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Giurisprudenza

Il rimborso del credito IVA spetta a prescindere dall’indicazione nel bilancio finale di liquidazione

14 Marzo 2018

Matteo Porqueddu, Tremonti Romagnoli Piccardi e Associati

Cassazione Civile, Sez. V, 06 maggio 2016, n. 9192 – Pres. Bielli; Rel. Cirillo

Con la sentenza in commento la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che il credito Iva di una società posta in liquidazione richiesto a rimborso ai sensi dell’art. 30 DpR 633/1972 al momento della presentazione della dichiarazione relativa all’ultimo anno di attività non è condizionato dalla circostanza che quel credito non sia stato esposto nel bilancio finale di liquidazione in quanto oggetto di cessione a terzi in un momento in una data anteriore.

Nel caso di specie, una società in liquidazione cedeva ad altro soggetto giuridico il proprio credito IVA. Veniva approvato il bilancio finale di liquidazione, senza però indicarvi il credito ceduto. L’anno successivo la società cedente richiedeva il rimborso del credito con l’apposito modello VR e ribadiva tale intento nell’ambito della dichiarazione.

Il 25 ottobre 2004 l’Agenzia negava il rimborso “per rinuncia all’esigibilità dello stesso, in quanto il credito IVA non risulta evidenziato nel bilancio finale di liquidazione”, secondo quanto stabilito dall’art. 2 del DM 26 febbraio 1992.

La società impugnava quindi tale diniego, deducendo come non vi fosse stata alcuna rinuncia all’esigibilità del credito e come comunque tale rinuncia non poteva essere ricavata dalla mancata indicazione del credito nel bilancio finale di liquidazione.

Il principio affermato dalla Suprema Corte ha chiarito che nel caso in cui il credito Iva sia ceduto a terzi prima della presentazione della dichiarazione annuale e/o del bilancio finale di liquidazione e dunque non possa esserVi indicato, tale omissione non può portare a negare la sussistenza del credito, in quanto il credito Iva non sorge al momento e per effetto della presentazione della dichiarazione, ma come conseguenza delle operazioni imponibili passive.

In particolare, come già chiarito in passato (cfr. su tutte la sentenza della Corte di Cassazione 10808/2012) la fattispecie da cui scaturisce l’Iva a credito è normativamente prevista dall’art. 19 D.P.R. n. 633/1972 , che attribuisce al cessionario di beni e al committente di servizi un diritto di detrazione e di credito (nei confronti dell’erario), pari all’imposta “assolta o dovuta dal soggetto passivo o a lui addebitata a titolo di rivalsa…”. L’art. 19 citato dispone inoltre che il diritto del credito Iva (esercitabile mediante detrazione dall’imposta a debito, o con istanza di rimborso), «sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile…» (e non con la presentazione della relativa dichiarazione).

Sulla questione l’art. 30 D.P.R. n. 633/1972, in tema di contenuto minimo che deve far parte della dichiarazione annuale, a sua volta, non disciplina come il credito Iva sorge, ma le sue modalità di esercizio, accordando al soggetto passivo Iva la facoltà di optare per la scelta, in sede di dichiarazione, tra la “detrazione nell’anno successivo” o la richiesta di “rimborso”.

Da tale ricostruzione ne consegue che la mancata indicazione del credito Iva nella dichiarazione annuale fa venir meno una modalità di soddisfacimento del credito stesso (che va ricercata nel diritto di detrarre un certo ammontare nell’anno successivo a quello in cui si è formato), ma non fa venire meno il credito in quanto tale (e quindi il diritto a chiederne il rimborso).

È oramai consolidata la Giurisprudenza in tema di Iva, che si è espressa chiarendo che il contribuente che, pure avendo computato le detrazioni per i mesi di competenza, ha omesso di indicarle nella propria dichiarazione annuale, questo perde il diritto a dette detrazioni, ai sensi dell’art. 28, comma 4, D.P.R. 633/1972, fermo però il diritto al rimborso di quanto versato in eccedenza, in applicazione dell’art. 30, 2 comma, cit. D.P.R..

Il credito Iva, dunque, non viene meno per il fatto di non essere esposto nella dichiarazione annuale. In ogni caso, se fosse necessario esporlo nella dichiarazione, il contribuente potrebbe sempre rimediare all’omissione, con una successiva correzione della dichiarazione. Quanto sopra è confermato nei casi in cui, essendo stato ceduto, il credito non può essere esposto né in bilancio, né in dichiarazione (a questo punto non potrà che essere il cessionario ad esporre il credito nel proprio bilancio di esercizio).

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