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Giurisprudenza

Il riporto delle perdite fiscali nella fusione di società

9 Febbraio 2017

Andrea Brignoli, Dottore Commercialista, LL.M. (W.U.), Studio Lucchini in Bergamo, Cultore della Materia di International and EU Tax Law e di Diritto Tributario, Università degli Studi di Bergamo

Cassazione Civile, Sez. V, 22 dicembre 2016, n. 26697

Di cosa si parla in questo articolo

L’art. 172 T.U.I.R. prevede la generale neutralità delle operazioni di fusione tra società; le perdite delle società partecipanti alla fusione, comprese quelle della incorporante, possono essere utilizzate dalla società risultante dalla fusione o incorporazione.

Al fine di prevenire operazioni strumentali ed elusive, in quanto non caratterizzate da una razionale riorganizzazione di apparati produttivi ma finalizzate ad ottenere un mero “beneficio fiscale”, il legislatore ha posto tre limiti al riporto di perdite a seguito di fusione. Il primo limite riguarda la verifica della “vitalità” delle società, ovvero i ricavi e le spese per lavoro dipendente che non devono essere inferiori al 40 per cento di quelli risultanti dalla media degli ultimi due esercizi anteriori; la seconda è relativa all’ammontare dei patrimoni netti contabili di ciascuna delle società partecipanti e la terza è afferente alla presenza di svalutazioni delle partecipazioni e relativa deduzione.

La sentenza n. 26697 del 22/12/16 della Suprema Corte, sezione tributaria, riguarda il secondo limite ovvero il test di “vitalità” effettuato sui patrimoni netti delle società partecipanti alla fusione.

Con avviso d’accertamento l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione del contribuente, per l’anno d’imposta 2003, vari componenti negativi di reddito tra cui anche la perdita dedotta con riferimento all’esercizio 2000, derivante dall’incorporazione di una società controllata, contestando di aver tenuto conto, nella quantificazione delle perdite fiscali, anche dei versamenti per la ricostituzione del capitale sociale effettuati dai soci nei precedenti ventiquattro mesi, in violazione dell’art. 123 comma 5 d.P.R. T.U.I.R. (ora art. 172 comma 7 T.U.I.R.). I giudici di merito della Commissione Tributaria Provinciale di Ancona e Regionale per le Marche accoglievano il rilievo del contribuente, relativo alla quantificazione delle perdite, il quale sosteneva che i versamenti effettuati non si ponevano in contrasto con le finalità antielusive perseguite dall’allora art. 123 T.U.I.R. in quanto effettuati allo scopo di ricostruire il capitale sociale a seguito di perdite, e per tale motivo sarebbero un atto dovuto ai sensi dell’art. 2447 c.c.

I giudici di legittimità hanno invece effettuato una differente analisi della disposizione dell’art. 123 (ora 172) T.U.I.R.; infatti tale norma non prevede alcuna distinzione tra versamenti obbligatori e volontari e neppure che i limiti quantitativi imposti debbano essere valutati alla presenza o meno di intenti elusivi. La disposizione è infatti “assolutamente” chiara in quanto prevede che le perdite conseguite dalle società partecipanti alla fusione siano riportabili nel limite del patrimonio netto delle stesse, ma al netto dei versamenti effettuati dai soci (a qualunque titolo) nei ventiquattro mesi precedenti la data della situazione patrimoniale di riferimento. Non sono pertanto ravvisabili, secondo la Suprema Corte, deroghe o condizioni di operatività diverse da quelle in essa previste. 

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