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I soci di una società a responsabilità limitata, poi dichiarata fallita, avevano contribuito al dissesto finanziario della stessa, distraendo una ingente somma di denaro che era stata loro corrisposta a titolo di rimborso di versamenti in conto “futuro aumento di capitale sociale”. Tuttavia, al momento della delibera di restituzione della somma, non solo alcuni soci non erano più tali, ma a bilancio non risultava alcun debito della società nei confronti degli stessi e gli ultimi due esercizi erano stati chiusi con una perdita netta notevole che aveva determinato un patrimonio netto negativo, impedendo all’amministratore di procedere alla restituzione del capitale.
A riguardo, la Corte di Cassazione Penale ha ribadito il principio secondo cui: “è configurabile il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione a carico dell’amministratore di una società per azioni che procede al rimborso di finanziamenti erogati dai soci in violazione della regola, applicabile nel caso di specie, della postergazione, di cui all’art. 2467 cod. civ., o di versamenti effettuati in conto capitale, in quanto le somme versate devono essere destinate al perseguimento dell’oggetto sociale e possono essere restituite solo quando tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti (Sez. 5, n. 50188 del 10/05/2017, Mascellani, Rv. 271775)”. Inoltre, “se è pacifico che, in tema di bancarotta fraudolenta, la somma versata per aumento di capitale dagli autori della distrazione non può essere considerata come restituzione dei mezzi finanziari sottratti al patrimonio dell’impresa, perché la prestazione fondata su una precisa causa contrattuale (sottoscrizione del capitale sociale) è diversa da quella effettuata in adempimento dell’obbligo di rendere quanto indebitamente percepito (Sez. 5, n. 4461 del 16/02/1994, Freato, Rv. 198003), va comunque evidenziato che anche per i finanziamenti destinati al capitale di credito, anziché di rischio, vige la regola della postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci rispetto alla soddisfazione degli altri creditori (art. 2467 cod. civ.)”.
Infine, la Suprema Corte ha precisato che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità civile (Cass. Civ., sez. 1, n. 9209 del 6/7/2001; Sez. 3, 2314 del 19/3/1996), le somme versate in conto futuro aumento capitale sociale non possono essere restituite al conferente, a meno che il conferimento sia stato risolutivamente condizionato alla mancata successiva deliberazione assembleare di aumento del capitale nominale e la delibera in questione non sia intervenuta entro il termine convenuto dalle parti o fissato dal giudice: circostanze non verificatesi nel caso di specie.
Da ultimo, in tema di prova della condotta distrattiva nel reato di bancarotta fraudolenta o di occultamento dei beni della società dichiarata fallita, la Suprema Corte ha richiamato il principio pacifico secondo cui la stessa può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti. Infatti, la responsabilità dell’imprenditore per la conservazione della garanzia patrimoniale verso i creditori e l’obbligo di verità, penalmente sanzionato, gravante ex art. 87 I. fall, sul fallito interpellato dal curatore circa la destinazione dei beni dell’impresa, giustificano l’apparente inversione dell’onere della prova a carico dell’amministratore della società fallita, in caso di mancato rinvenimento di beni aziendali o del loro ricavato, non essendo a tal fine sufficiente la generica asserzione per cui gli stessi sarebbero stati assorbiti dai costi gestionali, ove non documentati, né precisati nel loro dettagliato ammontare (cfr. Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Aucello, Rv. 267710).