Le imprese italiane usciranno dall’attuale crisi con un’evidente necessità di rafforzare la propria struttura patrimoniale. Questo vale soprattutto per le imprese di piccole e medie dimensioni che tipicamente presentano una struttura finanziaria maggiormente caratterizzata dall’indebitamento. Un’analisi basata su dati AIDA mostra che prima della pandemia le imprese non finanziarie con fatturato compreso tra 50 e 200 milioni di euro avevano un rapporto tra debito netto e capitale di rischio pari in media al 167%, contro il 91% e l’84% delle imprese con un fatturato rispettivamente compreso tra 200 e 500 milioni e superiore a 500 milioni.
L’auspicata ripresa che si dovrebbe osservare nei prossimi anni non potrà che passare attraverso una maggiore spinta verso l’innovazione e l’internazionalizzazione, che renderà ancora più importante l’investimento nel capitale di rischio delle imprese italiane. Tali processi, infatti, rischiosi per loro natura, richiedono significative risorse finanziarie in una prospettiva di medio-lungo termine. Occorreranno dunque capitali pazienti, apportati da investitori professionali, quali ad esempio i fondi di private equity, che non siano focalizzati sui rendimenti a breve.
In realtà, l’Italia è contraddistinta da un minore sviluppo dei mercati azionari e da un ritardo nello sviluppo dei fondi di private equity e venture capital. Secondo le statistiche elaborate da Invest Europe, nel 2019 in Italia gli investimenti di private equity sono stati pari allo 0,25% del PIL, ben al di sotto della media europea dello 0,54%. In Francia, gli stessi hanno raggiunto un valore pari allo 0,78% del PIL, mentre in Gran Bretagna sono arrivati quasi all’1,5%. Di qui il riconoscimento dell’esigenza dell’intervento dello Stato nel capitale di rischio, o strumenti assimilabili, di quelle aziende che, qualora adeguatamente patrimonializzate, potrebbero trainare la crescita dell’economia e dell’occupazione nella fase post-pandemica. Non a caso, dunque, si è recentemente sviluppata un’approfondita discussione sull’opportunità di creare un fondo pubblico che possa supportare le imprese italiane nel processo di ricapitalizzazione. A tal riguardo, il “Decreto Rilancio” del 19 maggio 2020 ha introdotto il cosiddetto “Patrimonio Destinato” che dovrebbe sostenere le imprese attraverso operazioni di aumento di capitale o la sottoscrizione di strumenti ibridi, quali prestiti obbligazionari convertibili o subordinati.
L’iniziativa è sicuramente apprezzabile viste le esigenze sopra discusse. Un’appropriata capitalizzazione è una condizione imprescindibile affinché le imprese migliori del paese, i campioni nazionali, non necessariamente di grandi dimensioni, possano crescere, innovando e competendo a livello globale, con effetti benefici per le proprie filiere. Vi sono, tuttavia, alcuni caveat che è utile approfondire. La buona riuscita di una iniziativa così importante dipende, infatti, in modo rilevante dalle decisioni che saranno prese in tema di governance del veicolo che gestirà le risorse, di criteri di selezione delle imprese in cui investire e di modalità di gestione delle partecipazioni in portafoglio.
Un punto sembra, in particolare, fondamentale: il coinvolgimento degli investitori privati nel processo di raccolta ed allocazione delle risorse. Tale aspetto è particolarmente importante per diverse ragioni. In primo luogo, grazie al potenziale matching delle risorse effettuato da parte degli investitori privati, la dotazione messa a disposizione dello Stato potrebbe diventare un volano per l’attrazione di capitali. Un maggiore afflusso di investimenti privati verso una asset class, come quella del private equity, ancora poco sviluppata nel nostro paese potrebbe contribuire a far crescere tale segmento in Italia una volta che la crisi dovesse essere superata. L’esperienza maturata da Israele con la creazione del fondo di fondi Yozma negli anni novanta è un caso di scuola. Con l’investimento iniziale di 100 milioni di dollari nel 1993, il governo fu in grado di attrarre investimenti per ulteriori 120 milioni di dollari da investitori privati in fondi gestititi da team indipendenti che, dieci anni più tardi, avevano in portafoglio partecipazioni che valevano complessivamente quasi 3 miliardi di dollari. La creazione di Yozma rese così possibile non solo lo sviluppo del segmento del venture capital nel paese, ma anche la nascita di una delle più interessanti industrie high-tech a livello internazionale.
Il coinvolgimento di investitori privati nella governance, nonché nella gestione operativa del fondo, può anche imporre una fondamentale disciplina di mercato alle decisioni che verranno prese. La necessità che il fondo nel suo complesso generi un rendimento in linea con il rischio che si assumono gli investitori privati porrebbe senz’altro una ancora maggiore attenzione al processo di selezione delle imprese, garantendo un’allocazione dei capitali più efficace e favorendo quelle realtà imprenditoriali che presentino le più significative opportunità di sviluppo. In Francia, ad esempio, Bpifrance, parte del Gruppo Caisse de Depot, gestisce fondi di fondi per un valore di circa 9 miliardi di euro, allocati a fondi di private equity in cui sono presenti anche investitori privati. Peraltro, come dichiara la stessa BPIfrance, i fondi ai quali sono allocate le risorse pubbliche sono selezionati sulla base del track record del team di gestione, della strategia d’investimento, della capacità di supportare operativamente le imprese in cui investono e della abilità di attrarre capitali privati da banche, società di assicurazione, fondi pensione e altri investitori istituzionali.
Sicuramente il fatto che lo Stato, anche nell’ambito della maggiore flessibilità che oggi viene offerta a livello Comunitario, stia valutando un intervento a favore della capitalizzazione delle imprese italiane è una buona notizia. Poiché, tuttavia, si tratterà di un’occasione unica ed irripetibile, che non possiamo permetterci di sprecare, è auspicabile che la governance del veicolo che sarà creato, la raccolta di capitali e le decisioni di investimento siano adeguatamente condivise con investitori istituzionali privati.