In conformità alla disciplina societaria preriforma, in presenza della delega di poteri gestori nell’ambito della s.p.a., spettava a ciascun amministratore il dovere di vigilanza sul generale andamento della gestione delegata, e non sulle singole operazioni (a meno che si trattasse di atti di notevole rilievo): l’obbligo presentava quindi contenuto sintetico e non analitico. Ad esso non poteva non essere correlato il potere di informazione e consultazione spettante a ciascun amministratore, le cui modalità di esercizio erano oggetto di ampio dibattito, soprattutto all’interno della dottrina. In ogni caso si trattava di poteri che il loro titolare era tenuto ad attivare, al fine di adempiere all’obbligo di vigilanza.
Oggi il nuovo testo dell’art. 2392 c.c. non contiene alcun riferimento alla vigilanza sul generale andamento della gestione sociale. Tuttavia il terzo comma dell’art. 2381 c.c. stabilisce che il consiglio valuta il generale andamento della gestione, con però un’importante precisazione, volta a delineare con precisione i limiti di tale obbligo; la valutazione avviene, infatti, sulla base della relazione degli organi delegati. Quindi il dovere di controllo sul generale andamento della gestione è esplicitamente riferito e circoscritto alle informazioni fornite dai delegati. Con un ulteriore correttivo: come dispone l’ultimo comma dell’art. 2381 c.c., i deleganti sono tenuti ad agire in modo informato ed hanno la facoltà di chiedere informazioni ai delegati in consiglio.
Tra le due regole pare sussistere un vero e proprio contrasto. Da un lato, il legislatore sembra eliminare l’obbligo dei deleganti di attivarsi per acquisire le necessarie informazioni sulla gestione delegata, rovesciando la prospettiva anteriore alla riforma sociataria: sono i delegati che debbono fornire le relative informazioni ed il controllo da parte dei deleganti appare circoscritto a quanto risultante da esse. Subito dopo il legislatore sembra contraddirsi imponendo ai deleganti di agire in modo informato e quindi di acquisire informazioni, indicando anche le modalità da seguire e precisamente i destinatari dell’obbligo di fornirle (i delegati) e la sede da utilizzare (il consiglio di amministrazione). Nel cercare di coordinare le due regole dottrina e giurisprudenza in sede penale e civile sono pervenute sostanzialmente allo stesso risultato: in parte si tratta per così dire di un obbligo “passivo”, che consiste nel prendere in esame (valutare) quanto riferito, in parte di un dovere “attivo”, che consiste nell’acquisire ulteriori informazioni rispetto a quelle fornite (agire in modo informato). In altre parole, dalle informazioni ricevute possono risultare “elementi di allerta” che impongono agli amministratori di acquisire ulteriori informazioni dai delegati in consiglio.
Se la disciplina contenuta nel codice civile risultante dalla riforma societaria è diretta ad attenuare la responsabilità dei deleganti, la governance delle società bancarie, alla luce dei più recenti interventi, sembra collocarsi in una prospettiva differente, con un ritorno parziale al sistema societario previgente. Infatti le disposizioni regolamentari emanate dalla Banca d’Italia (Circolare n. 285 del 17 dicembre 2013, “Disposizioni di vigilanza per le banche”), nonché alcune recenti sentenze di legittimità e di merito (v. Cass., 5 febbraio 2013, n. 2737; Cass., 9 novembre 2015, n. 22848; Cass., 25 novembre 2015, n. 24048; Cass., 7 settembre 2016, n. 17687; App. Roma, 12 giugno 2006; App. Roma, 25 gennaio 2007) sembrano dirette a “ricostruire” in capo agli amministratori privi di deleghe un compito di vigilanza penetrante sull’attività dei delegati. In particolare i deleganti, anche in difformità con la disciplina codicistica, sono investiti del potere di indagine diretta sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, mentre, come si è visto, alla luce delle norme societarie comuni, possono chiedere solo informazioni ai delegati in consiglio.