1. I principi espressi dalla Suprema Corte: dal mutuo (inesistente) al pactum de non petendo ad tempus
La recente sentenza della I sezione della Corte di Cassazione n. 20896/2019, in materia di ammissione al passivo fallimentare, ripropone il controverso tema relativo al ripianamento di un debito preesistente mediante un nuovo credito erogato a titolo di mutuo.
La sentenza in esame si focalizza sul profilo strutturale del mutuo concesso ai fini del ripianamento del debito preesistente e, in merito, propone una lettura nuova della fattispecie già oggetto di precedente esame da parte della giurisprudenza di merito e di legittimità.
I principi affermati dalla Suprema Corte nella sentenza n. 20896/2019 possono essere di seguito così riassunti:
- l’operazione di “ripianamento” di un debito preesistente a mezzo di un nuovo “credito”, che la banca già creditrice mette in opera con il proprio cliente, non darebbe luogo ad uno spostamento di danaro, trasferimento patrimoniale e consegna, trattandosi, ad avviso della Suprema Corte, di un’operazione di natura meramente contabile (con una coppia di poste nel conto corrente – una in “dare”, l’altra in “avere”);
- l’assenza di erogazione e di messa a disposizione di somme, ossia dell’elemento necessario e caratteristico sotto il profilo strutturale della fattispecie, esclude che si configuri e perfezioni un contratto di mutuo che, come noto, implica la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono oggetto, difatti, “per quanto possa essere realizzata anche a mezzo di forme assai rarefatte, comunque la traditio deve, per essere tale, realizzare il passaggio delle somme dal mutuante al mutuatario”; il negozio posto in essere dalle parti, esclusa la riconducibilità al contratto tipico di mutuo, risulterebbe quindi assimilabile ad un’ipotesi di “pactum de non petendo ad tempus”.
2. Considerazioni sulle implicazioni pratiche della sentenza della Suprema Corte
Il punto nodale su cui si fonda la sentenza della Suprema Corte è rappresentato dall’assenza di effettiva erogazione di denaro. Si tratta, è bene evidenziarlo, del presupposto “fattuale” che la Suprema Corte ha ritenuto accertato in sede di merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.
In altri termini, accertata in sede di merito l’assenza di erogazione delle somme oggetto del contratto di mutuo di rifinanziamento, in sede di legittimità si è esclusa la configurazione del contratto tipico di mutuo e si è ricondotta la fattispecie ad un ad un’ipotesi di “pactum de non petendo ad tempus”.
A ben vedere, peraltro, la Suprema Corte non si è espressa su “quando” si possa ritenere esclusa l’effettiva erogazione di denaro, profilo di merito non oggetto di scrutino in sede di legittimità.
Resta quindi aperto il “tema”, anche di recente analizzato dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, dei concreti contorni e delle forme mediante le quali si possa ritenere sussistente la c.d. traditio rei.
A fronte di una giurisprudenza, di merito e di legittimità, che sembra ammettere sempre più forme stemperate di erogazione delle somme ai fini della configurabilità dell’elemento strutturale del contratto di mutuo [1], la pronuncia della Suprema Corte, qui oggetto di commento, sembra invece voler richiamare l’attenzione degli operatori sulla persistente rilevanza della erogazione di somme ai fini della configurabilità del contratto tipico di mutuo.
Banche ed intermediari, raccogliendo l’ammonimento della Suprema Corte, sono oggi chiamate a valutare con attenzione le “forme” attraverso cui è necessario assicurare l’erogazione delle somme. Tale riflessione, non è confinata ai soli mutui di rifinanziamento, ma all’intero comparto mutui. Per i rapporti già a debito, peraltro, l’effettiva messa a disposizione delle somme dovrà essere “assicurata” e “dimostrata” con particolare attenzione.
Il valore della pronuncia in esame, inoltre, si apprezza sotto il profilo della individuazione delle conseguenze dell’assenza della erogazione delle somme, allorquando riconduce il negozio ad un’ipotesi di “pactum de non petendo ad tempus”. Tale qualificazione, a ben vedere, reca con sé molteplici impatti sotto i profili di (i) inesigibilità immediata (o esigibilità differita) del credito della banca, (ii) potenziale inaccoglibilità di una domanda di ammissione al passivo basata sullo stesso “mutuo” riqualificato quale “pactum de non petendo ad tempus”, e (iii) inefficacia delle garanzie acquisite.
[1] In argomento, la Suprema Corte ha di recente affermato che:
– “la consegna del denaro idonea a perfezionare il contratto reale di mutuo non va intesa nei soli termini di materiale e fisica traditio del denaro medesimo (o di altre cose fungibili), rilevandosi invero sufficiente il conseguimento della sua disponibilità giuridica da parte del mutuatario, ricavabile anche dall’integrazione di quel contratto con il separato atto di quietanza a saldo (Cass. n. 17194/15)” (cfr. Cass., 8 ottobre 2018, n. 24683);
– “ai fini del perfezionamento del contratto di mutuo, avente natura reale ed efficacia obbligatoria, l’uscita del denaro dal patrimonio dell’istituto di credito mutuante e l’acquisizione dello stesso al patrimonio del mutuatario costituisce effettiva erogazione dei fondi, anche se parte delle somme sia versata dalla banca su un deposito cauzionale infruttifero, destinato ad essere svincolato in conseguenza dell’adempimento degli obblighi e delle condizioni contrattuali” (cfr. Cass., 8 ottobre 2018, n. 24683).