Il presente contributo tratta il tema del ruolo del giurista d’impresa e della cooperazione con l’avvocato esterno nella gestione del contenzioso alla luce delle novità della Riforma Cartabia.
1. La cooperazione tra il giurista d’impresa e l’avvocato esterno, in generale
1.1 Premessa
Il giurista d’impresa è l’interlocutore ideale, nella gestione del contenzioso civile, per il legale esterno incaricato di seguire una causa.
Infatti egli, da un lato, ha in comune con l’avvocato esterno la formazione e il linguaggio tecnico; dall’altro lato, per il suo ruolo, conosce l’azienda coinvolta nel contenzioso, ed è quindi in grado di interpretarne le esigenze.
In questa prospettiva, la collaborazione tra giurista d’impresa e legale esterno rappresenta lo strumento più efficace per vincere, o comunque gestire nel modo più efficiente possibile, la causa.
In particolare, il legale interno può guardare alla vicenda contenziosa, o pre-contenziosa, dall’angolo visuale dell’azienda, ma, al contempo, può farlo con la lente e la sensibilità del giurista; è quindi nella condizione di coinvolgere, all’occorrenza, altre funzioni dell’impresa (essenziali e/o utili per inquadrare una determinata questione, ad esempio), ricostruire i fatti nella corretta prospettiva del contenzioso, acquisire i documenti rilevanti per la causa, individuare i possibili testimoni, ecc.
Per questo, per l’avvocato esterno, la condivisione, non solo della strategia processuale in generale, ma anche della bozza dell’atto (a cominciare da quello introduttivo), con il legale interno rappresentano un momento fondamentale nella gestione della causa; è lì che, a cominciare dalla parte in fatto (non meno importante di quella in diritto), il confronto tra queste due figure professionali può consentire una ricostruzione delle vicende coerente e convincente, far emergere anche solo l’opportunità di sfumare un passaggio, fare una determinata precisazione, dar conto di una circostanza in apparenza secondaria, ma che potrà essere utile nel corso della causa, ecc.
1.2 Le fasi della gestione del contenzioso
1. – La cooperazione tra il legale interno e quello esterno attraversa, dunque, tutte le fasi di una causa e comincia con la condivisione di una strategia che consenta di immaginare mosse e contromosse della controparte e tutti gli scenari che possono profilarsi nel corso della causa.
Ma – soprattutto oggi, con la riforma del processo civile[1] (la “Riforma Cartabia”) – la fase più importante è quella antecedente all’instaurazione della causa o comunque alla costituzione in giudizio.
Ciò vale sia per l’ipotesi in cui sia l’azienda ad agire in giudizio, sia per quella in cui sia invece convenuta.
Infatti, anche alla luce di quanto evidenzieremo tra breve, con la Riforma Cartabia gli atti introduttivi – citazione, ricorso, comparsa – devono essere il più completi possibile, sia dal punto di vista delle allegazioni che sotto il profilo istruttorio (ciò, come diremo, anche qualora la causa venga introdotta con citazione e si abbia, quindi, almeno in teoria, la possibilità di integrare le prove con le memorie ex art. 171-ter c.p.c.).
2. – Nel caso dell’azienda attrice, la decisione di promuovere una causa può derivare dalle situazioni più diverse.
Talora può trattarsi della necessità di interrompere un termine di prescrizione o evitare una decadenza, per i quali occorre proporre la relativa domanda giudiziale. Si pensi alle situazioni in cui si debba interrompere il termine di prescrizione di un’azione costitutiva (ad esempio, azione di annullamento del contratto, azione ex art. 2932 c.c., ecc.; infatti, in tali casi, ai fini dell’interruzione della prescrizione, non è sufficiente l’atto di costituzione in mora, essendo appunto necessaria la domanda giudiziale); oppure alle impugnative di delibere assembleari e consiliari di società, ecc.
In altri casi valutare se e quando promuovere una causa può rappresentare una mera questione di opportunità. Ad esempio, ove già sia insorta una controversia destinata a sfociare in un contenzioso giudiziale, potrebbe essere opportuno assumere per primi l’iniziativa, prevenendo quindi la controparte, anche al fine di radicare la causa davanti a un determinato giudice.
3. – Quali che siano comunque le motivazioni che inducano a promuovere una causa, la notifica dell’atto di citazione o il deposito di un ricorso presuppongono in ogni caso un accurato lavoro.
In sintesi, la preparazione della causa si articola nei seguenti passaggi:
a) ricostruzione dei fatti e individuazione delle questioni che vengono in considerazione;
b) individuazione della linea da seguire e delle possibili eccezioni e/o difese in fatto e in diritto che la controparte potrebbe opporre;
c) individuazione e raccolta delle prove costituite (documenti) o costituende (prove testimoniali, istanza di esibizione ex 210 c.p.c., ecc.) da dedurre in causa;
d) redazione di bozza dell’atto di citazione o del ricorso, da condividere con il legale interno, anche al fine di verificare la correttezza delle circostanze in fatto esposte;
e) individuazione del giudice competente, ovvero, nel caso di più giudici ugualmente competenti, scelta del giudice davanti al quale promuovere la causa;
f) individuazione dell’organo o soggetto abilitato a rilasciare la procura alle liti.
4. – Nel caso dell’azienda convenuta, un aspetto fondamentale è rappresentato dall’efficienza dell’organizzazione interna quanto alla ricezione delle notifiche degli atti giudiziari e, quindi, al monitoraggio della casella di posta elettronica certificata, onde evitare di non venire a conoscenza di una notifica, o comunque venirne a conoscenza in ritardo.
Infatti nell’attuale sistema processuale il tempo a disposizione del convenuto per predisporre le difese è ormai molto compresso. Pertanto è fondamentale che il legale interno, prima, e il difensore subito dopo, siano posti nelle migliori condizioni possibili per individuare la linea e istruire la pratica ai fini della costituzione in giudizio.
A questo punto la preparazione della causa si articola in passaggi analoghi a quelli indicati al precedente punto 3, con le seguenti peculiarità:
a) occorre anzitutto estrarre copia dell’eventuale documentazione prodotta dall’attore ed esaminarla con il legale interno per verificarne l’autenticità (anche ai fini di eventuali disconoscimenti), la completezza e la rilevanza ai fini di causa;
b) ove la documentazione non sia completa, occorre reperire quella mancante;
c) occorre verificare, con il legale interno, la correttezza della ricostruzione in fatto dell’attore, e l’opportunità e/o la possibilità di rettificare e/o integrare la narrativa posta a base della citazione o del ricorso;
d) occorre verificare la possibilità e/o l’opportunità di eccepire l’incompetenza del giudice adito, formulare eccezioni, svolgere domande riconvenzionali o chiamare in causa terzi.
2. La cooperazione tra giurista d’impresa e legale esterno alla luce della Riforma Cartabia
2.1 La riforma del processo civile
L’intervenuta riforma del processo civile rende ancora più significativo il ruolo del giurista d’impresa nella gestione del contenzioso civile.
Infatti la Riforma Cartabia introduce rilevanti preclusioni processuali, che, soprattutto nel caso dell’azienda convenuta, rendono strategica la fase dell’istruttoria interna.
Inoltre, come vedremo tra breve, sono già sorte importanti questioni interpretative della nuova disciplina, le quali impongono un’ulteriore attenzione nella preparazione della causa anche per il caso dell’azienda attrice.
Per affrontare alcuni di questi temi occorre anzitutto, in estrema sintesi, dar conto del nuovo schema del processo di cognizione.
2.2 Il rito ordinario e quello semplificato
La Riforma Cartabia ha abrogato il procedimento sommario di cognizione e ha previsto, accanto al rito ordinario, introdotto con l’atto di citazione, il c.d. rito semplificato (artt. 281-decies e seguenti c.p.c.), introdotto con ricorso.
Il rito semplificato è un procedimento a cognizione piena, così come quello ordinario, al quale è alternativo, ma ha una struttura più snella; infatti, almeno in linea teorica, esso potrebbe esaurirsi nell’ambito di un’unica udienza.
Nelle intenzioni acceleratorie e deflattive del legislatore, il rito semplificato dovrebbe anzi diventare il rito prevalente rispetto a quello ordinario.
2.3 Segue: il rito ordinario
La struttura del rito ordinario (artt. 163 e ss. c.p.c.) è stata completamente stravolta rispetto alla disciplina previgente.
Tale struttura prevede che il dibattito processuale, sia in merito al thema decidendum, che a quello probandum, avvenga prima che le parti compaiano davanti al giudice[2].
Infatti la fase di trattazione, che, prima della Riforma Cartabia, era disciplinata dall’art. 183, comma 6, c.p.c. e che si svolgeva dopo la prima udienza, ora è anticipata e si svolge anteriormente alla prima udienza (salvo quanto diremo poi).
Questo comporta la necessità che l’istruttoria interna, e, quindi la compiuta individuazione anche dei fatti secondari e la ricerca delle prove, si svolga per tempo.
Infatti, ove l’atto di citazione o la comparsa di risposta non siano completi anche dal punto di vista istruttorio, l’eventuale integrazione dovrà avvenire comunque entro un termine comunque molto ristretto.
2.4 Segue: rito semplificato
1. – Il rito semplificato è disciplinato dagli articoli 281-decies e seguenti c.p.c.
L’art. 281-decies c.p.c. definisce l’ambito di applicazione del procedimento e, in particolare, prevede che, “quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio introdotto nelle forme del procedimento semplificato”.
Pertanto, quando ricorrono i suddetti presupposti, che sono alternativi fra loro, il rito semplificato è obbligatorio.
Il secondo comma dell’articolo prevede che “nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può essere sempre proposta nelle forme del procedimento semplificato”.
Dunque, e qui emerge il favor del legislatore per il procedimento semplificato, l’attore ha la possibilità di introdurre la causa secondo questo rito anche quando non sia obbligatorio, laddove il tribunale giudichi in composizione monocratica, ossia nella maggior parte dei casi. Diversamente, qualora il tribunale giudichi in composizione collegiale, il processo è introdotto sempre con il rito ordinario, fatta eccezione per i casi in cui è obbligatorio il rito semplificato.
2. – La domanda si propone con ricorso (art. 281-undecies); il giudice entro cinque giorni fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dopo udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell’attore.
Il convenuto si costituisce con comparsa di risposta nella quale deve proporre tutte le sue difese e prendere posizioni in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, i documenti che offre in comunicazione nonché formulare le conclusioni.
3. Alcune questioni e problematiche del nuovo processo civile
3.1 Causa introdotta col rito ordinario anziché semplificato: possibili conseguenze.
1. – Una prima questione attiene alle conseguenze derivanti dall’erronea scelta del rito ordinario in luogo di quello semplificato.
Ai sensi dell’art. 183-bis c.p.c., “all’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’articolo 281-duodecies”.
A sua volta art. 281-decies, comma 5°, c.p.c. dispone che, “se non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma” (autorizzazione alla chiamata in causa e, solo ove ricorra “giustificato motivo” concessione alle parti di due termini; il primo non superiore a venti giorni per precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni, per indicare mezzi di prova e produrre documenti, e il secondo, non superiore a dieci per replicare e dedurre a prova contraria), “e non ritiene la causa matura per la decisione il giudice ammette i mezzi di prova che ritiene rilevanti e procede alla loro assunzione”.
2. – Dunque, sulla base di questa disciplina:
a) se l’attore ha agito col rito ordinario, sussistendo invece i presupposti (anche in relazione all’eventuale domanda riconvenzionale) del rito semplificato, “alla prima udienza” il giudice converte il rito (da ordinario a semplificato), senza rinvio ad altra udienza;
b) se, in particolare, non concede i termini di cui al quarto comma, il giudice (i) o ammette le eventuali prove o (ii) ai sensi dell’art. 281-terdecies rimette la causa in decisione.
3. – Ora, la dottrina che ha commentato la Riforma Cartabia si è, per lo più, espressa nel senso che l’errore nel rito (ordinario anziché semplificato) non comporta conseguenze di sorta.
In particolare, poiché la prima udienza (nella quale dovrebbe avvenire la conversione) si svolge dopo le memorie integrative ex art. 171-ter c.p.c., deve ritenersi che rimanga salva tutta l’attività svolta dalle parti anche con tali memorie.
In questa situazione, l’attore, pur in una situazione in cui ricorrano i presupposti per dover procedere col rito semplificato, potrebbe operare la scelta processuale di agire col rito ordinario.
Questa scelta gli consentirebbe di poter ancora integrare le proprie difese anche dal punto di vista istruttorio, avvalendosi, appunto, delle memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c.
Infatti, ai sensi dell’art. 183-bis c.p.c., la conversione del rito avverrebbe solo alla “prima udienza”, ossia in un momento successivo al deposito delle memorie.
4. – Senonché sono già emerse in giurisprudenza interpretazioni della disciplina che paiono superare il dato letterale; in particolare, con ordinanza in data 1° maggio 2023 (in www.lanuovaproceduracivile.it), il Tribunale di Piacenza ha ritenuto che la conversione del rito possa avvenire, d’ufficio, anche prima dell’udienza e senza provocare il contraddittorio tra le parti, e ha così affermato che:
a) “la norma concede al giudice tale facoltà, apparentemente, solo in esito all’udienza di trattazione, solo previo scambio di memorie ex art. 171-ter c.p.c.”;
b) “tuttavia tale disposizione deve interpretarsi in senso costituzionalmente orientato (…). Deve pertanto ritenersi, in tale prospettiva, ben possibile – perché rispondente al miglior interesse di tutte le parti alla più sollecita ed efficiente trattazione della causa – provvedere alla conversione del rito ordinario in rito semplificato: 1) anche d’ufficio, essendo valutazione discrezionale del giudice (…); 2) anche prima dell’udienza, proprio perché occorre evitare quell’abnorme, esponenziale moltiplicazione di memorie ex art. 171-ter c.p.c. che oggettivamente complica la trattazione in assenza di una apprezzabile contropartita, rectius di utilità ed economia processuale; 3) anche in assenza di contraddittorio su tale punto specifico… E ciò sol che si consideri come, una volta che si sia ritualmente definito il contraddittorio nelle più idonee forme consentite dal rito semplificato, sarà sempre possibile per il giudice procedere ad ulteriore conversione del rito in ordinario ove emergano i profili di complessità in diritto e/o in fatto che giustifichino detto revirement”.
5. – Quali sono le possibili conseguenze di una tale interpretazione?
Se l’attore ha fatto affidamento sulla possibilità di depositare le memorie integrative, questa possibilità potrebbe essergli preclusa (qualora il giudice converta il rito prima dell’udienza).
Pertanto, salvo che ricorra il “giustificato motivo” e il giudice conceda le memorie del rito semplificato, tutta l’attività processuale si cristallizzerà, nella sostanza, alla fase degli atti introduttivi, con conseguenti possibili preclusioni.
La questione, come si vede, ha notevole rilevanza pratica e conferma che, con la Riforma Cartabia, l’esigenza di una preventiva adeguata preparazione e istruttoria interna della causa è diventata ancor più fondamentale, con conseguente ulteriore centralità del ruolo del giurista d’impresa.
3.2 La nozione di giustificato motivo nel rito semplificato
Il tema del rito semplificato e dei termini di cui al quarto comma dell’art. 281-duodecies c.p.c., ci introduce a un’altra questione, ossia come va inteso il “giustificato motivo” la cui sussistenza consente al giudice di “concedere i termini perentori” per il deposito delle memorie integrative?
Non è chiaro, infatti, che cosa si debba intendere per giustificato motivo; quel che è certo è, occorrendo appunto un giustificato motivo, come si è visto, nel rito semplificato, a differenza di quanto previsto per il rito ordinario, le parti non possono fare affidamento sulle memorie integrative.
Il giustificato motivo dovrebbe ritenersi sussistere tutte le volte in cui occorra assicurare l’effettività del contraddittorio e assicurare alle parti adeguate possibilità di difesa in relazione a eventuali deduzioni e/o contestazioni nuove (cfr., in questo senso, Luiso).
In questa prospettiva, è più probabile che sia l’attore, piuttosto che il convenuto, a trovarsi nella situazione di dover chiedere la concessione dei termini.
Infatti, a seguito dell’instaurazione della causa, è il convenuto che ha parlato per ultimo, attraverso il deposito della comparsa.
Al riguardo il Tribunale di Milano, sezione X, in data 16 marzo 2023 ha espresso un orientamento specifico sul tema e ha affermato che, “l’effettiva tutela del contraddittorio, di cui al novellato art. 101 c.p.c., appare garantita dall’interpretazione estensiva del ‘giustificato motivo’ di cui all’art. 281 duodecies, IV comma, c.p.c., rendendo così ancora più effettivo il diritto di difesa delle parti anche nel procedimento semplificato di cognizione”.
Va segnalato che questa impostazione del Tribunale risponde al seguente tema che la Sezione si è posta, in relazione al “giustificato motivo”: “è opportuno per la nostra sezione incentivare il procedimento semplificato di condizione?”.
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In conclusione, oggi, ancor più che prima della Riforma Cartabia, la gestione del contenzioso di un’azienda deve passare attraverso un confronto continuo tra il giurista d’impresa e l’avvocato esterno; confronto sulla base del quale può essere individuata, e poi attuata, la migliore strategia possibile, per la conduzione della causa; ciò tanto più alla luce del principio di chiarezza e sinteticità degli atti, codificato dalla Riforma Cartabia, e dell’imminente pubblicazione del decreto ministeriale sui limiti dimensionali degli atti; limiti dimensionali che renderanno essenziale costruire fin da subito una linea di difesa – oltre che completa – chiara, che possa tradursi in atti processuali altrettanto chiari e sintetici, idonei a svolgere la loro funzione, ossia convincere il giudice.
[1] Decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, emanato in attuazione della legge delega 26 novembre 2021, n. 206.
[2] Infatti, ai sensi dell’art. 171-ter c.p.c., “le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono:
1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta;
2) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali;
3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria”.