedibile di tale misura” ove, ai soggetti in esame, “non” sia “stato lasciato il tempo necessario per adeguarsi a questa nuova situazione[83].

Per cui, occorre domandarsi se, l’introduzione del primo meccanismo compensativo abbia avuto effetti sulla redditività degli investimenti dei produttori di elettricità interessati dalla misura e se gli stessi potessero ritenerla ragionevolmente prevedibile.

I soggetti colpiti dalla misura, probabilmente, avevano organizzato la gestione degli investimenti, senza ipotizzare di essere raggiunti da un prelievo di simile entità e, tra l’altro, unitamente alla possibile applicazione del contributo a titolo di prelievo solidaristico straordinario, introdotto dall’art. 37 del D.l. 21 marzo 2022, n. 21 convertito con modificazioni in Legge 20 maggio 2022, n. 51 ed istituito, quasi contestualmente; due misure potenzialmente capaci di provocare un’alterazione dell’equilibrio economico-finanziario degli impianti colpiti.

Prima dell’introduzione dell’art. 15-bis del D.l n. 4/2022 , convertito con modificazioni in L. n. 25/2022, era ignota la disciplina che sarebbe stata introdotta; pertanto, gli interessati non potevano prevedere di avere la necessità di accantonare risorse per fronteggiare carichi futuri e particolarmente onerosi, come quello richiesto dal meccanismo compensativo a due vie; si poteva, eventualmente, immaginare che il legislatore prevedesse il contrario (id est agevolazioni o incentivi), atteso che, si ribadisce, le fonti rinnovabili, nelle intenzioni del legislatore europeo, devono essere incentivate e tutelate.

Tale tesi può essere rafforzata dal fatto che, sebbene nel 2021 i prezzi dell’elettricità sui mercati energetici si siano impennati, nel 2020, gli stessi si erano profondamente depressi, raggiungendo i minimi storici, per cui il 2022 poteva prospettarsi come un anno di ripresa per il settore energetico e più specificamente delle fonti rinnovabili.

Per queste ragioni, si porrebbe una problematica di compatibilità della normativa anche rispetto al principio di tutela dell’affidamento e, specialmente, in rapporto alla libertà costituzionale di iniziativa economica privata (art. 41, comma 1, Cost.), vulnerata da norme legislative imprevedibili, contrarie agli obbiettivi di tutela ambientale e che vanno ad intaccare profondamente le scelte gestionali degli imprenditori interessati[84].

6. Sulla natura tributaria dei tetti ai ricavi e i riflessi in tema di conformità costituzionale

Nel tentativo di porre ordine in questa situazione fluida e di fornire un inquadramento sistematico dei meccanismi di compensazione, parte della dottrina ha sottolineato come le somme da versare al GSE, in virtù dei richiamati istituti, presenterebbero le caratteristiche tipiche di un “tributo”[85].

L’onere imposto dal Gestore dei Servizi Energetici a carico dei produttori di energia elettrica dalle fonti di cui all’articolo 15 bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 e dall’ art. 1, comma 30 della L. n. 197/2022, innanzitutto, presenterebbe i tratti di una prestazione patrimoniale imposta che, come tale è, in primis, assoggettata alle previsioni dell’articolo 23 della Costituzione.

Più specificamente, il prelievo si configura come un’entrata pubblica, ossia una risorsa che affluisce allo Stato e agli altri enti territoriali con la funzione tipica di far fronte al relativo fabbisogno finanziario.

Normalmente, le entrate pubbliche si distinguono in entrate di diritto privato e di diritto pubblico.

Le prime sono collegate allo svolgimento diretto o indiretto di attività economiche e alla gestione del patrimonio dell’ente pubblico, le seconde, invece, derivano dall’esercizio di poteri autoritativi.

Gli oneri previsti dal Gestore dei Servizi Energetici, sicuramente, rientrano nella seconda categoria, in cui la dottrina, di norma, riconduce tributi, espropriazioni, sanzioni pecuniarie e altre entrate coattive di natura non tributaria, posto che tale onere viene imposto per legge[86].

Orbene, per stabilire se il prelievo in esame costituisca effettivamente un tributo e non rientri, dunque, nell’ambito delle altre species di entrate di diritto pubblico è necessario verificare la sussistenza degli elementi indefettibili della fattispecie tributaria, individuati dalla giurisprudenza costituzionale nel fatto che un tributo:

  1. determina l’insorgenza di una obbligazione, tributaria per l’appunto, o altra forma di decurtazione patrimoniale;
  2. gli effetti di tale decurtazione sono definitivi, irreversibili;
  3. viene istituito con un atto dell’autorità, una legge o un provvedimento ed è, dunque, caratterizzato dal requisito della coattività;
  4. la doverosità della prestazione[87], in assenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti;
  5. è destinato a finanziare spese di interesse generale;
  6. le risorse ottenute dalla decurtazione sono ricollegate a un presupposto economicamente rilevante, espressivo di una capacità contributiva[88].

Circa il fatto che, il prelievo previsto in favore del GSE operi una decurtazione patrimoniale irreversibile non vi sono dubbi.

Per quanto attiene, poi, alla coattività della previsione, come si è già osservato, poche incertezze possono sussistere, posto che l’onere viene previsto in forza delle due leggi[89] e che i soggetti passivi sono tenuti al pagamento anche in mancanza di un assenso.

Anche il requisito della destinazione del tributo al finanziamento delle spese pubbliche risulta rispettato.

Infatti, ai sensi dell’art. 15-bis, comma 6 del D.l. n. 4/2022, cit., i proventi derivanti dall’attuazione del meccanismo sono versati dal GSE alle entrate del bilancio dello Stato e restano acquisiti all’erario fino a concorrenza dell’importo complessivo di € 3,8 miliardi.

A tal riguardo, non si potrebbe affermare la presenza di sinallagmaticità e corrispettività tra le somme erogate dai produttori per lo sforamento della soglia di 60 €/MWh e le compensazioni effettuate dal GSE (ipotesi quanto mai residuale, posti gli elevati prezzi medi dell’energia nel 2023, pari a 300€/MWh[90] ) poiché, tali compensazioni sono volte ad integrare il corrispettivo ottenuto dai produttori per le cessioni di energia effettuate ad un prezzo inferiore a quello di riferimento (60€/MWh) che, dunque, eventualmente, potrebbero essere considerate come una sorta di corrispettivo solamente per quelle specifiche vendite[91].

La disciplina del meccanismo di compensazione a due vie, inoltre, integrava il presupposto della destinazione dei proventi al finanziamento di spese pubbliche, anche nella sua versione originale, anteriore alle modifiche intervenute con D.l. n. 144/2022, convertito con modificazioni in L. n. 175/2022.

Infatti, nella previgente disciplina era stabilito che le partite economiche oggetto di regolazione con il GSE fossero versate in un apposito fondo istituito presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali e portati a riduzione del fabbisogno a copertura degli oneri generali afferenti il sistema elettrico.

Specificamente, il gettito complessivamente disponibile avrebbe dovuto essere utilizzato per contribuire alla copertura del fabbisogno del Conto per nuovi impianti da fonti rinnovabili e assimilate, alimentato dalla componente tariffaria Asos, species degli oneri generali di sistema (tale componente identifica gli oneri di sistema a copertura dei costi per il sostegno delle energie rinnovabili e della cogenerazione CIP 6/92)[92].

A questo riguardo, il fatto che il contributo venisse utilizzato per finanziare nuovi impianti rinnovabili e assimilate, com’è stato acutamente rilevato[93], non era, inoltre, sicuramente un elemento idoneo a dimostrarne la sinallagmaticità; infatti, l’onere di cui il GSE è creditore sorge dallo sforamento del tetto fissato dalla legge da parte degli impianti già esistenti, mentre il conto istituito presso la CSEA era volto a favorire la costituzione di impianti da fonti rinnovabili nuovi, che i produttori incisi dalla misura avrebbero anche potuto non realizzare o acquisire.

Si poteva, dunque, sostenere l’integrazione del requisito della destinazione dei proventi del tributo a sostegno delle spese pubbliche, anche nella previgente disciplina, posto che la creazione e il sostegno degli impianti di produzione di elettricità alimentati da fonti rinnovabili rappresenta un obiettivo tutelato sia a livello costituzionale che a livello europeo e di cui beneficia l’intera comunità, dato che tali impianti contribuiscono sensibilmente all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica.

Parimenti, il requisito della destinazione al sostentamento delle pubbliche spese deve ritenersi rispettato dal meccanismo di compensazione ad una via, i cui proventi, fino a concorrenza della somma di € 1,4 miliardi, sono acquisiti dall’erario e, a maggior ragione, in virtù del fatto che le eventuali eccedenze rispetto a tale incasso, sono convogliate in un apposito fondo istituito presso il MESA, per perseguire le finalità di interesse generale fissate dall’articolo 10, par. 4 del Regolamento (UE) 2022/1854.

A sostegno della natura fiscale degli strumenti in esame pare, inoltre, indicativo il contenuto dell’Allegato 2 “Orientamenti relativi all’applicazione di misure fiscali sugli utili inframarginali” della COM (2022) 108 final “REPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili”.

Tale allegato pare riferirsi ai meccanismi di tassazione dei c.d. “extraprofitti” realizzati nel settore energetico, id est, considerando la normativa nazionale, oltre ai contributi solidaristici temporanei[94], anche ai due meccanismi compensativi in esame.

Indicazioni sulla natura tributaria dei prelievi emergerebbero oltre che dal titolo, in cui è usata l’espressione “misure fiscali”, anche dal fatto che nel testo dell’allegato si usi più volte l’espressione imposta per riferirsi a tali strumenti legislativi.

Per quanto consapevoli dell’irrilevanza del nomen iuris usato, al fine di stabilire se ci si trovi in presenza o meno di un tributo, “occorrendo riscontrare in concreto e caso per caso se si sia o no in presenza di un tributo[95], tale indicazione di matrice europea unita al riscontro degli elementi riconosciuti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, come essenziali per individuare una fattispecie tributaria, sembrano poter consentire di sostenere la natura fiscale dei meccanismi in esame.

La qualificazione del meccanismo compensativo come tributo impone di operare una verifica di compatibilità della misura con la Costituzione, ulteriore, rispetto a quella operata in precedenza, con riguardo, in particolare, al principio di uguaglianza tributaria, frutto del combinato disposto degli artt. 3 e 53 della Costituzione[96] .

I dubbi, sotto questo profilo, attengono alla legittimità delle discriminazioni qualitative dei ricavi operate dal D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 e dalla L. n. 197/2022; la prima, come ricordato più volte, prevede l’applicazione della tagliola dei ricavi al superamento della soglia dei 60 €/MWh, mentre, la seconda allo sforamento di un tetto molto più elevato, pari a 180 €/MWh.

La Corte costituzionale ha ritenuto ammissibili diversificazioni della tassazione per tipologie di redditi o cespiti o per settore produttivo[97], ammettendo anche tributi istituiti solo per alcuni soggetti passivi all’interno di una determinata categoria[98]; tuttavia, tali distinzioni, per essere legittime, non devono essere ingiustificate, irragionevoli, arbitrarie o sproporzionate[99].

Ebbene, se può giustificarsi, almeno in linea teorica, la differenza di prelievo tra gli impianti fotovoltaici colpiti dalla misura del 27 gennaio 2022, e gli impianti alimentati dalle fonti fossili, interessati dal meccanismo istituito con la L. n. 197/2022, in quanto i primi beneficiano di premi incentivanti e hanno avuto margini di guadagno sulla vendita di elettricità considerevolmente maggiori rispetto ai secondi.

Non pare invece ammissibile, come si è già visto, con riguardo alla compatibilità di tali previsioni con l’art. 3 della Costituzione, la diversità di trattamento tra impianti alimentati da fonti geotermiche, idriche ed eoliche entrati in funzione prima del 2010 e sottoposti al meccanismo di compensazione a due vie (che fissa il tetto a 60 €/MWh) e gli impianti della stessa tipologia entrati in funzione successivamente al 2010 che invece sono sottoposti al tetto previsto di 180 €/MWh, previsto dalla L. n. 197/2022.

La ragione che sembra emergere per giustificare tale distinzione sarebbe che gli impianti entrati in funzione prima del 2010, avrebbero, nel corso degli ultimi 13 anni, avuto modo di rientrare dei propri investimenti, a differenza degli impianti operativi da dopo il 2010, che essendo in funzione da meno tempo, dovrebbero ancora ammortizzarli[100].

Ebbene, fondandosi su questo assunto, la distinzione non sembra né ragionevole, né proporzionata.

Non sarebbe ragionevole poiché, come già sostenuto[101], non ci sono evidenze circa il fatto che gli impianti più vecchi siano già rientrati degli investimenti o non ne abbiano effettuati di nuovi.

Tra l’altro, se si ritenesse questa la ragione giustificativa della distinzione[102], posto che non viene consentito ai produttori di fornire la prova contraria circa il rientro dagli investimenti o l’assenza di nuovi, si dovrebbe riscontare una presunzione assoluta nell’elaborazione dei presupposti dei due tributi.

Presuntivamente, i produttori da impianti anteriori al 2010 avrebbero una capacità contributiva maggiore rispetto all’altra categoria, idonea a giustificare un maggior prelievo, in virtù del fatto che sarebbero rientrati dai propri investimenti o non ne starebbero effettuando di nuovi.

Ebbene, in questo modo, si accetterebbe una nozione di capacità contributiva “presunta”, in quanto desunta da elementi indiziari, quali l’entrata in funzione di un impianto prima o dopo il 2010 a cui si ricollegherebbe un minore o maggiore attitudine a contribuire alle spese pubbliche.

Questa concezione di capacità contributiva non viene accolta dalla giurisprudenza costituzionale che, invece, richiede che la capacità contributiva sia “reale”, ovvero, che si faccia capo ad un indice effettivo “per determinare la quantità di imposta che da ciascun obbligato si può esigere[103]; al contribuente dovrebbe, in aggiunta, essere concessa la possibilità di dimostrare l’esistenza o la diversa consistenza del fatto presunto per legge[104], per cui sono da escludere le presunzioni assolute[105].

Quand’anche queste motivazioni non bastassero, e si volesse ritenere accettabile la motivazione del rientro dagli investimenti, la distinzione apparirebbe comunque sproporzionata, poiché, come in precedenza affermato[106], non pare possibile sostenere l’ammissibilità di una tassazione tre volte superiore in ragione del rientro degli investimenti da parte degli impianti entrati in funzioni prima del 2010.

Ulteriore elemento di perplessità attiene alla conformità con l’art. 53 della Costituzione che sancisce il principio di capacità contributiva.

In particolare, tanto l’articolo 15-bis del D. l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022, quanto l’articolo 1, comma 30 della L. n. 197/2022, non considerano, ai fini dell’applicabilità dei meccanismi, l’effettiva percezione del provento ma la sua semplice emersione sul piano della competenza temporale; infatti, l’insorgenza dell’obbligazione tributaria è ricollegata semplicemente al superamento da parte del “prezzo di mercato” del cosiddetto “prezzo di riferimento”, in quella fascia oraria.

In questo modo, non viene assicurato il collegamento fra il presupposto del tributo e una grandezza effettiva che deve necessariamente essere garantito; questo, perché non può darsi per scontato che all’insorgenza di un diritto al corrispettivo segua la percezione dello stesso.

Infatti, l’obbligo di versamento sorge indipendentemente dalla effettiva percezione del corrispettivo, senza che vengano in alcun modo tenute in considerazione eventuali morosità dei clienti energetici; difetterebbe, in sostanza, un meccanismo simile a quello delle sopravvenienze passive nell’ambito delle imposte sui redditi[107].

Infine, appare evidente un’ulteriore patologia del prelievo, derivante dalla mancata coordinazione di previsioni da parte del legislatore.

I soggetti produttori di energia elettrica sono assoggettati a più tributi gravanti sul medesimo corrispettivo.

Innanzitutto, i meccanismi di compensazione si aggiungono alla imposta sui redditi, inoltre, rientrano nel novero delle misure introdotte per intercettare i supposti sovraprofitti realizzati dai produttori di energia elettrica, di cui fa parte anche il contributo straordinario sul c.d. “caro bollette”[108], a cui si assommano.

7. Conclusioni

All’esito della ricostruzione della disciplina legislativa di riferimento e rilevati i profili di criticità delle misure adottate dal legislatore nazionale rispetto ai principi costituzionali ed europei, ci sembra opportuno effettuare alcune osservazioni di carattere conclusivo

Come ricordato, i meccanismi di compensazione attualmente non sono più in vigore, in quanto, tanto la cornice legislativa europea di riferimento, quanto la disciplina nazionale hanno previsto la loro applicazione sino al 30 giugno 2023.

Nell’immediatezza di tale scadenza sarà interessante verificare se, nel prossimo futuro, il legislatore deciderà di prorogare o meno tali meccanismi.

Ciò, per più ragioni; bisogna, infatti, preliminarmente ricordare che i tetti ai ricavi hanno costituito espressione di una più ampia normativa di carattere emergenziale, che, sul fronte energetico, aveva tra i propri obbiettivi, anche e principalmente, quello di contenere il costo dell’energia per imprese e famiglie.

Ebbene, come accennato in precedenza, la situazione di crisi dei prezzi è emersa in modo repentino a partire del 2021, per poi aggravarsi nel 2022, soprattutto a seguito della guerra in Ucraina cui ha fatto seguito un uso “politico” del gas da parte della Russia.

Tale contesto emergenziale pare, ad oggi, essersi fortemente attenuato.

Di conseguenza, si ritiene che un’eventuale proroga della misura potrebbe esporla a censure di incostituzionalità, ulteriori a quelle già rilevate; infatti, la giurisprudenza della Corte Costituzionale “è costante nel giustificare temporanei interventi impositivi differenziati, volti a richiedere un particolare contributo solidaristico a soggetti privilegiati, in circostanze eccezionali”[109]; tuttavia, viene richiesto che tale arco temporale sia correlato al “perdurare della congiuntura posta a giustificazione della più severa imposizione”[110],presupposto che non si ritiene sussistente nel caso di specie.

Al di là di questi dubbi che riguardano scelte politiche future, occorrerà tenere anche conto dell’esito del giudizio amministrativo relativo alla legittimità della Delibera ARERA 266/2022/R/EEL; giudizio che appare allo stato più che mai incerto e che si svolgerà dinnanzi al Consiglio di Stato in data 5 dicembre 2023[111].

Parimenti, risulta centrale il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea operato dal T.A.R. della Lombardia, Sez. I, tramite la sentenza n. 1744 del 21 giugno 2023, relativo alla conformità dell’art. 15-bis del D.l. 27 gennaio 2022, n. 4, convertito con modificazioni in L. 28 marzo 2022, n. 25 (id est il meccanismo compensativo a due vie) con il Regolamento (UE) 2022/1854, da cui potrebbe derivare una disapplicazione della normativa interna con efficacia ex tunc, posto che la Corte, che si riserva il potere di limitare nel tempo le proprie sentenze, tende, in linea di principio a riconoscere efficacia retroattiva a tutte le pronunzie pregiudiziali[112].

Nei prossimi mesi assisteremo, dunque, ad un’ulteriore evoluzione della materia.

 

[1] Si veda S. BELLOMO, M. NICOLAZZI, webinar Italian Energy summit, 28-29 settembre 2022, in Il Sole 24 Ore.

[2] La normativa in tema di accise su energia, gas naturale e prodotti energetici ha derivazione europea, rappresentata dalla Direttiva 27 ottobre 2003, 2003/96/CE c.d. Energy taxation, la normativa a livello nazionale è costituita dal “Testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative” varato con il D.lgs 26 ottobre 1995, n. 504 del 95 sulla base di una delega contenuta nella L. 427/1993. Estremamente rilevante in materia è la proposta di riforma della direttiva 2003/96/CE, c.d. direttiva Energy taxation (contenuta in COM(2021) 563 final, Proposta di Direttiva del Consiglio che ristruttura il quadro dell’Unione per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità̀ (rifusione))che dovrebbe portare a una finalizzazione in chiave ecologica delle stesse, facendo acquisire a questi tributi una connotazione ambientale, caratterizzazione auspicata da tempo, ma che sino ad ora è sempre stata impedita dall’ incapacità di trovare un accordo in sede europea, a causa della previsione del meccanismo della unanimità per l’adozione delle Direttive in materia fiscale e delle misure necessarie per il conseguimento degli obiettivi energetici, di cui all’art. 194, par. 1 TFUE.

[3] In base a questo meccanismo esiste un ordine di merito economico tra le varie fonti di energia. Sul mercato viene venduta prioritariamente quella prodotta con costi marginali minori, cioè quella per la quale un aumento della produzione di energia elettrica costa meno per l’azienda produttrice. É anzitutto il caso dell’energia ottenuta da fonti rinnovabili che, essendo ottenuta dalla luce del sole e dal vento, risorse liberamente disponibili in natura, sebbene non sempre ottenibili, non presenta alcun costo marginale. In quest’ordine di merito seguono poi l’energia idroelettrica, l’energia nucleare, e infine quella ottenuta bruciando combustibili fossili, prima quella ottenuta da carbone e poi quella da gas. Il prezzo dell’energia elettrica venduta nel corso della sessione di mercato, non è differenziato in base al tipo di fonte energetica da cui è ottenuta, ma è unico per tutta l’energia venduta sul mercato ed è valorizzato al prezzo offerto dall’ultima centrale elettrica presa in considerazione, seguendo quest’ordine di merito; in Italia il prezzo che si forma per l’applicazione del system marginal pricing è definito PUN, prezzo unico nazionale, la media pesata nazionale dei prezzi zonali di vendita dell’energia elettrica per ogni ora e per ogni giorno. Per cui il prezzo di tutta l’energia elettrica viene allineato a quello dell’impianto di produzione che presenta costi marginali più alti, ossia l’impresa marginale. Questi impianti normalmente sono quelli a gas, sebbene con differenze che variano da paese a paese. Si veda Cosa vuol dire slegare il prezzo                    del gas da quello dell’energia elettrica, in Il Post, 2022. Si veda, inoltre, Gestore dei mercati energetici, 2009, Vademecum della Borsa elettrica-GME.

[4] COM(2021) 660 final.

[5] ACER, ACER’s Final Assessment of the EU Wholesale Electricity Market Design. April 2022.

[6] Regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio, del 6 ottobre 2022, relativo a un intervento di emergenza per far fronte ai prezzi elevati dell’energia, art. 1.

[7] Per disaccoppiamento dei prezzi dell’energia elettrica da quelli del gas si intende la creazione di mercati dell’energia elettrica separati sulla base della fonte di produzione utilizzata.

[8] Il riferimento è al Regolamento (UE) 2022/2578 del Consiglio del 22 dicembre che istituisce un meccanismo di correzione del mercato per proteggere i cittadini della Unione e l’economia da prezzi eccessivamente elevati.

[9] Per impresa inframarginale si intende l’impresa che è in grado di produrre ad un costo medio inferiore rispetto alle imprese marginali: finché il prezzo del bene è superiore al costo medio l’impresa godrà di un extraprofitto. Nel caso in cui il prezzo del bene dovesse diminuire l’impresa potrà continuare a produrre finché non vi è coincidenza tra il costo medio e prezzo del bene: in quest’ultimo caso il suo extraprofitto sarebbe annullato e l’impresa godrebbe di un profitto normale. Dizionari Simone, voce: impresa inframarginale. Per impresa marginale si intende l’impresa che risulta avere il costo medio più alto rispetto a tutte le altre imprese che producono la medesima merce: in genere il costo medio coincide con il prezzo del bene. Poiché questa impresa usufruisce di un saggio di profitto più basso rispetto alle altre imprese, è teoricamente la prima destinata a scomparire nel caso in cui vi sia una riduzione del prezzo di mercato poiché il suo alto costo medio non le permette di ottenere dalla vendita del prodotto un profitto, tale da consentirle di continuare a produrre. Dizionari Simone, voce: impresa marginale.

[10] Gli art. 6, 7, 8 del Regolamento (UE) 2022/1854 si applicano dal 1° dicembre 2022 al 30 giugno 2023. Regolamento (UE) 2022/1854, art. 22, par. 2, lett. c.

[11] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 6, par. 1.

[12] La ragione per cui il tetto non viene applicato agli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da gas o carbon fossile, deriva dal fatto che tali centrali presentano costi marginali molto elevati, a causa dei combustili usati per alimentarle, per cui si troverebbero ad avere costi operativi nettamente superiori al livello del tetto sui ricavi di mercato e applicandolo si metterebbe a repentaglio la loro operatività. Il meccanismo non viene, inoltre, applicato agli impianti di produzione di energia a biometano, per evitare di compromettere la conversione delle odierne centrali elettriche a gas, in linea con gli obbiettivi stabiliti nella comunicazione del 18 maggio 2022 sul piano REpowerEU (“piano REPowerEU”). Si vedano i considerando 33 e 34 del Regolamento (UE) 2022/1854.

[13] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 6, par. 2.

[14] Il tetto non si applica ai progetti dimostrativi e/o ai produttori i cui ricavi siano soggetti ad un tetto già esistente in virtù di disposizioni statali o pubbliche diverse da quelle di cui all’articolo 8. Si veda, inoltre, Regolamento (UE) 2022/1854, art. 7, par. 2.

[15] Gli stati membri possono decidere, in particolare nei casi in cui l’applicazione del tetto sui ricavi di mercato di cui all’articolo 6, paragrafo 1 comporti un onere amministrativo significativo, che esso non si applichi ai produttori di energia elettrica i cui impianti di generazione hanno una capacità installata al massimo di 1 MW. Gli stati membri possono decidere, in particolare nei casi in cui l’applicazione del tetto sui ricavi di mercato di cui all’articolo 6, paragrafo 1, comporti il rischio di aumento delle emissioni di CO2 e di riduzione della produzione di energia rinnovabile, che esso non si applichi all’energia elettrica prodotta in impianti ibridi che utilizzano anche fonti energetiche convenzionali. Gli stati membri possono decidere che il tetto sui ricavi di mercato non si applichi ai ricavi ottenuti dalle vendite di energia elettrica nel mercato dell’energia di bilanciamento e dalla compensazione per il ridispacciamento e gli scambi compensativi. Regolamento (UE) 2022/1854, art. 7, par. 3, 4.

[16] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 6, par. 5.

[17] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 8, par. 1.

[18] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 10, par. 1.

[19] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 10, par. 4.

[20] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 11, par. 1.

[21] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 19.

[22] Originariamente, la scadenza della misura era fissata per il 31 dicembre 2022, l’art. 11 del D.l. 9 agosto 2022, n. 115, convertito con modificazioni in L. 21 settembre 2022, n. 142 l’ha prorogata fino al 30 giungo 2023.

[23] Si tratta degli impianti fotovoltaici che beneficiano di premi fissi derivanti dalla misura di incentivazione di cui ai Decreti ministeriali 28 luglio 2005 e 6 febbraio 2006 (c.d. I conto energia), 19 febbraio 2007 (c.d. II conto energia), 6 agosto 2010 (c.d. III conto energia) e 5 maggio 2011 (c.d. IV conto energia). Non sono, invece, interessati dal meccanismo di compensazione gli impianti fotovoltaici che beneficiano delle tariffe di cui al Decreto ministeriale c.d. “V conto energia” di cui al decreto ministeriale del 5 luglio 2012, nonché degli incentivi di cui al decreto ministeriale del 4 luglio 2019 (il “Decreto FER I”), poiché questi due decreti non prevedono premi fissi, ma variabili. In argomento, si veda GSE, Rapporto delle attività 2020, 113.

[24] Si tratta, in particolare, degli impianti c.d. “merchant”, cioè non soggetti a meccanismi di incentivazione. L’articolo 15-bis del D.l. n. 4/2022, cit. esclude dal proprio ambito di applicazione gli impianti con potenza inferiore a 20 kW, probabilmente per agevolare e incentivare gli impianti più piccoli. Si veda S. SUPINO, Il meccanismo di “compensazione a due vie” per i produttori di energia rinnovabile: lineamenti e criticità, in Fiscalità dell’energia, 2022, 1.

[25] Precisamente, in base all’ art. 15-bis, comma 3, lett. a del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022, il prezzo di riferimento è “pari a quello indicato dalla tabella di cui all’allegato I-bis al presente decreto in riferimento a ciascuna zona di mercato”; il valore di 61 €/MWh equivale a una media approssimativa dei valori delle singole zone di mercato.

[26]che non siano collegati all’andamento dei prezzi dei mercati spot dell’energia e che, comunque, non siano stipulati a un prezzo medio superiore del 10 per cento rispetto al valore di cui al comma 3, lettera a), limitatamente al periodo di durata dei predetti contratti.” Art. 15-bis, comma 7 del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022

[27] Art. 15-bis, comma 2 del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022.

[28] Il conguaglio previsto dalla norma consiste nella compensazione fra il debito sorto nei confronti del GSE, per effetto del superamento del tetto, con crediti che i produttori energetici vantano nei riguardi di tale organo a vario titolo (come, ad esempio, gli incentivi o i contributi per la cessione diretta di energia al GSE, come il c.d. ritiro dedicato o il c.d. scambio sul posto, che riguardi il surplus non oggetto di autoconsumo, prodotto da impianti fotovoltaici). Si veda ARERA, Deliberazione del 21 giugno 2022, n. 266/2022/R/EEL, passim.

[29] Si tratta della delibera n. 266/2022/R/EEL del 21 giugno 2022, recante “attuazione dell’articolo 15-bis del decreto-legge 27 gennaio 2022, n. 4, in merito a interventi sull’elettricità prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili” applicabile per il periodo 1° febbraio-31 dicembre 2022; in tale delibera l’ARERA ha delineato lo specifico procedimento per l’attuazione del meccanismo. È stabilito che nella prima fase, Terna s.p.a., sulla base di apposite informazioni, trasmetta al GSE l’elenco degli impianti interessati dalla misura, indicando le informazioni minime necessarie affinché il Gestore dei Servizi Energetici possa svolgere le attività previste dall’articolo 15-bis. Una volta ricevuta la “Comunicazione di inclusione nel perimetro degli impianti interessati dall’art. 15-bis del d.l. 27 gennaio 2022 c.d. “Sostegni Ter” da parte del GSE i produttori entro il 10 agosto 2022 inviano una dichiarazione che attesta, con riferimento al periodo di applicazione della norma, : a)la presenza o meno di contratti di fornitura conclusi prima del 27 gennaio 2022, b) se questi contratti sono collegati o meno all’andamento dei prezzi dei mercati spot dell’energia elettrica, c) i volumi contrattuali, d) le formule per il calcolo del prezzo medio di cessione dell’energia definito in tali contratti, e) se l’energia elettrica prodotta e immessa in rete dall’impianto è ceduta nell’ambito di uno o più contratti conclusi prima del 27 gennaio 2022. In caso di risposta affermativa all’ultima attestazione, la dichiarazione dei produttori dovrà evidenziare ulteriori aspetti, con riferimento al citato periodo temporale. Tale delibera è stata annullata, assieme ad ogni altro atto presupposto, dalla sentenza del T.A.R. della Lombardia, sezione I, n. 2676 del 23 novembre 2022; tuttavia, il 17 gennaio 2023, il Consiglio di Stato con ordinanza cautelare n. 204 del 17 gennaio 2023, ha sospeso l’esecutività di tale decisione; con sent. n. 357 del 23 novembre 2022 il T.A.R. ha pubblicato le motivazioni della richiamata sentenza n. 2676/2023; con tale pronunzia il giudice di primo grado ha innanzitutto escluso profili di illegittimità costituzionale e di contrasto con la normativa europea, essendo possibile un’interpretazione della conforme alla disciplina eurounitaria dell’art. 15-bis, in ragione del fatto che la norma non sarebbe in sé completa, ma necessiterebbe di attuazione che sarebbe intervenuta tramite la Delibera 266, in ragione dei poteri regolatori riconosciuti ad ARERA. Proprio sulla scorta di tali considerazioni, il T.A.R. ha confermato l’annullamento della Delibera n. 266/2022/R/EEL del 21 giugno 2022, unitamente agli atti consequenziali impugnati, in ragione del fatto che, ARERA, nell’adottare tale atto, non ha esercitato i poteri regolatori di cui è titolare in quanto non ha tenuto conto, dei fattori idonei a far emergere il reale utile inframarginale; più specificamente, secondo il T.A.R. “la deliberazione…è viziata sul piano istruttorio e motivazionale, perché ha omesso, in modo irragionevole, di individuare sul piano tecnico e di valorizzare sul piano della disciplina regolatoria tutti i fattori che conducono a definire le partite economiche funzionali all’emersione dell’utile inframarginale effettivamente realizzato dagli operatori interessati dalla misura”. Nonostante ciò, il Consiglio di Stato, con ordinanza cautelare n. 1124 del 21 marzo 2023 ha nuovamente sospeso l’esecutività delle sentenze di prime cure, fissando al 5 dicembre la data dell’udienza per la trattazione della causa nel merito.

[30] ARERA, Deliberazione del 21 giugno 2022 n. 266/2022/R/EEL, art. 6.1.

[31] Art. 15-bis, comma 7 del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022.

[32] Art. 15-bis, comma 7 bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022. Questa disposizione ha una chiara finalità antielusiva, che recepisce quanto osservato da ARERA, circa la possibilità che alcuni soggetti, attraverso varie società controllate, riuscissero a consegnare l’energia direttamente all’utente finale, trasferendo i maggiori ricavi dal produttore agli intermediari commerciali a cui non è applicato l’articolo 15-bis.

[33] In relazione a tali impianti, è stabilito dall’ art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 che “le partite economiche di cui al comma quattro sono calcolate dal gse in modo tale che i produttori rispetti una remunerazione economica totale annua non inferiore a quella derivanti dei prezzi minimi garantiti, nei casi di previsti.”

[34] L. 29 dicembre 2022, n. 197, art. 1, comma 32, lett. a. Ai sensi dell’art. 4 della Deliberazione ARERA 4 aprile 2023 143/2023/R/EEL, l’Autorità ha deliberato di avviare un “procedimento per la definizione dei criteri sulla base dei quali, in attuazione del comma 32 della legge 197/22, viene stabilito un prezzo di riferimento per tecnologia maggiore di 180 €/MWh, ove necessario, tenuto conto dei costi di investimento e di esercizio e di un’equa remunerazione degli investimenti”.

[35] Si veda art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022.

[36] L. 29 dicembre 2022, n. 197, art. 1, comma 30.

[37] L. n. 197/2022, art. 1, comma 33.

[38] L. n. 197/2022, art. 1, comma 36.

[39] Si tratta dell’Allegato A della Delberazione 4 aprile 2023 143/2023/R/EEL; con tale provvedimento è stata data attuazione all’articolo 15-bis del decreto-legge 4/22 per il periodo 1 gennaio 2023 – 30 giugno 2023, nonché ai commi da 30 a 38 della legge 197/22 per il periodo 1 dicembre 2022 – 30 giugno 2023, fatti salvi eventuali posticipi della data del 30 giugno 2023. Tale allegato si applica dunque anche al meccanismo di compensazione a due vie, limitatamente al periodo 1 gennaio 2023-30 giugno 2023.

[40] L. n. 197/2022, art. 1, comma 38.

[41]Le disposizioni dei commi 30, 31, 32, 33, 34, 35 e 36 non si applicano: a) agli impianti di potenza fino a 20 kW; b) all’energia elettrica rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 5-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28; c) all’energia oggetto di contratti di fornitura conclusi prima del 1° dicembre 2022, a condizione che non siano collegati all’andamento dei prezzi dei mercati spot dell’energia e che, comunque, non siano stipulati un prezzo medio superiore al valore di cui al comma 32, lettera a), limitatamente al periodo di durata dei predetti contratti; d) all’energia elettrica oggetto di contratti di ritiro conclusi dal GSE ai sensi dell’articolo 16-bis del decreto-legge 1° marzo 2022, n. 17, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 aprile 2022, n. 34, e che, comunque, non siano stipulati a un prezzo medio superiore al valore di cui al comma 32, lettera a), limitatamente al periodo di durata dei predetti contratti; e) agli impianti a fonti rinnovabili con contratti di incentivazione attivi che risultino regolati con meccanismo a due vie, agli impianti a fonti rinnovabili con contratti che prevedono il ritiro a tariffa fissa omnicomprensiva dell’energia elettrica da parte del GSE nonche’ all’energia elettrica condivisa nell’ambito delle comunita’ energetiche e delle configurazioni di autoconsumo di cui all’articolo 30 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199.” L. n. 197/2022, art. 1, comma 37.

[42] Questa posizione è sostenuta da S. SUPINO, op. cit, 7.

[43] La riconducibilità del meccanismo a due vie al Regolamento (UE) 2022/1854 è confermata anche dalla sent. T.A.R. Lombardia, Sezione I, n. 1744 del 21 giugno 2023, che ha affermato che esso “ha in sostanza costituito la norma nazionale che ha dato attuazione a quella comunitaria, quanto all’energia prodotta da fonti rinnovabili”.

[44] Indicazioni in tal senso si traggono anche dal fatto che il titolo in cui è collocato l’art. 15-bis del D.l. n. 4/2022, convertito con modificazioni in L. n. 25/2022 è denominato “Misure per il contenimento dei costi dell’energia elettrica”.

[45] Questo modello di pricing trova le proprie radici nel Regno Unito, ove venne introdotto nella Borsa elettrica per liberalizzare il mercato; la sua logica era quella di favorire la produzione di energia da fonti, pulite ed efficienti, tra cui anche il gas, che tuttavia non potevano competere sul piano dei costi di produzione con le tradizionali centrali a carbone. Il system marginal pricing consentiva dunque a questi nuovi impianti di produzione di elettricità di entrare nel mercato elettrico, consentendo di coprire quanto meno i costi marginali, in quanto il prezzo di tutta l’energia elettrica si sarebbe allineato ad essi, all’epoca tra i più costosi. Da allora, sulla scia delle liberalizzazioni dei mercati elettrici, questo sistema è stato progressivamente adottato in tutta Europa, trasformandosi però in un controsenso, in quanto, oggi, le nuove fonti “pulite” di elettricità, ossia, gli impianti di produzione da fonti rinnovabili, hanno costi marginali nulli e sono, conseguentemente, quelle meno bisognose del sistema del prezzo marginale per entrare a far parte del mix energetico. Esse sarebbero dunque, considerando solo i costi di produzione, le più convenienti da acquistare, tuttavia, l’applicazione del system marginal pricing fa allineare il loro costo, sulle borse elettriche, a quello delle imprese marginali, alzandone enormemente il costo e garantendo enormi extraprofitti ai produttori da fonti rinnovabili. Invece, ad oggi, gli impianti di produzione più costosi e che necessitano di questo sistema sono gli impianti più inquinanti ossia quelli che producono elettricità a partire da combustibili fossili; infatti, grazie a questo sistema, riescono a rimanere competitivi rispetto agli impianti “puliti” che, astrattamente, sarebbero più convenienti. La permanenza sul mercato delle imprese che producono energia a partire da fonti inquinanti è condizione necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico europeo in quanto, il solo ricorso a fonti rinnovabili non sarebbe, ad oggi, sufficiente. Si veda A. CODEGONI, G.B. ZORZOLI, Prezzi elettrici alle stelle. Tutta colpa del prezzo marginale? in qualenergia.it, 2021.

[46]La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.” Art. 117, comma 1 Cost.

[47] Con la locuzione “effetto diretto”, ci si riferisce a quegli atti non direttamente applicabili, ma che, nonostante ciò, siano idonei a produrre effetti giuridici all’interno dei singoli paesi membri, determinando la nascita in capo ai singoli di situazioni giuridiche soggettive. Sono dotati di effetto diretto il c.d. diritto primario (trattati istitutivi; trattati modificativi; trattati di adesione; protocolli allegati a tali trattati; trattati complementari, che apportano modifiche settoriali ai trattati istitutivi; la Carta dei diritti fondamentali), le direttive quando presentino disposizioni incondizionate, sufficientemente chiare e precise e qualora lo Stato membro non abbia recepito la direttiva entro il termine fissato, le decisioni quando designano uno Stato membro come destinatario. I regolamenti hanno sempre efficacia diretta essendo direttamente applicabili. Si veda A. M. MACALAMIA, V. VIGIAK, Manuale breve diritto dell’Unione europea, X edizione, Giuffrè, Milano, 2018, 358.

[48] Le principali pronunce della Corte Costituzionale e della C. Giust. UE che hanno portato alla delineazione del principio così come è oggi formulato sono: Sentenza C. Cost. n. 183/1973, c.d. Frontini e sentenza C. Cost. n. 232/1975, c.d. industrie chimiche, in cui si riconosceva la prevalenza del diritto europeo su quello nazionale, ma non che il giudice nazionale potesse autonomamente disapplicare la normativa nazionale; sentenza C. Cost. n. 170/1984, c.d. Granital, in cui la Corte ritiene giuridicamente possibile che il giudice nazionale disapplichi la normativa nazionale contrastante con quella europea; sentenze C. Giust. CE, Costa contro Enel del 15 luglio 1964 e sentenza Simmenthal del 9 marzo 1978, in cui veniva affermato che la preminenza del diritto europeo su quello interno comporta che i regolamenti, in virù della loro diretta applicabilità devono trovare immediata applicazione negli ordinamenti interni prevalendo sulle norme nazionali eventualmente incompatibili, anche successive; sentenza C. Giust. CE, Fratelli Costanzo, del 22 giugno 1989, in cui La Corte di Giustizia ha chiarito che la disapplicazione delle norme nazionali incompatibili con il diritto europeo sussiste non solamente, quando tali norme nazionali contrastano con un regolamento, ma anche quando confliggano con qualsiasi norma europea produttiva di effetti diretti e che tale obbligo sussiste sia per le autorità giurisdizionali che per quelle amministrative, ; sentenza Corte cost n. 389/1989, n. 64/1990 e n. 168/1991, in cui la Corte ha affermato che il giudice nazionale non deve applicare le norme interne, allorché queste siano incompatibili, non solo, con i regolamenti ma anche, con le norme produttive di effetti diretti riconoscendo tale efficacia alle disposizioni del Trattato e, alle dovute condizioni, alle direttive. In particolare, nella sentenza C. Cost. n. 389/1989, la Consulta ha precisato che l’obbligo di disapplicazione sussiste anche per gli organi amministrativi, inoltre, chiarendo che le norme interne contrastanti con i doveri imposti dal Trattato devono essere abrogate o modificate. Sul tema si veda A. M. MACALAMIA, V. VIGIAK, op. cit., 152-155.

[49] Sentenze C. Giust. CE Simmenthal del 9 marzo 1978, Variola del 10 ottobre 1973; cfr. A. MALAMIA, V. VIGIAK, op. cit., 114.

[50] Tali misure sono indicate dal Regolamento (UE) 2022/1854, del Consiglio, del 6 ottobre 2022, art. 10, comma 1.

[51] L. n. 197/2022, art. 1, comma 36.

[52] Si veda retro, nota 29.

[53] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 10, comma 1.

[54] Sent. T.A.R. Lombardia, Sezione Prima, n. 2676 del 23 novembre 2022.

[55] Ordinanza Consiglio di Stato, n. 204/2023.

[56] In tal modo disattendendo la Direttiva (UE) 2109/944, in cui viene stabilito che gli interventi pubblici di fissazione dei prezzi di fornitura dell’energia elettrica “sono stabiliti a un prezzo al di sopra del costo” (art. 5, par. 7, lett. c). Del pari, nella COM(2022) 108 final “REPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili” è stato affermato che i meccanismi di regolamentazione e trasferimento dei prezzi che contribuiscono a proteggere i consumatori e l’ economia, adottabili dagli stati, dovrebbero “consentire ai produttori di energia elettrica di coprire i costi e proteggere i segnali di mercato a lungo termine”. Come ha rilevato il T.A.R. lombardo, Sez. I, nella sent. n. 1744/2023, la normativa italiana si porrebbe inoltre “in contrasto con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, secondo cui, è necessario “favorire, in una prospettiva di lungo termine, investimenti in nuovi impianti” (v. sentenza del 29.9.2016, C-492/14, EU:C:2016:732, punto 110, e del 1.7.2014, C-573/12, EU:C:2014:2037, punto 103).

[57] Cfr. Regolamento (UE) 2022/1854, considerando 27.

[58] Regolamento (UE) 2022/1854, art. 8, par. 1.

[59] Regolamento (UE) 2022/1854, considerando 28.

[60] In senso similare, T.A.R. Lombardia, sez. I, n. 1744/2023, punto 7.2.2.

[61] A conclusioni similari è addivenuto anche il T.A.R. della Lombardia, Sez. I, nella sentenza n. 1744/2023, punto 7.1.

[62] In tal senso, anche sent. T.A.R. Lombardia, Sez. I, n. 1744/2023, punto 7.2. Tali fonti di energia, in base a COM (2019) 640 final, “The European Green Deal” vengono considerate centrali per raggiungere gli obbiettivi di neutralità climatica entro il 2050, ossia raggiungere la parità tra emissioni di gas a effetto serra prodotte e catturate. Le fonti rinnovabili sono considerate fondamentali per raggiungere questo scopo, in quanto, forniscono energia “pulita” e non emettono gas inquinanti. Ciò emerge anche dal considerando n. 2 della Direttiva (UE) 2018/2001, in base al quale “Il maggiore ricorso all’energia da fonti rinnovabili o all’energia rinnovabile costituisce una parte importante del pacchetto di misure necessarie per ridurre le emissioni di gas a effetto serra e per rispettare gli impegni dell’Unione nel quadro dell’accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici, a seguito della 21a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici («accordo di Parigi»), e il quadro per le politiche dell’energia e del clima all’orizzonte 2030, compreso l’obiettivo vincolante dell’Unione di ridurre le emissioni di almeno il 40 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030” . In base a Sent. T.A.R., Lombardia, Sez. I, n. 1744/2023 “ La mancanza di investimenti adeguati nel settore delle energie rinnovabili, rientra nell’ambito delle omissioni nella lotta ai cambiamenti climatici da parte degli Stati, già accertate da numerose giurisdizioni nazionali (casi “Urgenda Foundation” in Olanda, ”Affaire du siècle” in Francia, “Neubauer” in Germania), ed attualmente sub iudice davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ricorsi n. 39371/20, 53600/20, e 34068/21)”.

[63] A seguito della comunicazione dell’8 marzo 2022 dal titolo “REPowerEU: azione europea comune per un’energia più sicura, più sostenibile e a prezzi più accessibili”, il 18 maggio 2022 la Commissione ha presentato il piano REPowerEU inteso ad affrancare l’Unione dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, il prima possibile e al più tardi entro il 2027. Per raggiungere tale scopo, il piano REPowerEU definisce misure di risparmio energetico all’insegna dell’efficienza e propone di accelerare la diffusione dell’energia pulita per sostituire i combustibili fossili nelle case, nell’industria e nella produzione dell’energia stessa. Successivamente, il Regolamento (UE) 2022/1369 del 5 agosto 2022 relativo a misure coordinate di riduzione della domanda di gas, ha invitato gli stati a ridurre, volontariamente, il proprio consumo di gas del 15% dal 1° agosto 2022 al 31 marzo 2023, riduzione che diverrebbe obbligatoria nel caso in cui il Consiglio dell’Unione europea decretasse l’allerta energetica. Tale percentuale è in realtà il tetto massimo della riduzione richiesta, infatti, alcuni stati, inclusa l’Italia, potranno usufruire di una serie di deroghe che, mediamente, fanno scendere il taglio obbligatorio di otto punti percentuali.

[64] In tal senso anche sent. T.A.R. Lombardia, Sez.I, Sent. n. 1744/2023, punto 8.1.

[65] Si veda retro, nota 23.

[66] A sostenere questa tesi è l’Ufficio parlamentare bilancio, Audizione della Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge recante bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025, 68.

[67] Tale ruolo delle fonti rinnovabili emerge dalla rilevanza ad esse attribuita nella politica ambientale dell’Unione. Si veda retro, note 64 e 65.

[68] I Trattati, oltre, ad avere effetto diretto, occupano, secondo la giurisprudenza costituzionale, lo stesso ruolo della Costituzione nella gerarchia delle fonti, ponendosi al di sotto, esclusivamente dei c.d. principi costituzionali inderogabili; “Il riconoscimento del primato del diritto dell’Unione è un dato acquisito nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi dell’art. 11 Cost.; questa stessa giurisprudenza ha altresì costantemente affermato che l’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona è condizione perché il diritto dell’Unione possa essere applicato in Italia. Qualora si verificasse il caso, sommamente improbabile, che in specifiche ipotesi normative tale osservanza venga meno, sarebbe necessario dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge nazionale che ha autorizzato la ratifica e resi esecutivi i Trattati, per la sola parte in cui essa consente che quell’ipotesi normativa si realizzi” Ordinanza C. Cost. n. 24/2017; si vedano, inoltre, sentenze C. Cost. n. 232 del 1989, n. 170 del 1984 e n. 183 del 1973.

[69] L’art. 6. TUE precisa che la Carta «ha lo stesso valore giuridico dei trattati». Formalmente, dunque, la Carta ha rango di diritto primario, se non, come qualcuno ha suggerito di un rango “costituzionale”, addirittura superiore al trattato, nella misura in cui essa esprime dei principi fondamentali dell’Unione o di alcuni principi generali di diritto (come, ad esempio, il ne bis in idem)”. Si veda L. ROSSI, ‘Stesso valore giuridico dei Trattati? Rango, primato ed effetti diretti della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, in Il diritto dell’Unione europea, 2016, II, 286.

[70] Tale principio è sancito dal Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, dell’11 dicembre 1997 e ratificato con legge 1° giugno 2002, n. 120, dall’Accordo di Parigi alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite, del 12 dicembre 2015, dalle direttive del Parlamento europeo e del Consiglio 2001/77/CE del 27 settembre 2001 sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità e 2009/28/CE del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.

[71] Sent. C. Cost. n. 121/2022; nello stesso senso, sentenze C. Cost. n. 86 del 2019, n. 199 del 2014, n. 67 del 2011 e n. 119 del 2010.

[72] Sent. C. Cost. n. 121/2022; nello stesso senso, sentenze C. Cost. n. 275 del 2012, n. 46 del 2021, n. 237 del 2020, n. 148 del 2019 e n. 85 del 2012.

[73] Non nei confronti, però, di tutte le fonti fossili, alla luce delle specifiche problematiche che afferiscono alcune di esse. Si vedano considerando 33 e 34 del Regolamento (UE) 2022/1854 del Consiglio, del 6 ottobre 2022.

[74] Tali modifiche sono intervenute, per effetto della L. costituzionale n. 1/2022.

[75] COM(2021) 563 final.

[76] La c.d. Robin Hood tax, venne istituita dall’ art. 81, commi 16-18, D.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in L. n. 133/2008, e prevedeva, per determinate categorie di contribuenti che operano nel settore petrolifero ed energetico, l’applicazione di un’addizionale all’imposta sul reddito delle società (IRES), la Robin Hood Tax (RHT), con un’aliquota del 5,5%, elevata al 6,5% e ulteriormente aumentata, per i tre periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2010, di 4 punti percentuali, dal comma 3 dell’articolo 7 del D.l.13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla L. 14 settembre 2011, n. 148. L’addizionale in questione trovava applicazione qualora, nel periodo d’imposta precedente, l’impresa avesse realizzato un volume di ricavi superiore ad euro 3 milioni ed un reddito imponibile superiore ad € 300 mila. Si trattava di un’addizionale IRES finalizzata a colpire il conseguimento di “sovra-profitti” da parte delle aziende energetiche e petrolifere, determinati dalla crescita speculativa delle quotazioni delle materie prime, con lo scopo di perseguire finalità solidaristiche. Sulla costituzionalità di tale imposta si espresse, nel 2015, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10, dichiarandola illegittima. Si veda Agenzia delle entrate, Circolare 18/E, 28 aprile 2015.

[77] Si veda S. SUPINO, op. cit., 3.

[78] Si veda V. CERULLI IRELLI, Sul principio del legittimo affidamento, in I principi nell’esperienza giuridica. Atti del Convegno della Facoltà di Giurisprudenza della Sapienza. Roma 14-15 novembre 2014, Napoli, 2014, 250.

[79] F. MANGANARO, Principio di buona fede e attività delle amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995, 177 ss.; si veda, inoltre, A. PROFETA, Osservazioni sui principi generali del diritto dell’Unione europea: la tutela del legittimo affidamento, in Amministrazione in cammino, 2022, 2.

[80] V. CERULLI IRELLI, op. cit., 252.

[81] Si veda A. PROFETA, op. cit., 5.

[82] Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 22 settembre 2022, cause C-475 e a., Admiral Gaming Network e a., punto 62. Inoltre, la C. Giust. UE ha sostenuto, sebbene con riguardo al legittimo affidamento nei confronti delle istituzioni europee, che “il principio della tutela del legittimo affidamento” è il canone “in forza del quale il diritto di far valere detta tutela spetta a qualsiasi soggetto dell’ordinamento in capo al quale un’istituzione dell’Unione abbia ingenerato fondate aspettative fornendogli precise assicurazioni. Può parlarsi di assicurazioni siffatte quando vengano fornite informazioni precise, categoriche e concordanti, quale che sia la forma in cui queste vengono comunicate. Nessuno può invece invocare una violazione di tale principio in mancanza di dette assicurazioni”. Tribunale I grado UE sez. IV, sentenza, 18 gennaio 2023, Romania/Commissione europea, causa T-33/21, punto 69; Tale principio è affermato da costante giurisprudenza della C. Giust. UE, si vedano C. Giust. UE, sentenza del 13 settembre 2017, Pappalardo e a./Commissione, C-350/16 P, punto 39; C. Giust. UE, sentenza del 16 dicembre 2010, Kahla Thüringen Porzellan/Commissione, C‑537/08, punto 63.

[83] C. Giust. UE, sentenza Admiral Gaming Network, cit.

[84] Si veda R. IAIA, Il meccanismo compensativo a due vie nei confronti dei produttori di energia rinnovabile (art. 15-bis D.L. n. 4/2022), in Rivista Telematica di Diritto Tributario, 2022, 19-20.

[85] Si veda R. IAIA, op. cit., 3-4.

[86] A. CARINCI, T. TASSANI, Manuale di diritto tributario, V edizione, Giappichelli, Torino, 2022, 1-2.

[87] Come sottolineato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 288/2019 “nella Costituzione il dovere tributario, inteso come concorso alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, è qualificabile come dovere inderogabile di solidarietà non solo perché il prelievo fiscale è essenziale – come ritenevano risalenti concezioni che lo esaurivano nel paradigma dei doveri di soggezione – alla vita dello Stato, ma soprattutto in quanto esso è preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi: sia quelli sociali – come, ad esempio, la tutela della salute, che peraltro deve essere assicurata gratuitamente agli indigenti (art. 32, primo comma, Cost.) ­– sia gran parte di quelli civili (si pensi alla spesa necessaria per l’amministrazione della giustizia, che è funzionale a garantire anche tali diritti)”.

[88] Sentenze C. Cost., n. 304/2013, n. 149/2021. Sulla nozione di tributo, si vedano, ex multis, G. MELIS, Manuale di diritto tributario, IV edizione, Giappichelli, Torino, 2022, 15 ss.; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, VIII edizione, Cedam, Padova, 2022, 13-14; F. TESAURO, Istituzioni di diritto tributario, XIII edizione, UTET giuridica, Milano, 2019, I, 3-4.

[89] D.l. n. 4/2022, cit. e L. n. 197/2022.

[90] Prendendo come valore medio del PUN per il 2023, 300€/MWh, sono stati determinati, dalla L. n. 197/2022, i fondi necessari a coprire gli oneri generali di sistema per il I trimestre 2023.

[91] Al riguardo pare opportuno sottolineare che il T.A.R. della Lombardia, Sez. I, nella sentenza n. 357/2023, punto 6.2 ha negato la natura fiscale del meccanismo di compensazione a due vie e pare proprio averlo fatto in ragione della sua bidirezionalità. Più precisamente il T.A.R. ha, anzitutto, affermato che il Regolamento (UE) n. 1854/2022 “legittima gli Stati ad adottare diverse misure, non specificate nel loro contenuto, ma definite sul piano funzionale, perché dirette, tra l’altro, a “limitare ulteriormente i ricavi di mercato dei produttori che producono elettricità”, dunque non necessariamente fiscali. Oltre a ciò, l’art. 15-bis non si porrebbe nella logica del prelievo tributario, in quanto istitutivo di una misura centrata sulle oscillazioni del prezzo di mercato rispetto al prezzo di riferimento che, proprio in ragione del fatto che può prevedere versamenti da parte del GSE quando il prezzo concorrenziale scenda al di sotto del prezzo autoritativamente stabilito, funzionerebbe come un parametro bidirezionale; da ciò consegue che il meccanismo non operi esclusivamente a “sfavore” degli operatori del settore energetico e ciò sarebbe confermato dal fatto che “l’oscillazione (del prezzo dell’energia) non solo al rialzo ma anche al ribasso integra un dato di comune conoscenza, come confermato dal fatto notorio che attualmente i costi del combustibile sono in forte discesa”.

[92] ARERA, Deliberazione 21 giugno 2022, n. 266/2022/R/EEL, art. 6.2.

[93] Si veda R. IAIA, op. cit., 4.

[94] Introdotti con l’art. 37 del D.l. 21 marzo 2022, n. 21 convertito con modificazioni in Legge 20 maggio 2022, n. 51 e l’art. 1, commi 115-119, della Legge 29 dicembre 2022, n. 197

[95] Sent. C. Cost. n. 141 del 2009, n. 334 del 2006 e n. 73 del 2005.

[96] In base a tale principio, come affermato dalla Corte costituzionale nella sent. n. 120/1972, “a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi, e correlativamente a situazioni diverse un trattamento tributario diseguale”. In argomento si vedano ex multis F. TESAURO, op. cit., 72-74; G. FALSITTA, Corso istituzionale di diritto tributario, VIII edizione, Cedam, Padova, 2022, 86-90; G. MELIS, Manuale di diritto tributario, III edizione, Giappichelli, Torino, 2021, 54-56.

[97] Per esempio, la sovrimposta comunale sui fabbricati (sent. n. 159/1985), l’imposta straordinaria immobiliare sul valore dei fabbricati (sent. n. 21/1996), il tributo del sei per mille sui depositi bancari e postali (sent. n. 143/1995).

[98] Sentenza C. Cost. n. 201 del 2014, che ha previsto la limitazione al solo “settore finanziario” della platea dei soggetti passivi sottoposti al prelievo “addizionale” sulle remunerazioni in forma di bonus e stock options; sentenza C. Cost. n. 269 del 2017, in cui la Corte ha affermato che “non è irragionevole che le spese di funzionamento dell’autorità preposta al corretto funzionamento del mercato [AGCM] gravino sulle imprese caratterizzate da una presenza significativa nei mercati di riferimento [con fatturato superiore a 50 milioni di euro] e dotate di considerevole capacità di incidenza sui movimenti delle relative attività economiche”.

[99] Sent. C. Cost. n. 10 del 2015. Sul tema si vedano, ex multis, P. BORIA, L’illegittimità costituzionale della “Robin Hood Tax”. E l’enunciazione di alcuni principi informatori del sistema di finanza pubblica, in GT – Giurisprudenza Tributaria, n. 5/2015, p. 388 ss.; F. AMATUCCI, La complessa verifica di legittimità costituzionale della Robin Hood Tax, in Rivista trimestrale di diritto tributario, 2015, p. 981.; D. STEVANATO, “Robin Hood tax”: una incostituzionalità a “futura memoria”, in Dialoghi tributari, 2015, p. 50; M. BASILAVECCHIA, Graduale abolizione della “Robin Hood Tax”, in Corriere tributario, 2015, p. 1979 ss.; G. MELIS, Manuale di diritto tributario, III edizione, Giappichelli, Torino, 2021, 56.

[100] Si veda retro, nota 66.

[101] Si veda retro, par. 5.

[102] Questa ratio emerge dai lavori preparatori alla legge di bilancio 2023 (L. n. 197/2022).

[103] Sentenza C. Cost. n. 69/1965.

[104] Sentenza C. Cost. n. 200/1976.

[105] Si veda in argomento, G. A. MICHELI, Corso di diritto tributario, VII edizione, Torino, 1984, 91-92.; Con riferimento alle presunzioni e al ruolo della traslazione nell’ambito del presupposto delle imposte di fabbricazione, si veda, S. FIORENZA, voce Fabbricazione, (Imposte di), Digesto delle discipline privatistiche, sezione commerciale, vol. V, UTET, Torino, 1990, 305.

[106] Si veda retro, par. 5.

[107] Si veda R. IAIA, op. cit., 12.

[108] Introdotto dall’art. 37 del D.l. 21 marzo 2022, n. 21 convertito con modificazioni in Legge 20 maggio 2022, n. 51. Si veda IAIA, op. cit, 12. Con ord. n. 2437 del 27 giugno 2023 la CGT di I grado di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 D.l. 21/2022, convertito con modificazioni in Legge 20 maggio 2022, n. 51 per violazione degli artt. 3, 23, 41, 42, 53, 117 della Cost. e in via mediata dell’art. 1 del Primo Protocollo CEDU.

[109] Sent. C. Cost. n. 10/2015.

[110] Sent. C. Cost. n. 10/2015.

[111] Si veda retro, nota 29.

[112] Sent. C. Giust. UE Blaizot del 2 febbraio 1998. In argomento si veda A. M. MACALAMIA, V. VIGIAK, op. cit., 182-183.

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