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Approfondimenti

Il rischio di abuso di posizione dominante sul mercato europeo dei PISP

14 Giugno 2023

Giacomo Rossi, Dottore Commercialista e Revisore Legale, Portfolio Management and Monitoring Directorate, European Investment Bank

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il ruolo delle imprese c.d. big tech nel mercato fintech dei pagamenti digitali, soffermandosi sull’aggravio del rischio di abuso di posizione dominante che può determinarsi.


1. Premessa

La direttiva PSD2 ha avuto un ruolo determinante nel favorire la concorrenza tra nuovi operatori del mercato fintech[1], come i PISP (Payment Initiation Service Providers), AISP (Account Information Service Providers) e CISP (Card Initiated Service Providers) ma altresì ha agevolato l’ingresso sul mercato europeo di imprese multinazionali di maggiori dimensioni operanti nei motori di ricerca e nei sistemi operativi. Il ruolo di queste imprese all’interno del mercato dei pagamenti digitali risulta di natura strategica per la raccolta e analisi di dati personali che vengono combinati con quelli già in loro possesso per la produzione di informazioni sempre più accurate relative a interessi e abitudini di consumo degli utenti. L’accesso al mercato fintech per i nuovi operatori, i quali agiscono in posizione mediana tra banche e clienti, è andato comunque nella direzione di accrescere la concorrenza, con l’incremento di soluzioni digitali innovative. Al fine di tutelare il mercato europeo dei servizi fintech, si analizzerà il settore dei PISP, con specifico riferimento al segmento dei digital wallet, e si avanzeranno proposte di regolazione per contrastare il rischio di abuso di posizione dominante delle big tech, garantite da regimi fiscali privilegiati di Paesi comunitari.

2. Il ruolo della direttiva PSD2 nell’apertura ai Third-Party Providers

La prima normativa relativa ai servizi di pagamento elettronici nell’UE è rappresentata dalla direttiva europea sui servizi di pagamento PSD Payment Services Directive (Direttiva 2007/64/Ce). La Payment Services Directive è stata recepita nell’ordinamento nazionale con il D.lgs. n.11 del 27 gennaio 2010, entrato in vigore il 1° marzo 2010. L’elemento cardine di tale direttiva è l’introduzione di un’autorizzazione unica comunitaria per tutte le persone giuridiche operanti quali istituti di pagamento nell’UE, che non siano collegate alla raccolta di depositi o all’emissione di moneta elettronica.[2] Ai sensi della citata Direttiva, i servizi di pagamenti offerti sono soggetti alle stesse condizioni in tutta l’Unione. La continua evoluzione nei servizi di pagamento ha richiesto la necessità di emanare una nuova Direttiva PSD2 Payment Services Directive 2 (Direttiva 2015/2366/Ce) al fine di comprendere servizi maggiormente innovativi che non rientravano interamente nell’ambito di applicazione della precedente direttiva 2007/64/CE, in quanto superati rispetto all’evoluzione del mercato. La Direttiva PSD2, relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, è stata recepita in G.U. n. 10 del 13 Gennaio 2018 con il Decreto Legislativo del 15 Dicembre 2017 n.218 e abroga la precedente PSD (Direttiva 2007/64/Ce). La nuova Direttiva PSD2 disciplina nuovi digital payment services prestati da operatori terzi differenti dagli istituti di credito, noti come (Third Party Provider – TPP). Si possono individuare tre tipologie di TPP:

  • I PISP (Payment Initiation Service Providers): sono operatori che prestano servizi di disposizione di ordini di pagamento agli utenti. Svolgono nello specifico la funzione da intermediario tra la Banca ed il titolare del conto corrente, gestendo il processo di pagamento a favore del soggetto beneficiario della transazione;
  • Gli AISP (Account Information Services Providers): sono soggetti terzi che offrono servizi informativi online di analisi della situazione finanziaria sia attuale che prospettica e delle abitudini di spesa degli utenti;
  • I CISP (Card Issuers Service Providers): sono operatori terzi che emettono carte di debito dipendenti da conti correnti accesi presso altri istituti bancari. Al fine di permette la finalizzazione del pagamento a favore del beneficiario finale, i CISP dovranno verificare la disponibilità dei fondi sul conto corrente di appoggio.

La direttiva PSD2 rappresenta una forte spinta all’innovazione che mira a favorire le multinazionali hi-tech, il cui obiettivo è quello di conquistare quote di mercato sempre più rilevanti del settore bancario e sfruttare l’open banking per disintermediare il rapporto con i clienti e incrementare il loro livello di fiducia.[3] L’aumento dei soggetti interessati ai pagamenti digitali ha favorito la maggiore cooperazione tra le banche e i prestatori di servizi digitali ed alleanze di natura esplorativa. La direttiva PSD2 ha sancito l’accesso su base “non discriminatoria” dei digital payment services sia ai prestatori di servizi di disposizione di ordini di pagamento che ai prestatori di servizi di informazioni sui conti. Ciascun istituto di credito dovrà eseguire gli ordini di pagamento e servizi di informazione finanziaria, trasmessi dagli utenti ai Third Party Providers, “senza discriminazioni”.[4] Le terze parti avranno la possibilità di accedere alle informazioni relative ai conti correnti degli utenti ed effettuare operazioni, come trasferimenti di denaro o pagamenti digitali. Tali informazioni finanziarie verranno elaborate attraverso avanzate tecniche di big data analytics, con specifico riferimento alla profilazione dei consumatori, all’identificazione di modelli comportamentali, alla personalizzazione di prodotti e servizi e al miglioramento delle strategie di compliance e supervisione.[5] Inoltre, la direttiva PSD2 introduce l’adozione del divieto di surcharge” nell’applicazione di commissioni e costi addizionali da parte degli esercenti del servizio, nei confronti degli utenti, per l’utilizzo di determinati strumenti di pagamento. A livello nazionale, l’autorità competente nel verificare l’osservazione del divieto di surcharge e nell’applicazione delle relative sanzioni, previste dal Codice del Consumo, è rappresentata dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato).[6] Le maggiori criticità derivanti dalla regolamentazione, da un punto di vista competitivo sul mercato dei pagamenti digitali, riguardano gli operatori PISP caratterizzati dal forte approccio innovativo in campo fintech. La centralità dei PISP è data dal ruolo che rivestono, quali intermediari, nell’effettuazione del pagamento a favore dell’esercente del servizio.[7] Da un punto di vista operativo, i PISP, operano per il tramite di un software tra gli istituti di credito e gli effettivi beneficiari della transazione, non disponendo direttamente dei fondi di proprietà dei clienti, in quanto tale facoltà rimane di competenza delle banche. Il patrimonio informativo degli istituti di credito presenta uno straordinario valore aggiunto per i Third Party Providers in quanto contribuisce allo sviluppo di servizi digitali sempre più innovativi che rispondono alle esigenze delle differenti tipologie di clientela, sia Business che Consumers.[8]

3. La funzione dei motori di ricerca e sistemi operativi nei servizi di digital payments

Il tasso di crescita in Europa delle transazioni di pagamenti digitali previsto nel quinquennio 2021-2026 è stimato nella misura del 12.5%. In Italia la crescita è ancora più significativa, i pagamenti contactless hanno raggiunto i 186 miliardi di euro (+45% rispetto al 2021) e gli innovative payments, sia mobile che wearable, sono arrivati a 20,3 miliardi di euro (+107% rispetto al 2021).[9] I progetti di realizzazione di banconote in forma digitale, nella forma di monete elettroniche emesse dalle Banche Centrali, darà ulteriore impulso all’adozione di applicazioni di digital payments. La valuta digitale affiancherebbe il contante senza sostituirlo, favorirebbe l’innovazione finanziaria e accrescerebbe l’efficienza complessiva dei sistemi di pagamento. La Banca Centrale Europea, nel luglio 2021, ha avviato una fase di analisi di progetto sull’euro digitale con lo scopo di verificare come gli intermediari finanziari potrebbero fornire servizi front-end agli utenti. Tale fase sarà completata entro il mese di ottobre 2023, in caso di esito positivo, ne verrà avviata una successiva dedicata allo sviluppo di servizi integrati e alla conduzione di test ed eventualmente di sperimentazioni pratiche. L’euro digitale dovrà rispettare i requisiti di accessibilità, solidità, sicurezza, efficienza e rispetto della privacy.[10] In uno stadio più avanzato rispetto all’euro digitale, si posiziona l’E-Yuan, ossia la valuta virtuale cinese. Nel 2019, la People Bank of China (Pboc) ha scelto l’E-Yuan come valuta virtuale ed è già operativa per circa il 15% della popolazione, principalmente nelle grandi metropoli di Pechino, Shanghai e Shenzen. Si comprende quindi come le iniziative di realizzazione di banconote virtuali non siano solamente circoscritte ai pagamenti digitali ma veri progetti politici in grado di influenzare direttamente la società.[11] Negli ultimi tre anni, sempre più multinazionali hi-tech, hanno adottato politiche di rebranding verso una logica di wallet digitale, consistente in un portafoglio transnazionale in cui integrare credenziali, certificazioni, documenti, pass, metodi di pagamento e titoli di viaggio[12]. Tale applicazione digitale permette in modo semplice e veloce di pagare sui siti internet, nelle app e nei negozi, utilizzando le carte salvate nel proprio account del wallet. Il potere contrattuale, raggiunto nel tempo, da alcuni grandi players attivi nella gestione di sistemi operativi e motori di ricerca, rappresenta un fenomeno in grado di stravolgere le dinamiche concorrenziali del mercato dei digital payments. Con l’introduzione della PSD2, le multinazionali hi-tech hanno siglato accordi commerciali sia con i principali gestori dei circuiti delle carte di pagamento che con banche commerciali locali, con lo scopo di acquisire informazioni sui comportamenti di acquisto e le preferenze dei consumatori, al fine di verificare l’efficacia delle campagne pubblicitarie personalizzate, con l’obiettivo di profilare ulteriormente i propri utenti. Tali multinazionali raccolgono una molteplicità di informazioni: fornite direttamente dagli utenti, sull’utilizzo dei servizi e ottenute da terze parti. Questi dati vengono utilizzati per fornire i servizi, per comprendere in che modo possano venire utilizzati allo scopo di migliorare e personalizzare l’esperienza degli utenti e per sviluppare le app, le tecnologie e i contenuti più pertinenti per i clienti.[13] Il valore delle informazioni relative alle transazioni dei digital payments fornisce un grado di dettaglio unico, rappresentando un centro di profitto autonomo per le big tech.[14] Se le informazioni relative alle transazioni dei pagamenti digitali venissero combinate con i dati già in loro possesso, porterebbe tali multinazionali ad una posizione ancor più dominante rispetto ai potenziali nuovi entranti, in quanto potrebbe risultare difficile acquisire sia le quantità che le tipologie dei dati necessari per erogare un servizio adeguato ai propri clienti. Inoltre, ulteriori vantaggi competitivi, tali da rappresentare delle vere e proprie barriere all’entrata per i nuovi operatori, sono rappresentati dal know-how interno e dalle competenze tecniche specifiche delle big tech nella gestione e nel trattamento di big data. Grazie alle loro capacità di advanced data analytics, nell’analizzare grandi volumi di dati non strutturati, e data engineering hanno la possibilità di entrare agevolmente in nuovi mercati maggiormente scalabili e rapidamente dominarli in termini di market shares.[15]

4. L’harmful tax competition nell’UE come strumento di incentivazione alla creazione di oligopoli nella digital economy

Nell’UE, le società residenti a fini fiscali sono soggette a tassazione in un Paese soltanto se hanno una presenza che costituisce una stabile organizzazione ossia una sede fissa di affari per mezzo della quale l’impresa non residente esercita in tutto o in parte la sua attività sul territorio dello Stato.[16] Tuttavia tali norme non consentono di tenere conto della portata globale di attività digitali per le quali la presenza fisica non costituisce più un requisito per poter fornire servizi digitali.[17] Occorre quindi disporre di nuovi indicatori della presenza economica significativa al fine di determinare i diritti di imposizione in relazione ai nuovi modelli di imprese digitali. Una volta che un’impresa è imponibile in un Paese, gli utili da essa generati devono essere ancora determinati e attribuiti a tale giurisdizione. Nell’attuale quadro normativo in materia di imposta societaria si ricorre alle norme sui prezzi di trasferimento per attribuire gli utili dei gruppi multinazionali ai diversi Paesi in base ad un’analisi delle funzioni, degli asset e dei rischi all’interno della catena del valore del gruppo. Le norme attuali, concepite per modelli di impresa tradizionali, non prendono in considerazione che i modelli di impresa digitali hanno caratteristiche diverse da quelli tradizionali per quanto riguarda il modo in cui è creato valore.[18] Ciò determina una distorsione della concorrenza e incide negativamente sulle entrate pubbliche dei Paesi. L’economia digitale dipende in larga misura da attività immateriali, quali dati degli utenti e metodi avanzati di analisi per estrarre informazioni dai dati degli utenti[19]. Tali pratiche sono sempre più utilizzate per generare valore nei gruppi multinazionali e risultano di difficile valutazione. Gli oneri fiscali incidono quindi sulla competitività delle società operanti nel mercato dei digital payments, in quanto le società con minore tassazione media effettiva risultano avere maggiori risorse da investire. Il differente livello di tassazione effettiva nei Paesi dell’UE ha permesso ai maggiori gruppi hi-tech di destinare maggiori risorse economiche in ricerca, sviluppo e know how. Nel 2022, i cinque grandi gruppi (Amazon, Apple, Alphabet, Meta e Microsoft) hanno investito 223 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo, rispetto ai 109 miliardi di dollari nel 2019. Complessivamente, gli investimenti in ricerca e sviluppo sono stati pari al 26% del loro fatturato nel 2022, rispetto al 16% del 2015.[20]

I livelli dell’aliquota media effettiva nei 27 Paesi dell’UE nel 2022 variano notevolmente tra gli Stati membri (cfr. figura 1). I livelli più bassi di aliquota media effettiva sono in Bulgaria (9%), Estonia (10.2%), Ungheria (11.1%) e Irlanda (14.1%) e i più elevati sono in Spagna (29%) e Germania (28.8%).[21]

Figura 1: Effective average tax rates, large corporations in non-financial sector %, 2020-2022

2020 2021 2022
EU-27 19,2 19,0 18,8
EA-19 20,9 20,6 20,4
Belgium 23,2 23,2 23,1
Bulgaria 9,0 9,0 9,0
Czechia 16,7 17,0 17,0
Denmark 19,8 19,8 19,8
Germany 28,9 28,9 28,8
Estonia 12,1 10,2 10,2
Ireland 14,1 14,1 14,1
Greece 22,9 21,1 21,1
Spain 29,0 29,0 29,0
France 31,5 28,1 26,0
Croatia 14,8 14,8 14,8
Italy 23,9 23,9 23,9
Cyprus 13,3 13,4 13,3
Latvia 16,7 16,7 16,7
Lithuania 12,7 12,7 12,7
Luxembourg 21,8 21,8 21,8
Hungary 11,1 11,1 11,1
Malta 25,1 25,2 23,3
Netherlands 22,5 22,5 23,2
Austria 23,1 23,1 23,1
Poland 16,0 16,8 15,9
Portugal 21,4 21,4 21,4
Romania 14,7 14,7 14,7
Slovenia 17,3 17,3 17,3
Slovakia 18,7 18,7 18,7
Finland 19,6 19,6 19,6
Sweden 19,4 18,7 18,7

Il differente livello di tassazione effettiva tra le big-tech e le numerose imprese PISP, operanti nel medesimo mercato europeo di riferimento dei digital payments, provoca una maggiore disponibilità economica nell’investire in R&D e know how, limitando lo sviluppo tecnico e tecnologico dei  concorrenti. Tale situazione può portare queste imprese ad assumere una posizione dominante sul mercato, con aggravio del rischio di abuso sanzionato dalla lettera b) art. 102 TFUE.[22]

Il vantaggio ottenuto da tali gruppi multinazionali, non è soltanto circoscritto al diverso livello di imposizione effettiva, ma si configura anche nell’adozione di politiche sui prezzi di trasferimento che permettono di allocare rischi e funzioni di scarso valore economico alle società locali nell’UE, evitando quindi di sostenere un maggiore onere fiscale nei Paesi con maggiore imposizione.

Anche i singoli Stati membri, escluse le giurisdizioni a fiscalità privilegiata, risultano essere parte lesa di tali strategie fiscali adottate dalle multinazionali del web, in quanto vedono ridursi il loro gettito, a favore di altri Paesi, tra cui l’Irlanda e l’Estonia che, grazie alla loro inferiore imposizione effettiva, riescono ad attrarre basi imponibili, investimenti e forza lavoro. Questo modus operandi provoca una separazione ancora più marcata tra gli Stati membri dell’UE, i quali trovano come soluzioni idonee, atte a contrastare tale erosione fiscale, il contenzioso o la stipulazione di tax ruling con le imprese estere. Il 25 novembre 2022, è stata approvata la Direttiva della Commissione n. 2022/2523 del 14 dicembre 2022, sulla base del progetto OCSE definito Pillar 2, che garantisce a livello europeo l’applicazione dell’aliquota d’imposta effettiva minima pari al 15% per i gruppi multinazionali, operanti nell’UE per il tramite di società controllate, con ricavi consolidati superiori a 750 milioni di euro. Tale Direttiva dovrà essere recepita dagli Stati membri con decorrenza 31 dicembre 2023. Nonostante, si ponga l’obiettivo di contrastare la competizione fiscale tra i Paesi dell’UE, rappresenta di fatto un’imposta integrativa sugli utili realizzati dai gruppi multinazionali il cui livello di tassazione effettiva delle giurisdizioni di residenza risulta inferiore al 15%. La Direttiva, tuttavia, non risolve il tema dell’allocazione degli utili realizzati dalle multinazionali del web nei Paesi a più elevata imposizione fiscale. Le convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate tra i Paesi membri e le attuali disposizioni tributarie nazionali in materia di prezzi di trasferimento distorcono quindi la concorrenza nell’UE nel mercato dei digital payments e non tengono conto dell’effettiva sostanza economica delle imprese nei Paesi fonte in cui producono reddito.

5. Conclusioni

Le multinazionali big tech hanno ben compreso l’elevata marginalità del business del credito al consumo e delle carte di pagamento rispetto alle vendite di servizi di digital advertising, soluzioni software e hardware. Il valore delle informazioni dei pagamenti digitali dei loro utenti, in combinazione con i dati elaborati a disposizione di tali multinazionali, rappresenta asset fondamentali per le previsioni dei futuri business commerciali.[23] L’evidente vantaggio competitivo delle big tech sia in termini di mercato, brands conosciuti e market shares consolidate in più settori, che economico per effetto della minore tassazione effettiva sugli utili prodotti a livello europeo che ha permesso loro di reinvestire negli anni i maggiori profitti non tassati in attività di ricerca e sviluppo, e nel contempo di offrire servizi di pagamento digitale più avanzati tecnologicamente e sicuri per gli utenti. La maggior parte delle neo imprese fintech, operanti nello sviluppo di nuove piattaforme PISP, hanno bilanci in perdita oltre i cinque anni iniziali di attività, per gli importanti investimenti iniziali di sviluppo software e di risorse umane rappresentando la fase di start up. La tassazione degli utili dei gruppi multinazionali big tech, basata sulla loro effettiva presenza virtuale nei Paesi dell’UE in cui operano, non rappresenta un deterrente sufficiente per contrastare il loro vantaggio economico nel mercato PISP, in quanto si renderebbe necessaria una soluzione di più ampio spettro di indiretta limitazione al mercato dei pagamenti digitali, per contrastare il loro abuso di posizione dominante sul mercato europeo. Le proposte di regolazione necessarie, al fine di limitare il rischio di abusi di posizione dominante delle multinazionali del web, sono in primo luogo l’inclusione nell’identità digitale certificata, nota anche come Sistema Pubblico di Identità Digitale (SPID), di un wallet europeo, che possa integrare più funzioni, inclusi i pagamenti digitali, e successivamente apportare modifiche alla Direttiva PSD2 per limitare la raccolta di dati sensibili degli utenti da parte di società presenti nei segmenti dei motori di ricerca e sistemi operativi che operano anche come PISP. La prima soluzione prospettata porterebbe alla creazione di players a controllo pubblico nei Paesi dell’UE per la gestione dei wallet digitali, con lo scopo di tutelare dati e informazioni sensibili dei cittadini europei e di controllare e monitorare le loro attività per motivazioni di sicurezza nazionale. La seconda, comporterebbe una parziale rivisitazione della Direttiva PSD2 per la limitazione di attività, quali l’accesso ad informazioni su app e browser che utilizzano gli utenti per accedere ai loro dispositivi e i loro indirizzi IP, nei servizi PISP da parte delle big tech che offrono anche servizi di motori di ricerca e sistemi operativi.[24] Le limitazioni di attività imposte alle multinazionali del web si rendono necessarie in quanto se le informazioni sopra riportate degli utenti, derivanti dalle transazioni di pagamenti digitali, venissero combinate con i dati già in loro possesso, si verificherebbe una posizione di mercato nettamente sovraordinata, per una maggiore disposizione di dati e informazioni degli utenti, rispetto alle fintech concorrenti. Tale modifica, una volta attuata, sarebbe aderente al principio, presente nel regolamento europeo del Digital Markets Act, di self-preferencing ossia che chi gestisce le piattaforme non può preferire i suoi prodotti a quelli dei competitors. Inoltre, tale limitazione all’accesso ai dati personali degli utenti, precedentemente citati, legati alle transazioni dei pagamenti digitali rappresenta una tutela sia per le imprese competitors delle Big Tech che per i consumatori.[25] Ne risulta evidente che la gestione delle transazioni di pagamenti digitali in digital wallet deve essere considerata una priorità[26], dal legislatore, in quanto le informazioni derivanti rappresentano un bene pubblico da tutelare da parte di un ente comunitario e non da multinazionali estere.

 

[1] CONSOB, Fintech definizione, Con il termine “Fintech” viene generalmente indicata l’innovazione finanziaria resa possibile dall’innovazione tecnologica, che può tradursi in nuovi modelli di business, processi o prodotti, ed anche nuovi operatori di mercato.

[2] D. GIROMPINI, PSD2 e Open Banking: Nuovi modelli di business e ruolo delle banche
in Bancaria, 2018, fasc. 1, pp. 70-73

[3] S. BALSAMO TAGNANI, Il mercato europeo dei servizi di pagamento si rinnova con la PSD2 in Contr. Impr. Eur., 2018 p. 613 e Cfr., F. CASCINELLI e V. PISTONO, La Direttiva (UE) 2015/2633 relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, in Rivista Diritto Bancario, luglio 2016.

[4] A. ANTONUCCI, Mercati dei pagamenti: le dimensioni del digitale, Relazione al Convegno in ricordo di Giuseppe Restuccia “I servizi di pagamento nell’era della digitalizzazione”, Taormina, 15-16 febbraio 2018
in Rivista di diritto bancario, 2018, fasc. 3, pt. 1, pp. 557-565.

[5] J. GOODMAN, Big Data: Too much information?, Law Society Gazette, London, p. 1.

[6] I. D’AMBROSIO, La tutela del consumatore nei pagamenti elettronici e la nuova direttiva europea PSD2
in Notariato, 2019, fasc. 6, pp. 676-685.

[7] Cfr. O. BORGONOVO, Access to data and competition policy: the lesson of FinTech (Accesso ai dati e politica della concorrenza: la lezione del “FinTech”) in Annuario di diritto comparato e di studi legislativi, 2020, fasc. 1, pp. 13-38.

[8] F. MONACCHI, I nuovi operatori nel settore dei pagamenti (New schems for the European payments system according to PSD2) in Riv. Trim. Econ, 2018, fasc. 1S, pp. 90-107.

[9] CAPGEMINI, World Payments Report 2022, p. 3.

[10] BANCA CENTRALE EUROPEA, L’euro digitale: la nostra moneta ovunque e per ogni necessità, Bruxelles, 23 gennaio 2023.

[11] G. LEE e S. SHEN, China’s digital yuan stands out in cross-border pilot in a show of global ambition, Reuters, 27 ottobre 2022.

[12] Samsung, ad esempio ha avviato una collaborazione con la Germania per integrare nel suo wallet la versione digitale della carta d’identità. Mentre Apple, ha stretto partnership con diversi stati americani per digitalizzare la patente di guida.

[13] AGCM, Indagine conoscitiva sui Big Data, 2020, p. 29. Il potere di mercato raggiunto da alcune grandi piattaforme (c.d. GAFA(M) – Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft) nella fornitura dei servizi digitali è stato segnalato in audizione come un fenomeno in grado di stravolgere radicalmente le dinamiche concorrenziali di numerosi mercati, anche di quelli dove le stesse piattaforme non sono (ancora) attive. La disponibilità di enormi volumi di dati e la loro capacità di acquisirli, elaborarli e sfruttarli amplifica la gamma dei servizi che possono essere offerti a consumatori e imprese.

[14] Cfr. A. EZRACHI e E. STUCKE (2016), Virtual Competition: The Promises and Perils of the Algorithm Driven Economy, Harvard University Press, pp. 19-21.

[15] A. ARGENTATI, Le banche nel nuovo scenario competitivo. “Fin-Tech”, il paradigma “Open banking” e la minaccia delle “big tech companies” in Merc. conc. reg., 2018, fasc. 3, pp. 441-452.

[16] OCSE. Addressing the Tax Challenges of the Digital Economy, Action 1 – final report, 2015.

[17] G. CORASANITI, La creazione di valore secondo i principi internazionali in Diritto e processo tributario, 2021, fasc. 1, pp. 31-38.

[18] Cfr. T. DI TANNO, OCSE: “unified approach” nella tassazione delle attività digitali in Corriere Tributario, 2020, fasc. 7, pp. 653-661.

[19] OCSE. Tax Challenges Arising from Digitalisation, interim Report, 2018.

[20] The Economist, Big tech and the pursuit of AI dominance, 26 marzo 2023.

[21] DG TAXATION AND CUSTOMS UNION, Taxation trends in the European Union data for the EU member states, European Commission, 2022 p. 35.

[22] Art. 102 TFUE, lettera b), È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo. Tali pratiche abusive possono consistere in particolare: a) nell’imporre direttamente od indirettamente prezzi d’acquisto, di vendita od altre condizioni di transazione non eque; b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori; c) nell’applicare nei rapporti commerciali con gli altri contraenti condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, determinando così per questi ultimi uno svantaggio per la concorrenza; d) nel subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l’oggetto dei contratti stessi.

[23] G. OLIVIERI, PSD2 e tutela della concorrenza nei nuovi mercati dei servizi di pagamento digitali,
in Giur. Comm., 2021, fasc. 3, pt. 1, pp. 450-459.

[24] F. FERRETTI, L’ open banking e le troppe zone grigie del conflitto tra la legislazione europea sui pagamenti e la tutela dei dati personali (The open banking and the too many gray areas of the conflict between the European legislation on payment services and the protection of personal data) in Federalismi, 2021, fasc. 10, pp. 69-75.

[25] S. A. ZORNOZA, D. MARCELLO, F. DEGL’INNOCENTI E G. BERTI DE MARINIS, Diritto, robotica e nuove frontiere tecnologiche, in Diritto del mercato assicurativo e finanziario, 2018, fasc. 1, pp. 194-218.

[26] D. AQUARO, Spid raggiunge quota 32 milioni nel futuro ci sono anche i pagamenti, Il Sole 24 Ore, 7 Novembre 2022.

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