La sentenza in commento appare di particolare interesse per gli interpreti che si occupano di contenzioso bancario atteso che, da una parte, mette ordine nel rilevante e strategico tema della suddivisione dell’onere della prova tra banca e cliente richiamando gli orientamenti più recenti fatti propri dalla Suprema Corte sul tema, appunto, dei principi che governano il processo, orientamenti che hanno fatto chiarezza di temi che presentavano ancora una qualche incertezza e, dall’altra, perché affronta un aspetto spesso poco esplorato, ma di grande rilevanza, ai fini dell’esito della causa, ovvero il rapporto tra il contenuto le risultanze della CTU cd. percipiente e la decisione del Giudice e di come, in particolare, la pronuncia possa basarsi, appunto, in tali ipotesi, sul richiamo dell’operato del CTU laddove l’elaborato da quest’ultimo disposto (come è risultato nella presente fattispecie) sia risultato chiaro e coerente, appunto, ai principi dettati dalla Giurisprudenza nella materia della determinazione ed accertamento dei rapporti di credito-debito sotto la visuale dell’anatocismo, della determinazione del tasso di interesse e dell’usura.
La pronuncia – dopo aver riportato le conclusioni delle Parti e riepilogato le tesi sostenute dalle stesse – in via preliminare anticipa che la parte motiva sarà basata sul richiamo di una cd. CTU percipiente.
Tale premessa appare (nel caso specifico) di particolare interesse in quanto il Giudice – proprio alla luce della chiarezza dell’elaborato peritale e della condivisione dei suoi assunti – mette in evidenza, nella premessa della parte motiva della decisione, la volontà di recepire interamente la Consulenza Tecnica Contabile (di seguito brevemente CTU) resa in giudizio, sottolineandone, come detto, la bontà delle argomentate motivazioni poste a fondamento della stessa e chiarendo che l’esito a cui è giunto il CTU è maggiormente significativo atteso l’ampio ed approfondito contraddittorio svoltosi tra il Consulente del Giudice e quelli nominati dalle Parti.
Il Giudice, quindi, facendo corretta applicazione anche del principio espresso dalla Suprema Corte con la sentenza 6.10.2005 n. 19475 citata (sentenza, che ricordiamo, consente al Giudice di porre a fondamento della propria decisione la decisione del CTU con ampi richiami alla stessa senza incorrere in vizi motivazionali censurabili in sede di legittimità) ha posto, a fondamento della sentenza e dell’iter logico seguito, la CTU resa in corso di causa, senza la necessità di prendere posizione sulle specifiche questioni sottoposte, ma, appunto, facendo espliciti e puntuali richiami alla CTU nelle singole questioni di merito oggetto di causa (anatocismo, tasso di interesse, usura, saldo zero).
Del resto, anche con la recentissima decisione avente data 8.2.2019 n. 3717 (successiva alla sentenza in commento ma in perfetta coerenza con la stessa nell’orientamento assunto) la Suprema Corte ha riconosciuto valore (nell’elaborare la sentenza e nel motivare la stessa) alla cosiddetta “consulenza percipiente”, quale è, con tutta evidenza, quella che viene resa nelle vertenze aventi ad oggetto rapporti bancari e/o finanziari, al pari della CTU resa in sede medico-legale, dalle quali è sorta la necessità di distinguere la CTU di tale natura dalla CTU cd. deducente.
Quando i fatti da accertare necessitano di specifiche conoscenze tecniche – come è naturale, in casi di accertamento della responsabilità medica, per la innegabile natura tecnico-specialistica delle conoscenze necessarie ma così anche in tema di rapporti bancari e finanziari – il Giudice può affidare al Consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati (consulenza cd. deducente), ma anche quello di accertare i fatti stessi (consulenza cd. percipiente).
In tale caso, afferma la Suprema Corte succitata, “… la consulenzacostituisce essa stessa fonte oggettiva di provaed è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l’accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche (tra le tante, Cass. civ. Sez. 3, Sent., 26-02-2013, n. 4792)”
Con tutta evidenza, tuttavia, visto il rango di prova che la CTU cd. percipiente assume (ove correttamente svolta come nel caso esaminato dal Tribunale di Pordenone) è di fondamentale importanza – affinchè il Giudice possa porre a base della propria decisione la CTU limitandosi, di fatto, a richiamare la stessa nella propria decisione – che l’elaborato peritale non solo sia congruamente motivato nei propri assunti, ma anche che si sia svolto rispettando le regole processuali e ciò: i) sia sotto il profilo del rispetto del contraddittorio tra le parti in causa che ii) sotto il diverso ed autonomo profilo della condivisione della documentazione posta alla banca della CTU stessa. In presenza di tali presupposti la CTU non presta, infatti, il fianco a censure di natura processuale (in particolare degli artt. 194, 157 e 198 c.p.c.,) che la renderebbero non del tutto utilizzabile o meglio che non consentirebbero al Giudice di porla, con facilità, alla base della sentenza senza prima avere egli dovuto chiarire alcuni aspetti e/o intervenire sulle contestazioni emerse tra le Parti.
Sul valore di tale Consulenza si è pronunciata la Giurisprudenza di merito ben chiarendo che “… anche quando la consulenza tecnica sia percipiente, e cioè disposta per l’acquisizione di dati la cui valutazione sia poi rimessa all’ausiliario, quest’ultimo non può avvalersi, per la formazione del suo parere, di documenti non prodotti dalle parti nei tempi e modi permessi dalla scansione processuale, pena l’inutilizzabilità, per il giudice, delle conclusioni del consulente fondate sugli stessi….” (in tale senso Appello Brescia 28.03.2019, reperibile su de iure).
Nel caso che ci occupa, sia il Tribunale che ancor prima il CTU dallo stesso incaricato, hanno dimostrato di ben conoscere tali principi, di talchè la sentenza appare congruamente motivata sul punto. Il Giudice, infatti, ha dato espressamente atto in sentenza dell’ampio ed approfondito contraddittorio che si è svolto tra il Consulente Tecnico del Giudice e quelli delle parti ed ha specificato anche perché ha ritenuto più conforme ai principi processuali utilizzare il cd. primo elaborato disposto anziché l’integrazione disposta in un secondo momento, a fronte di documenti depositati da entrambe le parti a preclusioni spirate, facendo corretta applicazione dei principi della Giurisprudenza di legittimità sul punto (cfr. Cass. 24549/10 citata dal Giudice e anche da ultimo confermata da Cass. 13.03.2018 n. 6019), che escludono che le preclusioni e le scansioni processuali previste dal codice di rito siano nella disponibilità della parti, essendo, invece, poste a presidio del principio pubblico dello svolgersi ordinato del processo.
Il Tribunale di Pordenone, dopo aver illustrato di volersi uniformare a tali principi, ha affrontato in coerenza con la Giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 9201/15 e Cass.500/17 ed ancora più recentemente Cass. 30822/18 e Cass. 11453/19), oltre che di merito più autorevole (cfr. Corte d’Appello di Milano Sentenza 15.01.2017 N. 31 e Corte d’Appello di Venezia Ordinanza 17.09.2018), il tema della cd. distribuzione dell’onere della prova tra Banca e Correntista nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo.
La Suprema Corte, sin dalla sentenza 17.05.2015 n. 9201,ha affermato il seguente principio, confermato poi dalle successive sentenze succitate, secondo la quale “… la banca deve dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto, e ove ne manchi la completa documentazione, a partire dal c.d. saldo zero e del pari il correntista, puragendo per l’accertamento negativo, dovrà fornire la prova della fondatezza della propria domanda, producendo l’estratto conto zero, tanto più ove si tenga conto che tale estratto conto, inviato per legge ai correntisti, fa sì che gli stessi si trovino in posizione paritaria…”.
Tra le successive sentenze succitate, appare di particolare rilievo, ai fini del caso specifico affrontato dal Tribunale di Pordenone, la sentenza della Suprema Corte 11.01.2017 n. 500,che sottolinea che, nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo ove il correntista non si limiti a voler paralizzare la domanda della Banca a causa della carenza documentale ma pretenda di vantare un credito nei suoi confronti – come appunto il caso che ci occupa – dovrà a quel punto dimostrarlo con la produzione degli estratti completi, in ossequio a quanto prevede l’art. 2697 c.c.
La Corte d’Appello di Venezia, con ordinanza 17.09.2018, la quale si è pronunciata in un caso in cui il Giudice di prime cure non aveva fatto corretta applicazione di tali principî – in particolare quelli di cui alla sentenza n. 500/17 – ha sospeso la provvisoria esecutorietà della decisione di primo grado sottolineando che il principio di cui alla sentenza 500 del 2017 rispecchia un principio “talmente consolidato da potersi ritenere principio pacifico in tema di ripartizione dell’onere probatorio in capo al correntista e alla Banca”, principio rilevante, in applicazione della sanzione processuale dell’azzeramento del primo saldo ove se fosse invece emerso un saldo a favore del correntista, non vi sarebbe potuta comunque essere una pronuncia di condanna nei confronti della Banca.
Sul punto, interessante è la sentenza della Corte d’Appello di Milano 15.01.2017 n. 31 (reperibile su www.ilcaso.it), che pur applicando il criterio del saldo zero in una causa, come quella che ci occupa, di opposizione a decreto ingiuntivo, ha riformato la sentenza del giudice di primo grado nella parte in cui aveva accolto la domanda riconvenzionale di ripetizione d’indebito, “in quanto l’opponente – gravato del relativo onere probatorio – non ha prodotto la documentazione contabile completa, idonea a dimostrare il fondamento della propria pretesa restitutoria.”
Per tornare alla sentenza in commento, quindi, appare evidente che la stessa abbia applicato in modo del tutto logico e conseguente alle domande proposte dalle parti i suddetti principî.
Da una parte, infatti, viene affermato che gli opponenti che hanno proposto, come nel caso trattato dal Giudice di Pordenone, domanda riconvenzionale e non si siano limitati a voler paralizzare la domanda della Banca, assumono la veste di attori rispetto a tale domanda e sono tenuti quindi a dimostrarla.
Dall’altra, pur affermando l’applicabilità in astratto del principio del saldo zero in sfavore della Banca per la dimostrazione del proprio credito (in mancanza appunto, come nel caso esaminato, degli estratti ab origine), ritiene nel caso concreto di non applicarlo essendo il primo saldo a disposizione positivo.
In altre parole, nel caso in commento, il principio del saldo zero non ha potuto trovare concreta applicazione, in quanto il primo saldo dimesso in causa era positivo e, pertanto, l’azzeramento dello stesso si sarebbe tradotto in una sanzione nei confronti del correntista e bene quindi ha fatto, prima il Consulente Tecnico d’Ufficio e, quindi, il Giudice, a non ritenere necessaria la ricostruzione del dare/avere tra le parti sulla scorta di tale principio, mantenendo quindi il saldo iniziale.
Appare opportuna, infine, un’ultima notazione in relazione ad un altro aspetto afferente il merito, affrontato in modo interessante e condivisibile dal CTU e fatto proprio dal Giudice.
Il CTU, infatti, in punto usura, non si è limitato a richiamare i criteri della Banca d’Italia, ormai consacrati dalla Giurisprudenza di legittimità (cfr. le note sentenze della Suprema Corte 12965/16 e 22270/16, seguite dalla Sentenza resa a SS.UU. 16303/18),ma ha anche aggiunto la considerazione di non poter considerare ai fini dell’usura oneri economici già espunti perché non pattuiti; è evidente, infatti, che in tal caso, esclusa l’usura cd. originaria, non si possono certo considerare ai fini del calcolo dell’usura cd. sopravvenuta, che peraltro va ora esaminata considerato anche le SS.UU. 24675/17, oneri già espunti, perché in tal modo vi sarebbe una doppia (eventuale) sanzione, del tutto ingiustificata.