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Giurisprudenza

Il ripianamento di un debito a mezzo di nuovo credito non configura un nuovo contratto di mutuo

16 Settembre 2019

Cassazione Civile, Sez. I, 5 agosto 2019, n. 20896 – Pres. Di Virgilio, Rel. Dolmetta

Di cosa si parla in questo articolo

Con la pronuncia che qui si pubblica, la Suprema Corte è venuta di nuovo ad occuparsi della (frequente) prassi bancaria intesa a innestare su un’operazione in essere (o di mutuo o di apertura di credito o di scoperto di conto) un ulteriore contratto, destinato all’estinzione del preesistente debito chirografario a mezzo di accredito sul conto corrente in essere tra le parti, a sua volta garantito da apposita ipoteca (o altra garanza reale). Per stabilire che il «ripianamento» di un debito a mezzo di nuovo «credito», che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente al fine di conseguire un’ipoteca contestuale, non dà in realtà vita a nuovo contratto di mutuo.

La struttura contrattuale del mutuo di necessità – così si argomenta – importa infatti la consegna delle somme di denaro che ne costituiscono l’oggetto: per essere tale, la consegna deve realizzare il passaggio delle somme dal patrimonio del mutuante a quello del mutuatario, con conseguente trasferimento della proprietà delle somme e connessa acquisizione della loro disponibilità da parte dal mutuatario. L’accordo tra banca e cliente esclude, invece, la stessa eventualità di consegna e trasferimento di proprietà delle somme, giusta la posta «in dare» sul conto corrente – di cui all’«accredito» posto in essere dalla banca – che, in via automatica quanto immediata, viene a realizzare la modificazione del saldo ex art. 1852 cod. civ.

Determinando il riposizionamento della scadenza del debito pregresso, il «ripianamento» di un debito a mezzo di nuovo «credito», che la banca già creditrice metta in opera con il proprio cliente al fine di conseguire un’ipoteca contestuale, configura in realtà un pactum de non petendo ad tempus. Non comportando novazione (cfr. la norma dell’art. 1231 cod. civ.), tale patto non è sufficiente – così si conclude – per reggere una domanda di ammissione al passivo fallimentare che abbia ad oggetto la restituzione delle somme di danaro di cui al pregresso credito.

 

 

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